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Torino, nuovo centro di ricerca su IA Italiana. Intervista a Don Luca Peyron.

Torino è stata scelta come il luogo dove istituire il centro di ricerca su IA Italiana, dopo la carta sull’intelligenza artificiale del Mise. Su questa tematica la redazione di DIMT ha intervistato Don Luca Peyron, presbitero diocesano direttore della Pastorale Universitaria di Torino e regionale. Laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli studi di Torino, ha svolto la propria attività professionale come mandatario Italiano e mandatario Europeo presso l’Ufficio per l’Armonizzazione del Mercato Interno dell’Unione Europea.

 

Per quale motivo, secondo Lei, proprio Torino è stata scelta come il luogo dove istituire il centro di ricerca su IA Italiana, dopo la carta sull’intelligenza artificiale del Mise? In cosa, secondo Lei, l’università di Torino e le altre strutture torinesi possono dare una spinta in avanti a questo progetto?

Credo sia importante come Torino saprà confermare la scelta che è stata fatta. Dal momento della proposta fatta dalla Diocesi, la velocità e la coesione con cui si è giunti a questo giorno sono il primo patrimonio dell’erigenda sede principale del Centro Italiano per l’Intelligenza Artificiale. Poi, naturalmente, la competenza e la capacità di fare squadra e fattor comune degli Atenei, del tessuto imprenditoriale e sociale, la logistica, le connessioni internazionali ed infine il fatto che il Centro debba essere la capitale di un sistema. Torino è nata capitale Italiana, dobbiamo ritornare a questo retaggio in modo che la storia guidi il nostro futuro: essere capaci di declinare, a partire dal locale, una missione nazionale e internazionale.

 

In che modo Lei vede la ricerca sui temi umanistici dell’AI e quali sono le linee di ricerca più interessanti e più rilevanti da affrontare? In che maniera il centro di ricerca di Torino, su questo specifico punto di vista umanistico, si pone come avanguardia europea? E quali sono i temi possono essere considerati d’avanguardia e quali no?

Rispondo con un gioco di parole che evoca un passo evangelico: non l’uomo per la macchina, ma la macchina per l’uomo. L’iterazione uomo macchina e la trasformazione sociale che ne deriva sono la sfida più importante, insieme ad una disseminazione di saperi e cultura, per permettere anche al cittadino comune di avere più contezza di quello che significa per la vita di ogni giorno la presenza di strumenti di AI. Torino è luogo di sperimentazione sociale da sempre, e saprà rispondere a questa sfida sia nel suo tessuto di impresa che in quello educativo e sociale. Il centro è Italiano, dunque, sarà nostro preciso compito declinare le azioni che ad esso sono demandate con italianità nel senso più alto, vero e nobile di questo aggettivo. Dobbiamo accompagnare i processi già in corso per rendere più umano il digitale e portare in Europa la nostra vocazione a fondere tecnica e umanità, con il gusto leggero della nostra cultura, quella che secondo “The Spectator Index” è oggi la più influente al mondo. Come nel Settecento la lingua colta in Europa era in molti settori l’italiano, così nei prossimi decenni l’intelligenza artificiale di punta potrà essere quella “disegnata” all’italiana.

 

In che modo l’analisi delle questioni etiche ed antropologiche della AI riguardano, in ultima istanza, una nuova modalità di riscoprire le domande classiche che la filosofia si pone sull’essere umano?

La tecnologia è capace da sempre di dire molto dell’essere umano e di come esso si collochi nella storia, nel qui ed ora in cui egli vive. Partendo da questo dato di fatto, la tecnica e la tecnologia sono sempre una questione antropologica e filosofica. Se usiamo il termine intelligenza artificiale partiamo da alcuni presupposti filosoficamente e teologicamente molto significativi, da domande cruciali. Cosa è intelligenza, cosa è artificiale, cosa è naturale, cosa è conoscere, decidere, scegliere. La trasformazione digitale ci restituisce una nuova ontologia digitale? Dobbiamo costantemente tenere aperte queste domande e, mi permetto di suggerire, andare a rivedere il modo di fare queste domande e di esplorarle del passato, penso soprattutto alla filosofia medioevale che rischiamo di dimenticare e che invece, per prima, fece tali domande nella modernità, per prima si confrontò efficacemente con cambiamenti epocali a partire da un pensiero nuovo, anche se antico, e da un contesto culturale in fermento, distopico per molti versi rispetto all’immediato passato. Come oggi.

 

In che maniera la Chiesa Cattolica si pone riguardo l’introduzione, all’interno della sfera sociale e politica, delle attuali tecnologie AI? E quali sono, sotto questo punto di vista, le potenzialità di questa tecnologia?

La Chiesa è al centro di questo processo perché al centro di questi processi c’è l’essere umano. L’intelligenza artificiale funziona per connessioni, raccolta di dati, elaborazioni, condivisioni. Essa, in fondo, è un sofisticato esercizio di libertà, discernimento, scelta di relazioni e di costrutti. Sono termini carichi di senso, sono strumenti che modificano il senso e la sua percezione. Tutti questi processi debbono essere antropoci e generativi, capaci cioè di custodire la vita e prendersene cura. Mettere l’uomo al centro per la Chiesa cattolica significa mettere al centro la divina umanità di Cristo, cioè una relazione dinamica tra immanente e trascendente, tra promessa e compimento, tra già e non ancora: l’AI è antropica se si sviluppa in questa direzione ed accompagna in questa direzione le sue potenzialità straordinarie, ma non nell’ordine di una gerarchia di poteri e quindi di potenza, ma di servizio e, dunque, di comunione.

 

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