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Quali modelli di copyright per favorire la diffusione della cultura?

di Fiona Macmillan

Abstract: L’idea del copyright come modello per favorire la diffusione della cultura ha sofferto molto negli ultimi anni.  In questa fase storica viviamo una situazione in cui la battaglia che riguarda il copyright viene presentata generalmente come uno scontro d’ideali e di cultura.

 

Intervento al Workshop sul tema “Innovazione, Concorrenza, Benefici per i Consumatori nella Proprietà Intellettuale: L’Emersione di “Altri” Modelli Normativi e Stakeholders” tenutosi il 9 marzo 2012 presso la LUISS Guido Carli.

 

Sostanzialmente tre sono i motivi su cui si fonda questa battaglia.  Il primo è il fenomeno che vede la progressiva concentrazione dei diritti di copyright nelle mani delle grandi imprese, che spesso si rivelano aggressive nella difesa di questi diritti.  Il secondo è il fatto che, a livelli globali, regionali e nazionali, l’equilibrio tra i diritti dei titolari di copyright e i diritti degli utenti delle opere soggette a copyright è cambiato a favore, sembra, dei titolari.  In terzo luogo la battaglia si è intensificata a seguito della legge sulle cosiddette “misure tecnologiche di protezione” (“technological protection measures”), adottata per ottemperare agli obblighi internazionali.  Questa legge (1) considera reato l’elusione di una misura tecnologica di protezione; e (2) dà al titolare del copyright, per i prodotti in versione digitale e dotati di sicurezza, un livello di controllo superiore rispetto a quello tradizionalmente assicurato ai titolari del diritto d’autore sui prodotti analogici.  Il motivo è che questa legge ha abolito l’eccezione relativa al “fair use”/”fair dealing”.  Questo è il caso per esempio, del Digital Millennium Copyright Act negli Stati Uniti.
I risultati per la nuova immagine di copyright sono, essenzialmente, riassumibili come segue:
1. L’idea che il copyright rappresenta potere e autoritarismo, contro il quale potrebbe essere contrapposta la libera scelta, la libertà di parola e la libertà di innovare e di creare, di “fare conoscenza” (“produce knowledge”).
2. L’idea che il copyright rappresenta chiusura e limitazione: le limitazioni dell’uso, compreso l’uso derivativo, e le limitazioni della distribuzione. L’une e le altre sono possibili conseguenze dell’applicazione del copyright.  Mi sembra che quest’idea sia strettamente legata all’ambiente digitale e alla “società informatica”.  L’idea che il modello di copyright fosse così chiuso era molto meno evidente prima dell’arrivo dell’Internet, che ha prodotto modelli di condivisione e di scambio veloce di informazioni.
Almeno in teoria, quest’idea costituisce un detrimento al copyright.  È vero che il copyright è in grado di limitare in modo assai significativo la distribuzione e l’uso.  Però, teoricamente, abbraccia un modello aperto di creatività, attraverso concetti come fair use/fair dealing, la dicotomia tra idea ed espressione (proteggendo solo l’espressione), le limitazioni della durata, e molte altre eccezioni.  È probabile che, nella fase storica che stiamo vivendo, queste eccezioni non funzionino in maniera efficiente.  E il fatto che non sia possibile usare le eccezioni del fair use per i prodotti che rientrano tra quelli protetti dalle “technological protection measures” non migliora l’immagine del copyright.
3. C’è la dicotomia tra autori ed utenti. Il copyright è fondato sull’idea che gli autori e gli utenti sono diversi.  Devo dire che in questo periodo questa dicotomia ha assunto connotati estremi, parallelamente al fenomeno che vede sempre più diritti di copyright di grande valore concentrati nelle mani delle grandi imprese.  In un certo modo, questo sviluppo tradisce le origini del copyright, che erano basate sull’idea che gli autori fossero anche utenti.  Per questo motivo una volta, nella prima infanzia del copyright, dominava l’idea che il copyright avrebbe dovuto incoraggiare e non limitare la creatività.
Ci sono poi una serie di critiche, non nuove e che forse non sono legate in modo così netto agli sviluppi recenti, ma, invece, riflettono problemi che sono diventati più evidenti nel contesto digitale.  Ad esempio: l’idea che il copyright non è in grado di riconoscere la realtà della creatività, perchè al cuore del copyright c’è l’idea dell’autore o del genio individuale.  E, nonostante che quest’idea non sia più di moda, si riflette ancora nel paradigma del copyright.  Il copyright è stato criticato in alcuni contesti per il fatto che non riconosce le comunità dei creatori e i diritti che doverebbero collegarsi ai risultati della loro creatività.  In particolare, il problema del copyright è che non esprime bene l’idea del cosidetto “dominio pubblico” (“public domain”).
Mi piacerebbe vedere nel sistema del copyright un modello per favorire la creatività e la diffusione della creatività e della cultura perchè non credo che le limitazioni del copyright non possano non essere connesse alla tutela di un bene pubblico.  Quindi mi chiedo: il problema è la distorsione del sistema di copyright o il sistema stesso ad essere il problema?
Per il tempo che mi rimane vorrei soffermarmi su questa domanda.  Mi sembra che sia necessario considerare la questione anche a livello sopra-nazionale.  La realtà è che le grandi imprese sono multinazionali e operano a livello globale e, in questo contesto, spesso isolano i mercati nazionali e approfittano delle differenze tra le leggi nazionali per manipolare i prezzi di accesso ai prodotti soggetti a copyright.
Allo stesso modo, quando parliamo della diffusione della cultura, non riconosciamo sempre i confini nazionali.  Anzi, oggi è più probabile che parliamo della diffusione almeno in Europa e forse a livello mondiale.
In Europa abbiamo avuto recentemente un caso molto interessante su questo tema, il caso di Murphy v English Football Association.  In questo caso, the English Football Association ha fatto causa alla Signora Murphy, una titolare di una licenza per una birreria – una cosidetta “British pub-landlady” – al fine di impedirle di mostrare nella sua birreria le trasmissioni via satellite delle partite della “Premier League” inglese per mezzo di un decoder greco.  Utilizzando questo “decoder card”, la Signora Murhy pagavo molto meno e poteva mostrare le partite quasi in diretta, con una lieve sfasatura temporale.
Ovviamente il caso è anche molto interessante dal punto di vista sociologico.  Il fatto che quando parliamo della diffusione della cultura in Inghilterra parliamo del calcio non è privo di importanza sociologica.  Ma, forse più interessante è il fatto che in Inghilterra il concetto del “British pub-landlady” incarna i valori popolari.  Quindi la Signora Murphy incarna una sorta di Davide contro Golia.  Purtroppo, però, il tempo a mia disposizione non mi consente di analizzare il rapporto tra questa dimensione sociologica e la dimensione legale.
Dal punto di vista legale, l’effetto dell’uso della card del decoder annulla il modo in cui la Football Association ha usato il suo copyright, frazionando il mercato europeo in mercati nazionali e, quindi, l’uso liberalizzato di card straniere per i decoder ha introdotto una forma di concorrenza per quanto riguarda il prezzo di accesso.
Secondo la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che è sposato la tesi dell’Avvocato Generale (che è stata un’Avvocata Generale in questo caso), la questione centrale, nel caso di specie, è stato il rapporto tra copyright e il diritto alla libera circolazione dei servizi all’interno dell’Unione così come disciplinato nell’ articolo 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.
Come ha detto l’Avvocata Generale: dividere l’Unione Europea nei mercati nazionali pregiudica questo diritto alla libera presentazione dei servizi all’interno dell’Unione. E questo problema tocca anche la vendità, ad esempio, di software, opere musicali, libri elettronici e i film tramite Internet.  Inoltre, secondo la Corte, la divisione del mercato non può essere giustificata sulla base della necessità di proteggere i diritti relativi alle trasmissioni in diretta.
Ma, per la Football Association, le brutte notizie non si sono fermate qui.  L’Avvocata Generale ha aggiunto che i contratti di licenza esclusiva validi per il territorio di uno Stato membro dell’Unione, che vietano la concorrenza tra gli altri Stati membri, violano le regole del Trattato relative alla concorrenza.
Forse vedremo una nuova alba in Europa.  Forse in Europa i mercati isolati dalla concorrenza grazie al copyright non esisteranno più.  Però il punto interessante è che se è così non è perché il copyright è funzionato per ottenere questo risultato – invece, e grazie ai principi di concorrenza dell’Unione Europea.  E certo, il titolare di copyright può ancora imporre le limitazioni pesanti sull’accesso – e solo necessario evitare la divisione del mercato europeo nei mercati nazionali.  Il problema che abbiamo adesso in Europa è che, salvo per la possibilità di isolare i mercati nazionali, il potere dei titolari di copyright è diventato fortissimo mentre i diritti degli utenti, incluso il diritto di accesso, sono diventati progressivamente più deboli.
Se ci spostassimo a livello globale avremmo lo stesso copyright senza anche la protezione dei principi relativi alla concorrenza.  Significa per me che c’è qualcosa nel sistema, nel modello, di copyright che non va, che non favorisce la diffusione della cultura a livello globale.
Non sono sicura se questo è una distorsione del sistema o il problema sia il sistema del copyright.  Ma mi sento sicura nel dire che se vogliamo favorire la diffusione della creatività e della cultura dobbiamo prevedere nelle leggi nazionali le limitazioni al potere dei titolari di copyright.
In alcuni settori ci sono dei modelli molto noti.  Ad esempio, nel campo del software c’è il modello open source che dipende dal copyright per limitare il funzionamento del copyright stesso.  È possibile parlare dei “diritti” nell’ambiente di Open Source, ma questi diritti dipendono da un sistema di licenze.  La licenza di copyleft, ad esempio, permette l’uso e lo sviluppo del software ma proibisce l’uso commerciale di ogni versione che sia stata creata con l’autorizzazione della licenza.  Inoltre, è molto importante che il trasferimento della versione sia soggetta alle stesse limitazioni.  In altre parole, le innovazioni successive devono rientrare nel dominio pubblico.  Questo è il cosidetto aspetto “virale” della licenza.  È stata sollevata la questione della validità di queste licenze.  Però, secondo l’opinione prevalente, esse sono valide, purchè non implichino la totale rinuncia al copyright.
Un altro modello è quello del “creative commons” che parimenti dipende da un sistema complesso di licenze di copyright.  A Lawrence Lessig, il creatore di creative commons, piace dire che “Creative Commons” è una zona “lawyer-free”, ma solo grazie ad una architettura legale molto complessa ed estesa.
Tuttavia questi modelli non possono risolvere il problema del controllo della cultura dalle grandi imprese.  Per questo, come ho detto, dobbiamo prevedere nelle leggi nazionali le limitazioni sul potere dei titolari di copyright.  In altre parole dobbiamo riparare il modello di copyright stesso.
Un esempio interessante di questo in Italia è rappresentato dall’articolo 99 della legge sul diritto d’autore che prevede un tipo di dominio pubblico a pagamento per le opere che costituiscono le soluzioni ai problemi tecnologici.  Una volta quest’idea del dominio pubblico a pagamento era molto più diffusa nell’architettura del copyright.  Forse adesso potrebb’essere una risposta ben equilibrata al problema che dobbiamo affrontare.
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