skip to Main Content

Il finanziamento della ricerca da parte dell’Unione europea e il diritto alla vita: nuove prospettive alla luce della sentenza Brüstle della Corte di giustizia?

di Filippo Vari Sommario

  1. Introduzione
  2. Il programma quadro sulla ricerca e le competenze dell’Unione europea
  3. La tutela della vita nascente nel sesto e nel settimo programma quadro sulla ricerca
  4. Le possibili implicazioni della sentenza Brüstle su Horizon 2020

1. Introduzione

Nelle prossime settimane gli organi dell’Unione europea saranno chiamati ad approvare, in via definitiva, il nuovo programma quadro sulla ricerca, per il periodo 2014-2020, che prende il nome di «Horizon 2020» [1]. Questo lavoro si propone di affrontare il tema della tutela della vita umana nascente nell’ambito di tale programma. A tal fine è opportuno prendere le mosse da una rapida analisi dello strumento del programma quadro e della sua storia, passando poi ad illustrare i problemi per la tutela della vita nascente da esso sollevati e, infine, la possibile influenza su siffatta problematica della nota sentenza Brüstle della Corte di giustizia dell’Unione europea. [2]

2. Il programma quadro sulla ricerca e le competenze dell’Unione europea

Sin dal 1983 l’allora Comunità Economica Europea ha attuato una politica di sviluppo tecnologico e ricerca che si fonda su programmi quadro pluriennali, prima sulla base dei poteri regolati dall’art. 235 del Trattato di Roma (ora art. 308 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di seguito TFUE) e poi, dopo l’Atto Unico Europeo, in forza di una specifica previsione all’interno dei Trattati. [3] Dopo una serie di interventi normativi [4] – sorretti dalla crescente consapevolezza che alcuni obiettivi nel settore della ricerca “non possano essere raggiunti né soddisfatti al meglio senza ricorrere ad azioni che superino il confine statuale e si avvalgano di risorse, umane  e finanziarie, di carattere sovranazionale” [5] – attualmente nel TFUE è presente un titolo, il XIX, dedicato proprio a “ricerca e sviluppo tecnologico e spazio”. Una disposizione contenuta in tale titolo proclama che “l’Unione si propone l’obiettivo di rafforzare le sue basi scientifiche e tecnologiche con la realizzazione di uno spazio europeo della ricerca nel quale i ricercatori, le conoscenze scientifiche e le tecnologie circolino liberamente, di favorire lo sviluppo della sua competitività, inclusa quella della sua industria, e di promuovere le azioni di ricerca ritenute necessarie ai sensi di altri capi dei trattati”. [6] Inoltre, lo stesso Trattato stabilisce che “il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale, adottano un programma quadro pluriennale che comprende l’insieme delle azioni dell’Unione”. [7] Quest’ultima, rispetto agli Stati membri, non gode della competenza a stabilire la liceità o meno di determinati tipi d’indagine scientifica, ma può soltanto promuovere la cooperazione nel settore della ricerca mediante il finanziamento della stessa. [8] In tale ambito i Programmi quadro per la ricerca costituiscono degli strumenti poderosi. Il vigente Settimo, per il periodo 2006-2013, prevede un finanziamento di più di 50 miliardi di euro, “ossia in media 7217 milioni di euro l’anno”. [9] L’obiettivo è quello di creare uno spazio europeo della ricerca, rilanciando la c.d. strategia di Lisbona, che “ha fatto della conoscenza un asse portante” fra quelli finalizzati a rendere l’economia europea “la più dinamica e competitiva del mondo”. [10]

3. La tutela  della vita umana nascente nel sesto e nel settimo programma quadro sulla ricerca

Come già accennato, la scelta sulla liceità di determinati tipi d’indagine scientifica rimane saldamente ancorata nell’ambito delle competenze degli Stati membri dell’UE, con la conseguenza – scontata, alla luce di tale assetto – che  alcuni Paesi permettono certe ricerche, in altri vietate.  Ferma restando tale competenza degli Stati, il problema posto dall’approvazione del programma quadro, sia in chiave storica, sia nella situazione attuale, è rappresentato dall’individuazione dei criteri per la selezione delle ricerche finanziabili e, in particolare, dalla possibilità di sostenerne alcune che comportino o presuppongano comunque la distruzione di embrioni umani. Nell’ambito del “Sesto programma quadro di Ricerca e Sviluppo Tecnologico dell’Unione Europea”, relativo al periodo 2002-2006, era stata trovata una soluzione di compromesso, con la proclamazione di una moratoria che escludeva “espressamente il finanziamento comunitario delle ricerche finalizzate, tra l’altro, alla creazione (ma non anche all’utilizzo) di embrioni a fini di ricerca o per la fornitura di cellule staminali”. [11] In occasione dell’approvazione del successivo settimo programma quadro, nel 2006, sono noti i problemi dell’allora Governo Prodi II, da qualche mese in carica: l’anno precedente, l’Italia, nella persona del Ministro dell’Università e della Ricerca del III Governo Berlusconi – che aveva investito della questione il Consiglio dei ministri  e agiva in conformità a un parere del Comitato nazionale di Bioetica [12] – nell’ambito di un Consiglio dell’Unione sulla competitività, aveva sottoscritto, insieme ad altri Stati membri, una “Dichiarazione etica in relazione al Settimo programma quadro”. In essa si proclamava solennemente di non poter “accettare che attività comportanti la distruzione di embrioni umani” potessero “beneficiare di un finanziamento a titolo del settimo programma quadro di ricerca” [13]. Veniva perciò invitata “la Commissione ad abbandonare i progetti relativi all’ammissibilità al finanziamento di attività di ricerca” che prevedessero “la distruzione di embrioni umani”. Dopo le elezioni italiane e la formazione di un nuovo Esecutivo, in contrasto con l’operato del proprio predecessore, il Ministro dell’Università e della Ricerca del Governo Prodi II, nel maggio 2006, senza informare le competenti Commissioni parlamentari, né portare la decisione in Consiglio dei ministri [14] decise di mutare la posizione dell’Italia, rendendo noto che, in sede di Consiglio dell’Unione, al momento della definitiva approvazione del settimo programma quadro, avrebbe votato a favore del finanziamento della ricerca anche distruttiva di embrioni. [15] Il mutamento della posizione dell’Italia precludeva la possibilità di dar vita a una minoranza di blocco sul tema e, alla fine, le Istituzioni comunitarie hanno adottato una soluzione di compromesso, analoga a quella del sesto programma quadro, anche per il successivo settimo. Accanto al divieto di sostenere “attività di ricerca volte a creare embrioni umani esclusivamente a fini di ricerca o per l’approvvigionamento di cellule staminali, anche mediante il trasferimento di nuclei di cellule somatiche” si era, infatti, previsto che  la “Commissione europea continuerà nella pratica corrente e non sottoporrà al Comitato regolatorio proposte di progetti che includano attività di ricerca che distruggano embrioni umani, comprese quelle per l’ottenimento di cellule staminali”. A tale proclamazione si è, però, aggiunta immediatamente dopo la precisazione che “l’esclusione dal finanziamento di questo stadio di ricerche non impedirà alla Comunità di finanziare stadi successivi che coinvolgano cellule staminali embrionali umane”. [16] Questa soluzione era sostanzialmente equivalente a quella del sesto programma quadro e del pari segnata da una profonda incoerenza. Da un lato, si escludeva dal finanziamento la ricerca che distruggeva embrioni, in ragione della necessità di preservare il diritto alla vita di questi ultimi; d’altro lato, però, si prevedeva la possibilità di destinare finanziamenti alle fasi successive a tale distruzione. In sostanza, si trattava di un invito a distruggere attraverso fondi privati l’embrione, per ricavarne linee cellulari in ordine alle quali chiedere il finanziamento pubblico, [17] senza alcuna coerenza con il divieto di finanziare direttamente la ricerca volta a distruggere gli embrioni e le “attività di ricerca volte a creare embrioni umani esclusivamente a fini di ricerca o per l’approvvigionamento di cellule staminali, anche mediante il trasferimento di nuclei di cellule somatiche”. Infatti, questi divieti si spiegavano e tuttora si spiegano esclusivamente in ragione della tutela del diritto alla vita dell’embrione e dell’impossibilità di considerarlo come una res.  Se, dunque, in assenza della prova di un salto qualitativo tra la fecondazione dell’ovulo e la nascita, va riconosciuto che l’embrione è persona, questa andrebbe sempre effettivamente tutelata in ogni stadio, salvo non riproporre le teorie delle lebensunwerten Lebens [18] o ritenere che l’uomo non sia sempre un fine, ma possa essere considerato in alcuni casi un mezzo. Un esempio tratto dalla prassi vale a dimostrare quanto insoddisfacente fosse la soluzione ora menzionata, nonché la fondatezza delle critiche esposte in ordine alla sua incoerenza con la scelta di tutelare la vita umana nascente: nella rete Internet si trovano indicazioni relative a una ricerca finanziata tramite il settimo programma quadro, la Embryonic Stem cell-based Novel Alternative Testing Strategies (ESNATS). [19] Questa ricerca gode di un fondo di 15,5 milioni di euro, di cui 11,9 milioni offerti in 5 anni nell’ambito del settimo programma quadro. Essa ha, tra i propri scopi, il c.d. Alternative testing , e cioè lo sviluppo di un’alternativa ai test sugli animali, sostituendo questi ultimi con cellule ricavate con l’uccisione di embrioni umani. [20] Si arriva così alla paradossale e drammatica conclusione che le cellule staminali prodotte sacrificando embrioni umani, che avrebbero dovuto essere utilizzate per il conclamato obiettivo – sinora mai raggiunto – di curare l’uomo, sono invece sfruttate per preservare la vita degli animali.

4. Le possibili implicazioni della sentenza Brüstle su Horizon 2020

Alla luce di queste considerazioni va valutata la problematica della possibile influenza, sul prossimo programma quadro sulla ricerca, dei principi affermati dalla Corte di giustizia in una fondamentale e ben nota sentenza sugli embrioni, richiamata all’inizio di questo lavoro, la decisione Brüstle. Con essa la Corte di giustizia si è pronunciata sull’interpretazione della direttiva 98/44/CE del 6 luglio 1998 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa alla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche e, in particolare, sull’art. 6, paragrafo 2, lett. c), della stessa. Detto articolo stabilisce che non possano essere brevettate quelle invenzioni il cui sfruttamento commerciale è contrario all’ordine pubblico o al buon costume e in particolare, al paragrafo 2, lett. c), prevede il divieto di brevettabilità per le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali e commerciali. [21] In proposito va premesso che la Commissione non ha tenuto in alcun conto la decisione nella preparazione della bozza dell’ottavo programma quadro, che riproduce in copia l’ambiguità e la irragionevolezza del sesto e del settimo. Al contrario, nel settembre del 2012 la Commissione giuridica del Parlamento europeo ha approvato un parere [22] – poi disatteso da altre Commissioni e dall’Aula – che, proprio sulla base della sentenza Brüstle, proponeva di escludere, in Horizon 2020, la possibilità di finanziare ricerche che comportassero o presupponessero comunque la distruzione di embrioni umani. Sul punto va evidenziato che la sentenza Brüstle ha ovviamente un’efficacia limitata sulla tematica della ricerca, affrontando direttamente soltanto l’aspetto legato ai brevetti sulla stessa. Il giudice rimettente ha, tra l’altro, chiesto alla Corte “se l’esclusione dalla brevettabilità relativa all’utilizzazione di embrioni umani a fini industriali o commerciali verta altresì sull’utilizzazione di embrioni umani per la ricerca scientifica o se la ricerca scientifica che implica l’utilizzazione di embrioni umani possa ottenere la protezione del diritto dei brevetti”. In proposito la Corte ha osservato che “il fatto di accordare a un’invenzione un brevetto implica, in linea di principio, lo sfruttamento industriale e commerciale della stessa”. La Corte ha, dunque, concluso che “l’utilizzazione, oggetto di una domanda di brevetto, di embrioni umani a fini di ricerca scientifica non può essere distinta da uno sfruttamento industriale e commerciale e, pertanto, sottrarsi all’esclusione dalla brevettabilità” e che “solo l’utilizzazione per finalità terapeutiche o diagnostiche che si applichi all’embrione umano e sia utile a quest’ultimo può essere oggetto di un brevetto”. Sotto altro profilo la decisione ha posto sullo stesso piano, escludendone la brevettabilità, non solo ogni tipo d’invenzione che “abbia di per sé ad oggetto l’utilizzazione di embrioni umani”, ma anche quella che “verta su un prodotto il cui ottenimento presuppone la previa distruzione di embrioni umani o riguardi un procedimento che richiede un materiale di base ottenuto mediante la distruzione di embrioni umani”. Dunque, nell’Unione europea non è possibile brevettare non solo le ricerche che comportano la distruzione di embrioni, ma anche quelle che presuppongono tale distruzione, pur non cagionandola direttamente. Si pensi proprio alle cellule staminali embrionarie, la cui ricerca è finanziata dal vigente settimo programma quadro: i risultati di tale ricerca, in ragione della direttiva citata e dell’interpretazione fornitane dalla Corte di giustizia, non possono formare oggetto di alcun brevetto. Come notato, sia pure in chiave critica, da alcuni commentatori, a seguito della sentenza Brüstle la ricerca che, comunque, implica la distruzione di embrioni perde interesse per i principali attori economici del settore, che tra l’altro sono spesso chiamati dai bandi adottati nell’ambito dei Programmi quadro sulla ricerca a contribuire, con propri fondi, al finanziamento delle indagini scientifiche in partnership con l’UE: quale soggetto privato è, infatti, disposto a pagare per far svolgere ricerche, i cui risultati poi non possono apportare alcun “beneficio” commerciale ? Al di là di tale influenza immediata sulla ricerca occorre chiedersi se dalla sentenza Brüstle non si possano ricavare conseguenze ulteriori, che, seppur non in grado di esplicare un’efficacia diretta sulla problematica in esame, siano in grado di orientare a livello di principio l’operato dei titolari del potere normativo nell’Unione europea. In proposito, un primo aspetto fondamentale è rappresentato dal riconoscimento, operato dalla sentenza sulla base della citata direttiva 98/44/CE, che l’embrione gode, sin dal concepimento, della dignità propria di ogni uomo [23] e che non è possibile distinguere dal concepimento varie fasi nello sviluppo, tali da comportare in alcuni periodi una tutela attenuata o ridotta: ad esempio, i principi espressi nella decisione escludono la possibilità di fare applicazione, nell’ordinamento dell’UE, della teoria del c.d. preembrione. Un ulteriore aspetto di grande importanza è la considerazione presente nella sentenza che la dignità dell’essere umano è messa a repentaglio tanto in caso di distruzione diretta degli embrioni, quanto in situazioni nelle quali, pur non avendo luogo direttamente tale distruzione, essa è tuttavia necessariamente presupposta. Diventa, pertanto, difficile sostenere la ragionevolezza del compromesso – alla base tanto degli ultimi Programmi quadro, quanto della bozza dell’ottavo – in forza del quale è vietato sostenere economicamente la distruzione diretta degli embrioni, ma non lo è finanziare ricerche che ad ogni modo si fondano su tale distruzione: in sostanza, è fuorviante e irragionevole operare una distinzione tra distruzione diretta dell’embrione e distruzione presupposta per discernere quanto ai finanziamenti. Coerenza ed efficienza dell’azione dell’Unione vorrebbero, dunque, che non si finanziassero più ricerche che distruggono comunque l’embrione umano, [24] tanto più che esse, a differenza delle ricerche su cellule staminali adulte, sinora non hanno prodotto alcun risultato. La partita per l’approvazione del nuovo programma quadro è ancora aperta: presto vedremo che posizione prenderanno le Istituzioni dell’UE e, in particolare, se a prevalere sarà un irragionevole compromesso “al ribasso” oppure la tutela della dignità dell’uomo e del suo diritto alla vita.

Note

[*] Il presente contributo è stato preventivamente sottoposto a referaggio anonimo affidato ad un componente del Comitato di Referee secondo il Regolamento adottato da questa Rivista. [**]Testo dell’intervento preparato dall’autore per il Convegno di studi su “La dignità dell’uomo tra Diritto dell’Unione europea e Diritto interno. Dalla sentenza Brüstle alla giurisprudenza della Corte di cassazione sulla vita nascente”, organizzato, il  12 novembre 2012, dall’Università Europea di Roma, con il patrocinio dell’Ufficio italiano del Parlamento Europeo,  nell’ambito della settimana “L’Europa è per i diritti”. [1] La bozza di tale programma è consultabile su Internet, all’indirizzo http://ec.europa.eu/research/horizon2020/index_en.cfm [2] Grande Sezione, sent. 18 ottobre 2011, causa C-34/10, Oliver Brüstle. Su tale decisione v. E. Rossi, Rasgos constitucionales de la protección del embrión. Una introducción, in Estudios de Deusto, Vol. 60/1, Bilbao, Enero-Junio, 2012, 307 ss.; E. Catelani, Embriones y procreación asistida ante los tribunales europeos: remisión a la decisión de los jueces nacionales, ibid., 371 ss.; F. Piergentili, La Corte di giustizia e la tutela dell’embrione umano nei confronti dei brevetti. La supremazia della dignità della persona umana nella tutela europea dei diritti fondamentali, nel Focus Human Rights di Federalismi.it Rivista di Diritto pubblico italiano, comunitario e comparato, n. 11 del 2013, all’indirizzo www.federalismi.it ; A. Stazi, Innovazioni biotecnologiche e brevettabilità del vivente. Questioni giuridiche e profili bioetici nei modelli statunitense ed europeo, Torino, 2012, 230 ss. In chiave critica v., inoltre, A. Spadaro, La sentenza Brüstle sugli embrioni: molti pregi e… altrettanti difetti, nel Forum di Quaderni costituzionali, all’indirizzo www.forumcostituzionale.it  (3 maggio 2012). [3] Sul punto v. R. Giuffrida – A. Pistilli, Ricerca e sviluppo tecnologico, in AA.VV., L’ordinamento europeo. Le politiche dell’Unione, a cura di S. Mangiameli, Milano, 2008, 972 ss. [4] Per i quali v. R. Giuffrida – A. Pistilli, loc. ult. cit. [5] R. Giuffrida – A. Pistilli, op. cit., 1005. [6] Art. 179, par. 1, TFUE. Per un quadro generale su tale articolo v. M. Ruffert, Art. 179, in EUV/AEUV Kommentar, a cura di C. Calliess – M. Ruffert, 4 ed., München, 2011, 1896 ss. [7] Art. 182, par. 1, TFUE, sul quale, in generale, v. M. Ruffert, Art. 182, ibid., 1905 ss. [8] Nei considerando del settimo programma quadro, adottato per il periodo 2007-2013, si legge: “(1) La Comunità si è posta l’obiettivo, sancito dal trattato, di rafforzare le basi scientifiche e tecnologiche dell’industria comunitaria, garantendo in tal modo un elevato livello di competitività a livello internazionale. A tal fine la Comunità ha il compito di promuovere tutte le attività di ricerca ritenute necessarie, in particolare incoraggiando le imprese, ivi comprese le piccole e medie imprese (“PMI”), i centri di ricerca e le università nelle loro attività di ricerca e sviluppo tecnologico. In questo contesto è opportuno dare priorità a settori e progetti per i quali il finanziamento e la cooperazione europei sono di particolare importanza e si traducono in valore aggiunto. Tramite il suo sostegno alla ricerca alle frontiere della conoscenza, alla ricerca applicata e all’innovazione, la Comunità intende favorire le sinergie nella ricerca europea e consolidare quindi le basi dello Spazio europeo della ricerca. Ciò fornirà un utile contributo al progresso economico, sociale e culturale di tutti gli Stati membri. (2) Il ruolo centrale della ricerca è stato riconosciuto dal Consiglio europeo di Lisbona del 23- 24 marzo 2000 che ha posto per l’Unione europea un nuovo obiettivo strategico per il prossimo decennio: diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale. Il triangolo della conoscenza — istruzione, ricerca e innovazione — è essenziale per conseguire tale obiettivo. A tal fine la Comunità mira a mobilitare e rafforzare le capacità di ricerca e di innovazione necessarie. In questo contesto, il settimo programma quadro è uno strumento comunitario fondamentale, a complemento degli sforzi degli Stati membri e dell’industria europea”. Quanto specificamente al rapporto Unione-Stati membri nella materia in esame cfr. R. Giuffrida – A. Pistilli, op. cit., 1005, i quali evidenziano come “nell’ambito della ricerca e dello sviluppo tecnologico, non esista né un trasferimento di competenze esclusive dai singoli Stati alla Comunità né la riserva, a favore di quest’ultima, di un potere di iniziativa, bensì si configuri, di fatto, un dualismo di competenze fra i due soggetti – Comunità e singoli Paesi aderenti – che risultano essere, a tutti gli effetti, coprotagonisti della scena normativa”. [9] Cfr. http://europa.eu/legislation_summaries/energy/european_energy_policy/i23022_it.htm. [10] E. Cortese Pinto, Art. 149, in AA.VV., Trattati dell’Unione europea e della Comunità europea, a cura di Tizzano, Milano, 2004,  803; sia, inoltre, consentito il rinvio a F. Vari, La politica dell’istruzione e della formazione professionale, in AA. VV., L’ordinamento europeo, cit., 896 s. [11] L. Marini, La clonazione nel diritto internazionale e comunitario: bioetica globale o globalizzazione della bioetica?, in AA.VV., La tutela giuridica della vita prenatale, a cura di R. Rossano – S. Sibilla, Torino, 2005, 123; Id.,  Cellule staminali, libertà di ricerca e pericoli della tecno-scienza liberale, in Europa, 6 giugno 2006, p. 9. [12] Sul punto cfr. S. Ninatti, La logica de “le due politiche” o la democrazia presa sul serio ?, nel Forum di Quaderni costituzionali, all’indirizzo www.forumcostituzionale.it . [13] Sul punto sia consentito il rinvio a F. Vari, Prime note a proposito del finanziamento europeo della ricerca sulle cellule staminali embrionali, in Federalismi.it Rivista di Diritto pubblico italiano, comunitario e comparato, n. 16 del 2006. [14] Sul punto cfr. S. Ninatti, La logica de “le due politiche”, cit. [15] Per una critica di tale posizione, alla luce di quanto previsto dalla legge 19 febbraio 2004, n. 40 recante Norme in materia di procreazione medicalmente assistita, v. S. Ninatti, La logica de “le due politiche”, cit. [16] Sul punto cfr. A. Stazi, Innovazioni biotecnologiche e brevettabilità del vivente, cit., 89. Cfr. il testo della Commissione, secondo il quale: “omissis (1) The decision on the 7th Framework Programme explicitly excludes three fields of research from Community funding: – Research activities aiming at human cloning for reproductive purposes; – Research activities intended to modify the genetic heritage of human beings which could make such changes heritable; – Research activities intended to create human embryos solely for the purpose of research or for the purpose of stem cell procurement, including by means of somatic cell nuclear transfer. Omissis  (12) The European Commission will continue with the current practice and will not submit to the Regulatory Committee proposals for projects which include research activities which destroy human embryos, including for the procurement of stem cells. The exclusion of funding of this step of research will not prevent Community funding of subsequent steps involving human embryonic stem cells”. [17] Sul punto sia consentito il rinvio a F. Vari, Concepito e procreazione assistita. Profili costituzionali, Bari, 2008, 94 s. Per una diversa prospettiva v. invece J. Luther, Ragionevolezza e dignità umana, in POLIS Working Papers, Working Paper n. 79 dell’ottobre 2006 del Dipartimento di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive dell’Università del Piemonte orientale “Amedeo Avogadro”, disponibile su Internet all’indirizzo http://polis.unipmn.it/pubbl/RePEc/uca/ucapdv/luther79.pdf . [18] Su cui v. le considerazioni di R. P. George, Always to Care, Never to Kill, in National Review Online, 11 marzo 2005. [19] www.esnats.eu [20] “The aim of the ESNATS project is to develop a novel «all-in-one» toxicity test platform based on embryonic stem cells  (ESCs), in particular human ESC (hESCs), to accelerate drug development, reduce related R&D costs and propose a powerful alternative to animal tests in the spirit of the «Three R principle»”, vale a dire “reduction, refinement and replacement of animal experiments”. [21] Sul punto v. F. Piergentili, La Corte di giustizia e la tutela dell’embrione umano nei confronti dei brevetti, cit., 1 ss. [22] Parere della commissione giuridica sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il programma quadro di ricerca e innovazione (2014-2020) –  Horizon 2020, del 18 settembre 2012. Il parere, approvato con una larga maggioranza (18 voti favorevoli e 5 contrari) è disponibile su Internet all’indirizzo: www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-%2f%2fEP%2f%2fNONSGML%2bCOMPARL%2bPE-489.509%2b02%2bDOC%2bPDF%2bV0%2f%2fIT . [23] Sul punto v. F. Piergentili, La Corte di giustizia e la tutela dell’embrione umano nei confronti dei brevetti, cit., 4 ss.;  P. Nuevo López, Dignidad humana y patentabilidad de invenciones biomédicas, in Estudios de Deusto, cit., 26 s, il quale, in particolare, sottolinea: “el embrión tiene derecho a un respeto fundado sobre la dignidad humana … De ahí que en la Sentencia de 18 de octubre de 2011 el Tribunal excluya la patentabilidad de invenciones que requieren de la utilización de embriones o de células embrionarias, pues de lo contrario, se estaría permitiendo que embrión se convirtiera en un elemento de provecho para terceros, reduciéndolo a la categoría de objeto, que es precisamente lo que prohíbe el derecho a la dignidad humana. Puede afirmarse, por tanto, que existe un consenso europeo en prohibir la cosificación del embrión”. [24] V. L. Violini, Il divieto di brevettabilità di parti del corpo umano: un uso specifico e non inutile del concetto di dignità umana, in Quad. cost., 2012, 148, secondo la quale “occorre considerare che, a fronte della affermazione – più che condivisibile – dell’unitarietà del processo di formazione della vita, se non altro almeno sulla base di un principio di precauzione, nel settore della tutela dei diritti o dei finanziamenti alla ricerca altre sembrano le logiche dominanti; qui i diritti di embrioni e feti sono messi a confronto con i diritti delle madri e dei genitori o con gli interessi dei ricercatori, risultando nella maggioranza dei casi soccombenti; il che non può che creare degli squilibri”.

Back To Top