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Gioco d’azzardo, non nuoce il no alla pubblicità

*Le polemiche più accese sollevano polveroni che ostacolano la comprensione di fatti e ragioni. Non fa eccezione quella suscitata dalla  proposta di  divieto di pubblicità del gioco d’azzardo, contenuta nel “Decreto Dignità” presentato dal Ministro Di Maio. La proposta  merita approvazione per una serie di argomenti  che ricorderò  fra un attimo.

Ma prima di tutto, va confutata  l’accusa di introdurre una regolamentazione persecutoria del gioco, tale da provocare danni ingenti alle imprese, all’ occupazione, all’erario, e viceversa giovare all’allargamento dell’area del gioco clandestino, spesso contigua a quella di organizzazioni criminali.

L’accusa evoca profili intrinsecamente  importanti, ma  ‘non ci azzecca’. Per  la buona ragione che il gioco d’azzardo– le sue modalità di svolgimento, i requisiti organizzativi, i limiti di età per accedervi—è già stato regolamentato dall’accordo raggiunto in sede di Conferenza unificata Governo-Enti Locali il 7 settembre 2017 (riduzione in  tre anni dei punti gioco, e  delle slot machines entro il 2018; distanza dei punti gioco dai luoghi ‘sensibili’ come scuole e chiese; potere decisorio dei Sindaci sugli orari di  chiusura; identificazione dei giocatori; videosorveglianza, etc.).  E dunque, il Decreto Di Maio non regola più restrittivamente  il gioco d’azzardo : si limita a  vietarne  la pubblicità.

Una bella differenza, che  fa giustizia anche  del preannuncio    di quei   catastrofici  effetti. Del resto, il settore è in continua crescita: il numero delle imprese che hanno come attività esclusiva o principale la gestione di ricevitorie, macchinette, centri scommesse etc. è cresciuto al ritmo di oltre il 10% in un anno, e  di oltre il  48% tra il 2012 e il 2017.  

Insomma, il Decreto Di Maio si muove nella stessa logica  del divieto di pubblicità delle  sigarette. Queste possono essere prodotte e vendute, osservando certe  regole, ma non si può far propaganda ad una abitudine tanto nociva per la salute (concetto  che non si esaurisce in quella del corpo).

Sulla legittimità del divieto non si possono avanzare dubbi. Anche qui, qualcuno si è stracciato le vesti per la restrizione della ‘libertà di espressione’, valore costituzionale principe (art.21).

Ma è da cinquant’anni che la  Corte Costituzionale insegna che l’art 21  non si applica alla rèclame commerciale, viceversa assoggettabile ai limiti e financo ai divieti che la legge può prescrivere alle attività economiche qualora il loro esercizio si svolga  “in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla  libertà, alla  dignità umana” (art 41.2 Cost.).

Quanto all’ opportunità del divieto, l’esigenza di non  incoraggiare né  consolidare l’abitudine al gioco d’azzardo si fonda sulla considerazione, ormai scientificamente acquisita, di tale abitudine   come ‘dipendenza’ (‘ludopatia’) nociva allo sviluppo e all’equilibrio psicologico della persona (oltre che a quello economico, ovviamente).

Una dipendenza  contro la quale le Autorità socio-sanitarie hanno varato specifici programmi di cura e recupero, come, ad esempio, quelli promossi  dalla Regione Lombardia, la regione  con la maggior spesa in assoluto per il gioco d’azzardo (v. in particolare le    leggi r.  8/2013 e 11/2015, i cui contenuti principali  sono stati confermati i dalla l.r. 5/2018) . Programmi complessi, e inevitabilmente costosi: i cui effetti benefici  la pubblicità del gioco d’azzardo contribuirebbe a vanificare: con danno diretto delle persone, e indiretto dell’erario.

Ora, rilevazioni attendibili, non seriamente smentite, attestano come sia  particolarmente allarmante il diffondersi di questa dipendenza, specie tra le persone più psicologicamente indifese come  anziani e   giovani in cerca di prima  occupazione (soprattutto nel Mezzzogiorno).   

Ragione definitiva per bloccare strumenti del suo ulteriore    sviluppo e consolidamento:  come appunto ed in primis  la  pubblicità.

*L’articolo a fima di Gustavo Ghidini , Presidente del Movimento Consumatori , è stato pubblicato sull’edizione cartacea del Fatto Quotidiano venerdì 13 luglio 2018, pagina 13.

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