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Cosa aspettarci dal mercato audiovisivo, tra vecchi operatori e piattaforme. Intervista a Fabio Bassan

Fabio Bassan è professore ordinario di Diritto internazionale e dell’Unione europea all’Università Roma Tre e socio fondatore dello studio legale e tributario VBL.

Con il lancio di Apple TV+ e di Disney+ (non ancora arrivato in Italia), oltre ad Amazon Prime Video, siamo di fatto entrati nel pieno della cosiddetta “guerra dello streaming”, un mercato finora dominato da Netflix. Professore, può aiutarci a ricostruire il quadro generale?

Il mercato televisivo italiano è scarsamente rappresentativo della dinamicità della trasformazione in atto. Per tipologia di utenti (la curva della popolazione conta), per stabilità del mercato televisivo (endogena e per l’evoluzione del duopolio nei decenni passati), per diffusione limitata del cavo (le infrastrutture contano) per il monopolio di fatto sulla distribuzione via satellite, il mercato in Italia tende più che altrove a resistere al cambiamento. Questo non significa che del cambiamento non vedremo gli effetti: semplicemente, ce ne accorgeremo troppo tardi per aspirare a gestirli.

Del resto, continuiamo a misurare il ‘prodotto televisivo’ ma per i nativi digitali si dovrebbe parlare di ‘prodotto video’.

Gli investimenti televisivi sono sostenuti dai vincoli normativi e dal servizio pubblico, ma non sempre trovano il riscontro del mercato. I concorrenti extra-UE d’altronde sono potenti. Molti di loro, che originano da mercati non televisivi, hanno operato sinora in sandboxes ante litteram, poiché hanno goduto di esenzioni regolatorie: il peccato d’origine è nella direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico, che prevedeva la non responsabilità degli Internet Service Providers, che poi sono evoluti negli OTT e ora la regolazione non è più loro applicabile, ma neanche sarebbe efficace. Le regole, che dovevano sopperire ad asimmetrie di mercato, le hanno invece create.

Il video oggi E’ streaming. Gli operatori televisivi d’origine si stanno adeguando. Ma la fatica non è tanto superare la logica del palinsesto, quanto sfruttare al massimo le potenzialità della profilazione che gli operatori che hanno come core business la gestione di dati riescono a massimizzare, rendendola di fatto individuale. Per il target pubblicitario, oggi; per il prezzo di riserva, domani (individuale anch’esso).

Ordini di grandezza e diversità di approcci differenziano gli operatori televisivi e le piattaforme streaming; la soluzione, come sempre in questi casi, sta nell’accordo. Si tratta di vedere se sarà accordo tra piattaforme distributive (Sky-Netflix è un’indicazione chiara in tal senso) o tra piattaforme streaming d’origine e ‘operatori tradizionali’ (modello Poste-Amazon, per intenderci). L’impressione, però, è che l’industria produttiva del paese (si) sia comunque ormai condannata a una posizione passiva, abituata a una guerra di posizione in retroguardia che ha prodotto al paese danni che ora iniziano ad emergere in modo evidente.

Crede che Netflix perderà la sua posizione dominante?

Netflix non perderà quote di mercato. Al contrario, aumenterà il suo peso, in un mercato crescente perché non potrà più considerarsi segmentato, come è stato sinora, sul piano sia regolatorio (AGCom) sia della concorrenza (AGCM), in ragione delle piattaforme distributive, della modalità di fruizione ecc…

Al contempo, Netflix avrà più concorrenti, che ragionevolmente finiranno per specializzarsi: generalista non è più la tv, non lo sarà lo streaming. Specializzazione implica segmentazione del mercato sul piano dell’offerta: su questo si misurerà la capacità di vigilanza delle autorità di regolazione e della concorrenza nazionali e della Commissione europea. Specializzazione vuol dire però anche accettazione del rischio di mercato, come mostra la dinamica di Sky, cresciuta esponenzialmente grazie a calcio e film vietati ai minori e in stallo da quando i primi hanno costi che di fatto superano i ricavi e i secondi non hanno più un mercato a pagamento. E’ dunque probabile che la specializzazione si baserà sempre più sull’autoproduzione, che questo rischio di mercato lo riduce ab origine.

Netflix, Amazon Prime Video, Disney+, Apple TV+: esiste secondo lei il rischio che l’aumento del numero dei servizi di streaming, disperdendo l’offerta, possa far tornare la pirateria (mai scomparsa del tutto, ma finora in declino)?

L’offerta non sarà dispersa ma segmentata. Come tale, in grado di coprire tutte le aree di interesse, a seconda delle esigenze e delle disponibilità dell’utente. Questo rende per sé non più attraente la pirateria, che nasce dalla mancanza di prodotto e dal prezzo alto, non dalla sua abbondanza e da prezzi flat bassi. La pirateria peraltro, è stata sempre, storicamente, facilmente superabile con strumenti tecnologici, che oggi sono peraltro assai più sofisticati che in passato.

La crescita della pirateria, nel mercato televisivo, è stata in passato il frutto di un’operazione di mercato delle piattaforme distributive che, in una fase di sviluppo iniziale, l’hanno utilizzata per espandere rapidamente la base di utenti, per ricondurla poi ‘a sistema’ in un secondo momento. Oggi parlare di pirateria ritengo sia semplicemente un nonsense.

 

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