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Videoregistrazione da remoto: riproduzione privata ad uso personale o utilizzo commerciale di un contenuto protetto?

di Giulia Pietropaoli Abstract: La necessità di riconoscere ai sistemi di videoregistrazione da remoto pari dignità rispetto ai sistemi di videoregistrazione tradizionali e, di conseguenza, la possibilità di ricomprenderli nell’ambito dei supporti attraverso i quali i privati possono attualmente beneficiare della disciplina della copia privata, risponde all’esigenza di offrire una pronta risposta all’inarrestabile innovazione tecnologica che informa i sistemi di circolazione e sfruttamento delle opere dell’ingegno. L’interpretazione data dai giudici del TAR Lazio nella sentenza in esame, non tenendo conto della costante evoluzione dei mezzi con cui i contenuti oggetto di diritti di esclusiva possono essere registrati e riprodotti da parte dei singoli utenti, non può pertanto essere ritenuta coerente con le istanze comunitarie di supporto degli sviluppi tecnologici ed economici. The necessity to assign equal validity to remote video recording systems compared to traditional video recording systems, and to include them among those mechanisms that allow individuals to actually benefit from the discipline of the private copy, responds to the need to offer a punctual response to the unstoppable technological innovation which informs the systems of circulation and exploitation of creative works. The interpretation offered by the judges of the Lazio Regional Court in the judgment in question, not taking into account the constant evolution of the means by which contents subject to exclusive rights may be recorded and reproduced by individual users, cannot therefore be considered in line with the EU guidelines supporting technological and economic progress. Sommario: 1. Introduzione; 2. La disciplina della riproduzione privata ad uso personale: la normativa nazionale e comunitaria; 3. Il Decreto MiBAC 30 dicembre 2009 recante la “Determinazione della misura del compenso per copia privata”; 4. La videoregistrazione da remoto e i servizi c.d. di Video on Demand (VoD); 5. L’articolo 71-septies, comma 1, lettera d) e il parere della Commissione Europea del 23 febbraio 2009; 6. Il caso “Cablevision” e l’orientamento delle Corti Americane; 7. Considerazioni conclusive. Nota alla sentenze TAR Lazio Roma, sez. II, 02.3.2012, n. 2157 1. Introduzione Con sentenza n. 2157/2012 il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione seconda quater, ha rigettato il ricorso presentato da un primario operatore del settore delle telecomunicazioni precisando che “il servizio di videoregistrazione da remoto non si limita a fornire “servizi di riproduzione” (come, ad esempio, potrebbe fare una copisteria o uno stenografo), ma realizza direttamente la copia di contenuti di cui il solo operatore ha la disponibilità per fini commerciali, con il successivo trasferimento della riproduzione così realizzata all’utente privato” e, di conseguenza, esula dall’ambito applicativo della disciplina della copia privata prevista dagli artt. 71-sexies, 71-septies e 71-octies della Legge 22 aprile 1941, n. 633 recante la “Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio” (di seguito, anche, l.d.a.). L’interesse a ricorrere nasce a seguito dell’emanazione del Decreto del Ministero per i beni e le attività culturali (di seguito, anche, MiBAC) 30 dicembre 2009 [1], recante la “Determinazione della misura del compenso per copia privata” con cui il MiBAC ha, tra le altre cose, esteso l’applicazione dei compensi a dispositivi che non risultano classificabili come strumenti o supporti di registrazione per “copia privata” – ampliando ingiustificatamente, in contrasto con la normativa comunitaria e nazionale, la gamma dei prodotti rilevanti nel computo dei compensi per copia privata – e, al tempo stesso, ha omesso di prevedere parametri di determinazione del compenso per le riproduzioni private effettuate attraverso “sistemi di videoregistrazione da remoto”, discriminando illegittimamente tra le diverse tecnologie di riproduzione prese in considerazione dalla legge. Al fine di meglio comprendere le motivazioni fornite dai giudici amministrativi nell’interpretazione delle disposizioni del decreto e nel conseguente rigetto del ricorso, è utile ripercorrere, per brevi linee, l’evoluzione della normativa in tema di riproduzione di copia privata. 2. La disciplina della riproduzione privata ad uso personale: la normativa nazionale e comunitaria. Con il D.lgs. 9 aprile 2003, n. 68, il legislatore italiano, attuando la Direttiva 2001/29/CE del 22 maggio 2001 “sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione”, ha sensibilmente innovato diversi profili della legge sul diritto d’autore. In particolare, con la nuova Sezione II del Capo V, Titolo I, della l.d.a. (rubricata “Riproduzione privata ad uso personale”) è stata liberalizzata “la riproduzione privata di fonogrammi e videogrammi su qualsiasi supporto, effettuata da una persona fisica per uso esclusivamente personale, purché senza scopo di lucro e senza fini direttamente o indirettamente commerciali” (art. 71-sexies, co. 1, l.d.a.). La disciplina c.d. di riproduzione di “copia privata” assicura, tuttavia, un diritto di compenso a favore degli autori, produttori ed artisti, interpreti ed esecutori, per l’utilizzazione privata dei fotogrammi e videogrammi [2], prevedendo una stretta correlazione tra il diritto al compenso spettante a tali soggetti – avente natura strettamente indennitaria e risarcitoria – e il concreto pregiudizio derivante dalla limitazione al diritto di riproduzione [3]. Ai sensi dell’art. 71-septies, co. 1, l.d.a, come modificato dal d.l. 31 dicembre 2007, n. 248, detto compenso è stato previsto esclusivamente per i seguenti apparati: (i) per gli apparecchi di registrazione c.d. “monofunzionali” (i.e. destinati in via esclusiva alla registrazione analogica o digitale di fonogrammi o videogrammi), per i quali esso è costituto “da una quota del prezzo pagato dall’acquirente finale al rivenditore”; (ii) per gli apparecchi di registrazione polifunzionali (dispositivi con funzioni ulteriori rispetto a quelle della sola registrazione analogica o digitale), per i quali esso è costituito da una quota “calcolata sul prezzo di un apparecchio avente caratteristiche equivalenti a quelle della componente interna destinata alla registrazione, ovvero, qualora ciò non fosse possibile, da un importo fisso per apparecchio”; (iii) per i supporti di registrazione audio e video, per i quali esso è costituito “da una somma commisurata alla capacità di registrazione resa dai medesimi supporti”; (iv) per i sistemi di videoregistrazione da remoto per i quali “il compenso […] è dovuto dal soggetto che presta il servizio ed è commisurato alla remunerazione ottenuta per la prestazione del servizio stesso” (ult. alinea, comma 1). Quanto ai soggetti tenuti all’obbligo di indennizzo l’art. 71-septies, co. 3, l.d.a., fa in primo luogo riferimento a “chi fabbrica o importa nel territorio dello Stato allo scopo di trarne profitto gli apparecchi e i supporti indicati nel comma 1”, stabilendo tuttavia che “in caso di mancata corresponsione del compenso, è responsabile in solido per il pagamento il distributore degli apparecchi o dei supporti di registrazione”. In caso di violazione dei predetti obblighi è prevista una “sanzione amministrativa pecuniaria pari al doppio del compenso dovuto, nonché, nei casi più gravi o di recidiva, […] la sospensione della licenza o autorizzazione all’esercizio dell’attività commerciale o industriale da quindici giorni a tre mesi ovvero […] la revoca della licenza o autorizzazione stessa” (art. 71-septies, co. 4, l.d.a.). Per la puntuale determinazione del compenso per i supporti di cui al comma 1, l’art. 71-septies, co. 2, l.d.a.- come da ultimo modificato dall’art. 39 d.l. 30 dicembre 2008, n. 207 – fa rinvio alla fonte di attuazione regolamentare. Più precisamente l’esatto ammontare del compenso per ogni categoria di prodotti deve essere determinato con un decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, da adottare “nel rispetto della normativa comunitaria […] entro il 31 dicembre 2009”. Ebbene, riconoscendo la funzione retributiva propria della disciplina del compenso per copia privata – destinata ad indennizzare i titolari dei diritti a fronte del regime derogatorio della loro posizione di esclusiva – la Direttiva 2001/29/CE invita i singoli Stati membri ad introdurre un sistema di remunerazione “che tenga conto delle peculiarità di ciascun caso” e che, in particolare, rifletta “l’eventuale pregiudizio subito dai titolari dei diritti” conseguente alla libera utilizzazione degli stessi [4]. In altri termini, il legislatore comunitario si è dimostrato consapevole di come la disciplina della copia privata, rappresentando di per sé una deroga al regime di privativa riconosciuto ai titolari dei diritti d’autore, sarebbe stata drasticamente frustrata nella sua portata applicativa a fronte di un indiscriminato ricorso alla tecnica del compenso, estesa anche a quei casi in cui una libera utilizzazione di contenuti, pur protetti dall’esclusiva, non si accompagna ad un’effettiva lesione della sfera patrimoniale dei titolari tale da giustificare un intervento indennitario [5]. In merito all’interpretazione della “nozione di equo compenso” di cui all’art. 5, n. 2, lett. b), della Direttiva, è utile tener conto di quanto deciso dalla Corte di Giustizia Europea, Sez. III, in data 21 ottobre 2010, nella causa C-467/08, “Padawan c. SGAE e altri”. In tale occasione, infatti, la Corte ha statuito che l’equo compenso – nozione autonoma del diritto dell’Unione che deve essere interpretata in modo uniforme in tutti gli Stati Membri che abbiano introdotto l’eccezione per copia privata – deve essere calcolato sulla base del criterio del pregiudizio causato agli autori delle opere protette per effetto, appunto, dell’introduzione dell’eccezione di copia privata [6]. Il necessario richiamo ad un pregiudizio concreto e sostanziale per cui il titolare dei diritti debba essere indennizzato attraverso l’equo compenso porterebbe quindi, necessariamente, ad escludere dal novero dei dispositivi assoggettabili al pagamento tutti quei supporti che non siano tipicamente utilizzati in modo primario o preminente per la registrazione di copie private di fotogrammi o videogrammi e che, al contrario, presentino un’attitudine alla riproduzione assolutamente accessoria od occasionale [7]. In sostanza, la normativa impone di tassare solo quegli apparecchi che abbiano funzioni prevalenti o caratterizzanti di copia, ossia la cui funzione principale o, comunque, primaria sia quella di registrazione [8]. 3. Il Decreto MiBAC 30 dicembre 2009 recante la “Determinazione della misura del compenso per copia privata”. Ebbene, entro il termine previsto dall’art. 71-septies, co. 2, l.d.a., il Ministero per i beni e le attività culturali ha provveduto a fissare i suddetti compensi con il decreto oggetto di ricorso davanti al TAR del Lazio. È utile evidenziare come tale decreto, nell’ambito di un’articolata serie di criteri di determinazione del compenso per copia privata: a) estende i criteri di computo ad apparati privi di significative funzioni e capacità di registrazione (tra i quali, telefoni cellulari, PC privi di meccanismi di masterizzazione, decoder, game console), così ampliando in misura irragionevole la categoria degli apparecchi di registrazione polifunzionali, senza neppure distinguere le ipotesi in cui tali apparecchi e supporti siano acquistati ed utilizzati in ambiti esclusivamente professionali (c.d. business use); b) individua, sempre in relazione alla categoria degli apparecchi di registrazione, un particolare parametro di determinazione del compenso per i dispositivi dotati di hard disk, non commisurato ad una quota del prezzo commerciale ma alla capacità di memoria delle loro componenti interne [9]; c) non detta alcuna disposizione in relazione ai criteri di determinazione del compenso per i sistemi di videoregistrazione da remoto che pure, ai sensi dell’art. 71-septies, co. 1, l.d.a., dovevano essere stabiliti in base “alla remunerazione ottenuta per la prestazione del servizio stesso”. 3.1. L’estensione dei criteri di computo del compenso per copia privata ad apparati privi di significative funzioni e capacità di registrazione. La previsione di cui al punto a) viola apertamente il comma 1 dell’art. 71-septies, l.d.a., ove si fa espresso riferimento “agli apparecchi esclusivamente destinati alla registrazione analogica o digitale di fonogrammi o videogrammi”, ovvero agli “apparecchi polifunzionali”, definiti nell’Allegato Tecnico come “dispositivi con funzioni ulteriori rispetto a quella di registrazione analogica o digitale di fonogrammi e videogrammi”. Dall’esame di tale definizione è evidente che anche gli apparecchi polifunzionali si caratterizzano per la primaria funzione di registrazione, che certamente non può riferirsi ai supporti sopra elencati cui il decreto estende l’ambito di applicazione della normativa primaria. A conferma di quanto detto, si rileva come l’art. 39, lett. c) del D.lgs. n. 68/2003, nell’individuare transitoriamente le categorie di supporti e i relativi compensi valevoli fino all’emanazione del decreto in esame, includeva tra i “supporti digitali non dedicati, idonei alla registrazione di fonogrammi”, soltanto i “CD-R dati e CD-RW dati”, senza alcun riferimento, quindi, ad altre tipologie di apparecchi polifunzionali [10]. Il Ministero ha, dunque, esteso arbitrariamente la disciplina del compenso per la c.d. “attività di copia privata” anche a prodotti “ibridi”, ossia quei prodotti di nuova generazione che possono essere utilizzati anche per la registrazione di contenuti diversi da videogrammi o fonogrammi. Su tale punto, si sono pronunciati in senso opposto i giudici amministrativi, precisando che l’assoggettamento degli apparecchi polifunzionali al compenso trova fondamento proprio nella previsione contenuta nell’art. 5, n. 2, lett. b), della Direttiva, secondo cui sono assoggettate ad equo compenso “le riproduzioni su qualsiasi supporto effettuate da una persona fisica per uso privato e per fini né direttamente né indirettamente commerciali” e, dunque, su qualunque apparecchio o supporto che risulti in qualsiasi modo idoneo alla riproduzione di copie private. Il Collegio, inoltre, facendo leva su quanto deciso dalla Corte di Giustizia europea nella “sentenza Padawan” su richiamata, ha evidenziato che “la semplice capacità di tali apparecchiature o di tali dispositivi di realizzare copie è sufficiente a giustificare l’applicazione del prelievo per copie private […] né può rilevare in questo quadro la circostanza, sottolineata dalla ricorrente, che alcuni apparecchi – tra cui quelli telefonici ed i computer – siano solo in via residuale e marginale utilizzati per la riproduzione di materiali audio – video. Quello che conta […] per poter prevedere in questi casi il pagamento dell’equo compenso, è unicamente che il dispositivo sia idoneo alla riproduzione di fono e videogrammi, ma non anche che esso sia, in concreto, utilizzato a questi fini” [11]. Quanto alla questione del c.d. uso professionale il Collegio, richiamando quanto già deciso nella suddetta sentenza, con la quale la Corte di Giustizia ha affermato che il compenso spetta solo per apparecchi, dispositivi o supporti messi a disposizione dei soli utenti privati e destinati ad un uso personale e non professionale, ha ritenuto non difforme dalla normativa quanto disposto dal decreto in oggetto, nella parte in cui “non impone alcuna prestazione patrimoniale con riguardo all’uso professionale del prodotto ma, al contrario, stabilisce espressamente la necessità di prevedere esenzioni con riguardo all’uso professionale dell’apparecchio”. 3.2. La determinazione del compenso per copia privata per i dispositivi dotati di hard disk. Un netto contrasto con quanto disposto dall’art. 71-septies, l.d.a., emerge anche da un’attenta analisi del punto b), laddove quest’ultimo prevede che per gli apparecchi monofunzionali il compenso sia costituito da una quota del prezzo pagato dall’acquirente finale al rivenditore, mentre per gli apparecchi polifunzionali lo stesso è calcolato su una percentuale del prezzo di un apparecchio avente caratteristiche equivalenti a quelle della componente interna destinata alla registrazione. Il Ministero ha, di fatto, disapplicato il criterio di determinazione del prezzo stabilito dalla legge, per il solo fatto che alcuni apparecchi possono esplicare la propria funzione di registrazione non su un supporto esterno ma attraverso un meccanismo di registrazione interno [12]. Anche su tale punto il TAR ha respinto le osservazioni del ricorrente, evidenziando che la capacità di memoria dei supporti di registrazione audio e video costituisce “lo strumento di parametrazione del compenso più diffuso nei Paesi di area Euro”, e che la determinazione dell’equo compenso da parte del Ministero è stata effettuata tenendo conto del fatto che “l’individuazione del pregiudizio non può che essere prognostica, in quanto non è possibile stabilire con certezza l’entità dell’effettivo danno derivante dalla copia privata, e che il pregiudizio per poter essere remunerato, non deve essere certo ma anche meramente eventuale come chiarito nella sentenza Padawan”. A detta del Collegio il decreto, parametrando il compenso alla capacità di memoria, ha correttamente commisurato l’importo dovuto alla capacità di duplicazione delle opere protette, rendendo lo stesso proporzionato all’effettivo pregiudizio cagionato dall’utilizzo del materiale protetto e, al contempo, ha evitato l’inconveniente “di assoggettare ripetutamente a compenso sia l’apparecchio idoneo alla registrazione – relativamente al quale il compenso è commisurato al prezzo – sia il supporto su cui questa è effettuata – la cui presenza come parte integrante del dispositivo ha già inciso sul prezzo di vendita di questo [13]”. 3.3. L’omessa determinazione del compenso per copia privata per i sistemi di videoregistrazione da remoto. Non ultima, la previsione sub c), rappresentando una illegittima e discriminatoria omissione, priva di alcuna significativa e rilevante motivazione, si pone in contrasto con l’art. 71-septies, l.d.a., il cui comma 2 espressamente imponeva al MiBAC di fissare entro il 31 dicembre 2009 il compenso anche per i sistemi di videoregistrazione da remoto. Nella Relazione Illustrativa che accompagna il decreto in esame, il Ministero ha rilevato la “non opportunità” di procedere “per il momento alla determinazione del compenso per tali servizi in considerazione del fatto che è alquanto controversa, in ambito comunitario, l’inclusione dei sistemi di videoregistrazione da remoto nell’ambito dell’eccezione di copia privata di cui all’art. 71-sexies della legge n. 633 del 1941 e di cui alla Direttiva n. 2001/29/CE”. In sostanza, l’inosservanza della disposizione di legge, da un lato, è stata giustificata dal dibattito attualmente in corso circa la possibilità di includere tali sistemi nell’ambito dell’eccezione per copia privata di cui all’art. 5 della direttiva comunitaria e di cui agli artt. 71-sexies e seguenti della legge sul diritto di autore [14]; dall’altro, dalla paventata incompatibilità della disposizione di cui all’art. 71-septies, comma 1, ultimo periodo, l.d.a., con il diritto comunitario (direttiva 2001/29/CE). È necessario evidenziare, invece, come l’ultimo periodo del comma 1, dell’art. 71-septies (introdotto dall’art. 5, comma 2-ter, del d.l. 31 dicembre 2007, n. 248) non viola affatto il principio dell’assenza del fine di lucro e di quello direttamente o anche indirettamente commerciale, e non è assolutamente in contrasto con la norma comunitaria che impone di considerare gli sviluppi tecnologici in modo da applicare i parametri di compenso anche ai più moderni strumenti di copia, aventi identiche funzioni di riproduzione rispetto a quelli “tradizionali”. Ed infatti la disposizione normativa, laddove valorizza le peculiarità dei supporti digitali mediante i quali può essere effettuata la riproduzione privata, è pienamente coerente con le indicazioni del legislatore comunitario e non sconfina nel divieto di legge (sfruttamento commerciale non consentito della riproduzione). Non contrasta, dunque, con i principi comunitari l’intervento del legislatore nazionale che ha esteso il rilievo della riproduzione a fini privati di materiale fonografico o videografico anche ove questo sia assicurato attraverso la fornitura di una piattaforma tecnologica di registrazione e riproduzione digitale (sub specie di videoregistrazione da remoto), e sempre che questo sia fornito nel rispetto delle condizioni, richieste in sede comunitaria, cui il legislatore si è opportunamente adeguato attraverso la previsione (i) di sistemi di remunerazione adeguata (v. art. 71-septies) e (ii) di misure tecnologiche di protezione (v. art. 102-quater, espressamente richiamato dall’art. 71-sexies) [15]. Al contrario, la Relazione Illustrativa che accompagna il decreto si limita a riportare in maniera acritica il preteso contrasto della disposizione di cui all’art. 71-septies, co. 1, ultimo periodo, l.d.a., con i principi dettati dalla Direttiva 2001/29/CE e, in particolare, con le disposizioni di cui all’art. 2 (diritto esclusivo di riproduzione) e all’art. 3 (diritto di messa a disposizione del pubblico dell’opera protetta), non inquadrando correttamente la disciplina della videoregistrazione da remoto nel contesto normativo comunitario. Merita in tal senso ricordare che la Direttiva 2001/29/CE offre un quadro normativo in materia di riproduzione delle opere d’ingegno costruito lungo due direttrici fondamentali: 1. il riconoscimento agli autori di un diritto esclusivo di autorizzare o vietare la riproduzione diretta o indiretta, temporanea o permanente, in qualunque modo o forma, in tutto o in parte, delle proprie opere (art. 2) e di messa a disposizione delle stesse al pubblico (art. 3); 2. il riconoscimento di una serie di eccezioni o limitazioni ai diritti menzionati sub (a) che gli Stati membri hanno la facoltà di disporre in sede di attuazione della Direttiva (art. 5). Il diritto di riproduzione e diffusione di cui sono titolari esclusivi gli autori di opere d’ingegno può, dunque, essere limitato da ciascuno Stato membro consentendo, tra l’altro, “le riproduzioni su qualsiasi supporto effettuate da una persona fisica per uso privato e per fini né direttamente né indirettamente commerciali, a condizione che i titolari dei diritti ricevano un equo compenso […]” (art. 5, comma 2, lett. b)). Con specifico riferimento all’eterogeneità dei supporti mediante i quali può essere effettuata la riproduzione privata, gli intendimenti del legislatore comunitario sono ben espressi nel preambolo della Direttiva. Il Considerando n. 39 chiarisce infatti che: “all’atto dell’applicazione dell’eccezione o della limitazione relativa alla copia privata, gli Stati membri dovrebbero tenere in debito conto gli sviluppi tecnologici ed economici, in particolare in ordine alla riproduzione digitale a fini privati ed ai sistemi di remunerazione, quando siano disponibili misure tecnologiche di protezione efficaci”. Non può quindi sfuggire all’attento interprete che la Direttiva. n. 2001/29/CE, conformemente all’art. 4, par. 3, Tratt. FUE (e, in passato, all’art. 3, comma 1, lett. n), del Tratt. CE), impone agli Stati Membri di tener conto degli sviluppi tecnologici ed economici in fase di applicazione della norma di cui all’art. 5, comma 2, lett. b), imponendo un’interpretazione evolutiva da cui il legislatore nazionale non può prescindere. La posizione della Commissione, che sembra ravvisare nella normativa italiana un contrasto con i diritti esclusivi di “riproduzione” e di “messa a disposizione del pubblico” dell’opera dell’ingegno, si fonda, quindi, sull’erronea qualificazione della videoregistrazione da remoto non come fornitura di un “supporto” tecnologicamente avanzato della copia privata effettuata dall’utente, bensì come un servizio di riproduzione offerto a fini di lucro dagli operatori. Allo stesso modo il TAR, non accogliendo le argomentazioni del ricorrente, da un’interpretazione non corretta del servizio di videoregistrazione da remoto, evidenziando che lo stesso “non si limita a fornire “servizi di riproduzione” (come, ad esempio, potrebbe fare una copisteria o uno stenografo), ma realizza direttamente la copia di contenuti di cui il solo operatore ha la disponibilità per fini commerciali, con il successivo trasferimento della riproduzione così realizzata all’utente privato (tale copia rimane sul server dell’operatore ed è fruibile per un periodo di 20 giorni) e di conseguenza esulerebbe dall’ambito applicativo della norma in questione”. 4. La videoregistrazione da remoto e i servizi c.d. di Video on Demand (VoD). A dimostrazione dell’erroneità di tale posizione è sufficiente considerare come la fornitura di un sistema di videoregistrazione da remoto consiste nell’approntare all’utente un apparato tecnologicamente evoluto che consente di realizzare, su una sorta di “cassetta virtuale”, una copia privata in tutto e per tutto analoga a quella che l’utente potrebbe realizzare mediante un sistema di videoregistrazione tradizionale. Il sistema di videoregistrazione da remoto si configura, quindi, come una mera evoluzione tecnologica del più tradizionale videoregistratore, consentendo all’utente di effettuare copie di trasmissioni legittimamente captate, ai fini di una visione privata successiva. Inoltre, al pari che per le altre tecnologie di riproduzione, anche in questo caso è la persona fisica che realizza l’attività di riproduzione, esprimendo in relazione a tale azione l’atto volitivo di copia che è dunque a questa imputabile. La videoregistrazione da remoto rappresenta pertanto solo lo strumento tecnologico utilizzato dalla persona fisica per effettuare una riproduzione e: (i) è realizzata solo se c’è un input del singolo utente in relazione allo specifico programma (i.e. il cliente deve premere il pulsante REC per avviare la registrazione); (ii) include in modalità integrale e non modificata tutto ciò che è stato trasmesso dall’emittente nella fascia oraria rilevante ivi comprese, ad esempio, le interruzioni pubblicitarie; (iii) è basata sull’orario previsto di messa in onda (se il programma inizia prima o dopo l’ora prevista, nella riproduzione sarà compresa una parte del programma precedente o, viceversa, l’inizio risulterà non registrato); (iv) è disponibile per una successiva visione privata non a chiunque ma solo al singolo che ne ha attivato la registrazione; (v) è realizzata per scopi personali ovvero per una visione privata del cliente che l’ha effettuata e presso la propria abitazione. Queste caratteristiche fanno della videoregistrazione da remoto uno strumento non confondibile con quei servizi c.d. di Video on Demand (VoD) consistenti nella messa a disposizione da parte di un operatore di piattaforma di contenuti digitali (film, documentari, ecc.) organizzati tematicamente e contrassegnati da caratteristiche “di prodotto” del tutto diverse (basti pensare alla possibilità di fruizione delle opere attraverso modalità di enhanced tv quali HD, sottotitoli, schede di prodotto ecc). Inoltre, nel caso dei servizi VoD è effettivamente l’operatore a fornire all’utente, previo pagamento di un corrispettivo, un film da questi scelto nell’ambito di un catalogo di opere organizzato dall’operatore stesso in una apposita library e fornito secondo modalità commerciali assimilabili a quelle della pay per view. Tali titoli fanno riferimento a contenuti i cui specifici diritti VoD non possono in alcun modo essere sfruttati attraverso la disciplina della copia privata e che, invece, devono essere acquistati dal provider direttamente presso i titolari dell’esclusiva. A tal proposito rileva il fatto che gli operatori fornitori di sistemi di videoregistrazione da remoto spesso offrono altresì servizi VoD, ad ulteriore conferma della non sovrapponibilità delle differenti offerte di prodotto. Sono quindi i servizi VoD, e non i sistemi di videoregistrazione da remoto, a doversi considerare esclusi dalla disciplina della copia privata in forza del riferimento fatto dall’art. 71-sexies, co. 3, l.d.a., ad “opere e materiali protetti messi a disposizione del pubblico in modo che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente, quando l’opera è protetta dalle misure tecnologiche di cui all’art. 102-quater ovvero quando l’accesso è consentito sulla base di accordi contrattuali”. Al contrario, quanto esplicitato dimostra chiaramente come, conformemente alle prescrizioni dell’art. 5, par. 2, lett. b), della Direttiva, le riproduzioni fondate sul sistema di videoregistrazione da remoto rientrino tra quelle “effettuate su qualsiasi supporto da una persona fisica per uso privato e per fini né direttamente, né indirettamente commerciali” e, dunque, debbano essere classificate come riproduzioni riconducibili al regime delle libere utilizzazioni. La scelta fatta dal legislatore con le modifiche all’art. 71-septies, co. 1, l.d.a., non degrada in alcun modo il contenuto del diritto di riproduzione esclusiva di fonogrammi e videogrammi spettante ai titolari della privativa, ma si limita a riconoscere ai sistemi di videoregistrazione da remoto pari dignità rispetto ai sistemi di videoregistrazione tradizionali, in coerenza con le istanze comunitarie di supporto degli sviluppi tecnologici ed economici. Non contrasta, quindi, con l’orientamento della Direttiva l’intervento del legislatore nazionale volto ad estendere il rilievo della riproduzione a fini privati di materiale fonografico o videografico anche ove questa sia assicurata attraverso gli strumenti tecnici della videoregistrazione da remoto, nel rispetto delle condizioni richieste in sede comunitaria che risultano soddisfatte dalla previsione di misure tecnologiche di protezione e, soprattutto, dello specifico meccanismo di compenso a favore dei titolari dei diritti, definito dall’art. 71-septies, l.d.a., e di cui il decreto in esame, illegittimamente, omette l’attuazione. 5. L’articolo 71-septies, comma 1, lettera d) e il parere della Commissione Europea del 23 febbraio 2009. Su tale ultimo punto, in particolare, i giudici amministrativi hanno evidenziato che l’art. 71-septies, nel disciplinare le modalità di imposizione del compenso, al comma 1, lett. d), prevede espressamente che: “per i sistemi di videoregistrazione da remoto il compenso di cui al presente comma è dovuto dal soggetto che presta il servizio ed è commisurato alla remunerazione ottenuta per la prestazione del servizio stesso”. Quest’ultima previsione, aggiunta dal comma 2-ter dell’art. 5, D.L. 31 dicembre 2007, n. 248 (c.d. decreto “Mille-proproghe”) convertito in legge 28 febbraio 2008, n. 31, ha costituito oggetto di critiche e di opposte interpretazioni. Come riportato nella sentenza del TAR, secondo alcuni commentatori tale previsione sarebbe stata inserita all’ultimo minuto per assicurare il prelievo dell’equo compenso anche sulle copie da remoto di fonogrammi e videogrammi messi temporaneamente a disposizione dei propri abbonati da parte di un fornitore di servizi. Secondo tale lettura la “registrazione da remoto” rappresenterebbe pertanto quella modalità di riproduzione dell’opera protetta attraverso la quale l’utente può solo riprodurre i contenuti audio-video che un terzo – “fornitore di servizi” – mette a sua disposizione su una piattaforma, ma che restano nella sua disponibilità sicché il privato non può estrarne una sua copia “personale”. Tale elemento discriminante aveva indotto la Commissione europea, nel parere del febbraio 2009 (nota del 23 febbraio 2009, prot. n. 29900 MARKT D1/DB D (2009)), a ravvisare un contrasto tra la previsione di cui alla lett. d) del comma 1 dell’art. 71-septies, l.d.a., e la disciplina comunitaria dell’equo compenso dettata dalla Direttiva n. 2001/29/CE che, a detta della Commissione, non si estenderebbe a tali servizi per diverse ragioni, così sintetizzate: “(i) l’indubbia vicinanza del servizio di videoregistrazione da remoto al diritto di messa a disposizione (art. 3, par. 2 della Direttiva) che comprende la “messa a disposizione del pubblico di opere o altri materiali in maniera tale che i componenti del pubblico possano avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente”, in relazione al quale “non esiste un’eccezione relativa all’uso privato”; (ii) la presenza di una potenziale componente commerciale che accompagna la realizzazione della copia da parte dell’operatore nell’ambito del servizio di videoregistrazione da remoto, che si manifesta nella misura in cui il medesimo si inserisce in un più ampio ventaglio di servizi offerto dall’operatore e si associa a modalità di comunicazione commerciale presso l’utente; e, infine, (iii) la circostanza che la riproduzione sia effettuata in favore di soggetti che “non sono neppure in possesso delle opere originali”, restando queste ultime nella disponibilità di chi effettua la riproduzione e, solo successivamente, trasmesse all’utente”. Sicché, secondo la Commissione, i soggetti che utilizzano tali sistemi di videoregistrazione non potrebbero avvalersi della più favorevole disciplina dell’equo compenso, ma dovrebbero corrispondere ai titolari dei diritti un compenso “pieno”. A detta del Collegio l’interpretazione fornita dalla Commissione è conforme al dato letterale delle norme in esame, ma potrebbe essere contestata effettuando una lettura della normativa comunitaria orientata, invece, dall’analisi economica degli interessi sottostanti. Una tale differente interpretazione infatti, contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza in oggetto, indurrebbe a concludere che la direttiva comunitaria disciplini il compenso per la copia privata di opere protette in modo “tecnologicamente neutro”, e cioè a prescindere dalla circostanza che essa sia effettuata su supporti locali ovvero su “supporti remoti”, e sottintenderebbe “seppur senza menzionarla esplicitamente, la possibilità che terzi intermediari potessero effettuare il servizio di riproduzione digitale (sub specie della videoregistrazione da remoto) a fini privati”. I giudici del TAR hanno, tuttavia, ritenuto che nel caso in esame la scelta del Ministero di soprassedere temporaneamente a dare attuazione alla previsione di cui alla lett. d) del comma 1 dell’art. 71-septies, l.d.a., dovesse essere giudicata tutt’altro che arbitraria, considerato il contesto di estrema incertezza sulla qualificazione normativa della registrazione da “supporto remoto” e sulla stessa inquadrabilità del servizio tra le diverse opzioni “neutralmente” indicate dal legislatore comunitario. Contrariamente a quanto argomentato dal Collegio, la scelta del Ministero di non definire i criteri di determinazione del compenso previsti per i sistemi di videoregistrazione da remoto si rivela, invece, assolutamente illegittima e discriminatoria in quanto, omettendo di dare attuazione ad uno specifico precetto normativo, non tiene conto dell’affidamento ingenerato nelle imprese del settore da una norma di rango primario pienamente in vigore, ed impedisce ai fornitori di sistemi di videoregistrazione da remoto – tenuti al pagamento dell’equo compenso – una adeguata programmazione e strutturazione economica del servizio, limitando, altresì, lo sviluppo tecnologico nell’offerta di supporti di registrazione. Appare, quindi, chiara l’estrema rilevanza – trascurata sia dal Ministero sia dalla pronuncia del TAR Lazio in esame – di un’esatta interpretazione della disciplina dettata dalla Direttiva 2001/29/CE e, in particolare, di una puntuale ricostruzione del rapporto intercorrente tra la disciplina delle libere utilizzazioni dei contenuti oggetto di diritti di esclusiva ed i mezzi, in costante evoluzione a fronte del progresso tecnologico-digitale, con cui tali contenuti possono essere registrati e riprodotti da parte dei singoli utenti. 6. Il caso “Cablevision” e l’orientamento delle Corti Americane. Tale ultimo rilievo appare tanto più importante se si osserva come, in subiecta materia, i più recenti orientamenti delle Corti nordamericane risultano coerenti con quanto sostenuto dal ricorrente e, al tempo stesso, in contrasto con i criteri assunti dalla Commissione europea nell’interpretazione della Direttiva n. 2001/29/CE. In particolare, nel caso “Cartoon Network v. CSC Holdings”, con riferimento ad un sistema di videoregistrazione da remoto dell’operatore Cablevision (avente caratteristiche analoghe alla videoregistrazione in uso in Italia), la Corte d’Appello (II Circuit), ribaltando l’orientamento precedentemente assunto dalla Corte distrettuale, ha chiarito che la titolarità dell’attività di copia di programmi TV tramite sistemi di videoregistrazione da remoto deve essere ascritta al cliente e non deve essere confusa con un servizio offerto dall’operatore che si limita a detenere il supporto [16]. La Corte americana ha, dunque, chiaramente affermato che in relazione ai sistemi di videoregistrazione da remoto il tema principale da analizzare per consentire la ricostruzione normativa della fattispecie è individuare l’imputabilità dell’atto volitivo relativo all’attività di copia e, nel caso di specie, lo ha ravvisato in capo agli utenti, così ricostruendo la fattispecie della copia mediante sistemi di videoregistrazione come una riproduzione ad uso privato del cliente tramite videoregistratori evoluti (c.d. fair use). Al contrario, il Tribunale Amministrativo italiano, senza analizzare la natura e le caratteristiche dei sistemi di videoregistrazione da remoto e la loro compatibilità con l’eccezione della copia privata, e unicamente sulla base dell’incertezza creata dalla nota della Commissione Europea, ha respinto in toto le argomentazioni presentate dal ricorrente. I giudici del TAR non hanno in alcun modo valutato che la necessità di riconoscere ai sistemi di videoregistrazione da remoto pari dignità rispetto ai sistemi di videoregistrazione tradizionali risponde all’esigenza di offrire una pronta risposta all’inarrestabile innovazione tecnologica che informa i sistemi di circolazione e sfruttamento delle opere dell’ingegno e, quindi, di promuovere lo sviluppo di nuove iniziative economiche che interpretano e rispondono alle mutate esigenze della collettività. Non riconoscere finalità di riproduzione ad uso privato anche alla videoregistrazione da remoto significa, inoltre, violare il principio dell’art. 3 della Costituzione, in quanto in tal modo viene a crearsi una ingiustificata disparità di trattamento tra i sistemi di videoregistrazione oggi esistenti sul mercato. La soluzione accolta dal legislatore nazionale con l’introduzione della disposizione di cui alla lettera d) del comma 1 dell’art. 71-septies, l.d.a., valorizzando gli sviluppi tecnologici relativi ai sistemi di videoregistrazione, mira, invece, ad evitare un’illegittima discriminazione tra nuove tecnologie – quali, appunto, quelle di videoregistrazione da remoto – e vecchie tecnologie di registrazione, il cui utilizzo è ad oggi pacificamente riconosciuto e consentito [17]. 7. Considerazioni conclusive. Per concludere è evidente, infine, che la necessità di delineare l’effettiva portata della disciplina sancita dall’art. 5, par. 2, lett. b), della Direttiva. 2001/29/CE, al fine di accertare con chiarezza se nell’ambito dei supporti attraverso i quali i privati possono attualmente beneficiare della disciplina ivi descritta della copia privata rientrino anche quelli che la normativa italiana prende in considerazione come strumenti di videoregistrazione da remoto, appare ancora più attuale ed indispensabile alla luce della diffusione delle nuove tecnologie e, in particolare, dello sviluppo dei servizi di c.d. “cloud computing” [18]. Lo sviluppo di tali nuovi servizi, ad oggi fortemente incoraggiato da forze politiche e operatori del settore, risulta infatti ostacolato dall’incertezza circa la loro legittimità e la loro conformità con i diritti di proprietà intellettuale, progettati per un mercato audiovisivo c.d. “off line”. Alla luce di tali innovazioni risulta, quindi, indifferibile la necessità di definire un quadro giuridico volto ad agevolare lo sviluppo di tale mercato e che assicuri agli autori un nuovo modello di remunerazione dei diritti di proprietà intellettuale per lo sfruttamento delle opere sui nuovi media. In particolare, risulta necessario un intervento legislativo per garantire che le disposizioni attuali sull’esenzione per copia privata possano essere applicate anche al quadro digitale, riconoscendo così ai privati la possibilità di fare una copia di contenuti audiovisivi, legalmente posseduti, anche attraverso la tecnologia cloud. −−−−−−−−− Note [*] Il presente saggio è stato preventivamente sottoposto a referaggio anonimo affidato ad un componente del Comitato di Referee secondo il Regolamento adottato da questa Rivista. [1] Decreto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali 30 dicembre 2009, pubblicato in data 14 gennaio 2010 sul sito web del Ministero e oggetto di comunicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 54 del 6 marzo 2010. Tale Decreto è accompagnato da un Allegato Tecnico che ne costituisce parte integrante e da una Relazione Illustrativa a cura del Capo dell’Ufficio Legislativo. [2] Il compenso per copia privata attiene ad un emolumento di natura privatistica che viene escusso dalla SIAE e che tramite detto ente spetta agli autori ed ai produttori di fonogrammi, ai produttori originari di opere audiovisive, agli artisti, interpreti ed esecutori ed ai produttori di videogrammi e loro aventi causa, a fronte della copia legittimamente realizzata, in via d’eccezione, dalle persone fisiche, per uso esclusivamente personale, senza scopo di lucro e senza fini direttamente o indirettamente commerciali. Il compenso per copia privata va quindi distinto dai c.d. contrassegni previsti dall’art. 181-bis l.d.a., cui va attribuita una funzione eminentemente pubblica a vantaggio della collettività, essendo funzione del contrassegno quella di autenticazione del prodotto ai fini della sua commercializzazione, per combattere la pirateria nella riproduzione e utilizzazione delle opere dell’ingegno. [3] Al contrario, ampliando l’ambito di applicazione della normativa ad apparecchi e supporti che nulla hanno a che vedere con l’esercizio della facoltà di copia privata, estendendo così i possibili destinatari dell’onere indennitario, il Decreto ha trasformato il compenso in una prestazione imposta in via generalizzata, priva di ogni riferimento con quella relazione tra la facoltà di copia privata ed il correlato sacrificio del diritto di riproduzione che nella normativa comunitaria costituisce l’unico presupposto legittimante l’istituzione dell’equo compenso. [4] Sul punto si veda anche T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II quater, 2 marzo 2012, n. 2160: “l’equo compenso per copia privata di opere tutelate dal diritto di autore deve essere necessariamente calcolato sulla base del criterio del pregiudizio causato agli autori delle opere protette per effetto dell’introduzione dell’eccezione per copia privata. Orbene, stante la direttiva n. 2001/29/CE e tenuto conto delle difficoltà pratiche per individuare gli utenti privati nonché per obbligarli a indennizzare i titolari dei diritti del pregiudizio loro procurato, gli Stati membri possono istituire un “prelievo per copia privata” a carico non dei soggetti privati interessati, bensì di coloro che dispongono di apparecchiature, dispositivi e supporti di riproduzione digitale e che, quindi, conseguentemente, di diritto o di fatto, mettono tali apparecchiature a disposizione dei soggetti privati ovvero rendono loro un servizio di riproduzione. A loro volta, tali soggetti possono ripercuotere l’importo del prelievo sul prezzo della messa a disposizione di tali apparecchiature, ovvero sul prezzo del servizio di riproduzione da essi reso. Ciò premesso, l’utente privato a favore del quale vengano messi a disposizione i predetti dispositivi deve essere considerato, quale “debitore indiretto” dell’equo compenso”. [5] Il Considerando 35° della Direttiva 2001/29/CE specifica ulteriormente questa conclusione, ricordando come in “talune situazioni, allorché il danno per il titolare dei diritti sarebbe minimo, non può sussistere alcun obbligo di pagamento”. Concretamente ciò implica che ogni decisione relativa all’introduzione di nuove categorie di prodotti cui applicare il compenso debba necessariamente basarsi su parametri che rigorosamente tengano conto del pregiudizio effettivamente subito dal titolare che non può essere quindi meramente presunto. [6] Quanto alla questione dei soggetti interessati dal “giusto equilibrio” la Corte rileva come il 31° considerando della Direttiva 2001/29/CE prevede di garantire un giusto equilibrio tra i diritti e gli interessi degli autori beneficiari dell’equo compenso, da un lato, e quelli degli utenti dei materiali protetti, dall’altro. Posto che la realizzazione di una copia da parte di persona fisica che agisca a titolo privato deve essere considerata quale atto idoneo a causare un pregiudizio per l’autore dell’opera interessata, ne consegue che, in linea di principio, incombe su quest’ultimo indennizzare il danno connesso con tale riproduzione, secondo le indicazioni dei considerando 35° e 38° della Direttiva. [7] Su tale punto la Corte di Giustizia nel caso “Padawan” ha precisato che: “… l’applicazione indiscriminata del prelievo per copia privata nei confronti di tutti i tipi di apparecchiature, dispositivi e supporti di riproduzione digitale, ivi compresa l’ipotesi in cui essi siano stati acquistati da soggetti diversi da persone fisiche a fini manifestamente estranei a quelli della realizzazione di copie private, non risulta conforme all’art. 5, n. 2 della Direttiva”. Precisa, inoltre, la Corte che ove tali apparecchiature vengano messe a disposizione di persone fisiche a fini privati, non è necessario accertare che queste ultime abbiano effettivamente realizzato copie private ed abbiano effettivamente causato un pregiudizio all’autore dell’opera protetta, essendo sufficiente a giustificare l’applicazione del prelievo la semplice capacità di tali apparecchiature e di tali dispositivi di realizzare copie, a condizione che siano stati messi a disposizione di persone fisiche quali utenti privati. [8] Esaminando, infatti, le categorie di apparecchi prese in considerazione dalla l. n. 633/1941 ai fini dell’applicazione della disciplina sul diritto al compenso (art. 71-septies, comma 1), ci si accorge di come il legislatore, conformemente all’orientamento comunitario, abbia inteso prevedere un compenso per la copia ad uso privato solo in relazione a quegli apparecchi esclusivamente destinati alla registrazione analogica o digitale; ovvero per quegli apparecchi che pur essendo destinati in via primaria alla registrazione analogica o digitale di fonogrammi o videogrammi, posseggano funzioni ulteriori. L’analisi dell’art. 39 d.lgs. n. 68/2003 conferma come il diritto al compenso non possa sorgere se non in relazione all’acquisto e all’utilizzazione di prodotti strutturalmente funzionali alla registrazione e riproduzione di fotogrammi e videogrammi, in quanto solo a fronte di questi particolari apparecchi e supporti può emergere l’esigenza di indennizzare i titolari dei diritti d’autore per lo sfruttamento come “copia privata” di materiale audio e video. [9] cfr. Allegato Tecnico, art. 3: “per gli apparecchi monofunzionali o polifunzionali con memoria o hard disk fissi è dovuto il solo compenso per copia privata commisurato alla capacità di registrazione resa dalla memoria o hard disk fissi”. Nella Relazione illustrativa che accompagna il decreto, al riguardo, si legge che “si è tenuto conto dell’importanza che nello sviluppo tecnologico hanno assunto le “memorie” ormai presenti, di fatto, in qualsiasi apparato”. [10] Gli stessi rappresentanti delle associazioni dei titolari dei diritti e i rappresentanti delle associazioni dei produttori di supporti e apparecchi, nel corso dell’audizione del 10 dicembre 2009 presso il Ministero per i beni e le attività culturali, si sono fermamente opposti all’inclusione di detti supporti nel Decreto, in quanto “apparecchi non specificamente dedicati alla registrazione e memorizzazione di contenuti”, sottolineando, peraltro, come una simile imposizione dei criteri di compenso da copia privata potesse da ultimo gravare sui consumatori finali dei suddetti prodotti. [11] Sul punto la “sentenza Padawan” ha affermato che solo la singola utilizzazione privata, individualmente considerata, potrebbe arrecare un pregiudizio minimo, ma non anche quando il fenomeno sia diffuso o reiterato e si tratti quindi di una pluralità di utilizzazioni private, per le quali si ravvisa la necessità del pagamento di un equo compenso. Di conseguenza, il considerando 35° della Direttiva non consentirebbe, a detta del TAR, di escludere dal novero delle ipotesi atte a determinare l’insorgere dell’indennizzo per copia privata gli apparecchi polifunzionali in base al loro effettivo utilizzo secondo le preferenze dei consumatori, in quanto quest’ultimo elemento non eliminerebbe l’attitudine di tali mezzi ad essere utilizzati al fine di riproduzione di copia privata. [12] Al riguardo il Ministero ha dedotto che si è reso necessario effettuare un’ulteriore distinzione legata al tipo di dispositivo che ospita tali “memorie” e che ne determina sostanzialmente l’utilizzo più o meno dedicato alla registrazione di fonogrammi e di videogrammi “anche in linea con il disposto normativo dell’art. 71-septies, l.d.a., che, con riferimento alle ‘memorie’, ha utilizzato gli aggettivi ‘fisse o trasferibili’ per ricomprendere, senza possibilità di equivoci, tutto i tipi di memorie, anche quelle inserite stabilmente in apparati di memorizzazione o registrazione”. [13] Per il TAR legittimo risulta anche l’inserimento nell’art. 2, comma 1 dell’Allegato Tecnico, alla lett. x), della norma di chiusura riguardante i prodotti non ancora in commercio, volta ad evitare che grazie all’evoluzione tecnologica si possa eludere il pagamento di detto compenso. [14] Il MiBAC ha fondato l’omissione proprio sulle asserite controversie che sarebbero emerse in ambito comunitario circa l’inclusione dei sistemi di videoregistrazione da remoto nell’ambito dell’eccezione di copia privata e, più specificamente, in base al fatto che la Commissione europea, con la nota in esame, ha rappresentato al Governo italiano la necessità di abrogare la disposizione di cui all’art. 71-septies, co. 1, ultimo periodo, l.d.a. Tuttavia, in assenza di un intervento da parte del legislatore, non può essere di certo l’esistenza di un presunto contrasto con i principi comunitari a rendere legittima la mancata osservanza di una norma di legge ad opera di una fonte di rango secondario. [15] Le misure tecnologiche a protezione degli originali consistono, a norma dell’art. 102-quater, l.d.a., in tutte le tecnologie, i dispositivi o i componenti che, nel normale corso del loro funzionamento, sono destinati a impedire o limitare atti non autorizzati dai titolari dei diritti. L’art. 102-quater, l.d.a, deve essere esaminato congiuntamente all’art. 71-sexies, l.d.a, che afferma la necessità che le misure di protezione, ove apposte sui fonogrammi/videogrammi originali non devono impedire all’acquirente dell’opera protetta la possibilità di estrarne copia per uso personale. Ne consegue che, anche in presenza di misure di protezione idonee a limitare la copia indiscriminata delle opere contenute sui supporti audio e video, è legittimo comunque fare almeno una copia privata e tale copia deve essere soggetta al prelievo per equo compenso. [16] Cfr. Cartoon Network v. CSC Holdings, 536 F.3d 121 (2nd Cir. 2008), Nella decisione si legge, infatti, che “In the case of a VCR, it seems clear–and we know of no case holding otherwise–that the operator of the VCR, the person who actually presses the button to make the recording, supplies the necessary element of volition, not the person who manufactures, maintains, or, if distinct from the operator, owns the machine. We do not believe that a Remote-DVR customer is sufficiently distinguishable from a VCR user to impose liability as a direct infringer on a different party for copies that are made automatically upon that customer’s command”. [17] Cfr. Andrea Zoppini, “La nuova disciplina della copia privata da remoto”, in Scenari e prospettive del diritto d’autore, a cura di Alberto M. Gambino e Valeria Falce, 2009: “Consentire la copia privata da remoto da parte di un intermediario garantisce il rispetto dei principi costituzionali di cui agli artt. 3 e 41, consentendo lo sviluppo di nuovi mercati di servizi tecnologici, consente agli utenti di usufruire di innovativi strumenti di videoregistrazione accessibili anche in assenza dei supporti tradizionali di videoregistrazione e rappresenta un’efficace garanzia di esatto adempimento della disciplina della riproduzione privata ad uso personale, in quanto assicura la fruizione delle opere unicamente alla persona fisica che ne abbia fatto richiesta, con l’adozione di misure tecnologiche di protezione gestite dal professionista che presta il servizio”. [18] Sul punto cfr. lo studio di Josh Lerner “The impact of copyright policy changes on venture capital investment in cloud computing companies”, per il quale il caso “Cartoon Network v. CSC Holdings” (meglio noto come sentenza “Cablevision”) ha avuto un enorme impatto sul capitale di rischio investito dagli Stati Uniti per i servizi di cloud computing, mentre la stessa crescita non si è verificata in Europa né tantomeno in Italia dove le barriere normative derivanti da una non corretta applicazione dell’eccezione relativa alla copia privata sono ancora di ostacolo allo sviluppo della tecnologia di videoregistrazione da remoto (copia/riproduzione di contenuti audiovisivi attraverso un server remoto, quindi, una tecnologia di cloud) offerta in pacchetti di IPTV e, di conseguenza, frenano lo sviluppo dei servizi di cloud.

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