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“Contratti a distanza e recesso del consumatore”, recensione del volume della Professoressa Maria Pia Pignalosa

 

Sommario: 1. Premessa. 2. Esame del primo capitolo dell’opera relativo alla disciplina dei contratti a distanza ed alle tecniche di protezione del consumatore. 3. Circa la qualificazione e la disciplina del diritto di recesso dai contratti a distanza. 4. Analisi del terzo capitolo con particolare riferimento alla problematica della conclusione dei contratti telefonici ed alle forniture non richieste. 5 Circa i contratti telematici. 6. Conclusioni.

Il volume dal titolo “Contratti a distanza e recesso del consumatore”, oggetto della presente recensione, è stato redatto dalla Professoressa Maria Pia Pignalosa, ed è stato pubblicato nella Collana “Studi di diritto civile”, diretta dai Professori Natalino Irti e Pietro Rescigno ed edita dalla Giuffrè.

Il suddetto lavoro monografico, come si evince, peraltro, dal titolo, ha come filo conduttore quello dell’analisi della disciplina positiva in materia di contratti a distanza soffermandosi in particolare sui profili legati alla conclusione del contratto e al diritto di recesso, nell’intento di comprendere, verificata la natura di quest’ultimo, quale ruolo rivesta nella disciplina dei contratti in esame.

Più nel dettaglio, il testo in argomento, si suddivide in tre capitoli, preceduti da una introduzione nella quale l’Autrice dà contezza ai lettori del nucleo essenziale del proprio progetto editoriale. Nel primo capitolo dell’opera la Scrittrice si sofferma sull’ambito di applicazione della disciplina sui contratti a distanza e sulle tecniche di protezione del consumatore, ripercorrendo l’iter normativo che ha portato all’adozione della direttiva 2011/83/UE. Nel secondo capitolo, invece, vengono, affrontate le problematiche della qualificazione e della disciplina del recesso dai contratti a distanza. Infine, il terzo capitolo affronta la delicata questione della conclusione dei contratti a distanza con particolare riferimento ai contratti telefonici (sezione I), alle forniture non richieste (sezione II) ed ai contratti telematici (sezione III).

Per sviluppare la suddetta linea di ricerca l’Autrice prende spunto dall’occasione offerta da parte del Legislatore nazionale che, con la novella introdotta dal d.lgs. n. 21 del 21 febbraio 2014, ha integralmente riscritto gli articoli da 45 a 67 del Codice del Consumo, dando attuazione in tal modo alla direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori.

Le predette problematiche, nonostante abbiano interessato gli studiosi del diritto, già tempo addietro, ad opinione della Scrittrice «sembrano ricevere nuova linfa» proprio grazie agli emendamenti apportati alla vecchia disciplina «in vista dell’armonizzazione massima» che ha ispirato la direttiva 2011/83/UE.

Ad opinione di chi scrive, la suddetta direttiva si inserisce, inoltre, nel processo di normazione sovranazionale che è volto a costruire la cosiddetta “Europa dei diritti”, segnando, altresì, una tappa importante di tale percorso.

Dopo aver ricostruito il quadro normativo di riferimento e quindi l’ambito di applicazione della disciplina sui contratti a distanza, la narrazione prosegue incentrandosi sulle tecniche di protezione del consumatore, tematica che si riconnette alla nota disputa sulla natura giuridica del recesso dai contratti a distanza. In particolare, in relazione a quest’ultima questione, il progetto editoriale si pone come obiettivo quello di verificare se il recesso possa essere attratto nell’area del procedimento di formazione del contratto, o, piuttosto, si tratti di uno strumento che scioglie un contratto preesistente.

Come rileva giustamente l’Autrice nel proprio saggio, propendere per l’una ovvero per l’altra delle suddette ipotesi comporterebbe, conseguentemente, che, ad esempio, nel primo caso l’esercizio del diritto di recesso da parte del consumatore impedirebbe la conclusione del contratto e ciò si allineerebbe con il pensiero sviluppato dai sostenitori delle tesi c.d. procedimentali, mentre, invece, qualora si propendesse per la seconda ipotesi, allora, il diritto di recesso sarebbe inquadrato come uno strumento che scioglie un contratto già concluso.   Sullo sfondo della questione si inseriscono, poi, le modifiche, dettate dalla riforma, di cui al d.lgs. n. 21 del 21 febbraio 2014, che forniscono, sempre ad opinione della Scrittrice, delle utili indicazioni, soprattutto laddove le norme riformate vengano lette alla luce della seconda delle summenzionate ricostruzioni circa la natura del recesso.

Per poter dare una risposta all’interrogativo sul se, ed entro quali limiti, sia possibile ascrivere l’istituto del recesso all’interno di categorie contrattuali tradizionali, la Professoressa reputa, altresì, opportuno un passaggio preliminare, ovvero una verifica ed un’analisi di quella che è la natura dello ius poenitendi nei contratti a distanza.

In merito alla categoria dei contratti a distanza la Scrittrice rileva, poi, sin da subito, come a causa della molteplicità degli strumenti e delle modalità di comunicazione offerte dalla moderna tecnologia sia complicato poter condurre un discorso unitario che determini l’individuazione della fattispecie rilevante.

A tal proposito, infatti, la stessa rileva che, mentre appaiono poco problematici gli strumenti di comunicazione divenuti ormai tradizionali ovvero il fax, il telefono, il telefax, la cui tecnologia è un mero veicolo dell’ordinario contatto verbale o scritto, le nuove forme di comunicazione, quali, ad esempio, la posta elettronica, internet, sono ben più complesse perché, nonostante abbiano in comune l’utilizzo del computer, o dei telefoni di nuova generazione, come mezzo attraverso il quale si giunge alla formazione e all’elaborazione della volontà̀ negoziale, devono essere distinte tra loro, stante il diverso grado di spersonalizzazione che le caratterizza.

Si è pienamente d’accordo quindi, con l’assunto secondo il quale «l’analisi della contrattazione a distanza non possa procedere senza una ricognizione analitica che tenga, altresì, conto delle particolarità di ciascuna specie di contratto a distanza visto che le relative caratteristiche sono insuscettibili di poter essere ricondotte ad unità».

Il discorso attinente alla conclusione dei contratti a distanza, ed in particolare, dei contratti telematici, parte, poi, dal presupposto metodologico che porta a distinguere gli stessi in contratti conclusi attraverso scambi di posta elettronica o comunicazioni individuali equivalenti dai contratti nei quali, invece, l’adesione avviene attraverso la c.d. sequenza del point and click. Si può, pertanto, notare come tale metodologia, oltre a sembrare più logica al fine di rendere edotto anche il lettore sprovveduto, utilizzi lo stesso metodo al quale ha fatto riferimento anche il Legislatore.

Nell’ambito della normativa sui diritti dei consumatori l’Autrice rileva, poi, come sia l’intervento del Legislatore europeo che quello del Legislatore domestico si siano di fatto limitati a far riferimento al solo contratto già concluso, senza fornire, invece, alcuna indicazione circa le modalità̀ attraverso le quali debba giungersi all’accordo.

L’analisi, condotta dalla Professoressa Pignalosa, non può, quindi, che prendere come punto di riferimento l’art. 67, comma 2, del Codice del Consumo laddove è sancito che «per quanto non previsto dalle Sezioni da I a IV del presente Capo, si applicano le disposizioni del codice civile in tema di validità̀, formazione o efficacia dei contratti».

La norma succitata testimonierebbe, altresì, che il Legislatore europeo non ha inteso occuparsi direttamente di armonizzare i profili della validità̀, dell’efficacia e della formazione del contratto, rinviando per tali argomentazioni alle legislazioni dei singoli Stati membri.

La Scrittrice, quindi, al fine di giungere ad una conclusione, reputa opportuno, alla luce di quanto suddetto, selezionare, tra i procedimenti di formazione del contratto regolati dal codice civile, quelli che risultano applicabili alle nuove forme di contrattazione che si svolgono in contesti e con mezzi sconosciuti al legislatore del ’42.

Con l’opera monografica, oggetto della presente recensione, la Pignalosa si spinge, poi, fino a cercare di comprendere anche se le parti dei contratti a distanza, nell’esercizio della loro autonomia contrattuale, possano creare nuovi procedimenti negoziali che non siano regolati dal Legislatore.

L’Autrice, infatti, prendendo consapevolmente atto del mutato contesto  tecnologico dei giorni d’oggi, ritiene che, proprio l’evoluzione tecnologica e la conseguente nascita di un «mercato telematico» debbano diventare il nuovo parametro di riferimento per l’interprete, il quale dovrebbe, altresì, interrogarsi chiedendosi se, e fino a che punto, il commercio elettronico e la contrattazione telematica possano essere sussunti nei vecchi schemi contrattuali o, piuttosto, impongano un ripensamento dei principi che governano i rapporti tra i contraenti e quelli fra le parti ed i terzi, stante le nuove esigenze che sono sottese agli scambi che si realizzano mediante l’utilizzo delle nuove tecnologie.

Questi aspetti, sempre ad opinione della Scrittrice, dovrebbero, poi, essere indagati sotto la diversa prospettiva della tutela del consumatore.

Nel corso della narrazione acquista, quindi, importanza, in quanto connessa sempre alla nascita delle nuove tecnologie, la problematica dell’elaborazione di nuovi mezzi di commercializzazione visto che proprio ciò ha consentito ai professionisti di poter contattare agevolmente i propri potenziali clienti al di fuori dai tradizionali locali adibiti alla vendita, in spazi virtuali dematerializzati che hanno reso oltremodo vulnerabile la posizione del consumatore.

In tali circostanze, infatti, il consumatore, si vedrebbe sottrarre parte della propria autonomia privata, intesa quale libertà di scelta, ossia quale consapevole preferenza tra le cose. Da qui l’esigenza di tutelare la libertà di scelta del consumatore mediante una disciplina che garantisca quantomeno l’informazione e la trasparenza della parte che riveste tale ruolo nella contrattazione.

Ad opinione della Professoressa il contesto fisico e tecnico nel quale si svolge la contrattazione a distanza, si caratterizza, proprio, dal venir meno dell’unità spazio-temporale tra le parti, nonché́ tra il consumatore acquirente e il bene o il servizio offerto. Ciò ha determinato un intervento del Legislatore in tale senso ovvero l’introduzione di uno speciale regime di tutela a favore del consumatore che si trova ad essere esposto a forme di sollecitazione capaci di condizionare la propria libertà di autodeterminazione.

È proprio alla luce delle modalità attraverso le quali si svolge la contrattazione, che sempre il Legislatore, come evidenziato dall’Autrice, ha concesso al consumatore di sciogliersi unilateralmente, gratuitamente e senza specificarne il motivo da un vincolo non più̀ gradito. La Scrittrice si interroga, poi, anche su quale debba essere l’elemento di debolezza da dover tutelare laddove l’acquirente di beni o servizi si avvalga di tecniche di comunicazione a distanza e su quale possa essere stata la ragione che ha spinto il Legislatore a ricorrere all’istituto del diritto di recesso.

Per rispondere a tali interrogativi e agevolare al contempo il lettore nella comprensione delle varie problematiche, viene, quindi, verificato se il diritto di recesso possa essere stato attribuito al consumatore alla luce della distanza che lo separa dal bene o dal servizio, con la conseguente impossibilità di visionare e controllare preventivamente i beni o servizi oggetto del contratto o, piuttosto, se la possibilità di recedere sia stata ancorata alla difficoltà di governare la tecnologia impiegata per superare la distanza, o ancora se si possa ravvisare anche per i contratti a distanza una tecnica di negoziazione “aggressiva” che renderebbe il consumatore vittima del c.d. effetto sorpresa.

La suddetta verifica sfocia, poi, inevitabilmente, nel seguente interrogativo che l’Autrice si pone ovvero se vi sia la possibilità di applicare la predetta tecnica di protezione del consumatore indipendentemente dal contesto oggettivo e soggettivo di riferimento, e, quindi, se il meccanismo del recesso possa essere elevato a strumento di tutela a carattere generale.

Infine, la Scrittrice si chiede, altresì, se, ed in quale misura, la disciplina del recesso europeo uniforme, così come emendata in ragione dell’armonizzazione che ha ispirato la direttiva 2011/83/UE, abbia sacrificato la migliore tutela del consumatore sull’«altare dell’uniformazione e della certezza giuridica».

  1. Esame del primo capitolo dell’opera relativo alla disciplina dei contratti a distanza ed alle tecniche di protezione del consumatore.

Venendo specificamente alle tematiche affrontate dall’Autrice nel corso del primo capitolo dell’opera in esame, occorre rilevare come al fine di fare chiarezza, venga analizzato dapprima il tormentato iter normativo che ha condotto all’adozione della direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori e poi solo in un secondo momento vengano inquadrati gli elementi costitutivi della fattispecie dei contratti a distanza.

Ciò, oltre ad apparire logico, agevola sicuramente il lettore fornendogli una base normativa dalla quale poter partire al fine di comprendere al meglio l’analisi svolta nel corso della monografia.

In particolare, con riferimento alla suddetta direttiva 2011/83/UE l’Autrice evidenzia come l’approccio adottato dal Legislatore europeo sia stato, alla fine, quello dell’armonizzazione massima, per le sole due risalenti direttive sui contratti a distanza e negoziati fuori dai locali commerciali, nonostante il progetto originario di riforma prevedesse di coordinare in un solo atto l’insieme del diritto contrattuale europeo fino a definire uno statuto europeo dei diritti dei consumatori.

Dall’altro lato viene parimenti rilevato come la medesima direttiva risulti particolarmente interessante per lo sviluppo del lavoro monografico della Scrittrice visto che, proprio tale provvedimento, stabilisce norme sulle informazioni da fornire per i contratti a distanza, per i contratti negoziati fuori dei locali commerciali armonizzando, poi, completamente taluni aspetti chiave dei medesimi contratti come, ad esempio, il regime comune degli obblighi informativi e il diritto di recesso.

Come nota, poi, la Prof.ssa Pignalosa, la direttiva 2011/83/UE contiene, però, anche delle disposizioni che rappresentano il retaggio di quello che era l’originario progetto di armonizzazione europea del diritto contrattuale dei consumi visto che le stesse, trascendendo l’ambito di applicazione dei contratti a distanza e negoziati fuori dai locali commerciali, manifestano una vocazione ben più̀ ampia. In questa prospettiva di omogeneizzazione generale si inseriscono, da un lato, la tipizzazione del contratto di vendita e del contratto di servizi e dall’altro la disciplina delle informazioni precontratrattuali per i consumatori nei contratti diversi dai contratti a distanza o negoziati fuori dai locali commerciali.

Nell’opera, viene, altresì, rilevato il carattere imperativo della disciplina, di cui alla direttiva 2011/83/UE, che si concretizza sia nell’inderogabilità̀ e nell’indisponibilità̀ dei diritti riconosciuti al consumatore che nell’esplicito divieto, rivolto agli Stati membri, di mantenere o introdurre previsioni divergenti da quelle stabilite nella direttiva, incluse le disposizioni più̀ o meno severe volte ad assicurare un diverso livello di tutela al consumatore, salvo che ciò non sia altrimenti previsto dalla direttiva stessa.

La narrazione prosegue, come già accennato, con l’esame degli elementi costitutivi dei contratti a distanza facendo riferimento, in particolare, al d.lgs. n. 21 del 21 febbraio 2014 che ha dato attuazione a livello nazionale alla direttiva europea 2011/83/UE, innovando profondamente il Codice del Consumo.

Stante la definizione dei contratti a distanza, fornita dall’art. 45 del Codice del Consumo, ad opinione dell’Autrice, ciò che distingue e qualifica tale categoria di contratti è il venir meno dell’unità spazio-temporale tra le parti, nonché́ tra il consumatore acquirente e il bene o il servizio offerti e l’utilizzo esclusivo di mezzi di comunicazione a distanza, nel quadro di un regime organizzato di vendita o di prestazioni di servizi a distanza.

Al fine di comprendere l’ambito di applicazione oggettivo della disciplina sui contratti a distanza viene ripercorsa l’evoluzione normativa sulle vendite all’asta che mostra, secondo la Scrittrice, come l’interprete si sia da sempre dovuto confrontare con un sistema normativo complesso, nel quale convivono interventi legislativi che costituiscono l’esito di scelte politiche volte a tutelare interessi plurimi, contingenti, diversi e talora persino in contraddizione tra loro.

Sempre in relazione alle vendite all’asta viene, poi, sviluppata una critica, peraltro condivisibile, alla tesi che ravvisa un’antinomia tra le disposizioni della direttiva 2011/83/UE e il divieto di vendite all’asta di cui all’art. 18, comma 5, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114.

Per definire, invece, l’ambito soggettivo di applicazione della disciplina sui contratti a distanza, viene utilizzato, da un lato, il criterio positivo-relazionale, per il quale il consumatore è la persona fisica che agisce con un professionista, e dall’altro il criterio c.d. negativo ovvero il consumatore è colui che agisce per scopi estranei all’attività̀ imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta. Quanto alla definizione di professionista l’Autrice si riferisce espressamente a qualsiasi persona fisica o giuridica che, indipendentemente dal fatto che si tratti di un soggetto pubblico o privato, agisca nel quadro della sua attività̀ commerciale, industriale, artigianale o professionale nei contratti oggetto della presente direttiva, anche tramite qualsiasi altra persona che agisca in suo nome o per suo conto.

Delineate le coordinate di riferimento e tracciato l’ambito di applicazione soggettivo e oggettivo della disciplina sui contratti a distanza, la Professoressa Pignalosa avvia, quindi, il discorso sulle tecniche di protezione del contraente debole che la legislazione consumeristica ha progressivamente elaborato nel corso degli anni. Viene fatto riferimento ai c.d. «rimedi di terza generazione», che offrono un complesso apparato di tutele a fronte di una strutturale debolezza del consumatore, la cui vulnerabilità̀ è oltremodo acuita dall’impiego di determinate tecniche di conclusione del contratto particolarmente insidiose.

Tali rimedi si articolano su più̀ livelli di protezione basandosi sull’utilizzo di strumenti che agiscono, come prova a dimostrare l’Autrice, nel corso dei capitoli successivi, su momenti diversi rispetto a quello della conclusione del contratto. Segue, poi, una critica nei confronti dell’attuale tecnica di costruzione delle norme giuridiche (c.d. crisi della fattispecie) visto che ciò ha fatto sorgere la problematica della pluralità̀ di significati, associati, nel corso del tempo, al termine rimedio, soprattutto laddove lo stesso venga impiegato per qualificare il diritto di recesso e gli obblighi di informazione.

Concluso il primo capitolo del libro, si rileva come la narrazione prosegua in maniera fluida sviluppandosi attraverso un percorso estremamente logico stante le premesse dalle quali parte l’Autrice.

  1. Circa la qualificazione e la disciplina del diritto di recesso dai contratti a distanza.

Il secondo capitolo dell’opera monografica in esame, come già accennato, si incentra sulla qualificazione e sulla disciplina del recesso dai contratti a distanza. La prima considerazione che l’Autrice svolge sul punto è che al termine recesso siano state associate nel corso del tempo fattispecie assai diverse tra loro e vi sia stato, inoltre, da sempre, un uso promiscuo dei termini recesso e revoca.

Al fine di agevolare la comprensione della problematica viene, quindi, sottolineata l’impossibilità di fermarsi, nell’ambito della ricerca, al nomen iuris impiegato per qualificare il diritto di recesso, visto che, anche gli interpreti sono stati indotti a ritenere non vincolante, ai fini dell’interpretazione e qualificazione dell’istituto, il solo riferimento positivo alla parola recesso.

Muovendo dal dato positivo, la Pignalosa, si pone, quindi, come obiettivo quello di ricercare gli elementi utili per la configurazione del diritto di recesso, verificando se tale istituto possa essere sussumibile all’interno del procedimento di formazione del contratto, così come ritengono i sostenitori delle tesi c.d. procedimentali o, piuttosto, si tratti di uno strumento che agisce su un contratto già̀ concluso operando sul piano degli effetti, c.d. tesi sostanziali.

Anche in merito a tale questione, ovviamente, viene fatto riferimento alla riforma del Codice del Consumo che ha ampliato i termini per recedere dal contratto omologando la disciplina del recesso nei contratti a distanza con quella dei contratti negoziati fuori dai locali commerciali.

Il predetto intervento normativo, come rilevato dall’Autrice, ha confermato i caratteri tipici del diritto di recesso, che portano a descrivere lo stesso anzitutto come un diritto libero, ossia discrezionale, e gratuito, attribuito dalla legge ad una sola parte contrattuale, il consumatore, che può̀ esercitarlo attraverso una qualsiasi dichiarazione esplicita ed entro un dato termine, senza dare alcun preavviso alla controparte e senza potervi rinunciare.

Viene, poi, svolta, nel corso della narrazione, una critica estremamente condivisibile, alla tesi che ammette la sindacabilità̀ dell’esercizio del diritto di recesso. Come nota, giustamente, l’Autrice, è la stessa legge ad autorizzare il consumatore a non esplicitare le ragioni del recesso, consentendogli di ripensare la scelta compiuta attraverso una valutazione squisitamente soggettiva, che garantisce, in questo modo, la libertà e la discrezionalità̀ nell’esercizio del diritto.

La Professoressa evidenzia, altresì, in un secondo momento, che, nonostante la riforma del Codice del Consumo, abbia omologato il regime del recesso nei contratti a distanza e in quelli negoziati fuori dai locali commerciali, non possa dubitarsi del fatto che la ratio che giustifica la tutela del consumatore ovvero la sua connotazione di parte debole del rapporto contrattuale sia diversa nelle due predette ipotesi.

Per i contratti negoziati fuori dai locali commerciali il consumatore sarebbe vittima di un c.d. effetto sorpresa, determinato dalla circostanza di essere stato sollecitato all’acquisto su iniziativa del professionista in locali tradizionalmente non deputati alla vendita, nei quali arretrerebbe la sua soglia di attenzione.

Il consumatore che ha acquistato un bene o un servizio a distanza, invece, tenendo presente la molteplicità dei mezzi di comunicazione, ha diritto di rimeditare alla scelta d’acquisto compiuta alla luce del fatto che in tali circostanze il contratto è inter absentes e quindi il bene o il servizio acquistati sono solo immaginati dal consumatore senza che lo stesso abbia avuto modo di verificarne le caratteristiche prima di vincolarsi al contratto.

Dal paragone della nuova normativa con la precedente emerge, poi, secondo l’Autrice, come la riforma del 2014 abbia inciso più che altro sulle modalità̀ di esercizio del diritto di recesso visto che precedentemente era richiesto dalla legge il rispetto di una serie di formalità.

Viene fatto, poi, riferimento, nel corso del libro, alle ipotesi di esclusione del diritto di recesso ed in particolare ai contratti di servizi e di fornitura. In relazione a questi ultimi l’Autrice rileva come il Legislatore, nel regolare i comportamenti delle parti durante lo spatium deliberandi concesso al consumatore per rimeditare la sua scelta, abbia previsto la possibilità che l’esecuzione del contratto, inizi su espressa richiesta sempre del consumatore. Ciò purché vi sia stato un previo accordo mediante il quale il consumatore accetta la perdita del diritto di recesso a seguito della completa esecuzione del contratto da parte del professionista.

Successivamente viene affrontato il dibattito che si è sviluppato sulla natura giuridica del diritto di recesso. A tal riguardo la Scrittrice ordina le tesi avanzate, come già accennato, raggruppandole in due orientamenti, il cui discrimine andrebbe ravvisato essenzialmente nel diverso presupposto dal quale muovono gli interpreti: considerare o meno il contratto concluso e dunque, conseguentemente, pensare al diritto di recesso come ad uno strumento che incide sugli effetti del contratto o, piuttosto, come un elemento che partecipa al suo procedimento di formazione.

Per giungere ad una conclusione la ricerca procede con l’analisi degli indici normativi che, ad opinione dell’Autrice, sembrerebbero smentire il fondamento positivo delle tesi c.d. procedimentali. Viene svolta, quindi, l’analisi delle c.d. tesi sostanziali e successivamente viene analizzato il diritto di recesso nella sua accezione di ius poenitendi, cosa che consentirebbe, peraltro, di descrivere la poliedricità̀ dell’istituto restando al contempo fedeli alle categorie tradizionali. Lo ius poenitendi, come emerge dalla monografia, deve essere intenso come un diritto potestativo il cui esercizio consente al consumatore di ripensare la propria scelta sia allorquando la stessa si è concretizzata in una proposta irrevocabile sia in un contratto.

 Nel libro vengono, poi, analizzate tutte quelle regole previste dal Codice del Consumo ed associate all’esercizio del diritto di recesso. Quali, ad esempio, la rilevanza asimmetrica tra adempimento e inadempimento in pendenza del termine per esercitare il diritto di ripensamento ex art. 52, comma 3, l’obbligo di consegna dei beni di cui all’art. 61, comma 1, gli effetti del recesso dai contratti di servizi e di fornitura di cui all’art. 51, comma 8 e dai contratti di vendita.

In conclusione il punto al quale giunge, la ricerca svolta dalla Professoressa, è che il diritto di recesso del consumatore costituisce uno strumento di tutela insuscettibile di essere esteso oltre il contesto soggettivo e oggettivo delineato dal Legislatore. Il medesimo istituto, inoltre, non può essere attratto all’interno del procedimento di formazione dei contratti a distanza, dovendo essere, invece, ricondotto nell’ambito degli strumenti di tutela accordati al consumatore per sciogliersi dal vincolo contrattuale o da una proposta irrevocabile.

Le suddette considerazioni appaino condivisibili visto che il diritto di recesso, di cui all’art. 52 del Codice del Consumo, non può che consistere nel c.d. jus poenitendi, ovvero nel diritto al ripensamento che viene attribuito al consumatore in quanto parte debole, dovendo tale istituto essere, peraltro, distinto dal recesso codicistico di cui all’art. 1373 c.c. che, invece, richiederebbe, essendo diversa la ratio della norma, il consenso della controparte [1].

  1. Analisi del terzo capitolo con particolare riferimento alla problematica della conclusione dei contratti telefonici ed alle forniture non richieste.

Il terzo ed ultimo capitolo del libro, si incentra sulla fase della conclusione dei contratti a distanza partendo in primo luogo dall’analisi dei contratti conclusi mediante il telefono.

A tal proposito l’Autrice evidenzia, anche in tale circostanza, come il Legislatore domestico, al pari di quello europeo, si sia limitato con la riforma, di cui al d.lgs. n. 21 del 21 febbraio 2014, a richiamare in più̀ luoghi della normativa il contratto concluso, senza tuttavia fornire alcuna indicazione sulle modalità̀ attraverso le quali deve raggiungersi l’accordo.

Partendo sempre dal dato normativo ovvero dall’art. 51, comma 6 del Codice del Consumo viene affermato che la fattispecie descritta dal primo e dal secondo periodo del medesimo articolo è una fattispecie forte in relazione alla quale il Legislatore ha focalizzato la propria attenzione sulla forma dell’accettazione del consumatore, da intendersi non già̀ come forma-esternazione indispensabile per raggiungere un qualsiasi accordo, ma come requisito prescritto dalla legge affinché́ lo stesso sia vincolante. La medesima fattispecie, come evidenzia la Scrittrice, è dotata di una complessità̀ maggiore rispetto ai c.d. contratti amorfi, per i quali la forma non ha alcun rilievo giuridico.

La forma costituisce in tali circostanze «uno strumento di protezione di una parte contrattuale che si reputa bisognevole di tutela, non già̀ per la rilevanza socio-economica dei beni coinvolti, non per la portata giuridica dei diritti regolati, non per squilibrio tra diritti e obblighi derivanti dal contratto, bensì esclusivamente in virtù̀ della debolezza che connota la sua posizione». Debolezza aggravata dalla comunicazione telefonica che avvenendo a distanza «non consente di meditare sull’opportunità̀ dell’offerta del professionista».

Muovendo da questa prospettiva, l’Autrice rileva, altresì, come il mancato rispetto del requisito formale, prescritto dall’art. 51 comma 6 del Codice del Consumo, comporterebbe la non vincolatività dell’accordo. Si potrebbe, inoltre, giungere a ritenere che in tale circostanza la forma sia richiesta a pena di nullità̀. Tale nullità dovrebbe, però, essere declinata come nullità̀ strutturale di protezione, ossia prescritta a tutela di una sola parte contrattuale: il consumatore.

Per quanto concerne, poi, nello specifico l’ultimo periodo del comma 6 dell’art. 51 del Codice del Consumo, l’Autrice suggerisce, invece, la ricostruzione secondo la quale i contratti telefonici sarebbero dei contratti con una fattispecie forte a forma alternativa: una più̀ complessa — documento scritto e sottoscritto — l’altra semplificata, per la quale è necessario e sufficiente lo scambio di conferme su supporto durevole. Compete al consumatore, quindi, il potere di scegliere la forma della conferma senza che lo stesso possa, però, spingersi fino a «trasformare una forma di protezione ad validitatem in una ad probationem».

La disposizione del Codice del Consumo non si spingerebbe, ad opinione della Scrittrice, fino ad affidare al consumatore il potere di rendere irrilevante ciò̀ che per legge rileva ai fini della validità̀ del contratto. Anche in tale circostanza l’effetto che la legge riconnette per l’ipotesi di difetto di forma è la non vincolatività̀ dell’accordo.

Quanto al momento in cui il contratto può̀ dirsi concluso la Scrittrice ritiene opportuno comprendere se sia astrattamente configurabile un vero e proprio contratto telefonico ovvero un contratto che si perfeziona con l’accordo raggiunto oralmente per mezzo del telefono.

La risposta al suddetto interrogativo richiede che si parta dalla disamina della nozione di supporto durevole, verificando, poi, se la registrazione della telefonata, che cristallizza la conferma dell’offerta del professionista e la contestuale accettazione del consumatore, possa rientrare nella medesima nozione.

La soluzione della questione giunge grazie ad un provvedimento adottato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che ha reputato configurabile un contratto che per volontà̀ del consumatore si concluda mediante un accordo telefonico registrato e messo a sua disposizione su un supporto durevole, essendo la registrazione della telefonata che contiene le dichiarazioni del professionista e del consumatore, idonea ad integrare la nozione di supporto durevole [2].

Nel capitolo avente ad oggetto la conclusione dei contratti a distanza, l’Autrice prosegue la propria indagine soffermandosi anche sull’ipotesi delle forniture non richieste, partendo dall’analisi dell’articolo 66-quinquies, comma 1 del Codice del Consumo che, come la stessa rileva, riproduce sostanzialmente le disposizioni abrogate.

Lo scopo della prescrizione del Codice del Consumo, sarebbe sostanzialmente quello di evitare che il consumatore possa essere indotto alla conclusione di un contratto o al pagamento per la fornitura di beni o servizi non richiesti, a causa dell’erroneo convincimento di esservi tenuto per il solo fatto di averli ricevuti o di non averli restituiti o di non aver risposto.

Per quanto attiene, invece, all’ambito di applicazione della predetta disposizione, l’Autrice evidenzia, quale presupposto indefettibile, la circostanza che la fornitura dei beni o dei servizi non sia stata precedentemente richiesta dal consumatore. Le forniture non richieste, infatti, da un lato, non costituirebbero mancato adempimento di una precedente obbligazione e dall’altro sarebbero inquadrabili nelle somministrazioni non dovute.

Viene, altresì, fatta chiarezza circa l’ipotesi dell’assenza di risposta da parte del consumatore, evidenziando come quest’ultima non possa costituire nella fattispecie delle forniture non richieste espressione del consenso. Il silenzio in sé non potrebbe essere inteso come accettazione ed il contratto in tali circostanze può̀ dirsi concluso solo in presenza di un contegno espressivo ovvero di un contegno commissivo partecipativo qualificabile come risposta.

Infine, rende bene l’idea della disciplina applicabile alle forniture non richieste l’espressione citata dalla Scrittrice secondo cui «chi è ricorso ad una fornitura non richiesta deve imputare il danno che ne risente alla sua indiscrezione». Si condivide, pertanto, l’assunto secondo il quale il consumatore, sarebbe esonerato da qualsiasi prestazione corrispettiva comprese tutte «le obbligazioni restitutorie/indennitarie derivanti da indebiti solutio o da ingiustificato arricchimento che per legge dovrebbero scaturire dal comportamento tenuto dal consumatore verso la cosa o il servizio fornito e non richiesto». Parimenti condivisibile è l’affermazione secondo la quale operando in tal modo il Legislatore avrebbe inteso regolare strumenti capaci di tutelare il consumatore e, al contempo, di dissuadere il professionista dal ricorso a pratiche aggressive.

  1. Circa i contratti telematici.

Nell’ultima parte della propria monografia l’Autrice, come già accennato precedentemente, si dedica interamente alla tematica della conclusione dei contratti a distanza facendo riferimento, in particolare, nella terza sezione dell’ultimo capitolo, ai contratti telematici.

 Assume, quindi, maggior rilievo, in relazione a quest’ultima tipologia di contratti la necessità di «doversi misurare con il ruolo che le nuove tecnologie svolgono nel procedimento di conclusione del contratto, tanto da chiedersi se il commercio elettronico e i contratti telematici possano essere sussunti nei procedimenti di conclusione del contratto, regolati dal diritto comune, sebbene, per queste ipotesi, le comunicazioni si svolgano con modalità̀ e tramite mezzi estranei alla prospettiva del Legislatore del ’42».

A tal riguardo si condivide la considerazione secondo cui i contratti telematici rappresentino, una realtà̀ multiforme, insuscettibile di essere raccolta in un discorso unitario alla luce delle peculiarità̀ proprie di ciascuna tecnica di comunicazione telematica.

Conseguentemente, il metodo che viene usato, nel corso della narrazione, dalla Scrittrice, per sviluppare la propria indagine sul punto, è quello di distinguere in primis il contratto telematico concluso attraverso scambi di posta elettronica, o comunicazioni individuali equivalenti, dai contratti che, invece, si concludono mediante lo schema del c.d. point and click. Questi ultimi, secondo l’Autrice, sarebbero caratterizzati dal fatto che la manifestazione di adesione avvenga attraverso simboli iconici con la pressione del «tasto negoziale virtuale».

Giova rilevare che il modus operandi ovvero la distinzione tra le due tipologie di conclusione dei contratti telematici di cui sopra, trova riscontro sia nella tecnica adottata dal Legislatore che nelle ricostruzioni sviluppate sul punto dalla dottrina [3].

Altra considerazione, peraltro ampiamente condivisa, è quella secondo cui i contratti telematici, essendo conclusi attraverso la trasmissione di dati informatizzati tra due computers connessi, siano dei contratti nei quali l’accordo viene raggiunto tra soggetti che si avvalgono di strumenti informatici tra loro collegati ed il contratto si caratterizza per il fatto di essere inter absentes.

I contratti telematici devono, poi, essere distinti, come osserva giustamente l’Autrice, dai contratti che, invece, sono ad esecuzione telematica ovvero dai contratti in cui il computer non rappresenta lo strumento di intermediazione per il perfezionamento dell’accordo, quanto piuttosto soltanto il mezzo di esecuzione di un contratto tradizionalmente concluso nel mondo reale.

L’indagine svolta nella presente monografia, procede, poi, avendo come punto di riferimento i soli contratti telematici conclusi tra professionisti e consumatori on line, in una comunità aperta o chiusa, ponendosi la Scrittrice l’obiettivo di verificare se la peculiarità̀ del mezzo di trasmissione della volontà̀ delle parti incida, e laddove ciò accada, in che misura, sulla disciplina tradizionale della formazione del contratto.

Viene, quindi, affrontata la problematica degli obblighi di informazione nella contrattazione telematica facendo riferimento, previa adozione di un metodo comparativo, sia alle disposizioni del Codice del Consumo che a quelle dettate in materia di commercio elettronico dal del d.lgs. n. 70 del 2003.

Nell’ambito della contrattazione telematica, infatti, come viene rilevato nel saggio, le coordinate normative di riferimento si arricchiscono includendo, altresì, la disciplina del commercio elettronico.

Si può osservare a tal proposito come Il commercio elettronico si realizzi proprio attraverso la conclusione di contratti telematici.

Il consumatore che conclude un contratto a distanza con strumenti elettronici, gode, quindi, come sottolineato dall’Autrice, non solo della tutela offerta dalle disposizioni in materia di contratti a distanza ma anche delle garanzie, di cui agli artt. 12 e 13 del d.lgs. n. 70 del 2003.

Gli obblighi informativi dettati dalle disposizioni in materia di commercio elettronico, hanno, però, un ambito soggettivo di riferimento differente rispetto a quello del Codice del Consumo, per il quale la Scrittrice usa il paragone con i cerchi concentrici che rende perfettamente l’idea visto che tale materia coinvolge, oltre ai contratti conclusi tra professionista e consumatore (B2C), anche quelli conclusi tra professionisti (B2B), tra privati e tra Pubblica Amministrazione, cittadini ed imprese.

In relazione all’art. 5, comma 2, del Codice del Consumo, viene, poi, opportunamente sottolineato come le informazioni che il professionista deve mettere a disposizione del consumatore siano assai diverse da quelle che, invece, sempre il professionista, è obbligato a fornire prima della conclusione di un qualsiasi contratto non virtuale. Ciò perché tali informazioni sono volte, essenzialmente, ad assicurare la consapevolezza del consumatore in relazione all’azione che sta per compiere visto che, attraverso la medesima azione, manifesta la propria adesione al contratto nell’ambito di un processo elettronico di ordinazione di un bene o di un servizio. Tale comportamento determina, altresì, l’assunzione, nei confronti del professionista, delle obbligazioni derivanti dal contratto, tra cui in primis l’obbligo di pagare, stante la natura onerosa del vincolo.

Gli obblighi informativi, facenti parte della disciplina del commercio elettronico, come rileva l’Autrice, sono stati dettati, invece, non già̀ a fronte del peculiare strumento utilizzato ma piuttosto in forza della specifica tecnica di comunicazione impiegata. In tale circostanza, infatti, il Legislatore esclude esplicitamente dall’applicabilità dell’art. 12 comma 1, i contratti conclusi mediante scambio di messaggi di posta elettronica o comunicazioni individuali equivalenti, soffermandosi sui contratti conclusi mediante accesso al sito, visto che, proprio in relazione a tale modello comunicativo, si pone l’esigenza di tutelare la posizione di debolezza nella quale verrebbe a trovarsi una delle parti di fronte al potere del prestatore di servizi di congegnare unilateralmente le modalità̀ di adesione dell’utente alla contrattazione attraverso pulsanti o analoghe funzioni, che azionano l’inoltro dell’ordine.

Segue, poi, una riflessione sull’inadempimento del professionista agli obblighi di informazione precontrattuale, di cui all’art. 51, comma 2, del Codice del Consumo, circostanza dalla quale deriva la non vincolatività̀ per il consumatore del contratto o dell’ordine. Anche per questa ipotesi, al pari di quanto affermato in relazione ai contratti telefonici, l’Autrice ritiene invocabile la categoria della nullità̀ di «protezione virtuale», il cui carattere non è esplicitato ma è desunto dalla ratio della previsione legislativa.

In linea con quanto suddetto ovvero con il fatto che il difetto di informazione determini la nullità̀ del contratto viene sviluppata, quindi, una critica nei confronti della tesi secondo cui, in senso opposto, il difetto di informazione, determinerebbe il mancato perfezionamento del contratto. Come nota la Pignalosa tale ricostruzione non può essere avvalorata visto che non è ipotizzabile, in quest’ambito, un ordine, ossia un’accettazione, che non vincoli allo stesso tempo anche al contratto.

Per quanto attiene, poi, alla fase conclusiva della contrattazione l’Autrice rileva nuovamente, come il Legislatore sia nella disciplina del Codice del Consumo che in quella del commercio elettronico, abbia fatto espresso e ripetuto richiamo alle norme del codice civile sulla conclusione del contratto, reputando le stesse ancora capaci di seguire l’evoluzione tecnologica e regolare il perfezionamento dell’accordo.

Al fine di comprendere al meglio le problematiche che da qui a poco verranno affrontate occorre, quindi, rammentare come la regola generale dettata dal codice civile affermi che il contratto è l’accordo tra due o più̀ parti volto a costituire, regolare o estinguere tra di loro un rapporto giuridico patrimoniale. Il contratto tipicamente si forma e quindi viene raggiunto l’accordo tra le parti mediante lo scambio di proposta e accettazione. In particolare, il contratto si considera genericamente concluso nel luogo e nel momento in cui il soggetto proponente giunge a conoscenza della dichiarazione di accettazione (art. 1326 c.c.) o della diretta esecuzione della prestazione da parte del ricevente (art. 1327 c.c.).

Tonando all’analisi dei contratti telematici che si concludono mediante accesso al sito, l’Autrice, al fine di inquadrare gli stessi in una determinata fattispecie, si rimette, per quanto concerne la proposta contrattuale, all’ipotesi dell’offerta al pubblico, reputando ammissibile che la pubblicazione dell’offerta sul sito commerciale possa integrare gli estremi di una proposta al pubblico e per quanto concerne, invece, l’accettazione alla possibilità che la conclusione del contratto avvenga mediante il solo inoltro dell’ordine.

Occorre a tal riguardo precisare sin da subito che, mentre si può essere d’accordo con l’inquadramento della proposta contrattuale quale offerta al pubblico, genera qualche perplessità il profilo dell’accettazione.

Per quanto riguarda, infatti, la conclusione dei contratti telematici mediante accesso al sito, l’inquadramento della proposta contrattuale come un’offerta al pubblico appare quanto mai ragionevole visto che tale fattispecie rappresenterebbe anche la principale tecnica di conclusione dei contratti on line.

L’utente in tale circostanza avrebbe dinanzi a sé la scelta tra aderire incondizionatamente al contratto ovvero rinunciare alla sua conclusione, essendogli solitamente preclusa la possibilità di modificare il regolamento contrattuale predisposto unilateralmente dal professionista. Tali considerazioni, come già accennato, appaiono condivisibili.

Viceversa, come già segnalato, risulta maggiormente problematico, il profilo dell’accettazione, visto che la Scrittrice, nella propria opera monografica, si pone il seguente interrogativo ovvero se il contratto telematico concluso mediante accesso al sito possa essere inquadrato nel modello regolato dall’art. 1327 c.c., come, peraltro, asserito da parte della dottrina [4] o, piuttosto, debba propendersi per l’applicazione dell’art. 1326 c.c. e quindi l’accettazione avvenga mediante il solo inoltro dell’ordine [5].

La conclusione alla quale giunge l’Autrice imporrebbe l’adozione del modello disegnato dal 1° comma dall’art. 1326 c.c. ed a sostegno di ciò la stessa argomenta come vi sarebbe, dapprima, il contesto normativo di riferimento e quindi sia le disposizioni dettate dal Codice del Consumo in materia di contratti a distanza che la disciplina del commercio elettronico, e poi, il fatto che l’esecuzione del contratto non possa sostituirsi all’accettazione perché i due momenti dovrebbero rimanere sempre distinti e separati, essendo l’uno conseguenza dell’altro.

Tale ricostruzione, in tutta onestà non convince, in primo luogo perché, partendo proprio dal contesto normativo di riferimento, occorre rilevare che l’art. 13, comma 2 del d.lgs. n. 70 del 2003, nonostante sia rubricato “inoltro dell’ordine” si limiti solo a richiamare esplicitamente le norme sulla conclusione dei contratti dettate dal codice civile che si applicano anche nei casi in cui il destinatario di un bene o di un servizio della società dell’informazione inoltri il proprio ordine per via telematica. Non viene fatta, però, da parte del Legislatore, alcuna specificazione circa il fatto che la conclusione del contratto debba avvenire ex art. 1326 c.c.

In secondo luogo merita evidenziare come l’idealtypus del commercio online consista essenzialmente nella compilazione di un form comprensivo della digitazione dei numeri della carta di credito dell’acquirente, la cui ricezione da parte dell’offerente è acclarata dalla comparsa di un avviso di ricevimento innanzi agli occhi dell’oblato. Il dialogo, pur virtuale, determina il perfezionarsi dell’accordo di scambio telematico e la spendita della carta di credito può essere considerata come un atto solutorio che comporta la conclusione del contratto per inizio di esecuzione ex art. 1327 c.c.

In relazione al comportamento concludente di cui sopra, non può parlarsi neanche di delegazione di pagamento visto che, come affermato da autorevole dottrina, nel pagamento in forma elettronica, che si svolge nei sistemi on line, il debitore può̀ considerarsi liberato «nel momento in cui impartisce l’ordine all’elaboratore, mentre il creditore soddisfa il proprio interesse nel momento contestuale dell’accreditamento elettronico» [6].

A conferma di quanto suddetto, se si guarda più da vicino lo shopping on line, si nota, altresì, come l’interattività tra i contraenti si limiti alla semplice scelta fra le proposte che vengono preconfezionate dall’operatore. Tali proposte contengono l’indicazione della modalità da seguire per la conclusione dell’accordo e perché si possa avere una valida accettazione è necessario procedere con la compilazione dell’ordine di acquisto digitalizzato e con la digitazione dei dati della carta di credito del cliente. La comunicazione dell’accettazione viene, poi, trasmessa al sistema appositamente istruito dal prestatore di servizi, che a sua volta invierà automaticamente la ricevuta dell’ordine, assumendo, pertanto, una connotazione di manifestazione reale del consenso. La medesima comunicazione, però, in quanto indirizzata a persona di fatto assente, che poi dovrà eseguire la prestazione principale, implica l’applicabilità delle norme sull’esecuzione del contratto ex art. 1327 c.c. [7]

Ad opinione di chi scrive, inoltre, il contratto telematico concluso mediante accesso al sito, stante quanto suddetto, non può che essere considerato nella sua configurazione complessa, ormai peraltro tipica nel commercio elettronico, dell’invio dell’ordine con contestuale spendita della carta di credito o altro mezzo di pagamento elettronico. Nella vicenda, infatti, la cliccata dell’oblato attiva la comunicazione del computer istruito dal venditore e, al tempo stesso, rappresenta il modulo espressivo di dialogo e di pagamento nei suoi confronti.

Giova, altresì, rammentare come, nel commercio elettronico, la medesima forma di contrattazione, sia diventata lo strumento maggiormente utilizzato al fine di concludere delle transazioni commerciali tanto più che nella stessa definizione di commercio elettronico si fa riferimento esclusivamente ad una tecnica di comunicazione tendenzialmente onerosa nella quale non rilevano rapporti di cortesia, bensì unicamente quelli a titolo oneroso, cui si collegano prestazioni a contenuto patrimoniale [8].

Per le suddette ragioni neppure si può essere d’accordo con l’assunto secondo cui l’art. 51, comma 2 del Codice del Consumo, nel richiamare espressamente l’inoltro dell’ordine, lo avrebbe concepito come un’accettazione alla proposta formulata dal professionista, selezionando in tal modo il procedimento di conclusione del contratto. La disposizione del Codice del Consumo, infatti, richiama l’inoltro dell’ordine più che altro al fine di stabilire il tempo ultimo entro il quale il professionista comunica le informazioni di cui all’articolo 49, comma 1, lettere a), e), q) ed r).

Procedendo nell’analisi del libro oggetto della presente recensione, per quanto riguarda il tempo e il luogo di conclusione del contratto, l’Autrice afferma che se si ammette che l’ordine del consumatore possa essere considerato come un’accettazione di un’offerta al pubblico diffusa nel sito commerciale, il suo ricevimento da parte del prestatore di servizi segna il tempo e il luogo di conclusione del contratto ex artt. 1326 e 1335 c.c.

Viene, poi, osservato come, rispetto allo schema dell’offerta al pubblico possa anche verificarsi che la modulistica utilizzata dall’imprenditore nel proprio sito sia concepita e strutturata in modo incompleto, circostanza che comporterebbe l’inquadramento dell’offerta non già̀ come una proposta al pubblico, ma piuttosto come un invito ad offrire.

Tale ipotesi, come rileva la Professoressa, sarebbe assai rara nella contrattazione mediante accesso ad un sito che si rivolga ad una comunità̀ aperta di partecipanti, potendo, viceversa, realizzarsi ben più̀ frequentemente in una comunicazione destinata ad una comunità̀ chiusa, ovvero in una comunicazione che avviene mediante scambi di e-mail.

L’Autrice sul punto ci tiene a chiarire, però, che, qualora tele circostanza si verificasse, i ruoli delle parti risulterebbero invertiti: il potenziale proponente è l’acquirente e il fornitore di beni e servizi è il potenziale oblato. Il contratto, invece, si concluderebbe nel tempo e nel luogo in cui gli impulsi elettronici contenenti l’accettazione vengono registrati dal server del provider del proponente, secondo l’impostazione generalmente condivisa che individua nel server provider del proponente il suo indirizzo telematico e quindi il luogo di conclusione del contratto via internet.

Appaiono meno problematici, ad opinione della Scrittrice, i contratti che si concludono mediante scambi di posta elettronica o comunicazioni individuali equivalenti. Anche tali contratti sono stati contemplati dalla novella del 2014, così come dal d.lgs. n. 70 del 2003 sul commercio elettronico e con riguardo ai procedimenti di formazione degli stessi non si dubita dell’applicabilità̀ degli artt. 1326 e 1335 del codice civile. I contratti conclusi per posta elettronica sono, infatti, suscettibili di essere accomunati agli ordinari contratti conclusi tra persone lontane. L’indirizzo elettronico è assimilabile all’indirizzo, di cui all’art. 1335 c.c., il cui disposto risulta pertanto direttamente applicabile. Tali considerazioni sono sinceramente condivisibili.

In riferimento all’obbligo di accusare ricevuta dell’ordine, ex art. 13 del d.lgs. n. 70 del 2003 la Scrittrice si chiede, poi, se le parti possano incidere sul procedimento modificandolo ovvero trasformando l’avviso di ricevimento da obbligo post contrattuale ad atto finale del procedimento formativo del contratto.

In relazione a tale assunto la conclusione alla quale giunge l’Autrice è che può̀ riconoscersi in capo alle parti, sia pur entro dei limiti, il potere di foggiare un nuovo procedimento di formazione del contratto, attraverso una clausola che non riguarda i termini dell’affare, ma attiene, piuttosto, al tempo nel quale verrà̀ a formarsi l’accordo contrattuale.

Da ultimo occorre rilevare come al termine della propria analisi, sulla conclusione dei contratti telematici, l’Autrice tenti di stemperare, almeno in parte, la posizione assunta circa la fase dell’accettazione del contratto concluso mediante accesso al sito. A tal riguardo la stessa, infatti, afferma che la virtualità̀ del tempo telematico e la possibilità̀ di eseguire telematicamente le prestazioni ha contribuito ad avvicinare i due modelli di conclusione del contratto, di cui rispettivamente all’1326 e 1327 c.c. Viene, altresì, citata a tal riguardo la tesi secondo la quale né l’art. 1326 c.c. né l’art. 1327 c.c. basterebbero a «spiegare come si conclude un contratto virtuale; perché́ ciò̀ che accade nella realtà̀ è diverso sia dallo schema prefigurato dall’art. 1326 che da quello delineato dall’art. 1327 c.c.»

In conclusione si può affermare che la lettura del libro della Professoressa Pignalosa procede in modo scorrevole affrontando delle questioni estremamente interessanti. A parte le perplessità, mostrate in relazione alla critica, sviluppata dall’Autrice, nei confronti della tesi che richiama l’art. 1327 c.c. come modello utilizzabile al fine di concludere il contratto telematico mediante accesso al sito, non si può che essere pienamente d’accordo con le altre argomentazioni, sostenute nel lavoro monografico, oggetto della presente recensione.

Occorre, altresì, rilevare come le problematiche esposte nel testo siano state affrontate in modo logico partendo, sempre, laddove possibile, dal dato normativo, facilitando, in questo modo, la comprensione delle questioni giuridiche anche laddove a leggere il libro non sia un esperto del settore.

Giova rammentare, inoltre, che le questioni affrontate nel corso dell’opera sono tuttora oggetto di discussione in dottrina, essendo le suddette tematiche estremamente attuali tanto da richiedere, al fine di una completa chiarificazione dei rispettivi punti nevralgici, non solo un ulteriore intervento normativo sul punto, quanto piuttosto, un continuo confronto con il mondo nel quale viviamo e con l’evoluzione tecnologica che ha di fatto stravolto il modo di comportarsi e di comunicare delle parti contrattuali.

Forse se il Legislatore europeo e di conseguenza anche il Legislatore nazionale avessero chiarito una volta per tutte i profili relativi alla validità, all’efficacia ed alla conclusione dei contratti, soprattutto laddove gli stessi vengano conclusi attraverso l’utilizzo della rete telematica, le suddette questioni avrebbero certamente smesso di interessare così tanto gli interpreti agevolandone al contempo il lavoro.

Dalla lettura del testo emerge altresì, come la direttiva 2011/83/UE abbia sostanzialmente confermato la tendenza ad aggravare il procedimento di formazione del contratto allo scopo di tutelare la consapevolezza del consumatore e dunque la sua autonomia privata ciò in vista del perseguimento del duplice obiettivo di controbilanciare e quindi rafforzare nell’ambito della contrattazione la parte debole ma al contempo potenziare implicitamente la concorrenzialità del mercato.

In linea con quanto suddetto, infatti, non si può, non constatare come il d.lgs. n. 21 del 2014, nel modificare il Codice del Consumo, abbia notevolmente rafforzato le garanzie per i consumatori nella conclusione dei contratti a distanza e negoziati fuori dai locali commerciali, ponendo l’accento proprio in riferimento a quelle ipotesi di contrattazione che oltre, a coinvolgere il consumatore, avvengono in ambiente digitale.

Come già accennato le norme del Codice del Consumo, frutto del recepimento della direttiva n. 2011/83/UE, oltre ad ampliare la tutela del contraente debole hanno, altresì, aumentato la trasparenza nel mercato dei beni e servizi, diventando, quindi, al contempo funzionali al rafforzamento del mercato interno ed al suo sviluppo pro-competitivo [9]. I due aspetti, infatti, sono da sempre interconnessi.

14 dicembre 2016

Note

[*] Il presente contributo è stato preventivamente sottoposto ad un referaggio anonimo affidato ad un componente del Comitato di Referee secondo il Regolamento adottato da questa Rivista.

[1] Sul punto si veda E. Bacciardi, Contratti telematici e diritto di recesso, in Contr., 2010, fasc. 4, 381-391.

[2] Sul punto si vedano i provvedimenti dell’AGCM: PS9981-SKY, e PS9983-H3G.

[3] Si veda A.M. Gambino, A. Stazi, Diritto dell’informatica e della comunicazione, Torino, 2009. Si veda sul punto anche N. Irti, Scambi senza accordo, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1998, 347 ss. Si veda anche E. Tosi, Contratto virtuale. Procedimenti formativi e forme tra tipicità e atipicità, Milano, 2005.

[4] Si veda sul punto A. M. Gambino, L’accordo telematico, p. 138 e ss. e S. Giova, La conclusione del contratto via Internet, Napoli, 2001, p. 89 ss.

[5] Circa il problema della conclusione informatica dell’accordo e delle diverse tipologie di conclusione dell’accordo, come gli schemi proposta (al pubblico) /accettazione, accettazione mediante inizio dell’esecuzione, ovvero mediante comportamento omissivo si veda R. Favale, La conclusione del contratto telematico, in Giur. di Merito, 2013, 12, 2553-2568.

[6] Si veda sul punto A. Di Majio, Le obbligazioni pecuniarie, Torino, 1996, p. 271; E. Quadri, Le obbligazioni pecuniarie, in Tratt. dir. priv., diretto da P. Rescigno, IX, Obbligazioni e contratti, 1, Torino, 1984, p. 440; S. MARTUCCELLI, Obbligazioni pecuniarie e pagamento virtuale, il quale approfondisce proprio il profilo dell’individuazione del “momento solutorio” nel pagamento in forma elettronica che si svolge nei sistemi on line riferendosi a tale circostanza come al «momento in cui il debitore si intende liberato dal vincolo obbligatorio ed il creditore vede soddisfatto il proprio interesse». In questo caso si configura una «scissione tra momento liberatorio (dell’obbligo) e momento satisfattivo (del credito)».

[7] Si veda A.M. Gambino, L’accordo telematico, Milano, 1997; R. Favale, La conclusione del contratto telematico, in Giur. di Merito, 2013, 12, 2553-2568; A.M. Gambino, A. Stazi, Diritto dell’informatica e della comunicazione, Torino, 2009.

[8] Si veda sul punto A. Stazi, D. Mula, Il consumatore nei servizi di comunicazione elettronica, nell’e-commerce e nell’e-trading, in Il diritto dei consumatori profili applicativi e strategie processuali, (a cura di) Cassano, Giandomenico, Milano, 2010, p. 995 e ss.

[9] Si veda la relazione annuale dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

 

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