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L’evoluzione del diritto d’autore e la relativa tutela nell’ambito delle comunicazioni elettroniche. Le delibere Agcom 668/10/CONS e 398/11/CONS: dove eravamo rimasti?

di Annalisa Pistilli   Abstract: L’adozione di una legge ad hoc che sia in grado di tutelare il diritto d’autore e di combattere le relative violazioni che vengono commesse in rete è un’esigenza ineludibile che l’Italia, analogamente agli altri Stati europei, è chiamata necessariamente a soddisfare in tempi brevi. Lungi dal voler “mettere il bavaglio” al popolo del web, è giunto il tempo di introdurre nel nostro ordinamento una normativa rinnovata, che garantisca il rispetto dei diritti e delle regole anche in contesti meno tradizionali, caratterizzati da forme di fruizione e diffusione virtuale dei contenuti autorali,  perché “la rete non è terra di nessuno”. Gli effetti del protrarsi di questo vuoto normativo, a fronte di una disciplina obsolescente ed inadeguata, si riflettono in larga parte nella perdita di volumi di affari a causa del fenomeno della pirateria informatica. Dopo ben due tentativi di regolamentazione che, accolti con iniziale plauso da parte dei players, non hanno superato le numerose critiche ed obiezioni sollevate dalle associazioni di categoria e dagli operatori del settore nel corso delle consultazioni effettuate, i tempi sono ormai maturi per riaffrontare con nuova enfasi il tema, individuando il punto di equilibrio fra i due contrapposti interessi rappresentati dal diritto all’informazione – sottospecie del diritto di manifestazione del pensiero – e lo stesso diritto d’autore.   The adoption of an ad hoc legislation that may protect the copyright and prevent the relative violations committed on the net, is an unavoidable demand that Italy, in accordance to the other EU Member States, must solve rapidly. Far from wanting to muzzle the people of the web, it’s time to introduce in our legal system a renewed discipline, which can protect and grant the respect of the rights and the rules even in less traditional contexts, characterized by way of use and virtual diffusion of authoral contents, because “the net is not nobody land”. The permanence of such a legislative gap, against a discipline obsolescent and inadequate, provokes mostly a serious loss of turnover volumes due to the piracy. After two regulatory attempts, at first welcomed with pleasure by the players, but which didn’t pass various observations and criticism coming from the lobbies, the associations and the sector’s stakeholders during the consultation period, this is the time to deal with this issue again and to solve it actually with a new emphasis, trying to find the balance point between the following opposing interests: the right to the information – subspecies of the right of freedom speech – and the author’s right.   Sommario: 1. Premessa. – 2. L’avvento del web e le nuove forme di comunicazione e fruizione delle opere: verso una nuova era del diritto d’autore. – 3. La delibera Agcom 668/10/CONS: fra plausi dei players e censure del popolo della rete. – 4. Segue: l’attribuzione della competenza avente ad oggetto la risoluzione delle controversie fra operatori. – 5. Segue: le licenze collettive estese. – 6. La nuova delibera Agcom 398/11/CONS. – 7. La violazione del diritto d’autore e il sistema del notice and take down. – 8. Il dibattito sulla competenza dell’Agcom in materia di tutela del diritto d’autore e sulla relativa potestà di adottare misure restrittive nei confronti degli operatori. – 9. La responsabilità degli Internet Service Providers: il d.lgs. 70/2003. – 10. Segue: la responsabilità degli Internet Service Providers alla luce della più recente giurisprudenza. – 11. Conclusioni.   1. Premessa   L’iniziativa avviata dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni Garante delle Comunicazioni (nel prosieguo Agcom) in tema di tutela del diritto d’autore e l’entusiasmo con cui è stata salutata dagli studiosi e dalle associazioni di categoria operanti nel settore, i cui dibattiti hanno accompagnato le due consultazioni succedutesi a stretto giro di tempo, ha ingenerato la speranza – nei fatti rivelatasi mal riposta – di un imminente intervento regolatorio in merito da troppo tempo atteso. Tuttavia, le pressanti contestazioni delle proposte licenziate dall’Autorità a valle delle consultazioni così effettuate e le notevoli perplessità sollevate circa la (presunta) competenza di quest’ultima ad intervenire con una normazione di secondo grado, hanno determinato il fallimento dell’iter procedimentale dell’Agcom e paralizzato la vis innovativa contenuta nelle delibere in esame. Come avremo modo di illustrare nel prosieguo, non riteniamo però, a differenza di alcune voci critiche che si sono levate al riguardo, che tale naufragio sia ascrivibile all’ “inopportunità di intervenire in via amministrativa su un tema che negli altri paesi viene regolamentato con provvedimenti di legge”. [1] L’adozione di una legge ad hoc che sia in grado di tutelare il diritto d’autore e di combattere le relative violazioni che vengono commesse in rete è un’esigenza ineludibile che permette all’Italia di non segnare il passo rispetto al panorama europeo e di recuperare l’immagine di affidabilità ormai da tempo offuscatasi agli occhi non solo delle associazioni di settore ma anche degli altri Stati. Non si tratta di voler “mettere il bavaglio” al popolo del web, ma di introdurre nell’ordinamento una normativa che garantisca il rispetto dei diritti e delle regole in ambito autorale a vantaggio di tutti, perché “la rete non è terra di nessuno”. [2] Gli effetti del protrarsi di questo vuoto normativo, a fronte di una disciplina vittima di una obsolescenza tale da renderla inadeguata a risolvere le problematiche poste da forme di fruizione e diffusione dei contenuti autorali sempre più virtuali, si riflettono in larga parte nella perdita di volumi di affari a causa del fenomeno della pirateria informatica. Ad esempio, secondo quanto denunciato da Frontier Economics, l’impatto totale della pirateria a livello mondiale è pari a circa 550 miliardi di dollari. Di contro, a livello europeo, da uno studio della società TERA emerge che, con riferimento ai soli cinque Paesi più popolosi e al solo settore della pirateria online si verificano oltre 7 miliardi di infrazioni all’anno, per un totale di perdite, in termini di mancati introiti e posti di lavoro, stimate intorno ai 19 miliardi di euro e 80.000 occupati in meno nel solo 2009. In Italia, infine, un’indagine IPSOS del gennaio 2011 rivela che i mancati introiti causati dalla pirateria cinematografica sono stimati tra 234-375 milioni di euro (con un aumento, rispetto al 2010, del 5%). [3] Basti pensare che l’Office of the United States Trade Representative ha inserito l’Italia all’interno della c.d. watch list del suo “2011 Special 301 Report”, reputandola, pur mostrando apprezzamento per i numerosi sforzi compiuti negli ultimi tempi, ad alto rischio di pirateria e perciò da tenere attualmente sotto stretta osservazione (nell’elenco sono compresi anche Bielorussia, Bolivia, Brasile, Brunei, Colombia, Costarica, Repubblica Dominicana, Ecuador, Egitto, Finlandia, Grecia, Guatemala, Giamaica, Kuwait, Malaysia, Messico, Norvegia, Perù, Filippine, Romania, Spagna, Tagikistan, Turchia, Turkmenistan, Ucraina, Uzbekistan, Vietnam). Il furto di contenuti culturali, come affermato dal presidente dell’Agcom, “danneggia la creatività, la nuova economia e l’occupazione. E l’economia italiana può restare competitiva solo con l’innovazione, la creatività, la qualità”. [4] È quindi necessario assumere un mutato atteggiamento verso il problema poiché la tutela della proprietà intellettuale sul web non può essere un tabù, ma deve essere un volano per l’innovazione, per lo sviluppo dei contenuti legali e per l’economia del settore. Dopo due tentativi di regolamentazione non andati a buon fine, i tempi sono ormai maturi per riaffrontare con nuova enfasi e coraggio il tema, risolvendo quanto prima la controversa ma fondamentale diatriba fra libertà di informazione e tutela del diritto d’autore, imprescindibile per lo sviluppo economico digitale del nostro Paese. [5] Con il presente lavoro s’intende perciò dare debito spazio a ciò che sarebbe potuto essere e non è stato ma che, ci si auspica, potrà presto vedere la luce.   2. L’avvento del web e le nuove forme di comunicazione e fruizione delle opere: verso una nuova era del diritto d’autore.   Per poter adeguatamente affrontare i contenuti delle delibere de quibus, sembra opportuno accennare preliminarmente all’indagine conoscitiva effettuata dall’Agcom sulla tutela del diritto d’autore nelle reti di comunicazione elettronica e riflettere brevemente sulle criticità in essa evidenziate con riferimento all’inadeguatezza della previgente disciplina di fronte all’evoluzione della tecnologia digitale. Il sistema che il legislatore del 1941 aveva infatti posto a tutela del diritto d’autore era modellato su una tipologia di opera mai scissa dal corpus mechanicum, insuscettibile di circolare fuori dal controllo del proprio autore, in maniera indipendente e libera rispetto a tale supporto. La tutela approntata a favore della proprietà intellettuale era dunque bifronte: da un lato, era tesa a garantire al titolare la rivendicazione della paternità dell’opera, e, dall’altro, a permetterne la divulgazione erga omnes, purchè nei limiti temporali ed oggettivi  tipici dei diritti di esclusiva. Negli ultimi decenni, grazie alla diffusione delle tecnologie digitali e al proliferare di fornitori di contenuti audiovisivi, l´estensione del diritto d´autore è cresciuta esponenzialmente e, con esso, il novero dei diritti e dei relativi controlli, maggiormente idonei a regolamentare modalità di fruizione in precedenza sconosciute, atteso che le possibilità di comunicazione consentite dalle reti elettroniche provocano un aumento esponenziale delle forme di sfruttamento non autorizzato delle opere. [6] La possibilità di distribuire e scambiare agevolmente contenuti attraverso nuovi canali digitali ha fatto sì che l’opera in sè diventasse molto più “volatile” e si dematerializzasse a detrimento della capacità di controllo da parte dei legittimi titolari del diritto di paternità, per i quali le misure previste dalla previgente normativa erano oltremodo inefficienti, perché calibrate sulla stretta interdipendenza tra diritto e supporto, tra corpus mysticum e corpus mechanicum. Tale interdipendenza viene di contro “rotta” dall’avvento delle nuove tecnologie, [7] grazie a cui i costi di duplicazione e distribuzione dei contenuti si sono fortemente ridotti e qualunque utente è in grado di copiare e trasferire materiale altrui a prescindere dalla relativa disponibilità materiale, atteggiandosi, in definitiva, come produttore senza dover essere, necessariamente, anche autore di ciò che immette in rete (c.d. user generated content). [8] Come tuttavia sottolineato anche nel Libro Verde 2008 sul diritto d’autore nell’economia della conoscenza, nonché in un recente studio dell’OCSE, persiste una significativa differenza tra i contenuti creati dagli utenti – definiti come “contenuti messi a disposizione del pubblico su Internet che riflettono un certo grado di sforzo creativo e che vengono creati al di fuori di routine e pratiche professionali” [9] – e quelli già esistenti, soggetti all’apposita tutela autorale. Viene a porsi così un serio conflitto fra diritto d´autore e libertà di espressione e, in special modo, fra i sostenitori di una necessaria individuazione di uno spazio autonomo del diritto d’autore anche all’interno dello scenario rappresentato dalle reti di comunicazione elettronica e i teorizzatori di una rete libera e dinamica, in cui le informazioni possono e debbono viaggiare senza alcuna limitazione di sorta. [10]   3. La delibera Agcom 668/10/CONS: fra plausi dei players e censure del popolo della rete.   L’Agcom, con delibera 668/10/CONS del 17 dicembre 2010, ha quindi sottoposto a consultazione pubblica i “Lineamenti di provvedimento concernente l’esercizio delle competenze dell’Autorità nell’attività di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica”, in cui venivano analizzate, assieme alle criticità sottese a tale tematica, le eventuali soluzioni con cui si prefiggeva di intervenire in merito e su cui ha ritenuto opportuno avviare un confronto con tutti gli operatori del settore, allo scopo di individuare il giusto contemperamento fra istanze di segno opposto quali il diritto all’informazione e ad una rete libera, da un lato, e la tutela degli interessi e dei diritti di sfruttamento economico legati al diritto d’autore, dall’altro. [11] In tale ottica, “qualunque politica o intervento di contrasto della pirateria non può prescindere dalla contestuale identificazione di misure finalizzate a favorire la diffusione dell’offerta legale di contenuti accessibili ai cittadini” [12] e per la cui realizzazione l’Autorità stessa si è dichiarata disponibile a costituire presso di sé un tavolo tecnico in cui i vari players possano confrontarsi. Nel corso della consultazione sono stati peraltro individuati i due principali ostacoli alla diffusione di tale offerta legale: la modalità di vendita ed acquisto dei diritti dei contenuti premium e le condizioni a cui questi ultimi vengono resi disponibili al pubblico (c.d. finestre di programmazione e/o licenze esclusive). Per quanto riguarda i primi, il problema è legato proprio alla cessione in esclusiva dei diritti di distribuzione dei contenuti stessi che cristallizza la fruizione dei prodotti esistenti sull’intera filiera (sia in senso attivo – vale a dire di reale offerta al pubblico – che passivo – di non offerta) precludendone l’utilizzo ad altri fornitori sulla stessa o altre piattaforme. [13] In tal modo, il mercato non ha alcuna possibilità di svilupparsi, né tantomeno di raggiungere una dimensione critica, in termini di competitors presenti, che lo possano rendere realmente profittevole e competibile. Ad ulteriormente aggravare tale situazione, vi è il secondo fattore di ostacolo, vale a dire le finestre di distribuzione, la cui presenza sortisce un effetto deleterio sulla circolazione dei contenuti audiovisivi a tutto vantaggio del fenomeno della pirateria: il ritardato rilascio su internet di un’opera dell’ingegno fa sì, infatti, che il contenuto si renda legalmente disponibile soltanto vari mesi dopo l’uscita su altri canali distributivi, e quindi dopo che sia stata già resa disponibile la copia “pirata” disincentivando, per l’effetto, la stessa propensione all’acquisto del prodotto in questione. [14] Nella delibera tuttavia si precisa come l’avvento delle nuove tecnologie abbia annullato il gap tra l’offerta del prodotto e le diverse modalità di fruizione dello stesso, rendendosi necessario ripensare il sistema delle finestre di distribuzione in modo maggiormente flessibile rispetto al dinamismo assunto dal mercato di riferimento, in cui il ciclo di vita dei diritti cinematografici è ormai rimesso all’autonomia privata. A latere della previsione di provvedimenti “tecnici”, l’Autorità si è preoccupata di individuare – analogamente a quanto già previsto, ad esempio, in Gran Bretagna – alcuni steps mediante cui educare gli utenti all’uso corretto della rete e delle relative risorse e a sensibilizzarli, di conseguenza, al consumo legale dei contenuti protetti dal diritto d’autore, ricorrendo, se del caso, anche alla collaborazione degli Internet Service Providers. Passando ai meccanismi di tutela dei contenuti protetti dal diritto d’autore, sembra che l’Autorità – ferma restando la competenza esclusiva di tipo punitivo- repressivo in capo all’autorità giudiziaria – abbia fatto proprio il sistema statunitense del notice and take down, prevedendo in delibera meccanismi alternativi di prevenzione e reazione improntati ai principi di proporzionalità ed adeguatezza rispetto agli interessi da tutelare. La procedura ipotizzata dovrebbe così articolarsi: a) segnalazione del titolare del diritto al gestore del sito o al fornitore del servizio ai fini della rimozione entro 48 ore dalla relativa ricezione (salvo eventuale contronotifica da parte del ricevente l’inibitoria); b) segnalazione all’Autorità in caso di inottemperanza alla richiesta; c) verifica dell’Autorità in contraddittorio con le parti; d) adozione del provvedimento di immediata rimozione da parte dell’Autorità; e) monitoraggio ed eventuale applicazione di sanzioni in caso di reiterata inottemperanza ai sensi dell’articolo 1, comma 31 della legge 249/97. Infine, la delibera ha ritenuto opportuno differenziare l’ipotesi di condotta illecita circoscritta ad alcuni contenuti di un sito fisicamente collocato sul territorio italiano da quella in cui il solo fine del sito sia la diffusione di contenuti illeciti o i cui server siano localizzati al di fuori dei confini nazionali. In tal caso sono stati delineati due possibili modelli alternativi su cui si è reso necessario raccogliere il parere delle parti interessate: – predisposizione di una lista di siti illegali da mettere a disposizione degli Internet Service Providers; – possibilità, in casi estremi e previo contraddittorio, dell’inibizione del nome del sito web, ovvero dell’indirizzo IP. [15]   4. Segue: l’attribuzione della competenza avente ad oggetto la risoluzione delle controversie fra operatori.   Sempre nell’ambito della delibera Agcom. 668/10/CONS, l’Autorità ha prospettato altresì un’attività di mediazione nella risoluzione delle controversie che dovessero eventualmente insorgere tra i titolari dei diritti, gli operatori fornitori a vario titolo dei contenuti audiovisivi, i gestori di rete e gli Internet Service Providers, concernenti l’applicazione delle misure tecniche da essa indicate ai fini della tutela del diritto d’autore, adottando, se del caso, apposite Linee Guida o un Regolamento ad hoc a seguito di apposita consultazione fra i vari players interessati. Una simile previsione sembra collocarsi nel solco dei recenti indirizzi comunitari emanati in proposito e, per l’esattezza, con l’art. 15 della Raccomandazione della Commissione del 18 maggio 2005, che così recita: “Gli Stati membri sono invitati a predisporre efficaci meccanismi di risoluzione delle controversie, soprattutto in materia di tariffe, condizioni di concessione delle licenze, affidamento dei diritti online finalizzato alla loro gestione e ritiro dei diritti online”. [16] In tale direzione si era peraltro già espressa l’anzidetta direttiva 2001/29/CE, ai sensi della quale “il ricorso alla mediazione potrebbe aiutare utenti e titolari dei diritti a risolvere le loro controversie”.   5. Segue: le licenze collettive estese.   Una delle principali evidenze della consultazione pubblica riguarda il disconoscimento dello strumento repressivo quale misura efficace per debellare il fenomeno della pirateria con il conseguente studio delle licenze collettive e di una loro eventuale applicazione nel nostro sistema giuridico, a fronte della diffusione di nuove modalità di offerta e fruizione di contenuti digitali protetti che difficilmente permettono l’adattamento degli istituti tradizionalmente utilizzati per la tutela del diritto d’autore su Internet. Negli ultimi tempi – e con un certo ritardo anche in Italia – va diffondendosi la pratica di accordi commerciali tra content providers, enti di gestione collettiva dei diritti ed enti di produzione dei contenuti audiovisivi mediante cui i soggetti titolari dei diritti di autore si assicurano una remunerazione, in base all’intensità dell’utilizzo dei contenuti e senza oneri aggiuntivi per gli utenti. La proposta dell’Autorità, pertanto, si fonda sull’adesione volontaria di operatori e titolari dei diritti a sistemi di remunerazione alternativa quali, ad esempio, meccanismi di redistribuzione dei compensi percepiti dagli Internet Service Providers tramite schemi contrattuali di accesso ad Internet realizzati ad hoc per gli utenti che intendano acquistare un account “munito di licenza” a fronte del pagamento di un contenuto incremento tariffario. D’altro canto, l’intento dell’Agcom è quello di definire un complesso di regole, concertato assieme agli Internet Service Providers, da cui trarre ispirazione, e che, ad avviso della stessa, potrebbe dover richiedere interventi normativi a sostegno dello sviluppo dell’offerta legale di contenuti online per evitare distorsioni delle condizioni concorrenziali. [17] In un simile impianto concettuale si è fatta quindi strada l’ipotesi delle licenze collettive estese e del loro eventuale utilizzo per la gestione dei compensi. In generale, le licenze collettive estese sono negoziate dagli enti di gestione collettiva dei diritti e gli enti esponenziali di interessi collettivi, come le associazioni dei consumatori, e attribuiscono agli utenti il diritto di utilizzare le opere protette esclusivamente nelle forme e nei modi previsti dagli accordi sottoscritti o dalle singole disposizioni normative che li richiamano. Inoltre, gli accordi stipulati dagli enti di gestione collettiva sono soggetti all’approvazione dell’autorità pubblica competente. Infine, il contenuto degli accordi contempla le modalità di remunerazione delle opere e sancisce il diritto a un compenso equo ed effettivo anche per gli autori non rappresentati, cui l’accordo si estende automaticamente ex lege, anche in assenza di adesione volontaria. Del resto, alla luce delle esperienze positive registratesi nei paesi scandinavi, in cui il sistema delle licenze collettive estese ha rappresentato una soluzione ottimale nella gestione delle utilizzazioni di massa dei contenuti audiovisivi, l’Autorità ha avviato una serie di indagini e studi concernenti l’introduzione di disposizioni che attribuiscano efficacia erga omnes agli accordi volontari conclusi tra gli enti rappresentativi degli autori, dei titolari di diritti connessi, degli Internet Service Providers e degli utenti (per es., SIAE, SCF, AiiP, FIMI, CODACONS), fatto salvo il diritto di opting out garantito agli autori in virtù di norme internazionali e comunitarie. [18]   6. La nuova delibera Agcom 398/11/CONS.   L’Agcom, dunque, sulla base di quanto emerso a conclusione della procedura di consultazione, ha ritenuto opportuno predisporre un nuovo schema di regolamento, maggiormente rispondente alle istanze formulate dagli operatori del settore nei propri contributi e sottoposto anch’esso a consultazione pubblica. La delibera in esame può suddividersi in due parti: la prima, dedicata agli interventi positivi sul mercato della distribuzione e a sostegno degli stessi distributori, la seconda, recante il titolo “Misure a tutela del diritto d’autore” in cui sono previste le procedure di notifica in caso di violazione del copyright, l’attività istruttoria dell’Autorità e la disciplina relativa all’eventuale impugnazione dei provvedimenti da essa adottati. Lo sviluppo di un’offerta legale che sia in grado di disincentivare il ricorso alla pirateria rimane uno dei primi interventi citati in delibera come assolutamente necessari allo scopo di tutelare il diritto d’autore, atteso che, secondo un’indagine della FAPAV – richiamata all’interno del contributo pervenuto all’Agcom nel corso della prima consultazione – le motivazioni per cui si scelgono modalità di consumo “illegale” hanno duplice natura:  l’economicità rispetto all’acquisto del prodotto originale e il vantaggio dell’anteprima rispetto al rilascio ufficiale della copia sul mercato (vale a dire l’offerta “legale”). Pertanto, eliminare la discronia delle finestre di distribuzione e stimolare la realizzazione di una piattaforma online dotata di un catalogo ampio a prezzi accessibili – con la possibilità di scegliere quasi contemporaneamente se vedere un film nuovo al cinema oppure a casa – potrebbe rappresentare la soluzione più idonea per combattere la pirateria digitale. Non solo, è stato più volte denunciato come, molto spesso, gli utenti non siano neppure consapevoli delle violazioni da loro commesse in rete durante la navigazione. Sembra dunque opportuno puntare anche sull’educazione alla legalità, ad esempio mediante la realizzazione di campagne di informazione in ambito scolastico, oppure a mezzo stampa e/o televisivo. Dall’altro lato, l’Autorità stessa promuove “l’adozione da parte dei fornitori dei servizi dei codici di condotta sul rispetto del diritto d’autore nell’ambito delle attività del Tavolo tecnico“ che, ai sensi dell’art. 4, “ha il compito di agevolare il raggiungimento di accordi tra produttori, distributori, fornitori di servizi di media audiovisivi e radiofonici, fornitori di servizi della società dell’informazione e di proporre soluzioni all’organo collegiale” e la cui istituzione è prevista entro 30 giorni dall’entrata in vigore della delibera de qua.   7. La violazione del diritto d’autore e il sistema del notice and take down.   Il capo II sembra essere tuttavia quello maggiormente meritevole di attenzione, a causa dell’estrema risonanza che ha prodotto in fase di consultazione, accendendo il dibattito fra operatori del settore e studiosi del diritto in ordine alla responsabilità degli Internet Service Providers e alla loro imputabilità tanto delle condotte di reato quanto delle misure ripristinatorie dello status quo ante. La procedura di enforcement si articola in due fasi: la prima che vede come interlocutore diretto il gestore del sito al quale è rivolto il cosiddetto notice and take down; la seconda che si svolge dinanzi all’Autorità competente, garante della correttezza del procedimento. Ai sensi dell’art. 10 della delibera, esistono tuttavia una serie di ipotesi in deroga, al cui verificarsi non si dà luogo alla violazione del diritto d’autore (c.d. sistema di fair use). Tali eccezioni, previste sub artt. 65 e 70 della legge sul diritto d’autore sono: i) uso didattico e scientifico; ii) diritto di cronaca, commento, critica e discussione, nei limiti dello scopo informativo e dell’attualità; iii) assenza della finalità commerciale e dello scopo di lucro; iv) occasionalità della diffusione, della quantità e della qualità del contenuto diffuso rispetto all’opera integrale, purché non pregiudizievole dello sfruttamento economico del prodotto. A mente dell’art. 6, la richiesta di rimozione può essere inviata da qualunque soggetto legittimato il quale, a differenza della prima formulazione, può avvalersi a tale scopo anche di organismi associativi, a condizione che il soggetto destinatario dell’istanza “non abbia già adottato un’apposita procedura finalizzata alla rimozione di contenuti o programmi diffusi in violazione del diritto d’autore”. Rispetto alla versione contenuta nei lineamenti di provvedimento precedenti, il rimedio della rimozione è stato ritenuto maggiormente idoneo a contemperare i due valori confliggenti, rispettivamente, della libertà di espressione e della protezione del diritto d’autore, [19] permettendo così di accantonare le diverse ipotesi formulate, quali la lista di siti illegali da mettere a disposizione degli Internet Service Providers e l’inibizione del nome del sito web, ovvero dell’indirizzo IP, qualora il solo fine del sito sia la diffusione di contenuti illeciti sotto il profilo del rispetto del diritto d’autore, o i cui server siano localizzati al di fuori dei confini nazionali. [20] È proprio in questa fase dialettica che si innesta la possibilità di una counter-notice (art. 7): qualora il soggetto che abbia commesso la presunta violazione non sia il gestore del sito ma un utente c.d. uploader, cui viene comunicata da parte del gestore stesso del sito o dal fornitore del servizio l’avvenuta notifica della richiesta di rimozione, questi, ove lo ritenga opportuno, può opporsi controdeducendo la legittimità della propria iniziativa. A seconda del caso, entro quattro giorni dall’opposizione, il gestore del sito o il fornitore del servizio possono quindi provvedere al ripristino del contenuto, fatta salva la facoltà per il segnalante di richiedere l’intervento dell’Autorità Garante delle Comunicazioni, con ciò rimanendo impregiudicato il diritto di adire la competente Autorità giudiziaria. Lo stesso Presidente dell’Agcom, nel corso della audizione tenutasi presso la VII ed VIII Commissione parlamentare in data 21 marzo u.s., ha salutato con estremo favore la norma citata, sottolineando come questa procedura non sia stata adottata nella maggior parte degli Stati membri ma garantisca una sorta di “parità delle armi” delle parti coinvolte, permettendo “all’uploader di controbilanciare l’iniziativa opposta, qualora abusiva o erronea”. Inoltre, chiosa il Presidente, “il coinvolgimento dell’uploader è stato particolarmente apprezzato dai consumatori” che possono subire un pregiudizio a seguito della rimozione, in assenza di replica, di un determinato contenuto [21]. A parere di chi scrive preme tuttavia sottolineare come, in questa fase – a tutti gli effetti di natura preliminare – non sia compiuta alcuna attività istruttoria e dunque manchi completamente l’azione di accertamento della pretesa violazione. Ne segue che il meccanismo di counter-notice è solo apparentemente in grado di garantire una parità di trattamento fra il soggetto segnalante ed il segnalato, il quale può di fatto godere solo ex post della misura ripristinatoria, con il deleterio effetto, da più parti denunciato, secondo cui il gestore si troverebbe di volta in volta costretto ad avallare supinamente le richieste di rimozione dei contenuti pubblicati, salvo l’esercizio del diritto di opposizione ex art. 7. Inoltre, sia il soggetto segnalante, laddove non avesse ottenuto la rimozione del contenuto presuntamente lesivo, che l’uploader, in mancanza di ripristino del medesimo a seguito dell’esperimento della counter-notice, possono investire della questione l’Agcom, purché si sia conclusa la prima fase della procedura dinanzi al gestore del sito o al fornitore del servizio [22] e non sia stata adita la competente Autorità giudiziaria. [23] Nondimeno, se ciò dovesse verificarsi nel corso del procedimento, la parte denunciante è obbligata ad informarne tempestivamente l’organo amministrativo indipendente, che provvederà all’archiviazione degli atti. Successivamente alla comunicazione di avvio del procedimento, le parti hanno la possibilità di inviare i propri scritti difensivi entro 48 ore tanto dalla relativa ricezione che dal termine di conclusione del procedimento. Qualora sia necessario acquisire ulteriori elementi di valutazione, viene presentata apposita richiesta che le parti dovranno soddisfare entro e non oltre 5 giorni. La Direzione responsabile del procedimento trasmette infine al destinatario del procedimento, entro 10 giorni dal relativo avvio, le risultanze istruttorie, rendendolo altresì edotto della possibilità di procedere all’adeguamento spontaneo nel termine di 48 ore dalla notifica “con l’avviso che, in caso di mancato adeguamento” o di sua mancata comunicazione “la Direzione trasmetterà gli atti all’organo collegiale per l’adozione dei provvedimenti di sua competenza”. La procedura così delineata appartiene a tutti gli effetti alla tipologia di procedimenti giustiziali tipici delle Autorità indipendenti, connotata dalla non definitività del provvedimento adottato dal collegio e dalla natura non compromissoria della pronuncia stessa, posto che l’istanza del segnalante lascia impregiudicato il diritto di rivolgersi all’Autorità giudiziaria. [24] Sembra opportuno evidenziare a tal proposito come la delibera preveda, oltre alla facoltà di esperire – in via alternativa ma non preclusiva rispetto alla via giudiziale – la procedura de qua, un ulteriore strumento in favore dell’autore della violazione, una sorta di ravvedimento operoso “in grado di annullare le conseguenze sul piano sanzionatorio” [25] della condotta incriminata e di provocare l’archiviazione, in via amministrativa, dell’istruttoria da parte della Direzione. Di contro, laddove non dovesse darsi luogo all’adeguamento spontaneo, la procedura ordinaria prevede che il provvedimento finale venga adottato entro 20 giorni dalla notifica delle risultanze istruttorie, salvo eventuale proroga, per un termine massimo di quindici giorni, nel caso si rendano necessari ulteriori approfondimenti.   8. Il dibattito sulla competenza dell’Agcom in materia di tutela del diritto d’autore e sulla relativa potestà di adottare misure restrittive nei confronti degli operatori.   Sul modello così licenziato dall’Agcom incombe tuttavia lo stesso interrogativo di fondo formulato dal Conseil constitutionnel francese nei confronti dell’omologo d’Oltralpe, atteso che il nostro sistema delle garanzie costituzionali e la stessa definizione comunitaria del diritto di accesso alla rete come diritto umano rendono controversa la scelta di attribuire ad un organo amministrativo, ancorché autorità indipendente, la competenza ad intervenire direttamente con misure restrittive nei confronti degli operatori autori delle violazioni, al solo scopo di tutelare posizioni di natura privatistica quali quelle relative al diritto d’autore. [26] Diversi soggetti che hanno preso parte alla consultazione pubblica e numerosi autori in dottrina hanno infatti rilevato come il potere regolamentare dell’Agcom sui contenuti digitali immessi in rete sia privo di fondamento normativo, [27] e come essa sia priva, a loro dire, sia del potere di accertare condotte di immissione di files in rete sia di poteri inibitori o di rimozione selettiva, riservati di contro al giudice penale. Sul punto sembra opportuno richiamare in tale sede l’opinione espressa dal prof. Onida, a parere del quale, sebbene l’art. 21 Cost. ponga una riserva di legge riguardo ai mezzi di diffusione del pensiero a mezzo stampa, tale limite non deve considerarsi sussistente nel caso di specie, [28] posto che “la Costituzione non contiene una disciplina, e si può ritenere ragionevolmente sufficiente, a seconda dei casi, anche una base di legge suscettibile di essere integrata da fonti subordinate”. [29] A simile conclusione non osta neppure la previsione di cui all’art. 10, paragrafo 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che subordina la legittimità delle restrizioni alla libertà di manifestazione del pensiero – da calibrare nei relativi contenuti alla luce dei canoni di proporzionalità e adeguatezza – al fatto che siano previste dalla legge: secondo interpretazione ormai pacifica in dottrina “devono sussistere previsioni normative univoche e sufficientemente precise, tali cioè da fondare la “prevedibilità” degli interventi autoritativi, ma non necessariamente contenute solo in atti di rango legislativo” [30] ed individuate, come nel caso de qua, nei regolamenti adottati da autorità indipendenti del settore, purchè le norme ivi contenute siano sufficientemente determinate. Pertanto, la competenza dell’Autorità si fonda, in primo luogo, sull’art. 182 bis della legge sul diritto d’autore, attributivo di un potere di vigilanza – esercitato in coordinamento con la SIAE “nell’ambito delle rispettive competenze previste dalla legge” – espressione non di “un’arbitraria espansione di poteri, bensì (di) un’evoluzione rafforzativa di un ruolo già affidato all’Agcom (…) nell’ottica di una collaborazione istituzionale tra apparati amministrativi”. [31] Fa seguito il comma 3 del medesimo articolo, con cui si prevede il conferimento di funzioni ispettive ai funzionari dell’Agcom, tenuti ad agire in coordinamento con gli ispettori della SIAE. A sua volta, la l. 249/1997, istitutiva dell’Agcom stessa, è stata modificata dall’art. 1, comma 6, numero 4-bis, introdotto dall’art. 11, comma 2 della l. 248/2000, con cui sono stati attribuiti all’Autorità nuovi ed ulteriori appositi poteri nell’ambito della tutela del diritto d’autore. A ciò va ad aggiungersi il d. lgs. 70/2003 il quale, nel riconoscere il principio della libera circolazione dei servizi della società dell’informazione, specifica altresì come essa possa “essere limitata, con provvedimento dell’autorità giudiziaria o degli organi amministrativi di vigilanza o delle autorità indipendenti di settore” per vari motivi fra cui “l’opera di prevenzione, investigazione, individuazione e perseguimento di reati”. Di conseguenza, all’Autorità è conferito un importante potere di intervento nei confronti dei prestatori di servizi di mere conduit, di caching e di hosting, [32] la cui ampiezza è tale da spingersi fino ad ordinare loro – persino in via d’urgenza – di impedire o cessare le violazioni commesse ai sensi degli articoli 14, 15 e 16 del decreto medesimo, ferma restando la competenza dell’autorità giudiziaria. [33] Si richiama infine l’art. 32 bis del d.lgs. 177/2005, introdotto dall’art. 6 del d. lgs. 44/10, ove si prevede che “i fornitori di servizi di media audiovisivi assicurano il pieno rispetto dei principi e dei diritti” di cui alla legge sul diritto d’autore “indipendentemente (corsivo mio) dalla piattaforma utilizzata per la trasmissione di contenuti audiovisivi”, con ciò attribuendo all’Autorità il potere di emanare le disposizioni regolamentari necessarie a rendere effettiva, nello specifico settore, l’osservanza dei limiti e dei divieti posti dalla norma medesima. [34] Considerata la limitazione oggettiva di tale ultima competenza, la dottrina non ha tardato di rilevare come lo schema di regolamento di cui alla delibera n. 398/11/CONS – nel disporre (fra le altre cose) con riguardo alle “reti di comunicazione elettronica” – sia incorso in un eccesso di delega. Tuttavia, a parere di chi scrive, una simile conclusione non pare condivisibile posto che l’Agcom ha esercitato la propria potestà normativa in materia di diritto d’autore alla luce di un’interpretazione sistematica di tutte le disposizioni sopra richiamate (e attributive di una specifica competenza in materia), circostanza che si evince peraltro dal testo della stessa consultazione, ove si legge: “L’articolo 32 bis del Testo Unico e l’articolo 182 bis della legge sul diritto d’autore si integrano (corsivo mio), poi, con le disposizioni contenute nel d. lgs. 70/2003, di recepimento della direttiva sul commercio elettronico”.   9. La responsabilità degli Internet Service Providers: il d.lgs. 70/2003.   Il tema oggetto del presente intervento pone tuttavia, quale effetto mediato, la necessità di individuare un regime di responsabilità degli Internet Service Providers compatibile con le categorie ontologiche del nostro diritto civile. Se da un lato, infatti, la succitata potestà inibitoria riconosciuta all’AG.Com ha per destinatari i prestatori di servizi di mere conduit, di caching e di hosting, direttamente attinti dai provvedimenti dell’Autorità a prescindere dalla imputabilità, in concreto, dell’azione violativa del diritto d’autore; dall’altro, di contro, l’organo giudiziario adito in sede di cognizione è gravato dell’onere di valutare ed interpretare correttamente a che titolo il provider debba essere considerato responsabile. La questione non è di poco momento e ha sollevato un acceso dibattito fra gli esperti del settore. Prima del recepimento della direttiva 2000/31/CE recante norme norme su alcuni aspetti giuridici del commercio elettronico, sembra opportuno fare alcuni cenni al precedente regime della responsabilità degli Internet Service Providers e alle varie ipotesi ricostruttive avanzate dalla dottrina in proposito. In un primo momento, sia la dottrina che la giurisprudenza erano concordi nel ritenere sussistente una responsabilità di natura extracontrattuale per gli illeciti commessi sulla rete, ascrivibile sia ai singoli utenti – la cui identificazione era purtroppo quasi impossibile – che ai providers. Le opzioni interpretative più accreditate sul punto erano le seguenti: il modello della c.d. responsabilità “per stampa” [35] e la teoria basata sul principio dell’apporto causale. La prima equiparava gli Internet Service Providers alla figura dell’editore applicando loro, per l’effetto, il disposto dell’art. 11 della l. 47/1948, in ambito civilistico, e dell’art. 13 della l. 47/1948 e dell’art. 30 della l. 223/1990 in ambito penalistico. In caso di illecito commesso attraverso la rete erano quindi considerati civilmente responsabili in solido il proprietario della pubblicazione, id est l’intestatario del sito web, e l’Internet Service Provider medesimo, in quanto soggetto fornitore della connessione e dello spazio web. [36] Una simile conclusione è parso peraltro essere avallata, seppur per breve tempo, dall’emanazione della l. 62/2001, recante nuove norme sull’editoria e sui prodotti telematici. A ben vedere, tuttavia, l’assimilazione era funzionale all’introduzione dell’obbligo di registrazione delle testate anche per le testate online che intendevano fruire delle agevolazioni previste a favore di tale attività, senza poter inferire da ciò alcuna applicazione analogica della disciplina ad altri e diversi fini. Il secondo orientamento, basato sul principio dell’apporto causale, riteneva il provider responsabile degli atti compiuti dal proprio cliente nel caso in cui avesse offerto con la propria condotta, dolosa o colposa, un apporto causale al realizzarsi del danno. [37] Il contributo in questione era in genere postulato, essendo sufficiente la circostanza secondo cui l’Internet Service Provider metteva a disposizione dell’utente l’accesso alla rete senza controllarne l’uso fattone in concreto, ciò bastando ad integrare la fattispecie della culpa in vigilando. Le principali critiche a tale teoria si appuntavano proprio su quest’ultimo aspetto, in quanto si sosteneva la sussistenza di un obbligo di facere in capo all’Internet Service Provider stesso – nello specifico un controllo dell’attività compiuta dal proprio utente – privo di riscontro testuale. [38] L’introduzione del d. lgs. 70/2003, di recepimento della succitata direttiva 2000/31/CE ha avuto il merito di fornire delle indicazioni chiare ed univoche all’operatore del diritto, sgombrando così il campo da ricostruzioni dottrinarie o giurisprudenziali spesso spinte oltre il senso letterale della norma. L’intento della direttiva, come ben evidenziato nella sezione IV, è quello di realizzare un attento contemperamento tra i diversi interessi, spesso confliggenti, dei soggetti prestatori di servizi, senza voler fondare “una forma di responsabilità ad hoc per gli intermediari della rete”, [39] ma anzi dimostrando un atteggiamento di favor verso l’applicazione delle già esistenti norme di diritto comune “salvo affermare che, quando in capo a tali operatori non è possibile individuare alcuna responsabilità specifica espressamente prevista dalla direttiva stessa, essi non rispondono del fatto illecito compiuto on-line da chi utilizza i loro servizi”. [40] Si introduce così una forma di esclusione generale di responsabilità che rappresenta, di per sé, un’eccezione all’interno del sistema della responsabilità civile vigente nel nostro ordinamento e che importa, di conseguenza, la tassatività delle ipotesi elencate ex artt. 14 e ss. del d.lgs. 70/2003. [41] Ai sensi della lett. a) del comma 1 dell’art. 16, l’host provider è responsabile qualora sia effettivamente a conoscenza del fatto che l’utente utilizza il servizio per scopi illeciti, nonché, in caso di eventuale domanda risarcitoria, se sia stato informato di fatti o circostanze che rendano manifesta l’illiceità dell’attività o dell’informazione. Ai sensi della lett. b), inoltre, l’esenzione da responsabilità non ricorre qualora l’intermediario, non appena messo al corrente dei suddetti fatti da parte delle autorità competenti, non si attivi per rimuovere le informazioni illecite e/o per disabilitarne l’accesso agli altri navigatori. Ad ogni modo, è fatta salva la possibilità che il provider, anche ove non responsabile, [42] sia tenuto con provvedimento dell’autorità giudiziaria o amministrativa competente (ad es. l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni o il Garante per la protezione dei dati personali), [43] ad impedire o porre fine all’illecito rilevato. Infine, l’esenzione viene meno nel caso in cui il destinatario del servizio agisca sotto l’autorità o il controllo del prestatore stesso, come nel caso dei content provider, in quanto il provider non esercita più l’attività neutrale che gli è propria. In definitiva, il decreto in esame sancisce la non corresponsabilità per gli intermediari nei fatti illeciti commessi dagli utenti, come esplicitamente confermato all’art. 17 secondo cui “nella prestazione dei servizi di cui agli articoli 14, 15 e 16, il prestatore non è assoggettato ad un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmette e memorizza, né ad un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite”. Ciò posto, non solo può essere messa da parte la teoria dell’apporto causale ma, in assenza dell’obbligo di controllo preventivo, è possibile escludere altresì l’applicabilità dell’art. 40, comma 2 c.p., ai sensi del quale non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo. Tuttavia il legislatore italiano, nell’esercizio del potere di discrezionalità concesso agli Stati membri in fase di recepimento, ha aggiunto due specifici obblighi di cooperazione a carico degli Internet Service Providers: l’obbligo di informazione nei confronti dell’autorità giudiziaria o amministrativa competente, da un lato, e l’obbligo di fornire alle suddette autorità, previa loro richiesta, i dati idonei a rivelare l’identità degli autori degli illeciti, dall’altro. [44] Le previsioni in questione risultano infine rafforzate dal dettato del terzo comma dell’art. 17 il quale sancisce, in caso di inosservanza da parte degli obbligati, la configurabilità automatica di un’ipotesi di responsabilità civile. La formula utilizzata dal legislatore lascia in verità ampi margini di discrezionalità all’interprete, specie con riferimento all’obbligo di indicare i mezzi idonei a far sorgere nel provider la consapevolezza dell’illiceità del contenuto del servizio e, conseguentemente, l’obbligo di informare l’autorità competente.   10. Segue: la responsabilità degli Internet Service Providers alla luce della più recente giurisprudenza.   Le prime decisioni adottate dai tribunali italiani in ordine alla responsabilità degli Internet Service Providers hanno riguardato il conflitto fra la tutela del diritto d’autore e il diritto alla privacy. Le controversie in questione traevano infatti origine dalla lesione del diritto d’autore lamentata da alcune società titolari dei diritti di sfruttamento delle opere di ingegno, brani musicali e giochi elettronici, da parte di alcuni utenti della rete che ricorrevano al file sharing e al peer to peer, da cui scaturiva l’istanza cautelare, formulata nei confronti dei relativi providers, volta all’ottenimento dei dati anagrafici dei soggetti responsabili dell’illecito. Con ordinanza del 14 luglio 2007, il Tribunale di Roma ha deciso che, atteso il rango costituzionale degli interessi protetti, la tutela della privacy può subire limitazioni – in un’ottica di equilibrio e comparazione – solo in favore di interessi di uguale e superiore rilevanza e non certamente a beneficio di un altro interesse che, sia pure di rango costituzionale, si colloca in un ambito eminentemente privatistico quale il diritto d’autore. Per tale motivo, la richiesta avanzata in sede giudiziale nei confronti dei providers non poteva trovare accoglimento, dal momento che essi si erano limitati a fornire la connessione agli utenti responsabili dell’illecito e che i dati loro richiesti erano di natura personale e, quindi, non divulgabili a terzi. Peraltro, lo strumento cautelare invocato dalle ricorrenti (e l’azione esibitoria in sé) era scarsamente pertinente rispetto allo scopo da esse perseguito: la società titolare dei diritti di sfruttamento non aveva avviato l’azione con l’intento di inibire la condotta incriminata, che già aveva trovato la sua naturale conclusione ed esaurito i suoi effetti pregiudizievoli, ma solo per ottenere i dati anagrafici dei navigatori in vista di una successiva comminatoria di risarcimento danni. [45] Inoltre, pur volendo ammettere l’esistenza di una strumentalità dell’istanza cautelare ex art. 156 l. 633/1941 all’eventuale futuro giudizio di cognizione, la tutela del diritto d’informazione va concessa solo nel caso in cui l’illecito avvenga su “scala commerciale”, dovendosi escludere una simile ipotesi nel caso in rilievo del peer to peer, attività priva del fine di lucro. [46] Infine il giudicante, secondo parte della dottrina, pur non soffermandosi sul tema della legittimazione passiva del provider nell’ambito dei procedimenti ostensori per la tutela del diritto d’autore – ridondante, a sua volta, sul tema della responsabilità – attraverso l’ammissibilità (in astratto) dell’ordine di esibizione dei dati degli users ha surrettiziamente riconosciuto la legittimazione attiva dei providers e, per tale via, una forma di responsabilità oggettiva dei medesimi. [47] Corre l’obbligo di precisare, inoltre, come la Corte di Giustizia europea, adita in via pregiudiziale da parte del Tribunale Commerciale di Madrid allo scopo di ottenere una pronuncia interpretativa delle Direttive 2000/31/CE, 2001/29/CE e 2002/58/CE, abbia confermato, con sentenza del 29 gennaio 2008, la conclusione del Tribunale di Roma, ritenendo che “le direttive non impongono agli Stati membri, in una situazione come quella oggetto della causa principale, di istituire un obbligo di comunicare dati personali per garantire l’effettiva tutela del diritto d’autore nel contesto di un procedimento civile. Tuttavia, il diritto comunitario richiede che i detti Stati, in occasione della trasposizione di tali direttive, abbiano cura di fondarsi su un’interpretazione delle medesime tale da garantire un giusto equilibrio tra i diversi diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento giuridico comunitario. Inoltre, in sede di attuazione delle misure di recepimento delle dette direttive, le autorità e i giudici degli Stati membri devono non solo interpretare il loro diritto nazionale in modo conforme a tali direttive, ma anche evitare di fondarsi su un’interpretazione di esse che entri in conflitto con i detti diritti fondamentali o con gli altri principi generali del diritto comunitario, come, ad esempio, il principio di proporzionalità” (C-275/06, Promusicae/Telefònica de Espana SAU, 29 gennaio 2008, in GUCE C 64/08). Analoga controversia, a distanza di qualche anno, ha riguardato RTI e Google, proprietaria e controllante, a partire dal 2006, della società YouTube LLC e del relativo sito web. L’istanza cautelare promossa da RTI era volta all’ottenimento di un ordine di rimozione dei contenuti illecitamente immessi e diffusi in rete, attraverso il portale di condivisione video www.youtube.it e, nella fattispecie, di filmati tratti dalla trasmissione televisiva “Grande Fratello”, di cui RTI deteneva i diritti esclusivi di utilizzazione e sfruttamento economico ai sensi dell’art. 79 della l. 633/1941. [48] Sia l’ordinanza emessa in sede cautelare che quella resa in sede di reclamo hanno concluso che, pur prendendo atto della circostanza per cui l’upload del materiale disponibile sul sito viene effettuato in maniera autonoma dai singoli utenti, rimanendovi del tutto estranei i proprietari e/o gestori del sito, la condotta lesiva era ad ogni modo ascrivibile all’intermediario, rinvenendosi sia a livello della gestione tecnica del sito che a livello di terms of use sottoscritti dall’utente, indizi di non-estraneità rispetto ai contenuti resi disponibili sul sito. [49] Di conseguenza, YouTube non era qualificabile quale host provider puro ai sensi dell’art. 16 comma 1 del d. lgs. 70/2003 quanto, piuttosto, quale hoster atipico, e in particolare, attivo, in grado di svolgere sia attività di web broadcasting che di sfruttamento commerciale [50] degli spazi pubblicitari associati ai contenuti immessi sul portale. Infine, in sede di reclamo, il tribunale ribadiva altresì in capo al provider la conoscenza dell’illiceità del materiale pubblicato e diffuso, per effetto delle ripetute diffide ricevute da parte del titolare del diritto leso. La peculiarità della vicenda in questione risente dell’evoluzione di internet e dell’insorgere, nell’era del web 2.0, di nuove figure ibride di intermediari che basano la loro attività sul c.d. user-generated contents, sicché il provider non può limitarsi ad esercitare le funzioni tipiche di solo host o di solo content. [51] Acclarata la non estraneità di YouTube rispetto ai contributi immessi in rete, alla luce dell’attività di screening e controllo posta in essere ai sensi dell’art. 7 dei Termini d’Uso e la conseguente inapplicabilità dell’art. 16 d. lgs. 70/2003, si è andata affermando, in via pretoria, la progressiva responsabilizzazione dei c.d. hoster attivi, [52] aventi un ruolo simile ad un centro di smistamento dei contenuti e, per ciò, “centro di imputazione” delle condotte potenzialmente lesive del diritto d’autore. [53] Fermo restando il principio sancito dal d. lgs. 70/2003, secondo cui è inesigibile nei confronti dei providers una condotta ispirata ad un obbligo generale di controllo preventivo, occorre stabilire se la legge, nel caso di un hoster atipico, gli imponga obblighi diversi da quelli di un host provider tradizionale oppure se, in forza di tale atipicità, ne implichi l’assimilazione al content provider con il conseguente assoggettamento alla clausola residuale di cui all’art. 17 comma 3 del d. lgs. 70/2003. La qualifica di hoster attivo non basta di per sé né a rendere illecita né tantomeno a scriminare la condotta del provider considerato, dovendosi in ogni caso procedere, ai fini dell’imputabilità dell’illecito commesso, all’individuazione del c.d. coefficiente colposo minimo. [54] A prima lettura, le ordinanze in commento hanno condiviso la seconda delle ricostruzioni su accennate, ammettendo un unico tipo di intervento ex post la cui intensità varia in ragione dell’ampiezza dell’apporto partecipativo/livello di estraneità/conoscenza della condotta illecita da parte del provider interessato. [55] A tal proposito, tuttavia, la dottrina è concorde nel ritenere che simili obblighi di attivazione ex post non vadano al di là di un’attività di pronta informazione alle autorità competenti e di pronta disabilitazione/rimozione dei contenuti immessi in violazione del diritto d’autore. Nel caso FAPAV/Telecom Italia S.p.A. il Tribunale di Roma ha avuto modo di occuparsi del tema della notification e di precisarne la portata. [56] Sorvolando sulle altre istanze formulate da parte attrice, nonché sul tema dell’eventuale legittimazione attiva da parte di FAPAV, ente rappresentativo di un pluralità di soggetti presuntamente lesi, sembra utile soffermarsi sull’ordine impartito a Telecom di comunicare all’autorità competente tutti i dati idonei alla repressione dei reati in materia di diritto d’autore, unica domanda oggetto di accoglimento da parte del giudicante. [57] Dalla ricostruzione dei fatti emergeva infatti che FAPAV aveva invano formulato tale richiesta nei confronti di Telecom sulla base di informazioni “sufficientemente motivate per essere attendibili” e, dunque, suscettibili di attivare l’obbligo previsto dal d.lgs. 70/2003 perché atti a fornire al provider quella conoscenza di presunte attività o di informazioni illecite riguardanti un proprio destinatario del servizio idonee a far scaturire l’obbligo di immediata comunicazione all’autorità competente per l’accertamento e la repressione dell’illecito. L’ordinanza fornisce dunque agli interpreti un chiaro criterio interpretativo circa il livello di “conoscenza” di una data fattispecie idoneo a far insorgere l’obbligo di comunicazione. [58] Contestualmente, il collegio interveniva anche in merito alla notification, ribadendo che gli ulteriori obblighi di protezione (ovvero quelli concernenti la sospensione del servizio) posti in capo alla convenuta – nel suo ruolo di mero access provider – non erano attivabili dal soggetto presuntamente leso ma solo dall’autorità competente e, nella fattispecie l’autorità amministrativa e/o giudiziaria. Di conseguenza, l’istanza avanzata da FAPAV non solo era da reputarsi inadeguata perché inidonea a far insorgere in capo a Telecom Italia S.p.A. un qualunque obbligo ai sensi della disciplina vigente ma era altresì indirizzata in modo errato, perché la sospensione del servizio di accesso ai siti è riferibile unicamente al prestatore di servizi di hosting. Successivamente, lo stesso Tribunale si è espresso su un’altra controversia del medesimo tenore, il caso Yahoo “About Elly”. Esso prendeva le mosse dalla presunta violazione del diritto d’autore lamentata da una casa di produzione e distribuzione cinematografica, titolare in via esclusiva dei diritti di sfruttamento di una serie di pellicole di un regista iraniano, fra cui il film “About Elly”, nei confronti delle società Microsoft, Google e Yahoo, proprietarie di motori di ricerca mediante cui gli utenti erano in grado di accedere, grazie ad alcuni links, a siti di peer to peer, streaming o downloading e prendere visione del film in questione. Il nodo principale da sciogliere consisteva – una volta acclarata l’estraneità delle altre due società convenute, in quanto carenti di legittimazione passiva – nell’accertamento dell’esentabilità di Yahoo dal regime di responsabilità ex d. lgs. 70/2003. Per fare ciò, era necessario procedere all’accertamento sia del funzionamento del motore di ricerca [59] che dell’ampiezza del ruolo del provider alla luce degli artt. 14, 15, 16 e 17 del suddetto decreto, ove in apparente conflitto con le norme di cui agli artt. 156 e ss. della l. 633/1941. Dalle risultanze istruttorie emergeva che la convenuta Yahoo esercitava l’attività tipica di un caching provider “che ha la gestione diretta dell’omonimo motore di ricerca, con cui procede alla indicizzazione dei siti e, mediante il c.d. crawling, alla formazione di copie cache dei loro contenuti, con memorizzazione temporanea delle informazioni”. [60] Nell’ambito dell’attività di web searching offerta ai propri utenti la società poneva dunque in essere una condotta lesiva dei diritti esclusivi di sfruttamento detenuti da PFA, ponendo in evidenza – fra i risultati della ricerca – links di collegamento a siti di peer-to-peer, downloading e streaming dove era possibile vedere il materiale protetto da diritto d’autore. [61] La ricostruzione del giudicante enfatizza inoltre la diffida formulata nei confronti di Yahoo con cui si chiedeva la rimozione/disabilitazione a terzi di tali collegamenti lesivi dei diritti autorali, circostanza che vale a porre il provider nella posizione di perfetta conoscenza e consapevolezza della illiceità dei contenuti disponibili per il tramite del proprio motore di ricerca nonché in condizione di esercitare un controllo ex post “a cui è speculare la pretesa (…) di disabilitazione del link per l’ accesso ai medesimi, non essendo rilevante in questo contenzioso la rimozione del loro contenuto.” [62] Da ciò ne segue che la mancata attivazione in tal senso da parte della convenuta fonda un giudizio di colpevolezza – nella forma del concorso omissivo – della violazione del diritto d’autore, non potendo operare in tal caso l’esenzione di responsabilità. Il merito dell’ordinanza è stato quello di aver per prima individuato elementi certi di responsabilità anche – e in special modo – in capo al provider esercente un’attività peculiare come quella del web-searching (differente da quella, maggiormente onnicomprensiva, di web-broadcasting oggetto dei precedenti paragrafi), pur nell’evidente limite di spiegare i propri effetti soltanto nell’ambito del private-enforcement. In fase di reclamo, [63] Yahoo ha contestato integralmente l’iter logico argomentativo del giudice di prime cure, criticando il fatto che fosse stato incentrato erroneamente sui motori di ricerca piuttosto che su coloro che creano il contenuto dannoso. Inoltre, secondo la ricorrente, anche l’attività compiuta dal provider e la relativa ampiezza, erano state erroneamente interpretate, mentre in realtà l’operatore era da ritenersi esente da responsabilità per i contenuti creati o ospitati da terzi che appaiono nei risultati di ricerca sul web. [64] Nei confronti di Yahoo non erano state infatti rilevate attività qualificanti l’hosting attivo che, organizzate secondo livelli sempre crescenti di intensità non dipendenti esclusivamente da automatismi della piattaforma utilizzata, permettono di assimilare per analogia la responsabilità dell’Internet Service Provider alla responsabilità editoriale in senso lato (indicizzazione dei contenuti, selezione e organizzazione degli stessi, filtraggio e raccolta pubblicitaria). [65] Infine, nel caso di specie, è stato accolto il rilievo della ricorrente in base al quale la società titolare dei diritti di autore sul film, non avendo fornito, contestualmente alla richiesta di soppressione dei links, indicazioni del nome o dell’URL dei siti illegali – nonostante un’ingiunzione in merito – non abbia posto Yahoo in condizione di ottemperare alla richiesta. [66] Tale specificazione, secondo il collegio, era assolutamente indispensabile affinchè il provider adempiesse ai propri obblighi di rimozione, non essendo da parte sua possibile provvedere all’autonoma individuazione dei medesimi all’interno della mole di informazioni gestite, a riprova del fatto che non è possibile effettuare – né tecnicamente né economicamente – un controllo ex ante né tantomeno sussiste un simile dovere sancito normativamente. [67] Oltre al foro di Roma, sembra utile richiamare in questa sede anche gli arresti giurisprudenziali della Sezione Specializzata in Proprietà Industriale ed Intellettuale del Tribunale di Milano, che si è soffermata, fra le altre cose, sulla posizione degli Internet Service Providers e sulla pretesa neutralità degli stessi. [68] La prima pronuncia attiene al caso Sky Italia contro D.B. e Telecom Italia, [69] ove è stata ravvisata la responsabilità del titolare di un sito internet contenente i link per visualizzare filmati di partite di campionato coperte dai diritti di utilizzazione economica in titolarità di Sky, a fronte dell’applicabilità, anche nei giudizi civili di responsabilità, della teoria dell’apporto causale ex art. 41 c.p. Nel caso di specie, il gestore del sito è stato ritenuto responsabile nella misura in cui, con le istruzioni ivi pubblicate, ha agevolato gli utenti nella visualizzazione sul loro computer delle partite di campionato: venivano infatti forniti non solo i link ai siti cinesi, ma anche dettagliate istruzioni su come ottimizzare la visualizzazione, coordinando tra loro immagini e audio. Il service provider Telecom Italia, è stato invece ritenuto neutro rispetto alla violazione in questione perché qualificato alla stregua di un Internet Service Provider esercitante un’attività di mere conduit ai sensi dell’art. 14, comma 1, d.lgs. 70/2003. Nel caso R.T.I. contro Yahoo!Italia, [70] R.T.I. diffidava Yahoo dalla messa in onda da parte di Yahoo di contenuti di propria titolarità, in violazione dei diritti di utilizzazione economica del produttore di audiovisivi (artt. 78 ter e 79 l. 633/1941), del diritto morale ad opporsi alle deformazioni dell’opera e al diritto spettante alla stessa attrice sui segni distintivi (art. 20 d.lgs. 30/2005), nonché dell’art. 171 l. 633/1941. La richiesta formulata dall’istante è stata ritenuta idonea a portare a conoscenza del provider, rimasto inattivo in seguito alla segnalazione, dell’avvenuta commissione di atti di illeciti aventi ad oggetto i video di R.T.I. Il collegio ha classificato Yahoo come gestore attivo, alla luce dei proventi derivanti dalla presentazione organizzata dei contenuti caricati dagli utenti, affiancata da messaggi pubblicitari. Il carattere di neutralità del provider è stato del resto escluso sulla base di un triplice rilievo: le risultanze istruttorie evidenziavano che Yahoo!Italia organizzava la pubblicità e la associava al contenuto multimediale, ed aveva in uso un regolamento contrattuale ai sensi del quale lo stesso gestore si riservava il diritto di riprodurre, utilizzare e trarre profitto dai contenuti immessi, oltrechè il diritto di provvedere all’immediata rimozione del contenuto in caso di violazione dei diritti di Yahoo o di terzi. Ciò legittimava la conclusione del collegio secondo cui Yahoo!Italia non poteva dirsi neutro perché aveva assunto su di sé un autonomo onere di controllo contrattuale della liceità del materiale pubblicato. Analogamente l’ordinanza del 17 giugno 2011, [71] riguardante la presunta violazione – da parte di Italia Online, piattaforma di condivisione di filmati e file audio – dei diritti economici di R.T.I., ha puntualizzato che la mera predisposizione di uno spazio virtuale su cui caricare i contenuti ad opera degli utenti, unitamente all’associazione di messaggi pubblicitari non valga a far ravvisare profili di responsabilità in capo all’Internet Service Provider. Ciò è possibile, di contro, soltanto in presenza di un’attività di organizzazione dei contenuti pubblicitari in relazione al materiale immesso in rete dagli utenti, a cui si aggiunge il contratto standard di licenza avente ad oggetto la rinuncia dell’utente ai propri diritti di sfruttamento del contenuto caricato in favore di Italia Online. Anche il giudice ambrosiano, quindi, è concorde nel ritenere rilevante l’elemento soggettivo nella compartecipazione all’illecito da parte del provider. La neutralità del prestatore di servizi viene meno quanto ricorrono forme di effettiva organizzazione dei contenuti, necessitanti una vera e propria attività di intervento e di monitoraggio, sia pure ex post rispetto a quanto venga caricato dall’utente (ad es. aver associato messaggi pubblicitari o link inerenti al contenuto multimediale visualizzato, essersi resi cessionari dei diritti sul materiale pubblicato o aver fornito puntuali istruzioni per la miglior visualizzazione del contenuto). Nell’ultima delle pronunce richiamate si legge infatti che “la situazione attuale rende evidente che le modalità di prestazione di tale servizio (…) si sono distaccate dalla figura individuata nella normativa comunitaria, mentre i servizi offerti si estendono ben al di là della predisposizione del solo processo tecnico che consente di attivare e fornire “accesso ad una rete di comunicazione sulla quale sono trasmesse o temporaneamente memorizzate le informazioni messe a disposizione da terzi al solo scopo di rendere più efficiente la trasmissione”, finendo nell’individuare (se non un vero e proprio content provider…) una diversa figura di prestatore di servizi non completamente passivo e neutro rispetto all’organizzazione della gestione dei contenuti immessi dagli utenti (…), organizzazione da cui trae anche sostegno finanziario in ragione dello sfruttamento pubblicitario connesso alla presentazione (organizzata) di tali contenuti.” [72]   11. Conclusioni.   Il tema dianzi sollevato della responsabilità degli Internet Service Providers, piuttosto che un prodotto sembra essere un problema già compreso in nuce all’interno della tutela del diritto d’autore nelle reti di comunicazione elettronica, posto il diretto coinvolgimento degli operatori nelle (eventuali) procedure di notice and take down avviate in caso di infrazione. Come detto in precedenza, si tratta di un terreno di dibattito vivo ed attuale, in quanto si pone al crocevia di una serie di interessi primari, fra cui il diritto all’informazione – sottospecie del diritto di manifestazione del pensiero – ed il diritto d’autore, che richiedono un delicato bilanciamento e da cui dipende, in buona parte, la possibilità di arginare l’annoso problema della pirateria informatica. Suggestiva appare la proposta formulata in merito da alcuni autori, favorevoli ad un approccio pragmatico basato sull’integrazione fra proprietà intellettuale e tutela del consumatore, già prevista, limitatamente agli interessi economici dei consumatori medesimi, dalla recente direttiva 2011/83/UE. La diversa posizione fra fornitore del servizio ed utente, in qualità di parte debole del rapporto, indurrebbe infatti a tutelare quest’ultimo alla stregua di un consumatore, posta la superiorità della controparte contrattuale, in grado di esercitare un controllo decisivo sulla prestazione eseguita (rendendola disponibile, offrendola sul mercato e detenendone il relativo dominio tecnico ed informativo). [73] Altro tema ampiamente dibattuto e strettamente connesso a quello in parola è l’effettiva conoscenza delle violazioni del diritto autorale richiesta ai providers, dal momento che il d. lgs. 70/2003 non specifica esattamente a quali condizioni l’operatore è da ritenersi consapevole dell’illecito commesso dagli users sì da attivarsi per la rimozione del contenuto lesivo. La direttiva 2000/31/CE, redatta sul modello statunitense del DMCA, [74] si è purtroppo discostata dal relativo contenuto e, senza fare proprio il concetto di “notice and take down” and “actual knowledge” ivi richiamato – che prevede la notifica al provider del materiale sospetto – ha lasciato una grave lacuna in materia. Il legislatore italiano, per quanto di sua spettanza, si è limitato ad indicare, in sede di recepimento, il duplice requisito della “comunicazione” e della “richiesta da parte delle autorità competenti”, soddisfacendo così la ratio garantista di ancorare l’attivazione di una posizione di garanzia all’emanazione di un atto certo e facilmente identificabile, in quanto proveniente da soggetti pubblici qualificati. [75] Diversamente opinando esisterebbe il rischio, neppure troppo remoto, di aprire il varco ad un intervento di screening da parte dell’host provider, il quale comincerebbe a filtrare i contenuti immessi dagli utenti e a rimuovere quelli lesivi senza dover attendere un provvedimento formale da parte delle autorità preposte, all’unico scopo di evitare accertamenti giudiziali di responsabilità e diminuire così il rischio di risarcimenti, ponendo in essere, in ultima istanza, un’attività censoria pregiudizievole per la rete e la sua libertà. In proposito si rilevano opinioni piuttosto disomogenee: alcune tesi sono favorevoli all’introduzione di un criterio di responsabilità poco severo, suscettibile di produrre un effetto di underdeterrence, in quanto i providers, certi della loro impunità, non avrebbero sprone a controllare gli users né tantomeno investirebbero nel mettere a punto programmi di controllo dei flussi di dati; certaltre, aventi ad oggetto un regime di responsabilità più stringente, basato sul criterio della culpa in eligendo, determinerebbero – di contro – un effetto di overdeterrence atto ad estromettere dal mercato i providers meno solidi dal punto di vista economico, perché non in grado di affrontare i costi legati ad un tipo di sorveglianza particolarmente rigido, e si realizzerebbe così, da ultimo, un oligopolio fra operatori. [76] Tuttavia non può che convenirsi con quella parte di dottrina secondo cui – molto più realisticamente – una simile attività preventiva è attualmente impossibile da realizzare, tanto a livello materiale che tecnico e, se posta in essere, determinerebbe il collasso del sistema. [77] Anche la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha condiviso questa preoccupazione, affermando, nel caso Sabam/Netlog, la inopportunità di “un controllo generalizzato, preventivo ed illimitato da parte del provider.” [78] La misura richiesta dalla società ricorrente Sabam è stata infatti ritenuta in contrasto con l’art. 15 della direttiva 31/2000/CE e con l’art. 3 della direttiva enforcement, perché non equa, proporzionata ed eccessivamente costosa. [79] Il sistema di filtraggio da essa ipotizzato, [80] secondo i giudici, sarebbe stato idoneo, nell’ordine, a compromettere la riservatezza dei dati degli utenti, ledere la libertà di informazione limitatamente alla condivisione di materiali leciti nonché, da ultimo, riservare un trattamento omologo ed indifferenziato alle opere immesse gratuitamente o già cadute in pubblico dominio e le opere illecitamente condivise. [81] Inoltre, a parere di chi scrive, pare oltremodo oneroso – come sostenuto dalla più recente giurisprudenza – imporre ai segnalanti l’obbligo di una denuncia analitica, atta a garantire ai providers una conoscenza effettiva degli illeciti contestati e che permetta loro di identificare: (i) inequivocabilmente gli URL dei link a siti a contenuto illecito; (ii) il diritto violato, caso per caso; (iii) il titolo comprovante tale diritto fornendo adeguata documentazione probatoria; (iv) precisare l’entità della violazione, integrale o parziale. [82] Come acutamente osservato da alcuni autori, il ruolo degli Internet Service Providers e il relativo regime ad essi applicabile non è, o perlomeno non è solamente, un elemento strutturale del mercato ma diventa la chiave di volta della futura coniugazione dei diritti di libertà. Una eccessiva concentrazione del potere di informazione in mano a pochi soggetti metterebbe a rischio il pluralismo della rete, offrendo il fianco ad interventi intrusivi e censori da parte di soggetti squisitamente privati che, in quanto tali, verrebbero ragionevolmente guidati non tanto dal pubblico interesse quanto dalla convenienza economica individuale. Appare quindi ragionevole ritenere che il punctum dolens delle delibere in esame non va ravvisato né nella legittimazione dell’Agcom ad intervenire con una normazione di secondo grado sulla tutela del diritto d’autore né nella scarsa efficacia delle procedure ivi menzionate, bensì nella individuazione di un’architettura di rete “sostenibile” che, utilizzando in via preferenziale forme di autoregolamentazione e di cooperazione antipirateria, detti poche ma chiare regole riguardo l’imputabilità della responsabilità degli Internet Service Providers, favorendo così un più corretto e civile utilizzo della rete.   —————— Note: [*] Il presente saggio è stato preventivamente sottoposto a referaggio anonimo affidato ad un componente del Comitato di Referee secondo il Regolamento adottato da questa Rivista. [1] Trattasi di una dichiarazione del Consigliere D’Angelo, riportata in Diritto d’autore: l’Agcom può avere il potere di oscurare i siti?, 3 marzo 2012, disponibile su http://www.key4biz.it/cgi-bin/key4biz/k4b.cgi?a_z=v_t&id_testo=22389133401284867006992478072483099513051&area_tematica=Media [2] A. PRETO, Diritto degli audiovisivi, Antonio Preto (Agcom): “Il futuro di questo settore e le sfide dell’Agcom nei prossimi mesi“, 10 ottobre 2012, disponibile su http://www.key4biz.it/News/2012/10/10/Policy/Fabio_Bassan_Emilio_Tosi_agcom_Diritto_degli_audiovisivi_antonio_preto_213122.html [3] R. NATALE, Diritto d’autore, Corrado Calabrò: “Regolamento Agcom prima della scadenza del mandato”. Impatto della pirateria nel mondo 550 mld di dollari, del 4 aprile 2012, disponibile al seguente indirizzo http://www.key4biz.it/News/2012/04/04/Policy/Corrado_Calabro_agcom_diritto_d_autore_Antonio_Catricala_209628.html [4] Audizione del Presidente Agcom presso la Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale, 4 aprile 2012, disponibile su http://www.key4biz.it/Analisi_e_Dati/Papers/2012/04/Audizione_del_Presidente_Corrado_Calabro.html [5] E. TOSI, Diritto d’autore 2.0 e tutela dei contenuti digitali: le procedure di rimozione selettiva e la sfida dell’Agcom, 16 ottobre 2012, disponibile su http://www.key4biz.it/ [6] G. COLANGELO, Comunicazioni elettroniche, contenuti digitali e diritto d’autore: commento al Regolamento Agcom, in Mercato, Concorrenza e Regole, 3/2011, 576. [7] F. GRAZIADEI, G. RIZZO, A. STAZI, Reti e contenuti nella prospettiva della convergenza: scenari ed opzioni aperte dallo sviluppo del digitale, in Dir. Inf., 539, 2003. [8] “I fruitori (…) delle opere si fanno “moltiplicatori” delle conoscenze: il raggio delle quali si espande, per l’appunto, per trasmissione/comunicazione sociale diffusa. Questa differenza (…) rende vieppiù rilevante la tutela delle ragioni di accesso a queste opere (…). È proprio nel campo del diritto d’autore che, come noto, la tensione fra ‘right’ e ‘access’ si è fatta più intensa, e complessa, in conseguenza dell’affermazione delle tecniche digitali di riproduzione e di trasmissione telematica: tecniche che consentono di realizzare e diffondere in “tempi reali” perfette riproduzioni di opere di ogni tipo a platee planetarie di fruitori.” Così. G. GHIDINI, Introduzione, in G. GHIDINI, A. STAZI (a cura di), Accesso e informazione a conoscenza dell’era multimediale, Luiss University Press, 2011. [9] Participative Web and User-Created Content, OCSE 2007, 9. [10] Così V. FRANCESCHELLI, Sul controllo preventivo del contenuto dei video immessi in rete e i provider. A proposito del caso Google/Vividown, in Riv. dir. ind., 2010, 4-5: “La commercializzazione della rete e le regole del commercio elettronico hanno sottoposto a forte tensione i principi generali del diritto d’autore, la struttura territoriale del diritto industriale, la disciplina della concorrenza ed iniziano a porre problemi di antitrust.” Sul punto, G. COLANGELO, Comunicazioni elettroniche, contenuti digitali e diritto d’autore: commento al Regolamento Agcom, cit., sostiene “l’avvento dell’era digitale ha sconvolto l’orizzonte di riferimento (…) tanto da sollecitare l’interrogativo sulla opportunità di declinare una costituzione per il mondo del web”. [11] Come sottolineato del resto dal Presidente dell’Agcom nella recente audizione del 21 luglio u.s. presso la VII ed VIII Commissione parlamentare “il diritto alla libera circolazione del pensiero nelle nuove forme della tecnologia è indubbiamente un principio fondamentale per la società d’oggi, ma esso non può e non deve strangolare i diritti patrimoniali sulle opere dell’ingegno”. [12] V. delibera Agcom 668/10/CONS del 17 dicembre 2010. [13] Sempre più spesso si registrano fenomeni di walled garden, in grado di determinare situazioni di monopolio relativamente al possesso e alla messa a disposizione del pubblico di determinati contenuti. [14] Inoltre, come attentamente rilevato anche all’interno della delibera de qua, vi è una stretta correlazione fra il lasso di tempo che occorre attendere per l’immissione del prodotto nei vari canali distributivi e la disponibilità/circolazione della copia “pirata”, di qualità audio/video pari a quella del prodotto originale. [15] Si tratta di un provvedimento già previsto in caso di offerta via web di giochi, lotterie, scommesse o concorsi in assenza di autorizzazione, oppure in caso di traffico di materiale pedopornografico. L’Agcom si riserva inoltre la facoltà di procedere a revisione di entrambe le procedure di infringement trascorsi sei mesi dalla loro prima applicazione, qualora dovessero insorgere eventuali criticità in sede attuativa. [16] V. Raccomandazione della Commissione del 18 maggio 2005, sulla gestione transfrontaliera collettiva dei diritti d’autore e dei diritti connessi nel campo dei servizi musicali online autorizzati, in GUCE L 276 del 21 ottobre 2005. [17] L’anzidetto sistema di adesione volontaria degli Internet Service Providers a sistemi di remunerazione degli autori fondati sugli incrementi tariffari selettivi rischia infatti di produrre alterazioni delle condizioni concorrenziali e di mercato, penalizzando gli operatori che assumono un atteggiamento collaborativo nello sviluppo di un’offerta legale di contenuti online o gli utenti che non utilizzano la rete per l’acquisto di contenuti protetti. [18] La legittimità di un simile intervento, volto a garantire l’estensione automatica degli effetti di accordi volontari relativi agli utilizzi consentiti di opere protette online – e alle modalità di remunerazione e gestione dei diritti collettivi – si fonda sul potere normativo attribuito all’Autorità e, per l’esattezza, il potere normativo generale di tipo “para-legislativo” nel settore delle comunicazioni elettroniche tanto a livello nazionale che internazionale; (ii) le competenze attribuite dalla legislazione nazionale in materia di diritto d’autore nonchè l’ampia delega contenuta nell’art. 6 del d. lgs. 44/2010 (c.d. decreto Romani). [19] V. in proposito anche le dichiarazioni di segno positivo rilasciate dalla Commissione europea in sede di Prima relazione in merito all’applicazione della direttiva 2000/31/CE, in GU C/2004/96. [20] V. O. POLLICINO, Copyright versus freedom of speech nell’era digitale, in Giur. It., 2011, 1952, secondo cui un simile meccanismo, ove adottato, “avrebbe potuto essere dichiarato illegittimo, non solo alla luce dell’art. 21 Cost., ma anche in virtù dei parametri offerti dall’art. 10 della CEDU e dall’art. 11 della Carta di Nizza: e ciò non solo perché detta previsione difficilmente avrebbe superato il less restrictive alternative test alla base del principio di proporzionalità – cardine delle prassi giurisprudenziali delle Corti di Strasburgo e Lussemburgo – ma anche, soprattutto, e più semplicemente, poiché essa avrebbe comportato la violazione di un diritto ormai riconosciuto come fondamentale senza garantire un procedimento avanti ad un’autorità giurisdizionale, affidando, peraltro in via meramente eventuale (e cioè in ipotesi di inottemperanza del fornitore di media audiovisivi alla segnalazione evasa dal titolare del diritto), all’Agcom il compito di assicurare il rispetto di alcune limitatissime garanzie procedimentali.” [21] Aggiornamento problematiche emerse nel settore internet in materia di diritto d’autore, audizione del Presidente dell’Agcom tenutasi presso la VII ed VIII Commissione parlamentare in data 21 marzo 2012. [22] Pena l’immediata archiviazione in via amministrativa della segnalazione, ai sensi dell’art. 9 comma 2 della delibera 398/11/CONS. [23] Così M. MANETTI, Autorità indipendenti (Dir. cost.), in Enc. Giur., vol. IV, Roma, 1997, 8: “(…) ove le Autorità indipendenti esercitino una funzione di tipo giustiziale in qualità di arbitro posto in una posizione neutrale e terza rispetto alle parti, nel rispetto del contraddittorio tra di esse, l’esercizio di detta funzione non potrà mai pregiudicare la possibilità di ricorrere all’autorità giudiziaria al fine di esercitare il fondamentale diritto di azione di cui all’art. 24 Cost., né quella di limitare la tutela giurisdizionale contro i provvedimenti emessi dalle Autorità in funzione paragiurisdizionale a particolari rimedi impugnatori.” [24] Circa la compatibilità di tale addizione di mezzi con il principio della riserva di giurisdizione e le relative eventuali ripercussioni v. G. DE MINICO, Diritto d’autore batte Costituzione 2 a 0, 22 luglio 2012, disponibile su www.costituzionalismo.it. [25] Sulle recenti problematiche emerse nel settore internet in materia di diritto d’autore, audizione del Presidente dell’Agcom tenutasi presso la VII ed VIII Commissione parlamentare in data 21 luglio 2012. [26] G. COLANGELO, Comunicazioni elettroniche, contenuti digitali e diritto d’autore: commento al Regolamento Agcom, cit., 590. [27] V., ex multis, il giudizio caustico di G. DE MINICO, Diritto d’autore batte Costituzione 2 a 0, cit. Si legge infatti: “Il nostro Decreto 44 è affetto da una grave incostituzionalità perché assomiglia di più a un “colabrodo” che non a una legge di sistema sul copyright in Internet. (…) E il fatto che fino a oggi il legislatore abbia omesso di compiere il suo dovere e che di contro le Autorità abbiano occupato il vuoto di potere lasciato dal primo, non rende conforme a Costituzione tale sequenza di atti normativi, pure rilevato da tempo da un’esigua parte della dottrina.” Inoltre, con riferimento alla seconda delibera Agcom, “Il vulnus alla riserva di legge a protezione delle libertà fondamentali, anche a intenderla relativa, non è stato sanato, né poteva esserlo, perché avendo disposto il Decreto 44 una delega in bianco all’Autorità, neanche la seconda stesura del regolamento poteva porre rimedio a un vizio di legittimità, che in prima istanza era nel titolo attributivo del suo potere: il Decreto 44”. Sul tema della delega in bianco e l’eccessiva discrezionalità dei poteri attribuiti alle Autorità amministrative indipendenti si segnala M. CLARICH, Le Autorità indipendenti tra regole, discrezionalità e controllo giudiziario, in Foro amm., TAR, 2002, 11, 3860. [28] “Come conferma tra l’altro il sesto comma dello stesso articolo, che per le manifestazioni vietate in quanto contrarie al buon costume prevede espressamente che la legge “stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere violazioni”, senza precisarne la natura e la competenza, ferma restando (…) quanto sancito dai commi precedenti solo nei riguardi della stampa”. Così, V. ONIDA, Parere in tema di misure per contrastare la c.d. “pirateria informatica”, disponibile su http://www.confindustriaculturaitalia.it/index.php?option=com_wrapper&view=wrapper&Itemid=21 [29] Ib.: “Naturalmente ciò non significa che la legge sia libera di disciplinare la materia in qualunque modo: occorrerà pur sempre che le misure previste rispondano a criteri di proporzionalità e che siano adottate sulla base di una sufficiente base legale”. [30] Ib. [31] A. PIROZZOLI, L’iniziativa dell’Agcom sul diritto d’autore nelle reti di comunicazione elettronica, in Rivista AIC, 2/2011. L’A. chiosa, fra l’altro, in merito ai poteri della SIAE sostenendo che “l’assegnazione di un ruolo primario di vigilanza e tutela della SIAE mal si concilierebbe con la natura di questa, espressamente definita dalla l. 59/1997 (…) come un ente pubblico su base associativa”. Per tale definizione, v. ex multis Cass., SS.UU., 22 ottobre 1954, n. 3991, in Mass. Foro It., 1954, 798 ss.; Cons. Stato, Sez. VI, 1 marzo 1996, n. 297, in Giur. It., 1996, III, 1, 408 ss. [32] Il primo caso con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha adottato tale misura inibitoria, esercitando le competenze di cui al d. lgs. 70/2003, ha riguardato un’ipotesi relativa a pratiche commerciali scorrette poste in essere nell’e-commerce. Nel provvedimento n. 23349 del 6 marzo 2012, è stato dunque ordinato che “i soggetti (…) che rendono accessibile l’indirizzo IP 78.109.87.200 al quale corrispondono i seguenti nomi a dominio (…) impediscano l’accesso ai corrispondenti siti web da parte degli utenti mediante richieste di connessione alla rete internet provenienti dal territorio italiano”. Per i dettagli, v. PS 7677 – Private Outlet, in Bollettino AGCM, 8/2012. [33] Così Z. ZENCOVICH nella relazione introduttiva al Convegno “Strumenti per il diritto d’autore su Internet”, promosso dall’Istituto per lo Studio dell’Innovazione, Roma, 23 maggio 2011, disponibile su www.isimm.it. [34] “Gli interventi di autorità amministrative e, in specie dell’Agcom, nel caso di violazioni di limiti e divieti imposti dalla legge, sono dunque espressamente legittimati dalla legge con specifico riferimento anche ai servizi collegati all’utilizzo della rete Internet”. V. V. ONIDA, Parere in tema di misure per contrastare la c.d. “pirateria informatica”, cit. [35] Cfr. sul punto S. SEMINARA, La pirateria su internet e il diritto penale, in Riv. trim. dir. pen. ec., 1997, 1-2 e O. TROIANO, Gli illeciti attraverso Internet: problemi di imputazione e responsabilità, in AIDA, 1998, I. [36] Di tale avviso anche il Tribunale di Napoli, il quale ha affermato l’equiparabilità del provider all’editore, quale “sistema internazionale di interrelazione tra piccole e grandi reti telematiche”, da cui l’obbligo anche per il primo di vietare e non agevolare comportamenti illeciti dei suoi utenti (v. Trib. Napoli, Mario Cirino Pomicino S.p.a./GE.R.EDIL. S.a.s. + altri, 8 agosto 1997, in Giust. Civ., 1998, I, 259). Contra v. Tribunale di Oristano, 25 maggio 2000, in Foro It., 2000, II, c. 663, secondo cui “entrambe le norme considerate [art. 13 l. 47/1948 e art. 30 l. 223/1990] non possono essere applicate alla diffamazione commessa via Internet, mezzo di diffusione delle informazioni del tutto peculiare, al quale, vertendo in materia penale, non può essere estesa in via analogica la disciplina dettata per la stampa o la televisione”. [37] Tale ipotesi ricostruttiva è interamente mutuata dalla teoria statunitense del contributory infringement, secondo cui un soggetto (c.d. secondary liable) è da ritenersi responsabile laddove contribuisca materialmente – e dunque al di fuori dello schema tipico della responsabilità oggettiva – alla commissione di un illecito altrui (c.d. directly liable). Nel corso del tempo, la necessità di indagare anche l’elemento psicologico dal partecipante al fine dell’imputabilità in concreto della condotta ha portato alla creazione di due opposti schieramenti: il primo, secondo cui è richiesta un’effettiva consapevolezza (actual knowledge) della strumentalità del proprio agire alla causazione del danno direttamente cagionato da altri, il secondo che ritiene sufficiente la volontaria messa a disposizione di mezzi obiettivamente in grado di facilitare la commissione dell’illecito da parte di un soggetto terzo (constructive knowledge). V. F. DI CIOMMO, Programmi-filtro e criteri di imputazione/esonero della responsabilità on-line. A proposito della sentenza Google/Vivi Down, in Dir. inf., 6, 2010. [38] Un esempio di applicazione giurisprudenziale di questa tesi è rinvenibile nel decreto del Procuratore della Repubblica di Vicenza del 23 giugno 1998, in Dir. inf e inf., 1998, 821, ove si afferma testualmente la responsabilità del provider “in quanto mette a disposizione dei soggetti mezzi per porre in essere illeciti informatici”. [39] Cfr. G.M. RICCIO, Profili di responsabilità civile dell’Internet Service Provider, Salerno, 2000. [40] F. DI CIOMMO, Programmi-filtro e criteri di imputazione/esonero della responsabilità on-line. A proposito della sentenza Google/Vivi Down, cit. [41] Sul tema si segnalano, inter alia, L. NIVARRA, Responsabilità del provider, in Dig. civ., UTET, Torino, 2003, 1196; G.M. RICCIO, in S. SICA, P. STANZIONE (a cura di), Professioni e responsabilità civile, Bologna, Zanichelli, 2006, 749; C. MENICHINO, sub art. 14, d.lgs. 9 aprile 2003, n. 70, in V. CUFFARO, A. BARENGHI, A. BARBA (a cura di), Commentario del Codice del Consumo, Giuffrè, Milano, 2008, 1000. [42] Occorre notare che, come attentamente rilevato dal Tribunale di Roma nell’ordinanza del 15 aprile 2010, FAPAV/Telecom Italia S.p.a., in Foro It., 2010, 5, 1, 1598, “L’obbligo di sospendere l’accesso ai siti, di cui all’art. 16, comma 1, del d. lgs. 70/2003 è riferibile, unicamente, al prestatore di servizi di hosting”. E’ dunque cruciale, da parte dell’attore, individuare con esattezza l’attività svolta dal provider che si intende convenire in giudizio, pena l’impossibilità di accogliere la richiesta giudiziale formulata ai sensi del suddetto art. 16 (vedi anche infra). [43] Tale meccanismo, di c.d. notification, è stato peraltro oggetto di attenzione da parte della giurisprudenza, come si avrà modo di approfondire nel prosieguo. [44] Riguardo a tale ultimo obbligo, la dottrina si divide sulla relativa ampiezza. Cfr., ex multis, F. DI CIOMMO, La responsabilità civile in Internet: prove di governo dell’anarchia tecnocratica, in La responsabilità civile, 2006 e A. MANNA, La disciplina del commercio elettronico, Torino, Cedam, 2005. Il primo sostiene la sussistenza dell’obbligo, da parte del provider, di verificare la correttezza delle informazioni trasmesse alle autorità competenti, mentre il secondo, di contro, ritiene che l’ISP debba limitarsi alla mera trasmissione dei medesimi. [45] “Nel caso di specie si verte in una diversa ipotesi da quella invocata dalla ricorrente con riferimento all’art. 24 citato, giacché la fase in cui si verte è ben anteriore all’utilizzazione dei dati personali posseduti legittimamente, avendo al contrario ad oggetto proprio la richiesta di acquisizione del dato personale di modo che si tratta di un ambito logicamente e temporalmente anteriore rispetto all’ipotesi contemplata dall’art. 24, sicché la norma richiamata non può costituire valida base argomentativa dalla presente richiesta di esibizione dei dati personali. A ciò deve aggiungersi che il possesso dei dati parziali avuto dalle ricorrenti sui presunti autori delle violazioni lamentate, ossia i codici IP e GUID, sempre in virtù della disciplina dettata dal d. lgs. 196/2003 risulta illecito, trattandosi di dati acquisiti in assenza di autorizzazione dell’autorità Garante per la privacy (in base all’art. 37) e del consenso informato dei diretti interessati (art. 13 e 23). Dunque, la norma dell’art. 24 d. lgs. 196/2003 non può operare in senso favorevole alle ricorrenti per entrambi i motivi testé illustrati, con l’ulteriore rilievo che la connotazione d’illecito dell’acquisizione dei citati codici IP e GUID da parte della ricorrente determina la completa inutilizzabilità di tali dati anche in sede giudiziale ai sensi dell’art. 111, comma 2, del medesimo decreto, sicché gli stessi non possono costituire la base indiziaria (seri elementi) richiesta dall’art. 156 bis della legge sul diritto d’autore per la valutazione del Giudice in ordine alla fondatezza della domanda, e ciò rappresenta esso stesso un elemento ostativo per l’accoglimento dell’istanza cautelare in esame in quanto, in base alle specifiche (…) richiamate (artt. 13, 23 e 37 d. lgs. 196/2003), le ricorrenti non potevano compiere le attività di acquisizione e conservazione (quindi il trattamento) dei dati posti dallo stesso a fondamento della richiesta cautelare, quali «seri elementi» di prova della fondatezza della domanda.” (Trib. Roma, 14 luglio 2007, Peppermint e Techland/Wind Telecomunicazioni S.p.A., in Dir. Ind., 2007, 6, 588.) [46] Ib.: “L’espressione “scala commerciale”, tuttavia, deve essere intesa non solo come atto privo di fine di lucro, ma in termini ancora più restrittivi, inducendo ad escludere l’applicazione degli artt. 156-bis e ter l.d.a. anche ai casi di illecito connotati da fine di lucro non qualificato. Il riferimento alla “scala commerciale” infatti deve essere inteso come “pirateria”, ossia come quella fattispecie prevista e punita dall’art. 171-ter l.d.a.”. Vedasi sul punto anche G. CORASANITI, Sanzioni penali e diritto d’autore, proposte di riforme e tendenze normative europee, in Dir. aut., 2006; S. SEMINARA, La pirateria su internet e il diritto penale, in Riv. trim. dir. pen. ec., 1997; P. GALDIERI, Teoria e pratica dell’interpretazione del reato informatico, Giuffrè, Milano, 1997. [47] Si veda contra D. SARTI, Il terzo e la contraffazione: profili civilistici, in L. NIVARRA (a cura di), L’enforcement dei diritti di proprietà intellettuale, Giuffrè, Milano, 2005; nonché Trib. Milano, sez. PII, Sky Italia/Telecom Italia S.p.A., 3 giugno 2006, in Dir. Int., 2006. [48] Trib. Roma, RTI/YouTube LLC + altri, 16 dicembre 2009, in Giur. It., 2010, 6, 1323. [49] Ib. Il collegio ha isolato tre clausole da cui risulta in modo particolarmente evidente il potere gestorio di YouTube: “a) Il provider si riserva il diritto di interrompere in via temporanea o permanente la prestazione del proprio servizio, in toto o limitatamente ad alcuni aspetti dello stesso (quindi anche soltanto nei confronti di singoli utenti o fruitori finali) a sua completa discrezione e senza alcun preavviso; b) il provider dichiara contrattualmente di adottare una ben definita copyright policy, che mira a tutelare “i detentori di copyright” nonché “a trovare ed eliminare dal sito i presunti contenuti che violano il copyright”, predisponendo anche specifici mezzi tecnici a ciò finalizzati, comprendenti persino l’attuazione di un apposito “programma di verifica di contenuti” (art. 6.5 dei Termini d’Uso); “Il provider si impegna ad interrompere immediatamente il servizio rispetto a quei contenuti (e a disabilitare l’accesso all’account dell’utente che li ha caricati) una volta individuato, tramite il sistema di segnalazioni e verifiche così predisposto, il materiale che, presumibilmente, risulti illecitamente pubblicato e diffuso” (art. 7 dei Termini d’Uso) e “Il provider si riserva il diritto di decidere se i Contributi Utente si conformino con i requisiti di contenuto previsti nei Termini e può rimuovere tali Contributi Utente e/o terminare l’accesso di un Utente per caricare qualsiasi Contributo Utente che sia in violazione dei presenti Termini di Servizio in qualsiasi momento, senza previo avviso ed a sua esclusiva discrezione (art. 9.4 dei Termini d’Uso)”. [50] Sempre il Tribunale di Milano con sentenza del 17 giugno 2011 ha confermato tale indirizzo, individuando nell’attività di sfruttamento commerciale compiuta dal provider sui contenuti audiovisivi immessi dai propri utenti in rete una forma di consapevole partecipazione al compimento dell’illecito suscettibile di fondarne la relativa responsabilità in qualità di hoster attivo (“Il provider che sfrutta commercialmente, tramite l’apposizione di inserzioni pubblicitarie, video caricati dai propri utenti disponendo i video attraverso software automatizzati che non richiedono un’attività di selezione da parte dell’uomo non può essere qualificato come mero hosting provider, o hosting passivo, ai sensi dell’art. 16 d.lgs. 70/2003, ma deve essere qualificato come hosting attivo ed è pertanto chiamato a rispondere direttamente in caso di lesione dei diritti d’autore di terzi”, Trib. Milano, Sezione PII, RTI S.p.a./Italia On line S.r.l., 17 giugno 2011, disponibile su https://www.dimt.it). [51] S. LAVAGNINI, La proprietà intellettuale in internet, in AIDA, 2010, 472 ss. [52] Così L. GUIDOBALDI, YouTube e la diffusione di opere protette dal diritto d’autore: ancora sulla responsabilità dei providers tra hoster attivi, conoscenza dell’illecito e obblighi di sorveglianza, in Riv. Dir. Inf., 2, 2010: “È tale l’host provider che non svolga sulla rete quella mera attività di intermediazione che si concreta nella sola messa a disposizione degli utenti di un protocollo di comunicazione o di uno spazio ove si possono caricare dati, contenuti e informazioni, ma che compia qualcosa di più, e, ad esempio, fornisca servizi aggiuntivi di memorizzazione e diffusione e, soprattutto, di indicizzazione, presentazione, supervisione, gestione degli stessi, anche al fine di un loro sfruttamento commerciale”. [53] V. Trib. Catania, 29 giugno 2004, in Dir. Internet, 2005 e Trib. Milano, Google/ViviDown, 24 febbraio 2010, n. 1972, in Foro It., 2010, II, 279. [54] L. GUIDOBALDI, YouTube e la diffusione di opere protette dal diritto d’autore: ancora sulla responsabilità dei providers tra hoster attivi, conoscenza dell’illecito e obblighi di sorveglianza, cit. [55] Trib. Milano, Google/ViviDown, cit.: “È pertanto ovvio che l’hoster attivo o il content provider che dir si voglia avrà certamente un livello di obblighi e di comportamenti più elevato di quello di un semplice host provider o service provider o access provider: lo rende inevitabile il suo diventare dominus di dati che, per il solo fatto di essere organizzati e quindi selezionati e quindi appresi non sono più il flusso indistinto che non si conosce e che non si ha l’obbligo di conoscere”. [56] Trib. Roma, FAPAV/Telecom Italia S.p.a, 15 aprile 2010, in Foro It., 2010, 5, 1, 1598. [57] Ib. Nella decisione resa in sede cautelare si legge come tale obbligo abbia “la finalità di rendere effettiva la possibilità di intervento dell’autorità giudiziaria o amministrativa e quindi di sollecitare l’attività di accertamento delle violazioni, nell’ambito della quale potranno eventualmente essere attivati, questa volta dall’autorità stessa, gli ulteriori obblighi di protezione”. [58] D. MULA, La responsabilità e gli obblighi degli Internet Service Provider per violazione del diritto d’autore, in Riv. dir. ind., 3, 2010. [59] “Se da un lato il gestore del motore di ricerca nella fase di selezione e posizionamento delle informazioni in generale non svolge un ruolo attivo e quindi non ha conoscenza dei link e non esercita un controllo preventivo sui contenuti dei siti sorgente a cui è effettuato il link, dall’altro però, una volta venuto a conoscenza del contenuto illecito di specifici siti, identificati dai c.d. URLs (Uniform Resource Locator), è in condizione di esercitare un controllo successivo e di impedirne la indicizzazione e il collegamento.” (Trib. Roma, PFA/Yahoo, 20 marzo 2011, in Corr. mer., 2011, 10, 922). Tale eventualità, si legge nell’ordinanza, è peraltro confermata dalle stesse risultanze istruttorie, dal momento in cui Microsoft ammette a PFA e si dichiara disponibile a rimuovere le indicizzazioni incriminate, previa comunicazione dei relativi URLs da parte dell’attrice. [60] Trib. Roma, PFA/Yahoo, cit. [61] Il Tribunale di Roma, facendo propria la conclusione della sentenza della Grande sezione dalla Corte di Giustizia Europea in data 23 marzo 2010, resa in sede di interpretazione pregiudiziale dell’art. 14 della direttiva sulla società dell’informazione in relazione ad una fattispecie di rimessione della Cour de Cassation in tre controversie tra la società Louis Vuitton Mallettier SA ed altri e Google France per la responsabilità di quest’ultima nella gestione del motore di ricerca ADWords, ritiene infatti che se il prestatore di un servizio di posizionamento su Internet non ha svolto un ruolo attivo non può essere ritenuto responsabile per i dati memorizzati, ad eccezione del caso in cui sia venuto a conoscenza della natura illecita di tali dati e/o attività omettendone la pronta rimozione/disabilitazione a terzi. [62] Trib. Roma, PFA/Yahoo, cit. [63] Trib. Roma, IX, Yahoo/PFA, 16 giugno 2011, in Dir. Ind., 2012, 1, 75. Si veda, sul tema, E. TOSI, La responsabilità civile per fatto illecito degli Internet Service Provider e dei motori di ricerca a margine dei recenti casi Google Suggest per errata programmazione del software di ricerca e Yahoo!Italia per link illecito in violazione dei diritti di proprietà intellettuale, in Riv. dir. ind., 2012, 1, 44. [64] Tale assunto risulta peraltro essere suffragato dalla sentenza resa dai giudici inglesi, che si sono discostati tanto dalla giurisprudenza italiana in esame quanto da quella francese. Il caso prendeva le mosse dal servizio di snippet fornito da Google, riportante un messaggio falso e – dunque – lesivo dell’immagine del ricorrente, il Metropolitan International Schools Ltd, che svolge attività di formazione scolastica a distanza. Il giudicante ha, infatti, ritenuto che Google non possa essere in alcun modo responsabile per un testo, considerato lesivo della reputazione di un’azienda, assemblato senza l’intervento umano. La società non è infatti un editore e non può prevedere il contenuto dei c.d. snippet che, a parere della resistente, operano in maniera statistica, automatica ed oggettiva. Piuttosto, dovrebbe essere convenuto, in base a quanto stabilito dai giudici, l’autore del testo e non coloro che, semplicemente, lo rendono accessibile. (v. in proposito, E. MAGGIO, Google, accusata di diffamazione a mezzo suggerimenti di ricerca, è stata dichiarata colpevole dalla giustizia francese, innocente secondo i giudici del Regno Unito, in https://www.dimt.it/. Contra, tuttavia, Trib. Milano, A.B./Google Search, 24 marzo 2011, in https://www.dimt.it/). [65] È la tesi di E. TOSI, La responsabilità civile per fatto illecito degli Internet Service Provider e dei motori di ricerca a margine dei recenti casi Google Suggest per errata programmazione del software di ricerca e Yahoo!Italia per link illecito in violazione dei diritti di proprietà intellettuale, cit. [66] “In particolare, la P.F.A. Films S.r.l., in violazione dei propri oneri di allegazione e di prova, si è limitata ad una denuncia assolutamente generica della presenza in rete di contenuti immessi da terzi, riproducenti l’opera di cui si afferma titolare; (…) la necessità di verificare in questa sede la sussistenza e l’entità delle “violazioni commesse”, (…) impone alle ricorrente di fornire indicazioni circa i contenuti web dei quali richiede in via cautelare e urgente la rimozione; (…) tale necessità discende in primo luogo dal rispetto dell’onere di allegazione (…) che pertanto per ciascun contento immesso in rete, del quale la ricorrente affermi la provenienza da soggetto non autorizzato, la stessa ricorrente avrebbe dovuto fornire l’indicazione dell’indirizzo internet (URL) in cui è disponibile il filmato contestato.” (Trib. Roma, IX, Yahoo/PFA, cit.). [67] “…è escluso un dovere di controllo preventivo del provider rispetto ai contenuti immessi in rete, (…) conseguentemente la preventiva individuazione dei contenuti web di carattere illecito costituisce un’attività che non può certamente essere rimessa al provider, essendo viceversa tale attività il risultato di una valutazione rimessa in primo luogo al titolare del diritto che si afferma leso…” (Trib. Roma, IX, Yahoo/PFA, cit.). [68] Si segnalano i seguenti contributi: E. TOSI, La responsabilità civile per fatto illecito degli Internet Service Providers e dei motori di ricerca a margine dei recenti casi Google Suggest per errata programmazione del software di ricerca e Yahoo!Italia per link illecito in violazione dei diritti di proprietà intellettuale, cit.; M. BELLIA, G. A: BELLOMO, M. MAZZONCINI, La responsabilità civile dell’Internet Service Provider per violazione del diritto d’autore, in Dir. Ind., 2012, 4, 341. [69] Trib. Milano, Sezione PII, Sky Italia S.r.l./ Davide Boizza e Telecom Italia S.p.A., 7 gennaio 2010. [70] Trib. Milano, Sezione PII, R.T.I./Yahoo!Italia, 19 maggio 2011. [71] Trib. Milano, Sezione PII, RTI S.p.a./Italia On line S.r.l., cit. [72] Ibidem. [73] Di tale avviso sembra essere A. STAZI, Proprietà intellettuale e tutela dei consumatori: verso un nuovo framework?, intervento al Workshop del 9 marzo 2012 presso la LUISS Guido Carli di Roma sul tema “Innovazione, concorrenza, benessere dei consumatori nella proprietà intellettuale: l’emersione di “altri” modelli normativi e stakeholders”, disponibile su https://www.dimt.it. Si legge inoltre: “Ciò non significherebbe necessariamente l’inclusione di quest’ultima (n.d.r. la tutela dei consumatori) nel corpus normativo della proprietà intellettuale. Entrambe le discipline, mantenendo la loro autonomia, potrebbero contribuire al bilanciamento degli interessi dei vari player in gioco: produttori, fornitori, consumatori/utenti, etc.” Si veda inoltre, Id., A. STAZI, Digital copyright and consumer/users protection: moving toward a new framework?, in Queen Mary Journal of Intellectual Property, 2, 2, 158 ss. [74] Digital Millennium Copyright Act (1998). [75] L. GUIDOBALDI; YouTube e la diffusione di opere protette dal diritto d’autore: ancora sulla responsabilità dei providers tra hoster attivi, conoscenza dell’illecito e obblighi di sorveglianza, cit. [76] Per ulteriori considerazioni di politica economica, si rimanda a M. BELLIA, G: A: BELLOMO, M. MAZZONCINI, La responsabilità civile dell’Internet Service Provider per violazione del diritto d’autore, cit. [77] Un interessante saggio sull’impatto economico dei diversi modelli di responsabilità è quello di V. FRANCESCHELLI, Digital platforms in a competition law context: a new function of competition law in the digital era?, in Riv. dir. ind. 2012, 06, 289: “If internet providers are considered liable — or could be considered liable — they will be induced to install measures of control. In economic, these measures have costs. Providers that can’t afford them, will be shut down. Others will probably have to merge. This situation will impact the competition, that will be restrained, and, may be, the freedom of speech and communication.” Sul punto, vedasi inoltre, ex multis, V. FRANCESCHELLI, Sul controllo preventivo del contenuto dei video immessi in rete e i provider. A proposito del caso Google/Vividown, cit.; E. MAGGIO, Sentenza Google-Vividown: non esiste la sconfinata prateria di internet dove tutto è permesso e niente può’ essere vietato, nessun cenno alla responsabilità dell’Internet provider, disponibile su https://www.dimt.it.. [78] CGCE, sez. III, 16 febbraio 2012, C-360/10, Belgische Vereniging van Auteurs, Componisten en Uitgevers CVBA (SABAM)/Netlog NV, non ancora pubblicata, disponibile su http://curia.europa.eu. [79] La Corte richiamava in proposito CGCE, sez. III, 24 novembre 2011, C-70/10, Scarlet Extended SA/Société belge des auteurs, compositeurs et éditeurs SCRL (SABAM), non ancora pubblicata, disponibile su http://curia.europa.eu nella misura in cui il sistema di filtraggio preventivo dei contenuti auspicato da SABAM risultava irrealizzabile perché “doveva identificare, in primo luogo, nell’insieme delle comunicazioni elettroniche di tutti i suoi clienti, i file che appartengono al traffico peer-to-peer (…), in secondo luogo, nell’ambito di tale traffico, i file che contengono opere sulle quali i titolari dei diritti di proprietà intellettuale affermino di vantare diritti; in terzo luogo, che esso determini quali tra questi file sono scambiati in modo illecito e, in quarto luogo, che proceda al blocco degli scambi di file che esso stesso qualifica come illeciti.” [80] CGCE, sez. III, 16 febbraio 1012, C-360/10, Belgische Vereniging van Auteurs, Componisten en Uitgevers CVBA (SABAM)/Netlog NV, cit. [81] M. BELLIA, G: A: BELLOMO, M. MAZZONCINI, La responsabilità civile dell’Internet Service Provider per violazione del diritto d’autore, cit.; A. STAZI, Proprietà intellettuale e tutela dei consumatori: verso un nuovo framework, cit. [82] E. TOSI, La responsabilità civile per fatto illecito degli Internet Service Providers e dei motori di ricerca a margine dei recenti casi Google Suggest per errata programmazione del software di ricerca e Yahoo!Italia per link illecito in violazione dei diritti di proprietà intellettuale, cit.

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