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Dottorato honoris causa a Guido Calabresi. La Laudatio di Guido Alpa

Redatta in occasione del conferimento, il 10 maggio 2018, a Guido Calabresi, del titolo di dottore di ricerca in diritto privato honoris causa dall’Università di Roma La Sapienza.

Laudatio di Guido Calabresi

di Guido Alpa

Vorrei provare a tratteggiare il profilo di Guido Calabresi, giurista, studioso, professore e giudice, mettendo in luce tre aspetti della sua prodigiosa personalità: l’originalità e quindi l’acutezza dell’analisi, la razionalità, e quindi la persuasività delle sue proposte, l’equilibrio, e quindi la saggezza delle sue soluzioni; a queste qualità si sommano la grande umanità, e quindi il tratto, la gentilezza d’animo, l’ arguzia.

Sono questi, a parer mio, i valori con cui egli ha ingegnosamente costruito il suo pensiero e rifondato interi comparti della scienza giuridica – la responsabilità civile, la proprietà, il contratto, l’impresa – incidendo sul metodo, che potremmo definire una analisi dei rapporti tra diritto ed economia fondata sui valori della persona, sul ruolo del diritto, inteso come tecnica di allocazione dei costi e dei rischi in una realistica rappresentazione dei mercati, e come regola della convivenza civile fondata sulla giustizia sostanziale.

Un metodo che, tenendo conto della sua sperimentazione e degli straordinari effetti prodotti in tutto il mondo, è ora rappresentato compiutamente ne “Il futuro del Law and Economics. Saggi” per una rimeditazione e un ricordo, tradotto in italiano e pubblicato per i tipi di Giuffré proprio alcune settimane fa.

In questo modo possiamo dipingere – nei limiti di una presentazione contenuta nei tempi – uno spicchio soltanto del modo di essere dello studioso a cui oggi viene conferito dalla Facoltà giuridica della Sapienza il dottorato di ricerca honoris causa, una personalità che ha raggiunto i più alti meriti nell’ambito dell’accademia, della magistratura, e della civiltà dei rapporti umani.

Tra le molte onorificenze e le molte lauree honoris causa che egli ha ricevuto nel corso della sua carriera, dobbiamo includere quella di Cavaliere di Gran Croce dell’ Ordine al Merito della Repubblica italiana conferitagli alcuni anni fa dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi e la sua cooptazione all’Accademia dei Lincei

. E dunque, Guido Calabresi riguardato come scienziato del diritto, come giudice della United States Court of Appeals for the Second Circuit, e come italiano e amico del nostro Paese. 

In tutti i manuali di law and aconomics, o di responsabilità civile o di teoria generale del diritto, a qualunque esperienza essi appartengano, l’origine di una nuova tecnica di interpretazione del diritto o della soluzione delle questioni vitali per la società che tenga conto dei risultati economici si fa risalire ad un saggio di Ronald Coase, The Problem of Social Cost pubblicato nel fascicolo di ottobre del Journal of Law and Economics (vol.III, 1960, p.34 ss).

Muovendo da un esempio tratto dalla vita agreste, Coase voleva dimostrare, con il suo teorema, che peraltro sarebbe diventato famosissimo, che nel conflitto tra impresa e proprietà, cioè tra l’allevatore di una mandria di bestiame che causa danno alle coltivazioni del vicino, e l’agricoltore che viene danneggiato perché non ha recintato i suoi terreni <se non si conosce la distribuzione iniziale di diritti e di pretese, non vi può essere accordo per redistribuirli o contemperarli. Ma il risultato finale (che massimizza i valori di produzione) è indifferente alla situazione giuridica, se si assume che il sistema dei prezzi opera senza costi transattivi>.  Insomma, se non vi sono costi transattivi, l’efficienza economica è indifferente alla allocazione dei diritti e viceversa. 

Per una curiosa coincidenza temporale, che talvolta si registra nella corsa di più scienziati alla scoperta di un nuovo risultato, proprio negli stessi mesi, ma con lo scarto di un anno nella pubblicazione, dovuto ai ritardi di composizione del fascicolo della rivista The Yale Law Journal, edita dalla Facoltà nella quale era Assistant Professor of Law, Guido Calabresi redigeva il suo saggio, Some Thoughts on Risk Distribution and the Law of Torts (vol.70, 1961 p.498 ss.), anch’esso divenuto famosissimo. 

Calabresi muoveva da alcune premesse di Coase, ma andava più lontano: e spiegava che la distribuzione del rischio – espressione ambigua da sviscerare nei suoi significati e nel suo modo di operare – quando connessa alla allocazione della responsabilità non è una operazione meccanica, e che talvolta le imprese possono, altra volta non possono, distribuire il rischio ribaltando sulla collettività , cioè sui consumatori, sugli utenti, o semplicemente sui bystanders, gli effetti nocivi della loro attività.

Ciò dipende da molti fattori, ad es., dalla posizione delle imprese sul mercato, dalla fase della storia economica che si prende in considerazione, dalle tecniche di distribuzione che possono essere effettuate con rimedi privatistici oppure con rimedi pubblicistici. E guardando ad alcune ipotesi sintomatiche, ad es., i danni da immissioni, la responsabilità del datore di lavoro, le attività delle organizzazioni non lucrative, le clausole dei contratti bancari, Calabresi aveva modo di dimostrare che l’idea secondo la quale la miglior distribuzione del rischio consiste nell’estendere il più possibile l’area dei danneggiati, frazionando in modo millesimale il costo loro imposto dall’imprenditore, era semplicistica e inadatta spesso a conseguire un risultato efficiente. 

Di qua dall’Oceano nello stesso anno – ma evidentemente avendo cominciato a studiare il tema da tempo – Pietro Trimarchi dava alle stampe Rischio e responsabilità oggettiva, il libro nel quale aveva modo di dimostrare, partendo dall’esame delle regole del nostro codice civile, che <la responsabilità oggettiva per il rischio di impresa svolge una funzione economica tale da giustificarla anche di fronte a una grande diffusione della previdenza individuale, o di fronte a un sistema onnicomprensivo di previdenza sociale, che ugualmente garantisse la assicurazione di qualsiasi danno> e che <occorre…concentrare la responsabilità presso coloro che siano in relazione relativamente costante con le cause di danno: in tal modo, legislatore e giurisprudenza possono organizzare incidenti isolati e dispersi , causa di gravi perturbazioni, in rischi costanti, idonei ad inserirsi nella pianificazione degli operatori economici> (pp.34,39).

Incidentalmente sottolineo che Pietro Trimarchi insegnò a Genova alla Facoltà di Giurisprudenza dal 1966 al 1968 e fu mio docente di Istituzioni di diritto privato. 

Questi assunti, che ora sono entrati nella cultura giuridica condivisa da tutte le esperienze del mondo, e ci possono apparire , nella loro apparente perentorietà, quasi ovvii, allora erano vere e proprie proposte rivoluzionarie: negli Stati Uniti, perché quanti parlavano di “distribuzione dei rischi” non approfondivano poi il discorso, e quindi rischiavano di scontrarsi con una tradizione che non voleva prescindere dai criteri soggettivi di imputazione della responsabilità;

in Italia, perché interpretare il diritto con categorie economiche era considerato una vera e propria dissacrazione delle regole giuridiche , prima ancora che una loro ragionevole applicazione. 

La problematica non poteva sfuggire a chi con la sua intelligenza vigilava sull’evolvere della cultura giuridica: e il libro di Pietro Trimarchi registrava <alcune caratteristiche insolite nella nostra letteratura giuridica specialmente civilistica>, con la esposizione di tesi che avevano il “confessato proposito” di <razionalizzare e sistematizzare un gruppo di disposizioni normative in funzione di una razionalizzazione del sistema economico, sulla scorta della inopportunità di perseguire sistemazioni autonome del materiale giuridico càpiti quel che càpiti in sede di conseguenze economiche>: sono parole di Giovanni Tarello, il grande filosofo del diritto genovese, nella Recensione da lui pubblicata a ridosso della comparsa del libro di Trimarchi;

analoghe considerazioni si possono formulare anche con riguardo al pensiero di Guido Calabresi (v. ora Tarello, Cultura giuridica e politica del diritto, Il Mulino, Bologna, 1988, p. 422 ss.) 

La coerenza del pensiero di Guido Calabresi emerge dagli scritti successivi a quello che gli ha dato rinomanza mondiale, sì che oggi egli è considerato uno dei pilastri del pensiero giuridico americano (Hackney jr., Guido Calabresi and the Construction of Contemporary American Legal Theory, in Law and Cont.Probl., 77, 2014, p. 45 ss.), e i suoi contributi sono universalmente definiti come pathbreacking , perché aprono nuove piste, nuovi orizzonti.

Lo si può evincere dal libro in cui ha ulteriormente approfondito le premesse del suo discorso, The Costs of Accidents.A Legal and Economic Analysis, Yale University Press, New Haven andLondon, 1970) tradotto in italiano da Anna De Vita, Vincenzo Varano e Vincenzo Vigoriti , con la presentazione di Stefano Rodotà, e con il titolo Costo degli incidenti e responsabilità civile. Analisi economico-giuridica (Giuffré, Milano, 1975) . Il libro è stato da poco ristampato. 

<I poli di questa ricerca – sottolineava Rodotà nella pagina introduttiva della versione italiana – sono sostanzialmente due: il metodo della prevenzione specifica, o collettivo, e quello della prevenzione generale, o di mercato>.

Calabresi insiste soprattutto sul secondo, forte della convinzione che la società non ha ancora individuato il modo migliore per reagire agli incidenti e per ridurre il costo degli incidenti. 

Con questo libro Calabresi fonda un nuovo sistema della responsabilità civile, che tiene conto della imputazione della responsabilità per colpa , che non ripudia in sé e per sé (consapevole dei valori morali sui quali essa si fonda) ma che ritiene del tutto insufficiente a conseguire l’obiettivo che si è prefisso.

E si occupa della migliore amministrazione dei costi primari e dei costi secondari, confrontandoli tra loro , indagando anche il ruolo della copertura assicurativa, e dando particolare enfasi al “controllo di mercato” . In altri termini, un sistema razionale di responsabilità civile deve saper rispondere alla domanda <se il controllo di mercato sia tanto conveniente da giustificare il costo della ripartizione in categorie che esso implica>. 

Non a caso la versione italiana reca la prefazione di Stefano Rodotà, uno dei Maestri del diritto civile italiano, che proprio in quegli anni – avendo pubblicato il suo libro su Il problema della responsabilità civile (Giuffré, Milano, 1964) – aveva tenuto corsi sulla responsabilità civile all’ Università di Genova, dalla cattedra alla quale era stato chiamato nel 1968 , fino al 1972. Rdotà, come è noto, è il Maestro con il quale mi laureai nel luglio del 1970. 

Un’altra curiosa e preziosa coincidenza: Guido Calabresi, Pietro Trimarchi Giovanni Tarello, Stefano Rodotà, Mario Bessone pongono le fondamenta della Scuola genovese della responsabilità civile, elaborando principi a cui mi sono attenuto tutta la via. 

Non può stupire dunque che Guido Calabresi fosse l’interlocutore naturale di questo circolo di studiosi. Calabresi fu invitato a Genova, già nei primi anni della presidenza di Lorenzo Acquarone tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta più volte a tenere lezioni , a partecipare a convegni, a rispondere, con l’affabilità e la disponibilità che gli sono proprie, alle domande che l’ ansia di ricerca poneva ai molti giovani rimasti affascinati dal suo pensiero e dal suo temperamento.

I giovani di allora e via via gli allievi degli allievi hanno considerato Calabresi un referente necessario e prezioso per i loro studi, sì che a buon diritto rivendichiamo l’insegnamento di Guido Calabresi come componente essenziale della Scuola civilistica italiana. 

Non posso, per ragioni di tempo, esaminare gli altri aspetti della originalità del pensiero di Guido Calabresi: mi basti dire che, tra i riferimenti che risultano connessi al suo nome – vi sono anche gli studi di quanti, e sono molti, hanno cercato di promuovere le sue idee e di portare più in là i suoi ammaestramenti. Sono registrati persino i pentimenti di quanti, come Richard Posner, inizialmente avevano assunto nei suoi confronti un atteggiamento distaccato ( “Guido Calabresi’s ‘The Costs of Accidents’: A Reassessment,” 64 Maryland Law Review 12 (2005). 

A coloro che , per la loro formazione culturale e professionale, non hanno familiarità con la letteratura giuridica, vorrei segnalare che molti libri di Guido Calabresi sono stati tradotti in italiano ed hanno avuto una larghissima diffusione, e davvero un meritato successo: mi riferisco in particolare a Il dono dello spirito maligno. Gli ideali, le convinzioni, i modi di pensare nel loro rapporto con il diritto, (Giuffré, Milano, 1996) e a Scelte tragiche (scritto in collaborazione con Philip Bobbit, Giuffré, Milano, 2006).

Per non parlare poi delle traduzioni dei suoi saggi e delle innumerevoli citazioni (v. per tutti Guido Alpa, Pierluigi Chiassoni, Andrea Pericu, Francesco Pulitini, Stefano Rodotà, Francesco Romani, Analisi economica del diritto privato, Giuffré, Milano, 1998). 

Di Guido Calabresi giudice della Corte d’Appello federale del distretto di New York ho detto e scritto in occasione della pubblicazione del suo libro Il mestiere di giudice.Memorie di un accademico americano (Il Mulino, Bologna, 2014) composto direttamente in italiano, in cui sono state raccolte le Alberico Gentili Lectures di Macerata (2012).

Alla presentazione del libro nella Sala di Pompeo al Consiglio di Stato, per iniziativa di alcuni giudici della Corte costituzionale, e nelle tre recensioni – è la prima volta che mi capita di moltiplicare le riflessioni su un libro tanto denso e coinvolgente come questo (Guido Alpa, Se il giudice “crea”il diritto, Il Sole 24ore, 11.1.2015; Il judicial process di Guido Calabresi.

Ancora a proposito de ”Il mestiere di giudice”, Altalex, 13.3.2015; Dialogando con un accademico divenuto giudice. Un omaggio a Guido Calabresi, in Contratto e impresa, 2015,p.1 ss.) ho cercato di illustrare la concezione del diritto che Calabresi applica nelle sue pronunce, l’apprezzamento comparativo degli interessi in gioco, la realistica (Giovanni Tarello direbbe “giusrealistica”) valutazione delle circostanze, la soddisfazione della sete di giustizia, il rovello della decisione, il timore dell’abbaglio, la paura di dover affrontare i dilemmi capitali (l’applicazione della pena di morte) e ho avuto modo di sottolineare il valore ermeneutico e il fondamento etico delle decisioni, ma anche il sano pragmatismo che talvolta esse richiedono, avvicinando la sua figura a quelle dei più grandi giudici americani, come Oliver Wendell Holmes e Benjamin Cardozo. 

Accostamenti che vengono per così dire naturali, e che hanno fatto dire al Chief Judge Robert A.Katzmann, della Corte d’Appello federale del Primo Distretto che <Guido Calabresi è un personaggio rinomato a livello internazionale, a cui si riconosce una mente e una perspicacia eccezionali, e un lavoro proiettato nel futuro > (Tribute to Judge Guido Calabresi, New York University, Annual Survey of American Law, 70, 2014, 1, p. 9 ss.). 

Non posso reiterare qui quei discorsi, né riassumere in poche parole il senso di una vita di studi e di amore per il diritto: voglio però ricordare che, nel corso della inaugurazione del Master in diritto privato europeo della Sapienza, che abbiamo celebrato con Pietro Rescigno al Consiglio nazionale forense, Guido ha voluto richiamare le parole di Piero Calamandrei sulla fede nel diritto, e si è chiesto se bisogna avere sempre fede in ogni momento.

Ha fatto riferimento al giudice Hugo Black, di cui era stato clerck alla Corte Suprema negli anni 1958 e 1959 , il quale si chiedeva se negli anni di crisi – alludendo agli anni della guerra mondiale – si possa tener fede al diritto o si possano fare “strappi” determinati dall’eccezionalità delle circostanze. Pur riconoscendo che Black aveva fatto molti errori, Calabresi era portato non a giustificarlo ma a capire le ragioni delle sue posizioni . E tuttavia la fede nel diritto , un diritto pragmatico, che spinge a mediare gli interessi, senza mai però sacrificare la persona, è quella che anima la sua opera e i suoi scritti. 

Dovrei ora disegnare il terzo aspetto che mi premeva mettere in rilievo: Guido Calabresi come italiano e amico dell’ Italia.

Le due cose non vanno di conserva, se si tien conto del fatto che Guido e la sua famiglia furono costretti, per ragioni politiche prima ancora che razziali, a lasciare il Paese, i parenti, gli amici, per trapiantarsi in un Paese libero, anche se per molti aspetti difficile. Un Paese nel quale Guido Calabresi si è integrato perfettamente percorrendo una brillantissima carriera accademica e ora magistratuale.

Ma Guido è rimasto italiano: nel cuore, nelle amicizie, nel ritorno : e sono innumerevoli i riconoscimenti, i tributi, le occasioni di incontro , di arricchimento intellettuale, di discussione che lo vedono protagonista nel nostro Paese, Maestro dei Maestri, all’Accademia dei Lincei come nelle sedi universitarie, al Centro nazionale di prevenzione sociale , e nelle case degli amici; gli stessi che hanno poi la fortuna, io tra loro, di vederlo in azione, nell’aula del suo tribunale e tra le antiche mura della School of Law di Yale, di cui è diventato il più famoso “cittadino” (Drew S.Days III, Guido Calabresi: Citizen of Yale, in J.Contemp.Health L.& Policy,10, 1994, p.i ss.). 

La sua vita non ha avuto, direbbe Hanna Arendt, un futuro alle spalle, anzi, al contrario, con la sua fede ha costruito il futuro del diritto. E di questo, e non solo per questo, gli siamo immensamente grati.

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