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Il Caso Eminem: quando la distribuzione digitale e la definizione di masters entrano in contatto

F.B.T. Productions V. Aftermath Records, 621 F.3d 958 (9th Circuit 2010)

di Giulio Pascali

F.B.T. Productions v. Aftermath Records, 621 F.3d 958 (9th Circuit 2010)La vicenda processuale: Nel 1995, l’etichetta discografica F.B.T. Productions stipulava un contratto con il rapper Eminem, ottenendo l’esclusiva sulla gestione delle sue incisioni musicali. Nel 1998, tale etichetta concludeva un accordo di licenza di tali diritti esclusivi a beneficio della Aftermath Records: in base a tale agreement, sarebbe spettata alla F.B.T. una percentuale tra il 12% ed il 20% sul prezzo di tutte le incisioni vendute negli Stati Uniti attraverso canali di distribuzione ordinari (c.d. “Records Sold provision clause”). Altra clausola prevedeva invece che, in ogni caso, alla F.B.T. sarebbe spettata una percentuale di royalties del 50% sui masters concessi in licenza dalla Aftermath a terzi, per la realizzazione e vendita delle incisioni o per altri usi (c.d. “Masters Licenced provision clause”). Nell’anno 2002, la Universal Music Group Recordings Inc., società madre della Aftermath Records, stipulava un separato accordo con la Apple Computer Inc., per garantire la distribuzione digitale dei brani del rapper statunitense sulla piattaforma Apple iTunes, in modalità c.d. “permanent download”. La UMG Recordings concludeva, negli anni successivi, ulteriori contratti con altre società, per la distribuzione di suonerie basate su brani di Eminem. Nel 2003, F.B.T. ed Aftermath stipulavano un nuovo accordo, che terminava espressamente il precedente: per quanto riguarda le incisioni ed i masters, il nuovo contratto riproduceva in buona sostanza il contenuto del precedente accordo del 1998. Una modifica del 2004 introduceva nel nuovo accordo una clausola di incremento automatico delle Records Sold royalties, al raggiungimento di specifiche soglie numeriche di download digitali, senza tuttavia specificare nulla riguardo tale canale di distribuzione, nemmeno a livello di definizioni contrattuali. F.B.T. agiva dunque nel 2006 contro la Aftermath, sostenendo che spettassero ad Eminem soglie ben più alte di royalties di quelle contenute nella Records Sold provision, e corrisposte fino ad allora dalla Aftermath; tale pretesa veniva argomentata soprattutto in relazione all’accordo tra UMG Recordings ed Apple Computer circa la distribuzione digitale di brani in formato MP3 sulla piattaforma iTunes, che, sostenevano i legali della F.B.T., in assenza di definizioni contrattuali dedicate, aveva ad oggetto qualcosa di assimilabile ai masters delle canzoni del rapper. L’etichetta sosteneva spettassero al celeberrimo rapper, in sostanza, il 50% dei ricavi di Aftermath su tali forme di distribuzione, invece del “mero” 12-20% della Records Sold provision clause. In primo grado, la Corte distrettuale della California non accoglieva i rilevi di F.B.T., sostenendo che le clausole del contratto tra le case discografiche fossero confuse e potessero dunque essere plausibilmente interpretate secondo entrambe le tesi proposte dalle due etichette discografiche; respingendo dunque le richieste di giudizio sommario presentate da entrambe le parti, condannava F.B.T., in quanto plaintiff della causa, al pagamento delle spese processuali. Il 12 luglio 2010, dopo ampia discussione sull’appello proposto da F.B.T. avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, la Corte d’Appello del Distretto Centrale della California, presieduta dal giudice Philip S. Gutierrez, esaminava nuovamente la questione, sostenendo, in particolare: 1. Che la clausola sulla cessione dei masters ben potesse trovare applicazione anche riguardo ai permanent downloads ed ai mastertones (gli MP3 distribuiti tramite iTunes e le suonerie polifoniche): ciò poiché tali file ben possono essere incisi, ad intera discrezione degli utenti che li acquistano, su supporti digitali come CD, al pari di quanto farebbe un qualsiasi licenziatario dei diritti di incisione, con i masters delle canzoni stesse. 2. Che nel primo agreement del 1998 tra F.B.T. ed Aftermath, e nella successiva novazione del 2003, la previsione circa la royalty del 50% sulla cessione dei masters fosse tutt’altro che ambigua, come aveva invece sostenuto la corte distrettuale, e che potesse essere interpretata unicamente nel senso di considerare come masters anche MP3 e suonerie polifoniche. A sostegno di tale motivazione la stessa definizione di masters, fornita nel contratto: “recording of sound…which is used or useful in the recording, production or manufacture of records”. Secondo la Corte d’Appello, inoltre, nemmeno la clausola di incremento delle royalties da Records Sold, introdotta con la novazione del 2004 del contratto tra F.B.T. ed Aftermath, poteva trovare applicazione a beneficio della resistente, poiché tale aggiunta contrattuale faceva espressamente salva ogni clausola preesistente non espressamente oggetto di modifica. Alla luce di tali argomentazioni, dunque, la pronuncia di primo grado veniva interamente capovolta, ed il giudice accoglieva in pieno le tesi della F.B.T. Records, stabilendo che al rapper Eminem spettassero royalties nella misura del 50% sugli MP3 concessi da Aftermath Records ad Apple Computer Inc. per la distribuzione su iTunes. Aftermath Records presentava immediatamente ricorso presso la Corte Suprema degli Stati Uniti, ma la stessa, con provvedimento del 21 maggio 2011, negava il certiorary per questioni procedurali, rifiutando l’audizione del caso e confermando quindi il tenore della decisione resa dalla Corte d’Appello. Nota conclusiva: Al di là del considerevole rilievo economico, dalla vicenda emergono alcune importanti criticità, in tema di predisposizione di contratti di gestione dei diritti radiofonici, siano essi esclusivi o meno. In primo luogo, l’aspetto definitorio. E’ infatti indubbiamente essenziale, nel predisporre un contratto di gestione esclusiva di diritti musicali, curare definizioni adeguate al contenuto dello stesso. Nel caso in oggetto, tra le argomentazioni principali della Corte Distrettuale d’Appello figurava proprio il dato letterale delle previsioni contrattuali. Definire i masters, in entrambe le versioni dei contratti, come “registrazioni di suoni […] utilizzabili per la riproduzione, produzione e manifattura di incisioni” ha infatti gravemente pregiudicato la posizione della Aftermath Records, che ha visto equiparare in sede giudiziale, come si è detto, i poteri dell’end-user a quelli del produttore fonografico. In secondo luogo, l’inadeguatezza degli schemi contrattuali classici alla realtà digitale. Anche alla luce di quanto dedotto circa l’incertezza definitoria, l’applicazione di contratti concepiti per la gestione “tradizionale” del diritto d’autore musicale si rivela altamente controproducente, in un campo come quello della distribuzione digitale. Replicare uno schema contrattuale già adottato, senza introdurre opportune clausole per regolamentare la distribuzione digitale, evita sì i costi ed i tempi di una rinegoziazione tra le parti, ma porta con se tutti i problemi legali di una incompatibilità manifesta tra regimi giuridici. Di qui la necessità, non solo per chi realizza i contratti ma anche per lo stesso legislatore, di predisporre nuovi schemi e tipologie per una più efficace gestione dei diritti, introducendo ogni più opportuno criterio di modulazione per andare oltre le classiche attribuzioni esclusive, e per dettagliare nella maniera più specifica e precisa possibile tutti quei diritti di nuova matrice, originati dal sempre più massiccio utilizzo della distribuzione digitale; tutto ciò non solo per i titolari dei diritti di sfruttamento economico, ma anche i diritti degli autori stessi.
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