skip to Main Content

Tribunale condanna Deliveroo e l’algoritmo di ranking reputazionale “Frank”: intervista agli avvocati Ernesto Belisario e Giuseppe Cassano

Il 31 dicembre 2020, il Tribunale del lavoro di Bologna ha emesso una sentenza contro l’app e il sistema del ranking reputazionale di Deliveroo che classifica, mappa e programma le sessioni di turni dei rider della società, ledendo i diritti dei lavoratori di assenze giustificate per malattia e sciopero sindacale.

In merito al giudizio espresso dal Tribunale, la redazione di DIMT ha intervistato agli avvocati Ernesto Belisario, Avvocato cassazionista iscritto all’Ordine degli Avvocati di Potenza, e Giuseppe Cassano, Docente del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics, docente e avvocato civilista.

 

È recente la pronuncia del Tribunale del lavoro di Bologna, in merito all’algoritmo “Frank” per condotte discriminatorie nei confronti dei lavoratori rider di Deliveroo. Qual è, a Vostro avviso, l’impatto giuridico di questa storica condanna che tutela le libertà sindacali nel mondo digitale?

Avv. Giuseppe Cassano: Il Giudice del Lavoro di Bologna interviene su di un aspetto fondamentale dei rapporti tra le parti – quale è quello delle possibili condotte discriminatorie nei confronti di un singolo lavoratore ovvero di gruppi di lavoratori – ponendo una pietra miliare nel settore della cd. economia 4.0. Si afferma, in estrema sintesi, che un software (nella specie l’algoritmo “Frank” peraltro dismesso nel corso dello stesso giudizio) di gestione dell’accesso alle sessioni di lavoro dei riders, ed in particolare dei parametri per l’elaborazione del ranking c.d. “reputazionale” di tali lavoratori, è idoneo a porre in essere pratiche aziendali discriminatorie.

Sulla premessa della distinzione tra discriminazione diretta (fattispecie in cui è la condotta che determina la disparità di trattamento) e discriminazione indiretta (in cui la disparità vietata è l’effetto di un atto in sé legittimo e che, pur formulato in termini neutri, produce una discriminazione nei confronti di un determinato gruppo o di un soggetto) il Giudice di Bologna non ha dubbi quanto alla discriminatorietà sottesa al sistema gestionale adottato da Deliveroo. Il motto di detta società, secondo cui “se fai parte di un gruppo prioritario, avrai una possibilità maggiore di ottenere una conferma sulle tue richieste settimanali” e “se fai parte di un gruppo prioritario, avrai una possibilità maggiore di ricevere una notifica prima degli altri riders” non merita asilo nell’ordinamento giuridico. Esso si pone contro il sistema normativo antidiscriminatorio (come posto ex art. 47 quinquies d.lgs 81/15, introdotto dal DL 3 settembre 2019, n. 101) la cui finalità di tutela dei lavoratori opera a prescindere dal nomen iuris attribuito dalle parti al contratto di lavoro.

Nel merito della vicenda, pur analizzata nei limiti della sommaria cognitio che caratterizza il procedimento instaurato innanzi all’adito Tribunale di Bologna, si precisa come il funzionamento dell’algoritmo Frank comportava che l’adesione di un rider ad una iniziativa di astensione collettiva dal lavoro (uno sciopero) era idonea a pregiudicarne le statistiche, giacché il rider scioperante, astenendosi dall’attività lavorativa (cioè non partecipando ad una sessione prenotata) inevitabilmente subiva una diminuzione del suo punteggio sotto il profilo della affidabilità, ed eventualmente anche sotto il profilo della partecipazione. Quindi un rider aderendo ad uno sciopero, e dunque non cancellando almeno 24 ore prima del suo inizio la sessione prenotata (come da regolamento aziendale), avrebbe potuto subire un trattamento discriminatorio, vedendo peggiorare le sue statistiche e perdendo la posizione eventualmente ricoperta nel gruppo prioritario, con i relativi vantaggi.

Né in senso contrario rileva la tesi dell’azienda secondo cui il rider – allo scopo di evitare tali effetti pregiudizievoli – poteva / doveva semplicemente cancellare anticipatamente la sessione prenotata, perché così facendo avrebbe messo la piattaforma in condizioni di sostituirlo, annullando ogni effetto pratico della iniziativa di astensione collettiva e vanificando il diritto di sciopero costituzionalmente garantito anche ai lavoratori autonomi parasubordinati. In conclusione quanto al funzionamento della piattaforma Deliveroo, essendo essa basata sui due parametri della “affidabilità” e della “partecipazione”, trattava in modo identico situazioni tra loro profondamente disomogenee: e cioè a dire, chi non partecipava alla sessione prenotata per futili motivi e chi non partecipava per adesione ad uno sciopero o per malattia, per disabilità, o ancora per la necessità di assistere un soggetto portatore di handicap, o un minore ammalato, etc.. In definitiva, il lavoratore incorrendo in uno di questi eventi veniva emarginato dal gruppo prioritario e dunque vedeva ridotte significativamente le sue future occasioni di accesso al lavoro. All’esito del suo argomentare il Giudice ha ritenuto sussistente non già una discriminazione diretta, bensì una discriminazione indiretta avuto particolare riguardo alla categoria di lavoratori partecipanti ad iniziative sindacali di astensione dal lavoro. Questo provvedimento giurisdizionale ha un notevole impatto sull’imprenditoria operante nel settore digitale perché mette in evidenza come ricorrere ad un algoritmo per gestire i turni dei lavoratori, ovvero per apprezzarne le qualità, è discriminatorio nella parte in cui parifica, quanto agli effetti negativi che ne conseguono, il lavoratore assente per un futile motivo a quello assente per comprovate ragioni personali o per adesioni allo sciopero.

 

Avv. Ernesto Belisario: Il recente provvedimento del Tribunale di Bologna ha una rilevanza che va al di là del caso concreto oggetto di contenzioso (visto che il software in questione non è più utilizzato da Deliveroo).
Anche se non ce ne accorgiamo, infatti, le nostre vite di consumatori e lavoratori sono sempre più condizionate da algoritmi e trattamenti automatizzati. Il caso Deliveroo ci aiuta a comprendere che – in attesa di norme specifiche – questo fenomeno non è un far west privo di regole. Infatti, nell’affermare il carattere discriminatorio dell’algoritmo Frank, il Tribunale di Bologna ha sancito il principio secondo cui la progettazione e lo sviluppo degli algoritmi deve avvenire sempre nel rispetto delle norme vigenti. Ad essere discriminatorio, infatti, non è l’algoritmo in se, ma l’uomo che lo progetta e lo sviluppa. Diritti e libertà dei lavoratori rappresentano – nel mondo dei bit come in quello degli atomi – un limite al potere organizzativo e discipinare del datore di lavoro. Assai significativa è poi la circostanza per cui la pronuncia sia arrivata in relazione a diritti e libertà sindacali in un settore – come quello della GIG economy – da tempo al centro di un ampio dibattito relativo alla necessità di nuove regole. Infatti, anche in questa materia, registriamo un consistente ritardo del nostro legislatore nel definire un sistema di norme all’altezza dei nuovi fenomeni (tecnologici, economici e sociali). Ritardo che – come spesso accade – è compensato da pronunce giurisprudenziali in grado di affermare importanti principi giuridici che, molto probabilmente, saranno in futuro recepiti dallo stesso legislatore.

 

 

Nell’attuale orizzonte d’innovazione tecnologica e digitale, quali sono gli aspetti più critici che espongono i lavoratori? 

Avv. Giuseppe Cassano: Il mondo del lavoro è profondamente mutato nel corso degli ultimi ed oggi è decisamente orientato a dare spazio ed opportunità alle professionalità dotate di nuove competenze digitali (si pensi al settore della finanza, dell’amministrazione, ma anche della sanità, etc.). Il sistema è, nel suo insieme, in continua e veloce evoluzione così che accanto al rischio di vedere scomparire alcuni mestieri (cancellati, ove di routine, dalla digitalizzazione) vi è sempre l’opportunità di fare del cambiamento un business. Emergono dunque nuovi mestieri e nuove professioni, inimmaginabili fino a qualche decennio fa, e mutano le prestazioni lavorative tradizionali, ciò comportando vantaggi in termini di opportunità e crescita ma anche rischi specialmente per i lavoratori più deboli. Ne è prova l’algoritmo Frank in uso presso Deliveroo per gestire le sessioni di lavoro dei ciclofattorini e per valutarne le prestazioni, prima dismesso dalla stessa azienda (dal 2 novembre 2020) e, poi, definitivamente messo fuori gioco dall’ordinanza del Tribunale di Bologna.

La vicenda insegna, da un lato, che il mondo del digitale non si auto-pone e non opera in un sistema di regole ad hoc, dall’altro lato, che deve essere costante l’attenzione dello stesso Legislatore verso i muovi fenomeni e le nuove mode legate ad internet che si possono tradurre, ove non correttamente disciplinate, in situazioni di sfavore con sfruttamento in danno del lavoratore anello debole della catena produttiva. I profili di maggiore criticità per i lavoratori sono dati da eventuali regolamenti aziendali redatti pensando di poter derogare al sistema normativo di tutela dei medesimi lavoratori (si pensi alle libertà sindacali). Fondamentale in proposito è il passaggio della citata ordinanza del Giudice del Lavoro di Bologna in cui si sottolinea come <<la circostanza che la società resistente riservi un trattamento “particolare” alle uniche due ipotesi (quella dell’infortunio su turni consecutivi e quella del malfunzionamento del sistema) in cui evidentemente ritiene meritevole di tutela la ragione della mancata partecipazione alla sessione prenotata dimostra plasticamente come non solo sia materialmente possibile, ma sia anche  concretamente attuato, un intervento correttivo sul programma che elabora le statistiche dei rider, e che la mancata adozione, in tutti gli altri casi, di tale intervento correttivo è il frutto di una scelta consapevole dell’azienda>>: nessun algoritmo è dunque un alibi per aggirare il dettato della normativa (in particolare antidiscriminatoria). Altro tema caldo è quello dei cd. controlli difensivi “occulti” posti in essere, anche ad opera di personale estraneo all’organizzazione aziendale, da parte del datore di lavoro. Essi sono stati ritenuti tendenzialmente legittimi dalla giurisprudenza in quanto diretti all’accertamento di comportamenti illeciti diversi dal mero inadempimento della prestazione lavorativa, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, ferma comunque restando la necessaria esplicazione delle attività di accertamento mediante modalità non eccessivamente invasive e rispettose delle garanzie di libertà e dignità dei dipendenti, con le quali l’interesse del datore di lavoro al controllo ed alla difesa della organizzazione produttiva aziendale deve contemperarsi e, in ogni caso, sempre secondo i canoni generali della correttezza e buona fede contrattuale (in Cass. civ., sez. lav., n. 10955/2015 è stato ritenuto legittimo il licenziamento di un lavoratore sorpreso nell’uso di facebook in orario di lavoro grazie al ricorso ad un falso profilo facebook creato ad hoc dallo stesso datore di lavoro). Ancora si pensi ai limiti alle manifestazioni di pensiero da parte del lavoratore e ai conseguenti poteri disciplinari della P.A. datore di lavoro.

La questione è stata affrontata dalle Sezioni Unite (n. 18987/2017) che, in una vicenda nella quale un Magistrato, sul proprio profilo personale di facebook, aveva offeso la reputazione di un sindaco, hanno affermato in punto di diritto che <<in tema di diffamazione ciò che rileva è l’uso di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive, ossia adoperate in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere>> e, ancora, che il bene protetto dalla previsione di cui all’art. 4, comma 1, lett. d), D. Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109 è costituito – come è fatto palese dalla stessa formulazione della disposizione – dalla immagine del Magistrato, risultando quindi irrilevante, a tali fini, il fatto che il destinatario di parole oggettivamente diffamatorie (postate sul social network) possa non averle percepite in tal senso. Così da parte sua la giustizia amministrativa, sia pur con una pronuncia in via cautelare, ha ritenuto di precisare che <<l’aggiunta del commento “mi piace” ad una notizia pubblicata sul sito facebook che può comportare un danno all’immagine dell’amministrazione, assume rilevanza disciplinare>> (Tar Milano, sez. III, ord. 246/2016; per la rilevanza disciplinare della pubblicazione, da parte di un appartenente alla Polizia di Stato,  su un social network di alcune foto ritraenti sè stesso in abbigliamenti “succinti” v.: Cons. Stato, sez. III, 21 febbraio 2014, n. 848).

 

Avv. Ernesto Belisario: L’aspetto più critico dell’utilizzo degli algoritmi emerso nel corso del giudizio – tanto nell’ambito del rapporto di lavoro, quanto in ogni altro campo in cui sono applicati – è rappresentato dalla mancanza di trasparenza sulle loro modalità di funzionamento. L’implementazione delle tecnologie più evolute nell’ambito del rapporto di lavoro (come le soluzioni di intelligenza artificiale) deve sempre consentire a utenti e lavoratori di poter comprendere le logiche delle scelte effettuate dagli algoritmi, in modo da consentire di verificarne la legittimità. Si tratta di un principio che, di recente, è stato affermato già dai giudici amministrativi in relazione ai software che gestiscono le procedure concorsuali. Solo l’accesso ai codici sorgente dell’algoritmo, infatti, può consentire di verificare che lo sviluppo sia avvenuto nel rispetto della normativa vigente e che il funzionamento del software sia immune da errori che discriminino o penalizzino ingiustamente l’utente. Accanto a questi rischi, non possono essere taciuti quelli di controllo sui lavoratori (vietato dall’art. 4 della legge n. 300/1970) e di profilazione dei dipendenti. Controlli e profilazione che possono causare un’odiosa lesione dei diritti del lavoratore e la sua discriminazione in ambito aziendale.

 

 

Rimanendo in ambito digitale, quali sono gli strumenti giuridici che tutelano il lavoratore? E, dal Suo punto di vista professionale, sono efficaci nel tutelare i diritti dei lavoratori?

Avv. Giuseppe Cassano: Lavorare nel settore del digitale oggi non è più appannaggio di pochi. Il diffondersi della pandemia da Covid-19 ha reso tutti i settori del mondo del lavoro più smart e molti di essi continuano ad essere operativi grazie ad internet e alle sue innumerevoli applicazioni. La tutela del lavoratore, come descritta e posta dalla normativa di riferimento, opera allo stesso modo sia nei settori tradizionali  che in quelli del più moderno mondo del lavoro digitale. Ciò premesso, lo strumento che offre al lavoratore una migliore e più effettiva tutela delle sue prerogative è certamente quello della formazione digitale che oggi non può mancare in nessun settore del lavoro e rappresenta quel quid pluris che può fare la differenza ai fini della carriera. Singoli lavoratori, ma anche imprese, amministrazioni pubbliche ed enti in genere sono chiamati, tutti, ad incrementare e migliorare le proprie competenze digitali, sia per stare al passo con l’innovazione che per governare la stessa.

Parlare poi di strumenti giuridici che tutelano il lavoratore non basta se, di pari passo, non si affronta anche il tema degli strumenti giuridici che tutelano l’azienda: i due mondi, a ben vedere, non sono “l’un contro l’altro armato”. Si consideri come oggi lo strumento più diffuso per il lavoro è il computer affidato nelle mani del lavoratore, inserito nella rete aziendale e connesso ad internet (quindi al mondo esterno). Il pc aumenta le performance produttive di ogni azienda, ed è uno strumento ormai irrinunciabile, così che il datore di lavoro può, e deve, controllare (pur nel rispetto degli ordinari limiti di legge) che non vi sia un uso anomalo del mezzo durante l’orario di lavoro così da evitare danni alla sua azienda (il dipendente, cioè, non deve perder tempo navigando su internet per divertimento e per fini personali). Il lavoratore, a sua volta, ha diritto alla sicurezza sul posto di lavoro che, nell’imporre l’applicazione del precetto ex art. 2087 c.c., si traduce anche nella vigilanza da parte del datore di lavoro affinché l’uso di internet (si pensi ad esempio alle mail aziendali) non si traduca in fenomeni di mobbing o straining. In conclusione gli attuali strumenti che il sistema normativo (in particolare quello processuale) mette a disposizione del lavoratore portano ad una effettiva tutela anche nel mondo del lavoro digitale non essendo la nuova economia una monade isolata ma ponendosi nell’ordinario contesto normativo e regolamentare, pur presentando peculiarità sue proprie. L’importante e recente decisione del Tribunale di Bologna dà atto di come non ci si possa nascondere dietro al funzionamento di un software per porre in essere condotte che discriminano gruppi di lavoratori (in particolare quelli in sciopero) senza andare incontro alle conseguenze che la legge pone in tali ipotesi.

 

Avv. Ernesto Belisario: L’ordinanza del tribunale di Bologna è sicuramente un buon segnale per l’ordinamento giuridico, ma viene da chiedersi se le norme vigenti saranno un presidio di tutela valido per i diritti dei lavoratori anche quando le tecnologie diventeranno ancora più complesse e pervasive. Siamo tutti convinti del fatto che lo sviluppo tecnologico sia ineluttabile, così come ci dimostra l’esperienza della pandemia: le tecnologie digitali sono ormai componente irrinunciabile della quotidianità di qualsiasi lavoratore, abilitando anche la rivoluzione del lavoro agile. Dobbiamo però lavorare per evitare di essere travolti – come individui e come ordinamento giuridico – dalla velocità con cui l’intelligenza artificiale, la robotica, gli algoritmi, l’acquisizione e il trattamento automatizzato di dati personali hanno fatto irruzione nelle nostre vite. Dobbiamo lavorare fin da subito ala creazione di un sistema di regole tanto innovativo quanto le tecnologie di cui parliamo.

 

 

 

Approfondimenti:

Condannato Deliveroo per condotte discriminatorie nei confronti dei rider: dismesso l’algoritmo di ranking reputazionale

Back To Top