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La nozione autonoma di diritto dell’Unione Europea di “opera parodistica” ed il “giusto equilibrio” nell’applicazione della relativa eccezione al diritto d’autore secondo la sentenza della Corte di Giustizia del 3 settembre 2014, causa C-201/13

Vignette

di Eleonora Sbarbaro Abstract In the judgment, the Court of Justice provides an autonomous and uniform concept of parody of EU law, together with the recommendations for the application of the related parody exception, provided for in Directive 29/2001.    According to the Court, the application of the exception must necessarily strike a “fair balance” between the implied interests, which are all protected by the EU Charter of Fundamental Rights.  However, the judgment does not recognize the independent “artistic-expressive” meaning and value of the parody, confining its relevance within the sphere of an “exception” to copyright law and related rights, thus not considering it a “freedom” or “full right”. Nella sentenza in commento, la Corte di Giustizia individua, con riguardo all’opera parodistica, una nozione di diritto dell’Unione unitaria ed autonoma, fornendo altresì le indicazioni per l’applicazione concreta della relativa eccezione, contenuta nella direttiva 29/2001. Secondo la Corte, l’applicazione dell’eccezione di parodia deve necessariamente rispettare un “giusto equilibrio” tra gli interessi coinvolti, tutti garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. La pronuncia, tuttavia, omette di riconoscere l’autonomo significato e valore “artistico-espressivo dell’opera parodistica e ne confina la rilevanza nella sfera dell’“eccezione” ai diritti d’autore e connessi, non avallandone una qualificazione in termini di “libertà” o “diritto pieno”. Sommario: 1. L’oggetto del rinvio pregiudiziale e l’inquadramento normativo del genere “parodia”. – 2. La decisione della Corte di Giustizia. – 2.1. Sul primo quesito: se la nozione di “parodia” sia una nozione autonoma di diritto dell’Unione. – 2.2. Sul secondo e terzo quesito. – 3. Alcune considerazioni sulla sentenza in commento e sul “valore artistico-espressivo” della parodia come opera autonoma. 1. L’oggetto del rinvio pregiudiziale e l’inquadramento normativo del genere “parodia”.   Il 3 settembre scorso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è per la prima volta espressa sulla nozione di “opera parodistica”, pronunciandosi, seppur in modo sintetico e per la verità marginale, sulla natura e sulle caratteristiche della parodia, nonché sulla possibilità per i titolari dei diritti sull’opera parodiata di opporsi a “stravolgimenti” di questa da parte di terzi che possano violare i principi europei di non discriminazione [1] . La domanda di pronuncia pregiudiziale, presentata dalla Corte di Appello di Bruxelles nell’aprile del 2013 [2], aveva ad oggetto l’interpretazione dell’articolo 5, paragrafo 3, lettera k), della direttiva 29/2001 sulla società dell’informazione (c.d. direttiva InfoSoc) sull’eccezione di parodia [3], anche alla luce della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea [4], che tutela la dignità umana (art. 1), la libertà di espressione e di informazione (art. 11, par. 1), la libertà delle arti e delle scienze (art. 13), il diritto di proprietà (art. 17), il principio di non discriminazione (art. 21, par. 1), la diversità culturale, religiosa e linguistica (art. 22). Nel diritto dell’Unione Europea l’opera parodistica viene qualificata dalla direttiva 29/2001 nei termini, piuttosto angusti, di una eccezione ai diritti esclusivi d’autore (e connessi) di riproduzione, distribuzione, comunicazione al pubblico e messa a disposizione del pubblico di opere o materiali protetti che gli Stati membri dell’Unione hanno la facoltà di disporre con riferimento ad utilizzi di opere altrui a scopo di caricatura, parodia o pastiche. Il legislatore belga, a differenza di quello italiano, ha riprodotto nella legge sul diritto d’autore nazionale una previsione sostanzialmente simile all’eccezione contenuta nella direttiva [5]. Di recente, anche il Regno Unito – come già altri paesi dell’Unione tra cui Francia e Spagna – ha scelto di introdurre l’eccezione di parodia [6]. I quesiti posti dalla Corte belga riguardavano: 1) l’esistenza di una nozione autonoma di “parodia” nel diritto dell’Unione Europea; 2) la necessità di verificare la sussistenza di determinate condizioni o requisiti in un’opera per poterla definire “opera parodistica” – condizioni espressamente formulate dal giudice a quo ovviamente in stretta relazione con le particolari questioni giuridiche sollevate dal caso concreto oggetto del giudizio nazionale; 3) l’esistenza di altri requisiti o condizioni di liceità dell’opera parodistica [7]. Il procedimento principale aveva ad oggetto l’utilizzazione della rielaborazione di un disegno della copertina di un noto album a fumetti – della serie “Suske en Wiske” (in francese: “Bob et Bobette”) – per la copertina di un calendario di propaganda politica distribuito durante un evento pubblico, il ricevimento di capodanno del 2011 della Città di Gand (in nederlandese “Gent”), in Belgio. L’immagine era apparsa anche sul sito web ed in una pubblicazione del partito politico, chiamato Vlaams Belang, definito come partito di estrema destra e portatore di ideologie contrarie a quelle dei ricorrenti. L’opera originale era stata essenzialmente modificata in due modi: da un lato, la figura del “benefattore” (nel fumetto “Il benefattore senza freni” [8]) era sostituita con una personalità politica (l’allora sindaco della città di Gand) e, dall’altro, i beneficiari della sua generosità, intenti a raccogliere le monete lanciate dal benefattore, nel fumetto generici cittadini, erano trasformati in immigrati o in persone di nazionalità/etnia straniera (ad esempio, di colore o con abiti tipici musulmani come il burqa). La parte inferiore della copertina del calendario presentava una scritta a mano: «Fré [l’autore del disegno] libero adattamento da Vandersteen [il creatore del fumetto]». I titolari dei diritti d’autore e connessi sul disegno protetto denunciavano non solo l’illecito sfruttamento dei diritti di utilizzazione economica dello stesso, ma anche l’illegittimità di una utilizzazione che associava l’opera dell’autore ad un messaggio discriminatorio. I due ricorsi in appello riuniti nel giudizio a quo erano stati presentati dal politico indicato nel calendario quale editore responsabile e dall’associazione che sosteneva il suo partito, sconfitti in primo grado dagli eredi dell’autore e da due società titolari di diritti sul fumetto. 2. La decisione della Corte di Giustizia. 2.1. Sul primo quesito: se la nozione di “parodia” sia una nozione autonoma di diritto dell’Unione.  Riguardo alla prima questione posta dal giudice del rinvio, la Corte di Giustizia ritiene che la parodia debba godere di una nozione unitaria ed autonoma di diritto dell’Unione. Infatti, preso atto della mancanza di una definizione nella normativa europea e dell’assenza di rinvii al diritto degli Stati membri per stabilire il significato e la portata dell’eccezione, l’esigenza di garantire l’interpretazione uniforme del diritto ed il principio di uguaglianza conducono – in applicazione del consolidato orientamento della Corte, espresso peraltro in una nota decisione in materia di diritto d’autore (il caso Padawan [9]) – alla necessità di individuare una definizione autonoma. In questo contesto, tuttavia, deve rilevarsi che l’armonizzazione del diritto d’autore dell’Unione e, in particolare, della disciplina delle eccezioni alle facoltà escludenti d’autore e “connesse”, subisce ancora oggi, ab origine, un fortissimo ostacolo, rappresentato dal fatto che il recepimento da parte degli ordinamenti nazionali della lunga lista di eccezioni contenuta nella direttiva 29/2001 è meramente facoltativo [10]. Pertanto, come evidenziato anche di recente nell’ambito della Consultazione pubblica in sede europea per una riforma del diritto d’autore [11], le normative nazionali dei Paesi membri sono ancora disomogenee e ciò rende la circolazione e l’utilizzo transfrontaliero  delle opere oggetto di copyright e dei relativi servizi ancora estremamente “faticosi” persino tra i paesi dell’Unione. 2.2. Sul secondo e terzo quesito. Una volta assunto che la definizione di parodia debba essere individuata a livello unitario, la Corte ne identifica il contenuto affermando che essa ha (solamente) due caratteristiche essenziali: – quella di evocare un’opera preesistente, pur presentando differenze percettibili rispetto all’opera parodiata, – e quella di essere un «atto umoristico o canzonatorio». Per la Corte non vi sarebbero altre condizioni o ulteriori requisiti perché possa parlarsi di opera parodistica. In particolare, questa non deve mostrare un proprio carattere originale (requisito di originalità) in modo tale che non possa essere ragionevolmente attribuita all’autore dell’opera originale anche per il riscontro di percettibili differenze con l’opera parodiata, né ha rilevanza il fatto che la critica colpisca l’opera originale o qualcosa o qualcun altro, né che l’opera indichi espressamente come fonte l’opera oggetto di parodia. Spetta però al giudice del caso concreto (e pertanto qui alla Corte belga di rinvio), applicare tale eccezione valutando le specifiche circostanze del caso ed utilizzando, in particolare, il parametro del “giusto equilibrio” tra gli interessi dei titolari dei diritti d’autore e connessi, da un lato, e la libertà di espressione dell’utilizzatore dell’opera che si avvalga della suddetta eccezione, dall’altro. Pertanto, fermo restando il concetto di parodia come sopra definito – ed il disegno di cui al procedimento principale rientra sicuramente nella nozione anzidetta – l’applicazione concreta dell’eccezione non può prescindere dagli obiettivi contemplati dalla norma [12], che dispongono il rispetto di tale “giusto equilibro”. Fin qui, e peraltro anche nella parte conclusiva della pronuncia, la Corte non sembra sbilanciarsi favorendo un interesse rispetto all’altro, ed afferma che tale “valutazione di equilibrio” possa effettuarsi solo nella situazione concreta, ponderando tutte le circostanze del caso di specie. A detrimento della libertà di parodia, però, conducono le considerazioni contenute nei punti 29, 30 e 31 della sentenza. Ivi si afferma che i titolari dei diritti d’autore e connessi hanno («in linea di principio») un «legittimo interesse» a che l’opera tutelata «non sia associata» ad un messaggio che violi i principi di non discriminazione e di parità di trattamento tra persone con riferimento alla razza, al colore ed all’origine etnica, garantiti, in particolare, dall’articolo 21, par. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Ciò significa che, in sostanza, ove il Giudice belga riscontri il carattere discriminatorio nell’elaborazione parodistica della copertina del fumetto, ai titolari dei diritti possa essere riconosciuto il diritto di opporsi alla relativa diffusione, come se la “negatività” di detto messaggio potesse pregiudicare i loro interessi morali o patrimoniali. L’Avvocato Generale sembrerebbe invece aver espresso una posizione di maggiore libertà per la parodia, anche se, dopo un primo slancio a favore della libertà di espressione, chiarisce anch’egli di propendere per un equilibrio che non consente alla parodia una libertà completa nei contenuti espressi. l’Avvocato Generale, infatti, da un lato, riconosce al principio di libertà di espressione il primo posto fra i criteri normativi guida e ricorda che la suddetta libertà deve essere rispettata anche in caso di contenuti che disturbino, sconvolgano o inquietino [13]. Per altro verso, però, ritiene che non dovrebbero consentirsi quelle alterazioni dell’opera parodiata che «nella forma o nella sostanza, trasmettano un messaggio radicalmente contrario alle convinzioni più profonde della società, sulle quali in definitiva si costruisce, e in definitiva vive, lo spazio pubblico europeo» [14], pur non avendo rilevanza il mero fatto che il messaggio non sia condiviso dall’autore dell’opera o dall’opinione pubblica. 3. Alcune considerazioni sulla sentenza in commento e sul “valore artistico-espressivo” della parodia come opera autonoma. La pronuncia in commento, pur omettendo di affrontare le questioni più profonde del complesso tema delle elaborazioni parodistiche, può essere comunque apprezzata in riferimento a quanto dispone circa la portata delle restrizioni alle fondamentali libertà di manifestazione del pensiero e di espressione artistica, libertà che una eventuale “censura” tout court del genere parodia comprometterebbe in modo sostanziale. Il genere parodia, infatti, ha origini antiche [15] e risponde «ai bisogni intimi ed indistruttibili della natura umana, e quindi non reprimibili da alcuna potenza di umano legislatore», prendendo in prestito le parole della saggia giurisprudenza italiana del 1908 nella decisione sull’elaborazione parodistica dell’opera “La figlia di Jorio” di Gabriele D’Annunzio compiuta da Eduardo Scarpetta [16]. Riguardo alla definizione di parodia fornita dalla Corte sulla base del “significato abituale” del termine nel “linguaggio corrente” [17], essa è evidentemente insufficiente e non coglie i complessi aspetti giuridici e di fatto coinvolti nella materia delle rielaborazioni di diritto d’autore, in particolare quelle di carattere comico ed umoristico, perdendo un’occasione per mettere a fuoco le ragioni, giuridiche e non, della “libertà” dell’opera parodistica dalle facoltà escludenti dei titolari dei diritti sull’opera parodiata. In particolare, la pronuncia non affronta la questione centrale, ovverosia in cosa consista il “distacco” dall’opera madre, lo “stravolgimento artistico-stilistico-espressivo” compiuto dal parodista. In quest’ottica, la pronuncia parte dal presupposto dell’applicazione dell’art. 5 della direttiva InfoSoc – che inquadra l’opera parodistica come mera eccezione ai diritti escludenti d’autore (e connessi) – e mai se ne discosta, rimanendo sempre nella prospettiva dell’“eccezione” e non in quella della “libertà” [18]. Una approfondita analisi della vera essenza dell’opera parodistica, sia dal punto di vista culturale che dal punto di vista giuridico, è stata invece compiuta in Italia dalla giurisprudenza – peraltro fin dai primi del ‘900, e precisamente nel sopracitato caso D’Annunzio/Scarpetta – grazie alla quale può dirsi consolidato un orientamento a favore della libertà della parodia (della vera parodia) come “diritto pieno” e non come semplice eccezione. E forse proprio grazie a tale orientamento, e pur in assenza di una specifica diposizione di legge che disciplini il trattamento dell’opera parodistica, l’ordinamento italiano, a differenza di altri ordinamenti europei, non ha ceduto alla tentazione di recepire l’eccezione prevista nella direttiva, mentre sia la giurisprudenza che la dottrina seguitano a colmare la lacuna legislativa collocando la parodia prevalentemente tra le “opere autonome” di cui agli articoli 1 e 2 l.a. [19]. La spiegazione di tale scelta va senz’altro ricercata nella disciplina di diritto d’autore sulle opere derivate, da cui deve necessariamente prendere le mosse la riflessione sull’opera parodistica. Infatti, per un verso, la normativa a tutela del copyright giustamente prevede che l’autore dell’opera originaria sia tutelato rispetto alle elaborazioni della propria creazione, le quali devono avvenire «senza pregiudizio dei diritti dell’autore dell’opera originaria» (così art. 2.3 Conv. Berna, e analogamente art. 4 legge autore italiana n. 633 del 1941). Si ricorda però che è illecita la sola utilizzazione “commerciale”, al di fuori della sfera personale e privata, compiuta senza il consenso del titolare dei relativi diritti, laddove l’autore della prima opera non può impedirne l’elaborazione in sé [20]. Per altro verso, è anche vero che non ogni forma o modo di “attingere” ad altra opera deve considerarsi un’“opera derivata” in senso tecnico-giuridico [21]. Infatti, il concetto giuridico di “derivato”,  la cui pubblicazione  è condizionata al placet del titolare dei diritti e pagante, va circoscritto facendo esclusivo riferimento all’oggetto della tutela autoriale, che non riguarda le idee, bensì solo la particolare “forma espressiva” delle stesse, non potendo riconoscersi il “carattere derivato” in senso giuridico ove la “comunanza” dell’idea – quivi compreso il “tema” – si accompagni tuttavia a modalità e forme espressive completamente differenti. Da qui, rispetto al concetto “comune” di derivato, si delinea la distinzione tra opere “derivate autonome” – la cui pubblicazione non è soggetta al placet del titolare dei diritti sull’opera originaria – e “derivate dipendenti”, caratterizzate da sostanziale “ascendenza espressiva” rispetto all’opera madre e la cui pubblicazione è pertanto soggetta a quel placet [22]. Tali principi debbono essere applicati ad ogni forma di elaborazione creativa di opere altrui, anche di carattere serio, come peraltro ricordato di recente in una nota pronuncia del Tribunale di Milano [23]. L’esempio lampante della distinzione qui prospettata è rappresentato da quanto avviene nell’opera parodistica, con la precisazione che essa riprende alcuni elementi formali dell’opera parodiata, ma non la “forma espressiva”, che è unicamente quella provvista di uno specifico significato, che infatti nella parodia viene completamente alterato [24]. Ora, la giurisprudenza italiana ha affermato che lo stravolgimento stilistico e dell’impronta espressiva dell’opera parodiata genera un’opera del tutto autonoma ed indipendente dall’opera madre: dalla quale la prima prende nettamente e apertamente le distanze, approdando ad un risultato rappresentativo nuovo, che trasmette un  “messaggio culturale”  completamente  diverso. Esemplare di questo filone interpretativo è la pronuncia del Tribunale di Milano, Ordinanza 29 gennaio 1996 [25], relativa alla parodia in chiave “pesantemente” erotica dell’opera letteraria “Va’ dove ti porta il cuore” della scrittrice Susanna Tamaro ad opera di Daniele Luttazzi. Lo stesso approccio restrittivo del concetto di “derivazione” viene ripreso e ribadito – peraltro, come anticipato, non solo per le opere parodistiche, ma anche per altri tipi di utilizzi “trasformativi” che non inducano al riso, come le c.d. “rivisitazioni” – nella pronuncia del Tribunale di Milano, 14 luglio 2011, “Fondation Alberto et Annette Giacometti c. Stitking Fondazione Prada ed altri” [26]. In questa prospettiva, anche la nozione di parodia proposta dall’Avvocato Generale Pedro Cruz Villalón nelle proprie Conclusioni presentate il 22 maggio 2014, pur all’esito di una approfondita analisi degli elementi strutturali e funzionali dell’opera parodistica, non sembra cogliere in modo completo le caratteristiche dell’opera parodistica che la rendono libera dal regime delle autorizzazioni. L’Avvocato generale, infatti, nell’affermare l’esistenza di una “nozione autonoma di diritto dell’Unione” di parodia, la definisce come «un’opera che, con intento burlesco, combina elementi di un’opera anteriore chiaramente riconoscibile con elementi sufficientemente originali da escludere che possa essere ragionevolmente confusa con l’opera originale» [27]. Riguardo alla definizione di parodia fornita nella sentenza in commento, può dirsi che una così lacunosa nozione può avere, di contro, se presa alla lettera, anche dei risvolti positivi in termini di maggiore portata della libertà di espressione. Si richiede infatti davvero poco per godere dell’eccezione: sono sufficienti l’evocazione dell’altra opera ed il carattere comico-burlesco. La dichiarata assenza di ulteriori condizioni perché possa parlarsi di parodia determina, poi, una ancora più larga applicazione del concetto di opera parodistica e, di conseguenza, dell’eccezione. Come correttamente afferma la Corte di Giustizia, dal tenore letterale della norma non risulta che la nozione sia soggetta ad alcuna condizione, né il contesto o la funzione di eccezione sono incompatibili con tale assunto o inducono a compiere particolari distinzioni. Non è però condivisa da chi scrive la scelta di escludere il riconoscimento di un proprio “carattere originale” nell’opera parodistica, che la distingua dall’opera parodiata. Sul punto si potrebbe invece affermare che la vera parodia ha, come prima si diceva, un proprio autonomo significato espressivo (oltre ad un proprio originale contenuto ideologico) e valore artistico, ed anche per questa ragione è proteggibile autonomamente. L’opera parodistica deve potersi distinguere dall’opera parodiata e mai confondersi con questa, poiché la vera parodia non deve essere attribuita per errore all’autore dell’opera parodiata. L’intento parodistico, in tal caso, non potrebbe considerarsi riuscito. Del resto, tutte le opere dell’ingegno proteggibili, anche le opere derivate “in senso stretto” o dipendenti, debbono possedere un, seppur minimo, carattere di “individualità”. Tornando nuovamente alla decisione della Corte di Giustizia, una volta riscontrate in un’opera le sole due caratteristiche indicate dalla Corte perché questa possa inquadrarsi nel genere parodistico, vi è però un ulteriore “ostacolo” da superare perché possa godersi della relativa eccezione: l’utilizzo deve essere sottoposto al “vaglio” del giusto contemperamento dei contrapposti interessi in gioco. Ed in quest’ottica, a parere della Corte, i titolari dei diritti d’autore e connessi hanno («in linea di principio») un «legittimo interesse» a che l’opera tutelata «non sia associata» ad un messaggio che violi i principi di non discriminazione e di parità di trattamento tra persone con riferimento alla razza, al colore ed all’origine etnica. Riguardo a tali affermazioni, in realtà, non si comprende come possa essere considerata offensiva o discriminatoria l’immagine di un sindaco “benefattore” intento a distribuire monete alle categorie più povere di un paese, anche se queste vengano individuate con i propri tratti etnici o con le vesti tipiche della propria cultura, essendo tali indici di riconoscimento probabilmente necessari per rappresentare graficamente questo concetto. Prescindendo tuttavia dalle considerazioni sull’eventuale offensività del messaggio contenuto nella parodia nei confronti di terzi, anche sul tema della possibilità di riconoscere la violazione dei diritti morali dell’autore dell’opera parodiata, la giurisprudenza italiana ha preso da tempo una posizione abbastanza chiara e costante. Il giudice italiano, riconoscendo alla vera parodia un proprio “risultato rappresentativo” nuovo ed un proprio “messaggio artistico”, “imputabile” nel bene e nel male al solo parodista e non più attribuibile all’autore dell’opera parodiata, ritiene che la parodia non possa comportare alcun pregiudizio all’identità personale e morale dell’autore della prima opera [28]. Tale approccio sembra il più coerente tanto con una bilanciata e proporzionata valutazione dei configgenti interessi privati in gioco, quanto con l’interesse collettivo, di rango costituzionale, alla libertà di espressione ed alla diffusione della cultura. * Seguono le due immagini messe a confronto: sulla sinistra quella originaria, la copertina dell’album a fumetti della serie “Suske en Wiske” dal nome “De Wilde Weldoener” (“Il benefattore senza freni” o “Il benefattore selvaggio”), dell’autore Vandersteen; sulla destra la parodia per il calendario del partito politico belga Vlaams Belang realizzata dall’artista Fré. vignette Note: [*] Il presente contributo è stato preventivamente sottoposto a referaggio anonimo affidato ad un componente del Comitato di Referee secondo il Regolamento adottato da questa Rivista. [1] Rielaborazioni dal “carattere discriminatorio”. [2] Domanda del 17 aprile 2013, proposta ai sensi dell’art. 267 TFUE, Causa C-201/13, parti: Johan Deckmyn, Vrijheidsfonds VZW contro Helena Vandersteen, Christiane Vandersteen, Liliana Vandersteen, Isabelle Vandersteen, Rita Dupont, Amoras II CVOH, WPG Uitgevers België. [3] L’5, paragrafo 3, lettera k), della Direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione (GU L 167, pag. 10). [4] GU 2000, C 364, p. 1. [5] Salvo, ad esempio, per l’espressa necessità «di tener conto delle pratiche leali». Per quanto riguarda la normativa belga, l’articolo 1 della legge del 30 giugno 1994, sul diritto d’autore e i diritti connessi, stabilisce quanto segue: «1. Solo l’autore di un’opera letteraria o artistica ha il diritto di riprodurla o di autorizzarne la riproduzione in qualsiasi modo e in qualsiasi forma (direttamente o indirettamente, in modo provvisorio o permanente, del tutto o in parte). Tale diritto comporta in particolare il diritto esclusivo di autorizzarne l’adattamento o la traduzione. (…) 2. (…) Egli ha il diritto al rispetto della sua opera e ciò gli consente di opporsi a qualsiasi modifica dell’opera. Nonostante la rinuncia, egli conserva il diritto di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione o altra modifica dell’opera o a qualsiasi altra violazione dell’opera che possa recare pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione».  Poi, con riferimento alla parodia, l’articolo 22, paragrafo 1, prevede che: «Se l’opera viene pubblicata in modo lecito, l’autore non può opporsi a (…) 6) una caricatura, parodia o pastiche, tenendo conto delle pratiche leali». Il richiamo alla lealtà/correttezza nella valutazione dei comportamenti che incidono sui diritti della proprietà intellettuale altrui – concetti che invece non ritroviamo nella legge sul diritto d’autore italiana – può suscitare un interessante confronto con una dottrina d’oltreoceano (canadese) che propone l’applicazione di un’“etica della virtù” («virtue ethics») come metro di valutazione per stabilire se un determinato utilizzo/comportamento possa essere considerato “fair” o meno ai fini dell’applicazione della dottrina del fair dealing/fair use. Mi riferisco, ad esempio, al pensiero del Professore David Lametti,  riassunto nel saggio D. Lametti, Laying Bare an Ethical Thread: From IP to Property to Private Law?, in Intellectual Property and The Common Law, Shyam Balganesh ed., Cambridge University Press, 2012, disponibile su: http://ssrn.com/abstract=2084099 ; pubblicato anche in questa rivista il giorno 15-09-2014 e nello stesso giorno oggetto di una lectio dal titoloEtica, proprietà intellettuale e tecnologia(Biblioteca Studio legale Gambino, Via dei Tre Orologi 14/a, Roma). V. anche D. Lametti, Etica della virtù: una rilettura della riforma del copyright canadese, in Dir. informatica, 2013, n. 4-5, p. 657; D. Lametti, The Objects of Virtue, in Property and Community 1, Gregory S. Alexander & Eduardo Peñalver eds., 2010. [6] La norma così dispone: «30A Caricature, parody or pastiche. (1) Fair dealing with a work for the purposes of caricature, parody or pastiche does not infringe copyright in the work. (2) To the extent that a term of a contract purports to prevent or restrict the doing of any act which, by virtue of this section, would not infringe copyright, that term is unenforceable». Per il testo aggiornato del “Copyright, Designs and Patent Act” del 1988 si veda: https://www.gov.uk/government/uploads/system/uploads/attachment_data/file/331791/Copyright_Designs_and_Patents_Act_1988.pdf. [7] Il “Hof van beroep te Brussel” aveva posto alla Corte di Giustizia le seguenti questioni pregiudiziali: «1) Se la nozione di «parodia» sia una nozione autonoma di diritto dell’Unione. 2) In caso di risposta affermativa, se una parodia debba soddisfare le seguenti condizioni o presentare le seguenti caratteristiche: mostrare un proprio carattere originale (originalità); mostrare siffatto carattere in modo tale che la parodia non possa essere ragionevolmente attribuita all’autore dell’opera originale; mirare a fare dell’umorismo o a canzonare, indipendentemente dal fatto che la critica in tal modo eventualmente espressa colpisca l’opera originale oppure qualche altra cosa o persona; indicare la fonte dell’opera oggetto di parodia. 3) Se un’opera debba soddisfare ulteriori condizioni o presentare ulteriori caratteristiche per poter essere definita una parodia». [8] Per l’esattezza, il disegno era ripreso dalla copertina dell’album a fumetti di “Suske en Wiske” dal nome “De Wilde Weldoener” (“Il benefattore senza freni” o “Il benefattore selvaggio”). [9] Sentenza C-467/08, EU:C:2010:620. [10] La Direttiva, infatti, non impone agli Stati membri di garantire nemmeno alcune ipotesi fondamentali di libere utilizzazioni. Una delle critiche che vengono mosse alla Direttiva 29/2001 è pertanto quella di aver attribuito agli Stati membri, in materia d’introduzione e tutela delle eccezioni e limitazioni al diritto d’autore, delle semplici  “facoltà” e non degli “obblighi”,  utilizzando volutamente – si veda la versione inglese – il verbo “may” al posto di “shall”. Quest’ultimo termine è usato, invece, nelle disposizioni della Direttiva in cui si attribuiscono facoltà e tutele ai titolari dei diritti (v. articoli 2.1, 3.1 e 4.1 della Direttiva). L’unica eccezione obbligatoria, con riferimento al solo diritto di riproduzione, è volta a consentire quei meri atti di riproduzione temporanea privi di rilevo economico descritti all’art. 5.1. [11] “Public Consultation on the review of EU copyright rules”, svoltasi nel periodo dal 5 dicembre 2013 al 5 marzo 2014, http://ec.europa.eu/internal_market/consultations/2013/copyright-rules/index_en.htm . Si veda, ad esempio, il documento presentato dall’Osservatorio di Proprietà Intellettuale Concorrenza e Comunicazioni (OPICC) Università Luiss Guido Carli (Roma) e dal Centro di ricerca ASK (Art, Science and Knowledge) Università Bocconi, in collaborazione con la Biblioteca dell’Università Bocconi (Milano), disponibile al seguente link: http://ricerca.giurisprudenza.luiss.it/sites/ricerca.giurisprudenza.luiss.it/files/Consultation-document_en_OPICC_ASK_inviato.pdf . [12] Obiettivi individuati nei considerando n. 3 e 31 della direttiva 29/2001. Il considerando n. 3 così recita: «L’armonizzazione proposta contribuisce all’applicazione delle quattro libertà del mercato interno e riguarda il rispetto dei principi fondamentali del diritto e segnatamente della proprietà, tra cui la proprietà intellettuale, della libertà d’espressione e dell’interesse generale». Ai sensi del considerando n. 31 della medesima direttiva: «Deve essere garantito un giusto equilibrio tra i diritti e gli interessi delle varie categorie di titolari nonché tra quelli dei vari titolari e quelli degli utenti dei materiali protetti. (…)». [13] Come prevede l’art. 10, par. 2, della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo. Si veda il punto 80 delle Conclusioni. Rilevanti sono anche i seguenti successivi passaggi: «81. Per riassumere, sempre supponendo che la parodia risponda effettivamente ai requisiti sopra menzionati, l’interpretazione data nella fattispecie dal giudice civile alla nozione di parodia deve condurre a favorire, in linea di principio, l’esercizio della libertà di espressione con questa particolare modalità. Il problema, tuttavia, riguarda i limiti del contenuto del messaggio, cui sono rivolte le considerazioni che seguono»; «85. Tenuto conto della «presenza» che si deve riconoscere ai diritti fondamentali nell’ordinamento giuridico nel suo complesso, ritengo che, in linea di principio e dal mero punto di vista della nozione di parodia, non si possa escludere da tale nozione una determinata immagine solo perché il messaggio non è condiviso dall’autore dell’opera originale o può sembrare deplorevole a gran parte dell’opinione pubblica (…)». [14] Punto n. 85. Si veda poi: «87. Spetta al giudice nazionale stabilire se, nel caso di specie, le alterazioni apportate all’opera originale restino rispettose di quelle che ho definito come le convinzioni più profondamente radicate nella società europea». [15] La parodia risale ai tempi della Grecia Antica, come indicato anche in AA.VV.-Opera compilata da una Società di Letterati Italiani, Dizionario delle origini, invenzioni e scoperte, Milano, Tipografia di Angelo Bonfanti, 1830, tomo III, p. 1782. Il termine deriva dal greco “παρῳδία”: “παρα” (“simile”, “vicino” o anche “contro”) e “ᾠδή” (“canto”). [16] Trib. Penale di Napoli, 27 maggio 1908, Imp. E. Scarpetta, in Giur. It., 1909, n. 2, p. 1. [17] Come da propria giurisprudenza consolidata. La stessa sentenza richiama la decisione del caso Diakité, C-285/12, EU:C:2914:39. [18] Così G. Ghidini, Exclusion and Access in Copyright Law: the Unbalanced Features of the European Directive “on Information Society” (InfoSoc)?, in RDI, 2013, n. 1, p. 5 ss. Si veda par. II, punto 9C. [19] Si veda, fra tutte, l’ordinanza del Tribunale di Milano, 29 gennaio 1996, caso “Tamaro e Baldini & Castoldi s.r.l. c. Comix s.r.l. e P.D.E. Milano S.r.l.”, in IDI, 1996, n. 5, p. 407 ss., richiamata praticamente in tutte le pronunce successive. [20] Regola generale, che tuttavia non potrebbe applicarsi a software e banche dati. [21] Sul punto si veda A. Musso, Diritto di autore sulle opere dell’ingegno, letterarie e artistiche, in Commentario del codice civile, A. Scialoja – G. Branca (a cura di), Zanichelli, 2008, p. 42. [22] Come osservato dal Prof. Gustavo Ghidini nella Relazione presentata nel corso del “III Convegno Italo-Francese sulla proprietà intellettuale – Le opere derivate ed i brevetti dipendenti”, tenutosi il 13 giugno 2014 ore 15:00 a Roma, presso l’Università Luiss Guido Carli, Aula Nocco, Via Parenzo, 11, http://www.luiss.it/evento/2014/06/13/progettare-il-futuro-le-sfide-della-formazione-manageriale-nell-italia-che-cambia. [23] Tribunale di Milano (Pres. ed Est. dott.ssa Tavassi), 14 luglio 2011, “Fondation Alberto et Annette Giacometti c. Stitking Fondazione Prada ed altri”, in IDI, 2012, n. 3, p. 219 ss. [24] Si veda G. Spedicato, Opere dell’arte appropriativa e diritti d’autore, in Giur. Comm, 2013, n. 1, p. 118, che sottolinea la distinzione tra semplice “forma” e “forma espressiva” delle opere dell’ingegno. [25] Il già citato caso “Tamaro e Baldini & Castoldi s.r.l. c. Comix s.r.l. e P.D.E. Milano S.r.l.”. [26] L’ordinanza del Tribunale di Milano richiama alcuni fondamentali e recenti casi della giurisprudenza nord-americana in cui, in applicazione della clausola del fair use, è stato riconosciuto il c.d. transformative use, uso trasformativo e pertanto libero e lecito dell’opera altrui. Tra questi, due casi di arte appropriativa. Il primo è “Patrick Cariou v. Richard Prince – Gagosian Gallery, Inc., Lawrence Gagosian”, No. 11-1197-CV, 2013 WL 1760521 (United State Court of Appeals for the Second Circuit – 2nd Cir. Apr. 25, 2013); per la verità la pronuncia del Tribunale di Milano richiama la sentenza di primo grado, del 2011 (della United States District Court for the Southern District of NY). Altro caso richiamato dal Tribunale di Milano è “Andrea Blanch v. Jeff Koons  – the Salomon R. Guggenheim Foundation – Deutsche Bank AG”, 467 F.3d 244, No 05-6433-CV, (Court of Appeals for the Second Circuit – 2nd Cir. 2006). [27] Conclusioni dell’Avvocato Generale Pedro Cruz Villalón, presentate il 22 maggio 2014, Causa C-201/13, disponibili al seguente link: http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=152656&pageIndex=0&doclang=it&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=164723. In particolare si veda il par. V, punto 89, “Conclusione” (la “Conclusione” delle “Conclusioni”) in cui si legge: «89. Per i motivi sopra esposti, propongo alla Corte di rispondere alle questioni sollevate dallo Hof van beroep nel modo seguente: «1) La nozione di “parodia” di cui all’articolo 5, paragrafo 3, lettera k), della direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, è una nozione autonoma di diritto dell’Unione. 2) La “parodia” ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 3, lettera k), della direttiva 2001/29 è un’opera che, con intento burlesco, combina elementi di un’opera anteriore chiaramente riconoscibile con elementi sufficientemente originali da escludere che possa essere ragionevolmente confusa con l’opera originale. 3) Ai fini dell’interpretazione di tale nozione di parodia, il giudice civile deve ispirarsi ai diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, procedendo alla dovuta ponderazione tra gli stessi ove lo richiedano le circostanze del caso di specie». [28] Così, ad esempio,  Tribunale di Milano, 29 gennaio 1996, in IDI, 1996, n. 5, p. 407 ss. Si veda però Tribunale di Milano, 14 luglio 2011, “Fondation Alberto et Annette Giacometti c. Stitking Fondazione Prada ed altri”, in IDI, 2012, n. 3, p. 219 ss. Scarica il contributo [Pdf] Scarica il quaderno Anno IV – Numero 2 – Aprile/Giugno 2014 [pdf]

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