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Il diritto alla conoscenza delle proprie origini

 

Il principio della responsabilità genitoriale per il semplice fatto della generazione si ricava inequivocabilmente dalla lettura dell’art. 30 Cost. E risponde palesemente a un’istanza di civiltà e di miglior tutela dell’interesse del figlio. È nell’interesse del figlio che è previsto che la responsabilità genitoriale si fondi non sull’arbitrio dell’adulto, sulla sua volontà di essere genitore, e dunque, in definitiva, sulla libertà individuale, ma sull’oggettività di un fatto naturale, irrevocabile, e perciò idoneo a costituire quella responsabilità con sufficiente grado di certezza. 2. Nel sistema la regola per cui lo status consegue al fatto biologico e non è separabile da questo, trova un’eccezione nel caso dell’adozione speciale del minore: «per effetto dell’adozione – si legge all’art. 27, l. 184/1983 – l’adottato acquista lo stato di figlio degli adottanti» e «cessano i rapporti dell’adottato verso la famiglia d’origine, salvi i divieti matrimoniali». Nel caso dell’adozione, dunque, la legge rimuove il valore costitutivo dello status proprio del fatto biologico e separa, per così dire, l’uno dall’altro: lo status è determinato a prescindere dalla generazione. In tal modo si rimuove però anche una componente essenziale dell’identità personale dell’adottato, al quale viene imposta, come si dice, una dissociazione tra biografia e biologia. Ma ciò avviene pur sempre in funzione della miglior tutela dell’interesse del minore, giacché presupposto dell’adozione è la circostanza che egli versi in stato di abbandono, e dunque che sia stata rigorosamente accertata l’incapacità definitiva e irreversibile di coloro che lo hanno generato a far fronte ai propri doveri. È solo nell’interesse dell’adottato che la legge lo priva in maniera definitiva del diritto fondamentale di essere considerato figlio di coloro che lo hanno generato e con ciò di un frammento essenziale della sua identità personale. Un simile intervento del legislatore ordinario risulta peraltro “coperto” dalla previsione del capoverso dell’art. 30 Cost., laddove si dice che «nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti». 3. Abrogando il divieto di fecondazione eterologa di cui all’art. 4, comma 3, l. 40/2004, la Corte costituzionale introduce ora nel sistema una nuova ipotesi eccezionale di rimozione del valore costitutivo dello status proprio del fatto naturale della generazione, e dunque di separazione dello status dal dato biologico o, se si preferisce, di imposizione di uno status non corrispondente alla realtà biologica. Nel caso della fecondazione eterologa si tratta però di un’eccezione che certo non trova la sua giustificazione nella miglior tutela dell’interesse del figlio e che, a quanto pare, ne compromette comunque l’identità personale e il diritto al libero e autonomo sviluppo della personalità. 4. Non sembra infatti che si possa ancora dubitare della riferibilità al paradigma dell’identità personale anche dell’interesse a conoscere la propria “verità biologica”. Anche di recente, in particolare nella sentenza n. 278 del 22 novembre 2013, la Corte costituzionale ha avuto modo di ribadire che «il diritto del figlio a conoscere le proprie origini – e ad accedere alla propria storia parentale – costituisce un elemento significativo nel sistema costituzionale di tutela della persona» e che «il relativo bisogno di conoscenza rappresenta uno di quegli aspetti della personalità che possono condizionare l’intimo atteggiamento e la stessa vita di relazione di una persona in quanto tale». Certe affermazioni, del resto, trovano riscontro anche in una giurisprudenza ormai consolidata della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, secondo cui il diritto alla conoscenza delle origini biologiche si fonda sulla previsione della Convenzione che garantisce a ciascuno il diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8 CEDU; v. la sentenza del 13 febbraio 2003 resa nel caso Odiévre v. France, spec. n. 29). Anche le Corti, insomma, prendendo posizione contro l’autorevole opinione secondo cui la biologia non è biografia, riconoscono invece che anche la biologia deve ritenersi inscritta nella biografia della persona; che dunque l’identità personale si costruisce anche – certo non solo! – a partire dal dato naturale, biologico; che il diritto di sapere chi si è non è altra cosa rispetto al diritto ad essere se stessi, ma è una componente essenziale di quest’ultimo diritto. 5. Si comprende allora come più di qualcuno possa ritenere che un divieto di fecondazione eterologa non sia affatto costituzionalmente illegittimo e che sia anzi costituzionalmente doveroso proprio in virtù del disposto degli artt. 2 e 3, nonché degli artt. 29 e 30 Cost. L’idea di questa parte della dottrina è evidentemente che il diritto fondamentale del nato all’identità e al libero e autonomo sviluppo della personalità in nessun caso possa essere oggetto di bilanciamento col diritto dell’adulto a non subire interferenze di sorta nelle proprie scelte relative alla procreazione. A quanto pare, però, la Corte costituzionale non ha ritenuto di seguire quest’opinione. Ha creduto piuttosto che i diritti del figlio a uno status conforme al dato biologico, nonché all’identità e a uno sviluppo libero e autonomo della propria personalità non siano suscettibili di una tutela incondizionata, ma possano e debbano essere bilanciati anche con l’interesse della coppia alla filiazione, e cioè con quello che un Autore ha efficacemente indicato come il “diritto alla stirpe” di un uomo e di una donna coniugati o conviventi – un diritto che, rispetto all’uno o all’altra, può però realizzarsi solo mediante il ricorso alla biotecnologia e non senza il concorso della volontà del legislatore. La motivazione della decisione della Corte dovrà chiarire le ragioni della praticabilità di un simile bilanciamento. Fin d’ora si può però osservare che, ammettendo un simile bilanciamento, si torna in qualche modo a mettere in discussione quella centralità rispetto all’interesse degli adulti, che, soprattutto a partire dalla seconda metà del novecento, l’interesse del minore era riuscito a conquistarsi, non senza difficoltà, nella cultura giuridica occidentale. 6. In ogni caso, non sembra che con l’intervento abrogativo in questione il giudice delle leggi possa anche pretendere di consegnare all’interprete una disciplina completa della situazione giuridica del nato da fecondazione eterologa, e cioè una disciplina che non necessiti di ulteriore integrazione ad opera del legislatore ordinario. La tutela dei profili identitari del nato non può essere semplicemente ignorata: anche a voler ammettere – e la motivazione chiarirà in che modo e per quali ragioni – un bilanciamento e una conseguente subordinazione dell’interesse del figlio rispetto all’interesse della coppia alla filiazione, con l’introduzione nel sistema di una nuova ipotesi eccezionale di separazione dello status dal fatto biologico della generazione, non sembra comunque che debba anche escludersi qualsiasi possibilità di recupero ex post di quella componente rimossa dell’identità personale attraverso il riconoscimento al nato di un diritto di accesso ai dati relativi all’identità del cd. donatore di gameti. Beninteso, non si tratta semplicemente di riconoscere al nato da fecondazione eterologa il diritto di conoscere dati relativi al genitore biologico per gravi motivi attinenti alla salute psico-fisica o per evitare l’instaurarsi di relazioni incestuose. Tale interesse può forse essere soddisfatto anche attraverso l’accesso a dati non identificativi. L’accesso ai dati relativi all’identità del cd. donatore, e quindi l’esclusione della pretesa di quest’ultimo di rimanere nell’anonimato, è qualcosa di più di una conoscenza puramente funzionale a ragioni di tutela della salute. Non sembra però che la ritenuta subordinazione del diritto all’identità personale e al libero e autonomo sviluppo della propria personalità rispetto al diritto della coppia a non subire interferenze nella propria autodeterminazione procreativa possa arrivare al punto di garantire anche l’anonimato al cd. donatore. Un simile bilanciamento tra valori concorrenti sarebbe solo una finzione di bilanciamento, essendo in realtà completo e definitivo l’asservimento di un valore – l’identità personale – all’altro – la libertà di determinarsi in ordine alle scelte riproduttive anche attraverso il ricorso alle tecniche di fecondazione artificiale. 7. Non sembra allora auspicabile un intervento del giudice delle leggi puramente “demolitorio” di una disciplina che in realtà, come è stato detto autorevolmente, ha operato un “criptico compromesso” tra un rigoroso divieto di fecondazione eterologa e, per i casi in cui il divieto sia eluso, la garanzia di una certa stabilità dell’accertamento ex lege dello status artificiale del nato, senza però assicurargli una tutela chiara ed effettiva di diritti fondamentali come quello all’identità personale e lo stesso diritto alla salute. In questa situazione un intervento meramente “demolitorio”, che pure sembra destinato a travolgere sia il divieto di cui all’art. 4, comma 3 sia le previsioni di cui all’art. 9, commi 1 e 3, l. 40/2004, determinerebbe un vuoto normativo che non sembra però compatibile col sistema costituzionale. È piuttosto auspicabile allora che, assecondando il suggerimento di una parte autorevole della dottrina civilistica, la Corte, che non può certo sostituirsi al legislatore, dica con chiarezza che il legislatore deve farsi carico di introdurre al più presto apposite disposizioni volte a garantire l’effettività di un diritto pieno del nato di conoscere l’identità del cd. donatore. L’abrogazione del divieto di fecondazione eterologa ad opera del giudice delle leggi non può comportare, in altri termini, un’opzione automatica – e, per così dire, “di risulta” – per un modello “liberale” di disciplina, e cioè per un regolamento centrato su una considerazione esclusiva e unilaterale dei diritti riproduttivi degli adulti. Il legislatore dovrà preoccuparsi di prevedere idonee misure volte a riconoscere e a rendere effettivo il diritto del nato all’identità e al libero e autonomo sviluppo della propria personalità. E dovrà pure preoccuparsi di far fronte ai rischi connessi a un ricorso abusivo alle tecniche, anche rendendo ancor più efficienti le garanzie esistenti a tutela della dignità del nato e della donna. Il quadro costituzionale di riferimento non sembra davvero consentire la possibilità di eludere una soluzione di questo tipo. 8. Del resto, anche nel caso dell’adozione, in cui pure – come si è già detto – uno status filiationis si costituisce per il tramite di un’artificiosa ed eccezionale rimozione normativa del rilievo del fatto naturalistico della generazione, il legislatore italiano garantisce ormai il diritto dell’adotta-to di accedere alle informazioni identificative del genitore biologico (cfr. art. 28 l. 184/1083). Vero è che, nel caso dell’adottato che non abbia ancora raggiunto l’età di venticinque anni, «le informazioni concernenti l’identità dei genitori biologici possono essere fornite ai genitori adottivi… su autorizzazione del tribunale per i minorenni, solo se sussistono gravi e comprovati motivi» (art. 28, comma 4, cit.). Ed è vero anche che, nei confronti della partoriente che abbia dichiarato di non voler essere nominata, un diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini non esiste affatto. Infatti, anche dopo la già citata sentenza della Corte costituzionale n. 278 del 2013, permane pur sempre il diritto della donna a partorire nell’anonimato e a conservare il segreto per un tempo di cento anni, essendo stata censurata solo l’irreversibilità della scelta della donna, invitando il legislatore a «introdurre apposite disposizioni volte a consentire la verifica della perdurante attualità della scelta della madre naturale di non voler essere nominata». In ogni caso, a parte la discutibile scelta legislativa di far riferimento al compimento del venticinquesimo anno – anziché semplicemente al raggiungimento della maggiore età – al fine di attribuire all’adottato un diritto di accesso pieno – e non più condizionato – ai dati identificativi dei genitori naturali, si può constatare agevolmente che, nel caso della fecondazione eterologa, non sussistono quelle ragioni che hanno suggerito al legislatore di limitare in vario modo al diritto dell’adottato a conoscere le proprie origini. La disciplina di questo diritto deve infatti tener conto sia dell’esigenza di preservare la coesione e l’armonia della famiglia adottiva anzitutto nell’interesse dell’adottato sia dell’esigenza di salvaguardare la vita del nascituro e la tutela della donna attraverso la garanzia della possibilità del parto anonimo. Non sembra però che ricorrano esigenze analoghe anche nel caso della fecondazione eterologa. Qui non c’è una situazione di abbandono di un minore e l’anonimato del cd. donatore servirebbe solo a tutelare questo stesso soggetto. L’unica accortezza dovrebbe essere allora quella di prevedere, nel caso di figlio minorenne, una qualche forma di accompagnamento psicologico al fine di favorire una conoscenza non traumatica delle origini. 9. Può poi essere utile osservare che, anche nel panorama europeo, non mancano ordinamenti che escludono l’anonimato del donatore accanto a ordinamenti che invece lo garantiscono anche con un certo rigore. La legge spagnola del 2006 stabilisce tuttora che «los hijos nacidos tienen derecho… a obtener información general de los donantes que no incluya su identidad» salvo i casi eccezionali in cui si deve scongiurare «un peligro cierto para la vida o la salud del hijo» o per consentire il rispetto di norme penali (art. 5 l. 26 maggio 2006, n. 14). La soluzione adottata dal legislatore francese del 1994 è ancora più rigorosa: il Code de la santé publique prevede infatti che «un médecin – e dunque non il nato da fecondazione eterologa – peut accéder aux informations médicales non identifiantes en cas de nécessité thérapeutique concernant un enfant conçu à partir de gamètes issus de don» (art. L1244-6 Code cit.). D’altra parte, proprio negli ordinamenti europei in cui il ricorso alla fecondazione eterologa è stato ammesso da più tempo e il punto di vista dei nati ha potuto così guadagnare una visibilità sociale crescente, il diritto del donatore a conservare l’anonimato, che pure era stato inizialmente previsto, è stata successivamente escluso. Così è avvenuto in Svezia, in Gran Bretagna e in Svizzera. In particolare, nel Regno Unito le donazioni di gameti non possono più essere anonime già dall’aprile del 2005. Inoltre, a far data dall’aprile del 2006, i gameti donati anonimamente non possono più essere utilizzati a meno che il donatore anonimo non sia disposto a identificarsi. È ben noto, poi, che il legislatore tedesco, che peraltro vieta e sanziona penalmente anche l’ovodonazione oltre che la maternità surrogata (cfr. art. 1 Embryonenschutzgesetz del 1990), non ha mai ritenuto di dover garantire l’anonimato al cd. Samenspender e anzi riconosce anche al nato da fecondazione eterologa sia l’accesso alla procedura di Abstammungsklärung di cui al nuovo § 1598a BGB – e cioè alla generale procedura, introdotta nel 2008, per l’accertamento delle origini genetiche – sia, avendolo messo in chiaro fin dal 2002, il diritto di avvalersi della Vaterschaftsanfechtung – e cioè del disconoscimento di paternità – in caso di accertamento negativo della corrispondenza dello status al dato biologico (cfr. § 1600, comma 5, BGB). Nell’ordinamento tedesco, dunque, al nato da fecondazione eterologa viene riconosciuto non solo il diritto “minore” alla conoscenza delle origini biologiche, ma anche il diritto “maggiore” all’accertamento di uno status ad esse conforme. Sulla praticabilità di quest’ultima soluzione, che potrebbe prestarsi anche al perseguimento di finalità poco commendevoli, si dovrebbe invero riflettere più attentamente. In ogni caso, non diversamente dalla nostra Corte costituzionale, anche il Bundesverfassungsgericht, già dalla fine degli anni ottanta del secolo scorso, ha isolato il diritto alla conoscenza delle origini genetiche quale manifestazione specifica dell’allgemeines Persönlichkeitsrecht (diritto generale della personalità), fondandone così la tutela sulla garanzia costituzionale della dignità della persona umana e sul diritto fondamentale al libero sviluppo della personalità (art. 1, comma 1 e art. 2, comma 1, Grundgesetz). E, di recente, anche la giurisprudenza di merito, e segnatamente l’Oberlandgericht di Hamm, ha avuto modo di chiarire che l’interesse del nato da fecondazione eterologa a conoscere le origini biologiche deve prevalere rispetto a quello del medico e del donatore alla segretezza dei dati relativi alla donazione e che l’accordo tra i genitori e il medico volto a garantire l’anonimato del donatore deve considerarsi nei riguardi del nato un inammissibile contratto a danno del terzo (ein unzulässiger Vertrag zu Lasten Dritter; cfr. OLG Hamm, 6 febbraio 2013). Peraltro, sempre in Germania, è solo a partire dal 2007 che si è cominciato a dare una qualche effettività al diritto a conoscere le origini biologiche del nato da fecondazione eterologa prevedendo il prolungamento fino a trent’anni dell’obbligo per le banche del seme di conservare tutta la documentazione necessaria per l’identificazione del donatore. 10. Anche questi sommari dati comparatistici contribuiscono ad evidenziare quale sia il compito che, all’indomani della pubblicazione della sentenza della Corte, attende ormai anche il legislatore italiano, chiamato a rendere effettiva – e non meramente fittizia – una logica di bilanciamento tra i valori concorrenti del rispetto dell’identità personale e del libero e autonomo sviluppo della personalità, da un lato, e della non interferenza nell’autodeterminazione nelle scelte riproduttive, dall’altro. Una opzione astensionista non sembra invece praticabile. Non sembra cioè che il legislatore possa sottrarsi al proprio dovere costituzionale «di rimuovere gli ostacoli… che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana» (art. 3, comma 2, Cost.). Si deve infatti riconoscere che, in definitiva, anche nel caso del regolamento della fecondazione eterologa, si tratta pur sempre di reagire al fine di impedire una nuova possibilità di discriminazione nello sviluppo della persona umana determinata dall’impiego delle biotecnologie. Insomma, quella che qui si ripropone è sempre la medesima questione sociale. La cd. questione antropologica è una novità solo apparente. In realtà è una nuova modalità di porsi della stessa questione sociale, della lotta per l’uguaglianza sostanziale di tutti i cittadini, che in questo caso è messa in discussione sotto il profilo della condizione personale. Né si può pensare che l’urgenza di una mediazione politica, che si realizza attraverso il primato della legislazione, possa essere sostituita da una giurisdizione capace di attingere immediatamente la giustizia. Come ha scritto un civilista autorevole, infatti, non possiamo continuare a illuderci che oltre il primato della legislazione, in quanto espressione della sovranità popolare, ci sia un giudice che interpella direttamente la giustizia. In realtà, per dirla ancora con Mario Barcellona, oltre il primato della legge ci sono solo «gli automatismi della società depoliticizzata del mercato, ed oltre il Potere politico non c’è il Potere giurisdizionale ma l’individualismo moderno e la potenza del calcolo economico». 11. Fin qui ho provato a svolgere il compito che mi è stato affidato ragionando sulla base dei dati normativi nazionali e sovranazionali così come vengono intesi dai loro interpreti istituzionali, e dunque assumendo in particolare la prospettiva di chi ritiene che esista un diritto del nato da fecondazione eterologa a conoscere le proprie origini biologiche e che questo diritto rappresenti una componente essenziale della tutela dell’identità personale. Devo però confessare che, riflettendo su questi temi, mi sono chiesto più volte se il vero problema che il ricorso a certe tecniche pone al giurista sia la tutela dell’interesse del nato da fecondazione eterologa a conoscere le proprie origini biologiche. Insomma, siamo proprio sicuri che l’interesse del nato da fecondazione eterologa a conoscere l’identità del donatore sia del tutto equiparabile a quello dell’adottato a conoscere i genitori biologici? Siamo proprio sicuri cioè che il vero problema per la garanzia della dignità della persona sia solo quello di indentificare la provenienza di un patrimonio genetico e non anche il fatto stesso che, con l’impiego delle tecniche di riproduzione assistita, la persona finisce per essere prodotta e non più generata? Si è detto in precedenza che anche per le Corti la biografia della persona deve ormai considerarsi inscritta nella sua dimensione biologica, e che dunque questa rappresenta una componente essenziale – anche se non esclusiva – di quella. Ma siamo sicuri che quando il concepimento diventa un fatto artificiale, che prescinde dall’accoppiamento, può ancora permanere quel rapporto tra biologia e biografia che si ritiene costitutivo dell’identità della persona? E che perciò quel rapporto, disconosciuto all’origine nel caso della fecondazione eterologa, può essere ricostituito ex post attraverso la conoscenza dell’identità del donatore? La persona è lesa nella sua dignità a causa di un segreto rimovibile su un dato biologico o per il fatto stesso di essere stata prodotta e non generata? E dunque per il fatto di non avere affatto dei genitori nel senso proprio del termine? Insomma, perché mai l’adottato può avvertire il desiderio di conoscere i propri genitori naturali? Solo perché hanno il suo stesso patrimonio genetico o perché sono coloro che l’hanno prima generato e poi abbandonato? Che cos’è che lo muove davvero alla ricerca? Una semplice curiosità? O forse la nostalgia di un atto d’amore, di una comunione originaria, di una comunione corporea e non semplicemente spirituale? Ciò che l’adottato davvero vuole è sanare una ferita, elaborare il trauma dell’abbandono. Ma allora si può dire che basta la conoscenza di un dato biologico per ricostruire ex post la biografia della persona? Non è forse vero, piuttosto, che la biografia della persona è il racconto di una genealogia, e dunque un racconto che può prescindere dal fatto dell’accoppiamento solo a costo di rimanere irrimediabilmente monco? Che cos’è in definitiva che ha davvero una portata devastante per l’identità della persona? Solo la mancanza di corrispondenza dello status alla verità biologica? Oppure, anche a prescindere da questa mancanza di corrispondenza, lo stesso carattere artificiale del concepimento, per cui il nato è fatto oggetto di un potere dell’adulto? Se la domanda che si pone l’adottato è: – perché sono stato abbandonato? – che cos’è che in me non va bene al punto di essere abbandonato?, la domanda che si pone il nato da fecondazione eterologa è molto diversa ed è ancora più terribile: – che cos’è che in me non va bene al punto che perfino la natura mi avrebbe rifiutato? Ma allora non è proprio il carattere artificiale del concepimento – e dunque la produzione tecnica della vita, che prescinde dall’accoppiamento – il vero ostacolo allo sviluppo della persona che il legislatore deve rimuovere per garantire la possibilità di una socialità davvero fondata sull’uguaglianza? Insomma, quale democrazia può essere possibile se la logica del potere si impadronisce dell’intera vicenda dell’essere umano? Se la persona stessa può essere prodotta ed è negata la sua irriducibile resistenza ad ogni forma di oggettivazione? Se non si ritiene più possibile individuare un limite realistico alla volontà di potenza? Ma con ciò non siamo forse arrivati al cuore della conformazione sociale e culturale di un popolo? E dunque al cuore della sua stessa Costituzione? Su questi temi ha riflettuto in particolare un giurista come Pietro Barcellona nell’ultima parte della sua vita, invitandoci costantemente a saper guardare al di là della sterile contrapposizione ideologica tra un modello “liberale” e un modello “autoritario” di disciplina della riproduzione assistita e soprattutto a non perdere mai di vista la vera posta in gioco in questa partita. Mi chiedo se non sia il caso di cominciare a prendere sul serio quell’insegnamento. [*] L’intervento è parte degli Atti del Convegno “Quale diritto per i figli dell’eterologa?” che ha avuto luogo nel pomeriggio di martedì 3 giugno 2014 presso la Sala della Regina della Camera dei Deputati. 10 giugno 2014

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