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Lavoro e automazione, serve un nuovo modello economico

L‘intelligenza artificiale e la forte automazione del lavoro prevista, a dispetto di molte fosche previsioni, potrebbe essere un ottimo alleato per sovvertire l‘attuale modello economico, ormai obsoleto e incapace di rispondere alle sfide generate dall’evoluzione tecnologica, e per creare quel benessere collettivo necessario alla sopravvivenza del Pianeta. Ma ciò potrà accadere soltanto se i sistemi di AI verranno utilizzati in maniera equa e etica, cominciando ad affrontare fin da subito il nodo della formazione e delle competenze necessarie ad affrontare l’impatto dell’automazione sul mercato e sui lavoratori.

Da sempre l’uomo ha usato la sua intelligenza per realizzare strumenti che consentissero di migliorare l’attività lavorativa e, se possibile, di lavorare pure meno. Dall’invenzione della ruota alle successive rivoluzioni industriale sino ad oggi, tutto è stato pensato e realizzato in tal senso. Col tempo è emersa però la paura che le macchine e l’automazione possano rubare il lavoro all’uomo. Un timore in verità legittimo perché oltre ad alleviare i compiti umani, sostituiscono inevitabilmente anche alcune attività salariate, creando quindi una potenziale disoccupazione e aumentando le diseguaglianze fra chi possiede i mezzi di produzione e chi presta la propria opera in cambio di uno stipendio.

Mentre in passato le macchine hanno migliorato o sostituito lavori manuali, gravosi o ripetitivi, oggi abbiamo macchine in grado di affrontare anche attività intellettuali, di prendere decisioni in modo autonomo, di esprimere creatività, di inventare cose nuove e risolvere problemi complessi imparando dall’esperienza. E sono soprattutto queste nuove possibilità a preoccupare maggiormente anche se le opinioni non sono unanimi.

Alcuni studi presentano scenari negativi, altri invece illustrano ipotesi più positive. In un lavoro pubblicato nel 2013 da Carl Benedikt Frey e Michael A. Osborne della Oxford Martin School intitolato “The future of employment: how susceptible are jobs to computerisation?” si prevede un rischio di disoccupazione per il 47% dei lavoratori americani fino al 2025 a causa di macchine capaci di compiere le loro mansioni. Uno studio successivo, diffuso nel 2016 “Technology at work v2.0: the future is not what it used to be” conferma la stima per i lavoratori americani e denuncia un rischio del 56% per i lavoratori dei paesi OCSE, del 77% per i cinesi, dell’87% per gli etiopi, e così via.

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