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Perché i dati sono anche un bene comune

Dati

Gli attuali scenari digitali sono sempre più pervasivi della sfera privata, tanto da mettere in crisi lo stesso concetto di privacy, quando i dati personali di miliardi di individui vengono elaborati in rete ogni secondo. Le leggi sulla carta non bastano a governare un fenomeno di raccolta, aggregazione ed usi impropri di informazioni su singoli individui che possono rivelarsi contrari ai diritti umani e ai principi democratici, come spiega Arturo di Corinto, giornalista, esperto di cybersicurezza, docente di Comunicazione all’Università Link Campus di Roma.

“Il tema vero è che noi cediamo volontariamente la conoscenza di questi dati alle piattaforme online che ci offrono dei servizi. Sto parlando di Google, sto parlando di Facebook, Twitter, TikTok eccetera. Tutti questi dati vengono utilizzati per creare dei profili di noi come potenziali consumatori e spesso questi dati vengono commerciati essi stessi per farne usi che noi non sempre conosciamo. Dopodiché c’è il fatto che questi dati possono essere sfruttati per allenare le intelligenze artificiali. Ecco, la terribile verità – secondo me – è questa: che i dati dei nostri comportamenti ormai digitalizzati sono usati per creare quelle basi di conoscenza per le tecniche di intelligenza artificiale, che poi istruiranno i sistemi che – ahimé – potranno toglierci il lavoro e prendere decisioni al posto nostro”.

Deve passare il concetto che i dati sono anche un bene comune.
“Certamente sono un bene comune nel senso che, sulla base dei dati che noi abbiamo, possiamo costruire una società migliore. I dati, che noi produciamo incessantemente attraverso l’interazione con i dispositivi digitali, in realtà rappresentano comportamenti e sono una base di conoscenza importante per sviluppare politiche, per sviluppare servizi, per creare nuovi prodotti. Questi dati, anonimizzati e aggregati, possono servire – ad esempio – a migliorare la capacità di uno Stato di rispondere alle esigenze dei propri cittadini”.

“Provo a fare un esempio. Se noi abbiamo dei dati, anonimi e aggregati, dei singoli pazienti ospedalieri probabilmente saremo in grado di pianificare meglio le risorse sanitarie necessarie a garantire la salute pubblica. Se abbiamo i dati di quanti e quali attacchi cibernetici ci sono stati negli ultimi anni, saremo in grado da una parte di anticipare nuovi attacchi, sia di prevenirli e soprattutto imparare a reagire a questi. Quindi, il dato inteso come bene comune è questo, cioè il dato che può essere utilizzato in maniera utile dagli Stati, dai governi per consentire una migliore qualità della vita delle persone e garantire uno stile di vita adeguato e all’altezza delle democrazie in cui viviamo”.

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