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Responsabilità del motore di ricerca nel caso About Elly: fraintendimenti informatici a base di un’ordinanza (revocata) dal contenuto anomalo.

di Davide Mula (LEGGI L’ORDINANZA)

Abstract

La parte che afferma la provenienza da soggetto non autorizzato di un contenuto in Internet e ne richiede l’oscuramento ad un intermediario della società dell’informazione deve fornire l’indicazione dell’indirizzo web (URL) in cui è disponibile il file contestato. (Nella fattispecie il Tribunale di Roma ha ritenuto insuperabilmente generica un’istanza presentata da un soggetto che si assumeva leso nei propri diritti d’autore e che non aveva indicato gli indirizzi URL dei contenuti dei quali chiedeva l’oscuramento). The part that says that any content on the Internet comes from unauthorized person and requires the darkening to an intermediary society should provide an indication of the web address (URL) where the file is available. (In this case the Court of Rome considered generic insuperably an application made by a person who was assumed injured in their copyrights and that he had not shown the URL addresses of the content of which asked the darkening). Sommario

  1. Il caso
  2. Sulla legittimazione attiva del licenziatario non esclusivo nella tutela d’autore in rete
  3. I motori di ricerca: attività svolta e inquadramento ai sensi del D.Lgs. n. 70/2003
  4. La responsabilità dei motori di ricerca                                                                                                                                                             4.1. L’oscuramento dei link da parte di Yahoo                                                                                                                                                4.2. Il riferimento al caso Louis Vuitton Mallettier c. Google France
  5. L’anomalia dell’ordinanza di primo grado
  6. L’esito del giudizio di impugnazione.

1. Il caso.

About Elly è un film del regista iraniano Asghar Farhadi che ha ottenuto un Leone d’Oro al Festival di Berlino del 2009 e che, anche in ragione dei favori della critica, ha ottenuto ottimi risultati al botteghino. La società licenziataria dei diritti di sfruttamento economico per l’Italia e l’Europa, PFA Films s.r.l., da qui in avanti per brevità PFA, avendo riscontrato che una gran quantità dei link che apparivano all’utente che digitava la stringa di ricerca «About Elly» nei motori di ricerca più usati, quali Google, Bing e Yahoo, reindirizzavano l’utente a siti web nei quali veniva illecitamente riprodotta, in tutto o in parte, l’opera cinematografica in questione, si determinava a tutelare i propri diritti. In prima istanza, PFA procedeva a diffidare i gestori dei motori di ricerca intimando loro di oscurare tutti i link lesivi dei loro diritti economici, ricevendo come risposta, almeno da Microsoft la richiesta di un’indicazione specifica di tutti i link rei di tale lesione. Senza ottemperare alla richiesta di Microsoft e non ritenendo adeguata la risposta dei motori di ricerca, PFA proponeva istanza cautelare al Tribunale di Roma, affinché il giudice impartisse ai provider – da qui in avanti anche IP, acronimo di Internet provider – l’oscuramento di tutti i link a siti web che ledevano i propri diritti di sfruttamento economico dell’opera, anche questa volta senza fornire un’indicazione specifica di quali fossero tali link [1]. Il Giudice designato, affermava con ordinanza del 20 marzo 2011 che la legittimazione attiva di PFA derivava dal suo diritto di distribuire l’opera cinematografica in Italia ed in Europa. Quanto alla legittimazione passiva dei soggetti chiamati in giudizio, il giudice riteneva, invece, fondata la sola chiamata di Yahoo!Italia s.r.l., non anche di Google Italy s.r.l. e di Microsoft s.r.l., le quali non gestendo direttamente i motori di ricerca incriminati non avevano titolo per stare in giudizio. Verificata la regolarità del contraddittorio, il Giudice, in accoglimento dell’istanza di PFA, pronunciava un’ordinanza volta ad inibire a Yahoo la prosecuzione e la ripetizione della violazione dei diritti di sfruttamento economico sul film About Elly mediante il collegamento a mezzo dell’omonimo motore di ricerca ai siti riproducenti in tutto o in parte l’opera, diversi dal sito ufficiale del film. Avverso tale ordinanza veniva proposto reclamo da entrambe le parti: PFA per la condanna al pagamento delle spese legali, mentre Yahoo e gli altri provider per la revisione integrale del provvedimento. Il Tribunale in composizione collegiale con ordinanza del 16 giugno 2011 revocava il precedente provvedimento cautelare.

2. Sulla legittimazione attiva del licenziatario non esclusivo nella tutela d’autore in rete. 

Dalla lettura delle ordinanze esaminate nel presente caso il primo profilo che pare essere meritevole di analisi attiene alla valutazione operata dal Tribunale circa la sussistenza di legittimazione attiva in capo alla PFA. Il Giudice designato, infatti, ritiene che l’istante sia legittimata in quanto licenziataria del diritto di distribuzione in Italia e in Europa dell’opera cinematografica About Elly. Tuttavia, il Giudice pare non prendere in considerazione il rapporto sussistente tra la posizione giuridica di cui è titolare PFA e l’oggetto della sua domanda cautelare. Da tale analisi emerge, invero, come a fronte di una posizione giuridica con spiccato limite spaziale, la domanda giudiziale non presenti il medesimo limite, ma che al contrario abbia una portata aterritoriale. Infatti, un sito internet è accessibile da qualsiasi punto della rete telematica e non solo dagli utenti residenti in un determinato territorio; l’assenza di una delimitazione geografica dell’istanza cautelare si pone, dunque, in evidente contrasto con il limite territoriale della licenza. In questo senso, la legittimazione attiva a proporre siffatta azione, pare possa rinvenirsi piuttosto in capo al soggetto che ha conferito a PFA il diritto di distribuzione in Italia ed Europa, ossia alla casa cinematografica produttrice del film [2]. Aderisce alla posizione appena delineata la dottrina maggioritaria [3] secondo la quale sul versante della tutela del diritto di utilizzazione economica, la legittimazione a domandare una misura cautelare di un’opera dell’ingegno rispetto ad asserite violazioni commesse in Internet spetta all’autore, al cessionario di tali diritti od al concessionario in esclusiva.

3. I motori di ricerca: attività svolta e inquadramento ai sensi del D.Lgs. n. 70/2003.

Nell’ordinanza del 20 marzo 2011 il Tribunale preliminarmente si occupava di delineare le modalità di funzionamento di un motore di ricerca e, a seguire, di verificare la sussistenza della responsabilità dello stesso nel caso di specie. Quanto al primo punto, l’attività svolta dal motore di ricerca Yahoo veniva correttamente inquadrata nell’alveo delle attività degli Internet caching provider disciplinata dall’art. 15 del D.Lgs. 70/2003[4]. Non del tutto corretta appariva, invece, la ricostruzione delle modalità tecniche di funzionamento dei motori di ricerca. I web search engine, infatti, operano memorizzando temporaneamente le pagine web dei siti, leggendo da queste le informazioni inerenti il loro contenuto – informazioni caricate dal creatore della pagina stessa –  presenti nei metatags [5], e rielaborando i dati così acquisiti secondo algoritmi di catalogazione e classificazione. Per ogni pagina vengono, quindi, definite automaticamente tutta una serie di parole chiave corrispondenti, in modo da offrire agli utenti risultati di ricerca quanto più precisi possibile. Il dato finale visualizzato dall’utente è costituito da una stringa di testo che reca un collegamento ipertestuale, cd. link, alla URL [6] della pagina web. Da quanto esposto è possibile comprendere come i motori di ricerca non analizzino il contenuto di ciascuna pagina web, ma si limitino a leggerne l’etichetta – se così possiamo definire i metatags – scritta dal creatore della pagina stessa – non dai visitatori della pagina come erroneamente affermato dal Giudice di primo grado – e a salvare per ciascuna di esse l’URL.

4. La responsabilità dei motori di ricerca. 

Inquadrata l’attività svolta dai motori di ricerca e chiarito il significato di taluni termini informatici è possibile procedere alla disamina del secondo profilo attinente al fumus boni iuris, cioè la sussistenza della responsabilità di Yahoo. La responsabilità di un caching provider non sussiste, ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. 70/2003, ogni qualvolta il provider non modifica le informazioni temporaneamente memorizzate, non interferisce con l’uso lecito di tecnologia ampiamente riconosciuta e utilizzata nel settore per ottenere dati sull’impiego delle informazioni e, soprattutto, se agisce prontamente per rimuovere le informazioni che ha memorizzato, o per disabilitarne l’accesso, non appena venga effettivamente a conoscenza del fatto che le informazioni sono state rimosse dal luogo dove si trovavano inizialmente sulla rete o che l’accesso alle informazioni è stato disabilitato oppure che un organo giurisdizionale o un’autorità amministrativa ne ha disposto la rimozione o la disabilitazione [7]. All’art. 17 del d.lgs. n. 70/2003 [8] viene aggiunto che non sussiste in capo al provider un generale obbligo di sorveglianza [9], ma che comunque questi è tenuto ad informare senza indugio l’autorità giudiziaria o quella amministrativa avente funzioni di vigilanza, qualora sia a conoscenza di presunte attività o informazioni illecite riguardanti un suo destinatario del servizio della società dell’informazione [10]. Questo è generalmente definito come un obbligo di cooperazione [11] degli IP, introdotto dal legislatore comunitario al fine di una più trasparente ed efficiente gestione di Internet [12]. La direttiva 2000/31/CE, di cui il d.lgs. n. 70/2003 rappresenta l’atto di recepimento, risente, dunque, di un evidente favor per gli IP che deriva dalla volontà di incentivare l’impiego della Rete per il commercio elettronico e, dunque, gli scambi tra gli Stati Membri [13]. Nel caso che ci occupa, tuttavia, il Tribunale ha ritenuto sussistente il fumus boni iuris dell’istanza cautelare in quanto PFA aveva provveduto ad avvisare il provider della illegittimità di taluni link che apparivano come risultato della stringa di ricerca «About Elly», avviso che poneva Yahoo nell’obbligo di disattivazione dei link. Afferma, sul punto, il Giudice di primo grado che il dettato di cui al d.lgs. n. 70/2003 non può estendere l’ambito dell’esonero dall’obbligo di vigilanza oltre l’ambito di non esigibilità di una vigilanza generale, fermo restando l’obbligo di controllo su specifiche informazioni individuate, e l’esonero da responsabilità oltre il limite della mancata conoscenza della impresa della illiceità delle informazioni. In linea generale deve evidenziarsi che, anche ove si volesse accogliere la tesi prospettata da parte attrice – secondo cui la semplice comunicazione recante il generico avviso dell’illiceità di taluni siti web corrispondenti ad alcuni risultati di ricerca che appaiono come esito di una determinata stringa è idonea ad integrare la nozione di «effettivamente a conoscenza» [14] – , il motore di ricerca dovrebbe, al più, ritenersi responsabile dell’inadempimento dell’obbligo di cooperazione, e non già degli obblighi di vigilanza, atteso che in quanto motore di ricerca non ha l’obbligo di disattivazione di un contenuto in forza della semplice comunicazione di un privato, proprio, invece, degli host provider disciplinati dall’art. 16 del medesimo decreto [15]. Si osservi, inoltre, come il Tribunale paia aver mutato, con la presente pronuncia, il precedente orientamento affermato nel noto caso Fapav c. Telecom, nella cui ordinanza veniva sancito che i provider hanno l’obbligo di comunicazione all’autorità giudiziaria o amministrativa qualora siano in possesso di un’informazione sufficientemente motivata e attendibile [16]. Nel caso che ci occupa, infatti, PFA non solo ha inviato una comunicazione dal contenuto assolutamente generico, ma, in aggiunta, non ha dettagliato in alcun modo la sua informazione quando uno dei motori di ricerca le ha richiesto di indicare quali fossero i link da disattivare. Per quanto appena esposto, il profilo della sussistenza della responsabilità di Yahoo idonea a legittimare la concessione del provvedimento cautelare, che nel suo contenuto verrà analizzato nel prosieguo, non pare ritenersi, quantomeno, correttamente motivato se non, invero, assolutamente infondato.

4.1. L’oscuramento dei link da parte di Yahoo.

Nonostante quanto già evidenziato, nella prima ordinanza il Giudice legittima l’ordine di disattivazione dei link sulla considerazione che in seguito alla prima diffida di PFA Microsoft aveva risposto alla società cinematografica chiedendo di fornire un elenco dei link che si assumevano «pirata», ossia degli URL dei siti incriminati di lesione del diritto d’autore, nella specie dei diritti economici. La richiesta del colosso informatico era basata sulla possibilità di applicare al caso specifico la consolidata procedura del notice and takedown [17], prevista dalla legge statunitense a tutela del diritto d’autore [18], in base alla quale è onere del titolare dei diritti economici di un’opera dell’ingegno indicare al provider gli indirizzi dei vari siti che hanno un contenuto illecito, assumendosi anche la responsabilità civile di tale indicazione [19]. Se, infatti, è vero che è possibile oscurare un link, indicando al software gestionale del motore di ricerca di non mostrare tra i risultati una serie di URL, viceversa il motore di ricerca non può attraverso il solo URL capire se il contenuto informatico a cui quell’indirizzo rinvia sia o meno da considerarsi lesivo dei diritti di terzi [20]. Sarebbe come ritenere che conoscendo l’indirizzo fisico di un immobile, automaticamente si sia nella possibilità di sapere se al suo interno vengono commesse attività illecite o meno. In realtà, la possibilità di conoscere il contenuto delle informazioni trasmesse sulla Rete dipende dall’impiego di filtri informatici in grado di scansionare tali dati, applicazioni allo stato attuale ancora allo stato embrionale e poco efficienti [21]. Autorevole dottrina [22] ha peraltro rilevato sul punto come il dettato degli artt. 14 [23], 15 e 16, del d.lgs. n. 70/2003, nella parte in cui prevede l’esenzione di responsabilità qualora il provider non modifichi le informazioni trasmesse e non selezioni i destinatari, porti ad un paradosso normativo erroneamente non contemplato dal legislatore italiano e comunitario. Ragionando sul dato tecnico-normativo, infatti, la tanto auspicata – specie da parte dei titolari dei diritti di sfruttamento economico delle opere dell’ingegno – applicazione di filtri, finalizzati all’individuazione di contenuti illeciti, da parte degli IP, comporterebbe da parte di questi ultimi lo svolgimento di un’attività di selezione dell’informazione trasmessa dai propri utenti. Tale circostanza avrebbe come conseguenza l’insorgere di responsabilità ed obblighi nei confronti dei titolari dei diritti che altrimenti non sarebbero sussistenti [24]. L’ulteriore profilo da ultimo analizzato pare avvalorare quanto precedentemente affermato in ordine all’infondatezza del provvedimento cautelare concesso.

4.2. Il riferimento al caso Louis Vuitton Mallettier c. Google France.

Nell’analizzare la prima delle due ordinanze in epigrafe, particolare attenzione deve essere dedicata al riferimento in essa presente alla pronuncia della Corte di Giustizia Europea nel caso Louis Vuitton Mallettier contro Google France. Il Giudice, infatti, richiama il citato caso per sostenere la propria tesi circa la possibilità di obbligare un motore di ricerca ad oscurare dei link trascurando, tuttavia, alcune peculiarità della fattispecie in oggetto che ne escludono l’applicabilità tout court al caso in esame. Nel controversia rimessa alla Corte Europea, infatti, Luis Vuitton aveva intentato un’azione giudiziale nei confronti di Google France non già per la gestione del motore di ricerca omonimo – come dimostrato dalla corretta chiamata in causa della filiale francese del provider e non già della casa madre unica titolare del motore di ricerca -, ma piuttosto per il servizio offerto AdWords, attraverso il quale vengono venduti spazi pubblicitari sulle diverse pagine web, a seconda del contenuto delle stesse, dichiarato – si badi – dal creatore della pagina stessa. In particolare, il servizio si basa sull’impiego di metatags che nel caso di specie venivano illegittimamente utilizzate per la promozione telematica di prodotti contraffatti della nota casa di modo transalpina [25]. La fattispecie era, dunque, ben diversa perché nel caso di specie era stato sancito il diritto del “titolare di un marchio di vietare ad un inserzionista di fare pubblicità — a partire da una parola chiave identica a detto marchio, selezionata da tale inserzionista nell’ambito di un servizio di posizionamento su Internet senza il consenso dello stesso titolare — a prodotti o servizi identici a quelli per cui detto marchio è registrato, qualora la pubblicità di cui trattasi non consenta, o consenta soltanto difficilmente, all’utente medio di Internet di sapere se i prodotti o i servizi indicati nell’annuncio provengano dal titolare del marchio o da un’impresa economicamente connessa a quest’ultimo o invece da un terzo” [26]. Viceversa, nel caso che ci occupa i metatags delle pagine web indicizzate non venivano impiegati per offrire un servizio a titolo oneroso ai titolari di queste ultime a vantaggio di Yahoo, quanto, piuttosto, per offrire un servizio agli utenti che effettuano la ricerca. Per quanto esposto il richiamo alla pronuncia comunitaria risulta quantomeno decontestualizzato e, di sicuro, inidoneo a sostenere la tesi del Giudice di primo grado.

5. L’anomalia dell’ordinanza di primo grado.

Un ultimo profilo di criticità dell’ordinanza pronunciata dal Giudice designato emerge con riferimento all’analisi del periculum in mora nonché alla parte in cui il giudice definisce modi e tempi di ottemperamento del provvedimento cautelare. Quanto al periculum il Tribunale ha voluto desumere la sussistenza dello stesso da un non meglio specificato incremento delle violazioni dei diritti, che avrebbe portato al superamento della soglia di tollerabilità e giustificato l’istanza cautelare di PFA. Se in termini generali poteva condividersi la tesi avvallata dal Giudice [27], non si capisce il successivo richiamo agli artt. 131 e ss. del d.lgs. n. 30/2005 [28], recante il Codice della Proprietà Industriale, citati al fine di motivare la mancata analisi degli indici di imminenza e irreparabilità del danno, in quanto l’azione cautelare esperita ai sensi di suddetta disciplina non richiede la presenza di tali elementi [29]. L’azione cautelare descritta negli articoli richiamati può, infatti, essere esercitata a tutela di un diritto di «proprietà industriale» [30], tra i quali non è ricompreso il diritto d’autore, e non già di un diritto di «proprietà intellettuale» come, invece, erroneamente argomentato dal Tribunale. Prescindendo dall’analisi fin qui svolta in ordine ai presupposti dell’azione cautelare di PFA, è il contenuto dell’obbligo di fare imposto a Yahoo che ha sollevato maggiori dubbi e perplessità [31]. Il giudice, infatti, non aveva imposto a PFA di indicare a Yahoo quali fossero i link da disattivare, lasciando implicitamente al motore di ricerca l’onere di reperire tutti i link lesivi del diritto d’autore. In tal guisa veniva attribuito a Yahoo il dovere di valutare tutti i siti web prodotti dalla stringa di ricerca «About Elly» e, sulla base del proprio convincimento arbitrario, determinare se il link fosse stato da oscurare o meno. Peraltro, deve evidenziarsi come Yahoo in forza di tale provvedimento avrebbe avuto titolo per oscurare tutti i link a siti web che ledono il diritto di distribuzione di PFA, per cui potenzialmente, anche dei siti web legittimi titolati di un diritto di distribuzione per altre aree geografiche o, anche per il solo world wide web. In altri termini, in assenza di una specificazione, il motore di ricerca avrebbe potuto oscurare anche quei link che non possono essere definiti «pirata» in senso stretto, ma che, comunque, risultavano in contrasto con il diritto di sfruttamento economico di cui PFA chiedeva tutela. Appare evidente come in un bilanciamento degli interessi tra tutela dei diritti d’autore e libertà di manifestazione del pensiero, nonché con gli altri diritti di sfruttamento economico attribuiti sulla stessa opera dell’ingegno ad altri soggetti privati, non possa essere attribuito ad un altro soggetto privato il compito di svolgere il ruolo che, per disposizione costituzionale, compete inderogabilmente all’autorità giudiziaria [32]. Non può essere compito di Yahoo, infatti, comprendere quando uno spezzone del film venga riprodotto per fini di critica, o didattici, – finalità in quanto tali tutelate dalla medesima legge sul diritto d’autore – o quando tale riproduzione integri la lesione del diritto di distribuzione [33]. La criticità viene ad essere incrementata dalla circostanza che non veniva dato un termine a Yahoo per ottemperare al provvedimento, in quanto non determinabile ex ante per stessa ammissione del Giudice, il quale conferisce, così, un obbligo perenne di disattivazione dei link lesivi dei diritti di sfruttamento economico del film About Elly in capo al provider atteso che non limita il dovere di oscuramento ai soli link presenti al momento del deposito dell’istanza di PFA. La mancata indicazione delle modalità di esecuzione – che ai sensi dell’art. 669-duodecies cod. proc. civ. [34] devono essere date dal giudice del provvedimento – pare privare implicitamente il provvedimento di quello stesso carattere di urgenza che connota l’azione cautelare. Dottrina e giurisprudenza sono, infatti, concordi nel ritenere che l’opzione legislativa del legislatore del 1990, che ha introdotto tale articolo, debba leggersi come volta a dar risalto all’unicità del procedimento cautelare di tal che il giudice è tenuto a determinare le modalità di esecuzione ex officio fin dalla concessione della misura cautelare ed in vista del mancato spontaneo adeguamento [35]. Nella parte de qua l’ordinanza non poteva in alcun modo essere condivisa. Se tale orientamento fosse stato confermato, infatti, i motori di ricerca si sarebbero potuti trovare a dover gestire un obbligo di reperimento di tutti i link potenzialmente lesivi del diritto d’autore che non trova alcun fondamento normativo, e che, al contrario, sembra porsi in contrasto con la ratio della disciplina vigente. Pare, invero, che più che attribuire obblighi di garanzia, tecnicamente impossibili da realizzare, dovrebbe darsi maggiore risalto agli obblighi di cooperazione che i provider hanno con i titolari dei diritti, attraverso il ricorso alla ormai consolidata tecnica del notice and take down [36].

6. L’esito del giudizio di impugnazione.

PFA aveva reclamato l’ordinanza nella parte in cui la condannava a pagare le spese processuali sostenute da Microsoft s.r.l. e da Google Italia s.r.l. in quanto prive di legittimazione passiva nel caso di specie. Con riferimento a tale punto il Tribunale ha confermato quanto già precedentemente disposto dal Giudice designato, atteso che, come evidenziato in motivazione, PFA aveva indicato nel proprio ricorso cautelare che le società chiamate in causa erano semplicemente le omologhe italiane delle società di diritto straniero che gestiscono i motori di ricerca e che a queste era stata fatta la notifica per evitare la lunga procedura di una notifica all’estero [37]. Quanto alla ritenuta responsabilità di Yahoo, invece, il Tribunale ha osservato come partendo dal presupposto dell’assenza del generale obbligo di vigilanza dei provider, ex art. 17 d.lgs. n. 70/2003, in tali controversie è onere del titolare dei diritti di sfruttamento economico dell’opera indicare specificatamente quali siti web e, più in particolare, quali contenuti si assumono lesivi della propria posizione giuridica. Si legge, infatti, nell’ordinanza di secondo grado che “la necessità di verificare in questa sede la sussistenza e l’entità delle «violazioni commesse», nel senso proprio del termine utilizzato dalle disposizioni di cui agli artt. 14, 15 e 16 del d.lgs. 70/2003 impone alla ricorrente di fornire indicazioni circa i contenuti web dei quali richiede in via cautelare e urgente la rimozione”. Pertanto, aggiunge il collegio, per ciascun contenuto immesso in rete, del quale la ricorrente affermi la provenienza da soggetto non autorizzato, la stessa ricorrente avrebbe dovuto fornire l’indicazione dell’indirizzo internet (URL) in cui è disponibile il filmato contestato; viceversa la PFA s.r.l. si è limitata ad una generica denuncia della possibilità di rintracciare online soggetti che commettono violazioni, senza fornire alcuna indicazione dei siti web e dei link attraverso i quali viene commessa la violazione, né ha specificato le concrete modalità attraverso le quali sarebbero commesse le violazioni delle quali chiede l’inibitoria. In tal guisa, infatti, l’istanza cautelare presentata deve ritenersi affetta da insuperabile genericità (sic) di tal che il giudice non può in nessun caso accogliere la richiesta. Il Tribunale ha quindi concluso revocando l’ordinanza precedentemente emessa dal giudice designato in data 20 marzo 2011, compensando le spese del giudizio tra Yahoo e PFA.

Note

[*] Il presente contributo è stato preventivamente sottoposto a referaggio anonimo affidato ad un componente del Comitato di Referee secondo il Regolamento adottato da questa Rivista. [1] I link visualizzati dai motori di ricerca rinviano al DNS della pagina web che contiene le informazioni ricercate. Il DNS, acronimo di Domain Name System, tradotto Sistema dei Nomi a Dominio, è un sistema utilizzato per la risoluzione di nomi dei nodi della rete in indirizzi IP e viceversa; in altri termini l’indirizzo IP composto da una serie numerica del server che ospita il sito web, viene sostituito da un nome alfanumerico, al fine di renderlo di più agevole memorizzazione per l’utente finale. [2] Si veda ex multis B. Ciaccia Cavallari, Autore (diritto di), V) Profili processuali, in Enc. Treccani, IV, Aggiornamento, 2002, p. 1. [3] Per taluni spunti di riflessione sul tema si veda: F. Corsini, Le misure cautelari a tutela del software, in Rivista di diritto industriale, 2007, 2, p. 87 ss.; G. Ghidini Gustavo, M. F. Quattrone, Opere multimediali e copyrights di terzi, in Rivista di Diritto Industriale, 1998, 1, p. 5 ss.. [4] D.Lgs. n. 70 del 9 aprile 2003, Art. 15 (Responsabilità nell’attività di memorizzazione temporanea – caching): 1. Nella prestazione di un servizio della società dell’informazione, consistente nel trasmettere, su una rete dì comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non è responsabile della memorizzazione automatica, intermedia e temporanea di tali informazioni effettuata al solo scopo di rendere più efficace il successivo inoltro ad altri destinatari a loro richiesta, a condizione che: a) non modifichi le informazioni; b) si conformi alle condizioni di accesso alle informazioni; c) si conformi alle norme di aggiornamento delle informazioni, indicate in un modo ampiamente riconosciuto e utilizzato dalle imprese del settore; d) non interferisca con l’uso lecito di tecnologia ampiamente riconosciuta e utilizzata nel settore per ottenere dati sull’impiego delle informazioni; e) agisca prontamente per rimuovere le informazioni che ha memorizzato, o per disabilitare l’accesso, non appena venga effettivamente a conoscenza del fatto che le informazioni sono state rimosse dal luogo dove si trovavano inizialmente sulla rete o che l’accesso alle informazioni è stato disabilitato oppure che un organo giurisdizionale o un’autorità amministrativa ne ha disposto la rimozione o la disabilitazione. 2. L’autorità giudiziaria o quella amministrativa aventi funzioni di vigilanza può esigere, anche in via d’urgenza, che il prestatore, nell’esercizio delle attività di cui al comma 1, impedisca o ponga fine alle violazioni commesse. [5] I metatag sono le informazioni e le parole chiave presenti in ciascuna pagina web che consentono ai motori di ricerca di indicizzare le pagine stesse e, dunque, di farle apparire tra i risultati delle ricerche svolte dagli utenti. È divenuta così prassi diffusa, ancorché illecita, inserire tra i metatag di un sito i termini e le espressioni che, sebbene non effettivamente corrispondenti al contenuto dello stesso, siano in grado di farlo risultare tra i primi siti individuati dalla ricerca. Nel nostro ordinamento la disciplina dei metatags è stata dapprima rinvenuta nell’art. 13 della legge-marchi, oggi trasposto nell’art. 22 del CPI, la cui formulazione originaria recitava, al primo comma, che è vietato adottare come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio aziendale un segno uguale o simile all’altrui marchio se, a causa dell’identità o dell’affinità tra l’attività di impresa dei titolari di quei segni ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è adottato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni. Tale comma è stata modificato dal d.lgs. 13 agosto 2010, n. 131, che ha sostituito il termine “aziendale” con l’espressione “di un sito usato nell’attività economica o altro segno distintivo”. Questa modifica ha inteso rendere più agevole, per il titolare del marchio, il contrasto dei fenomeni di sfruttamento parassitario di altrui marchi famosi che spesso si verifica attraverso l’adozione di domain name uguali o simili o l’impiego di metatag, al fine di promuovere il proprio sito come veicolo per la vendita di prodotti contraffatti o, più semplicemente, per lucrare attraverso la vendita di spazi pubblicitari a terzi. Invero, l’impiego dei marchi nei metatag di un sito web rappresenta la più recente forma di parassitismo dei segni distintivi di operatori economici. Così in A.M. Gambino, A. Stazi, con la collaborazione di D. Mula, Diritto dell’Informatica e della Comunicazione, Giappichelli, Torino, 2011. [6] URL, acronimo di Uniform Resource Locator, definisce l’indirizzo completo che identifica la posizione di ciascuna risorsa su Internet. Una URL è costituita da una sigla iniziale che indica il tipo di protocollo utilizzato (http, Ftp, Gopher..), cui seguono le due barre (://) e l’indirizzo completo del nome dell’host, del dominio, del file da richiamare. Nella sua accezione commerciale, l’URL è anche conosciuto come nome a dominio, o nome di dominio, traduzione letterale dell’espressione anglosassone domain name, che indica la denominazione data al sito gestito da un operatore in Rete: è il nome del luogo virtuale su cui si esercita appunto un potere di dominio, avendo la possibilità di variarne il contenuto grafico o letterario attraverso la modifica delle pagine web. Si permetta di rinviare sul punto a A.M. Gambino, A. Stazi, con la collaborazione di D. Mula, Diritto dell’Informatica e della Comunicazione, Giappichelli, Torino, 2011. [7] Sul punto, ex multis: V. Franceschelli, Musica in rete tra pirateria e uso personale (la libera circolazione delle idee in internet è cosa troppo seria per lasciarla al diritto penale), in Rivista di Diritto Industriale, 2007, 2, pp. 82 – 92; M. Tescaro, La responsabilità dell’internet provider nel d.lg. n. 70/2003, in Responsabilità Civile, 2010, 3, p. 166. [8] D.Lgs. n. 70 del 9 aprile 2003, Art. 17 (Assenza dell’obbligo generale di sorveglianza): 1. Nella prestazione dei servizi di cui agli articoli 14, 15 e 16, il prestatore non è assoggettato ad un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmette o memorizza, ne ad un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino fa presenza di attività illecite. 2. Fatte salve le disposizioni di cui agli articoli 14, 15 e 16, il prestatore è comunque tenuto: a) ad informare senza indugio l’autorità giudiziaria o quella amministrativa avente funzioni di vigilanza, qualora sia a conoscenza di presunte attività o informazioni illecite riguardanti un suo destinatario del servizio della società dell’informazione; b) a fornire senza indugio, a richiesta delle autorità competenti, le informazioni in suo possesso che consentano l’identificazione del destinatario dei suoi servizi con cui ha accordi di memorizzazione dei dati, al fine di individuare e prevenire attività illecite. 3. Il prestatore è civilmente responsabile del contenuto di tali servizi nel caso in cui, richiesto dall’autorità giudiziaria o amministrativa avente funzioni di vigilanza, non ha agito prontamente per impedire l’accesso a detto contenuto, ovvero se, avendo avuto conoscenza del carattere illecito o pregiudizievole per un terzo del contenuto di un servizio al quale assicura l’accesso, non ha provveduto ad informarne l’autorità competente. [9] Sul punto si veda, ex multis, la pronuncia del Tribunal d’Instance de Grenoble, 1 febbraio 2007, ove è stata esclusa la sussistenza di responsabilità di eBay per illeciti commessi da propri utenti a danno di altri utenti in ragione della circostanza per cui eBay, non intervenendo sui messaggi scambiati, assume la veste di host provider e non di content provider,  in Diritto dell’Internet, 2007, p. 339, con nota di M. Berliri e P. La Gumina. Cfr: A. Manna, La disciplina del commercio elettronico, Cedam, 2005, p. 199. [10] Attraverso tale previsione, peraltro, il legislatore ha voluto esplicitamente escludere l’applicabilità dell’art. 40, comma 2, cod. pen., ai sensi del quale non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo. [11] Si veda E. Maggio, Il diritto di impresa non può prevalere sulla privacy e sulla tutela dei diritti della persona, in Rivista di Diritto Industriale, 2011, 2, p. 75; V. Franceschelli, Sul controllo preventivo del contenuto dei video immessi in rete e i provider: A proposito del caso Google/Vivi Down, in Rivista di Diritto Industriale, 2010, 4-5, p. 348. Sul punto si permetta di rinviare, inoltre, a: D. Mula, La responsabilità e gli obblighi degli Internet Provider per violazione del diritto d’autore, in Rivista di Diritto Industriale, 2010, 3,  p. 252. [12] Con riferimento al dibattito dottrinario circa i confini degli obblighi di cooperazione si veda, tra gli altri, V. Franceschelli, Sul controllo preventivo del contenuto dei video immessi in rete e i provider: A proposito del caso Google/Vivi Down, in Rivista di Diritto Industriale, 2010, 4-5, p. 352; Id., Diritto all’informazione e danno da mancata informazione in caso di traffico anomalo causato da “hacker”, in Diritto dell’Internet, 2007, 4, p. 364; F. Di Ciommo, La responsabilità civile in Internet: prove di governo dell’anarchia tecnocratica, in Responsabilità civile, 2006, p. 562, che ritiene che il provider abbia l’obbligo di verificare la correttezza delle informazioni trasmesse alle autorità competenti, e A. Manna, La disciplina del commercio elettronico, Cedam, 2005, p. 214, il quale ritiene che il provider abbia il solo obbligo di trasmettere i dati in suo possesso. [13] Parte della dottrina ha criticato questa scelta del legislatore rilevando come, in tal guisa, si sia scelto di sacrificare, almeno tendenzialmente, una diversa e opposta esigenza, che avrebbe potuto giustificare una più ampia responsabilità del provider, ossia quella di garantire, comunque, un risarcimento ai danneggiati attraverso Internet, in considerazione della frequente eventualità che non riesca ad identificare l’autore materiale dell’illecito o che costui, pur identificabile, si trovi in uno Stato estero la cui normativa non permetta di perseguirlo, oppure semplicemente non sia solvibile. Sul punto si veda V. Zeno Zencovich, I rapporti fra responsabilità civile e responsabilità penale nelle comunicazioni su Internet (riflessioni preliminari), in Diritto dell’Informazione e dell’Informatica, 1999, p. 1052; L. Nivarra, Responsabilità del provider, in Digesto civile, Torino, 2003, 1196. [14] Nella normativa cui si fa riferimento manca una esatta disciplina della notification – denominazione del documento che pone nell’effettiva conoscenza il provider analoga a quella contenuta, ad esempio, nella normativa statunitense, là dove si dispone che è il mittente della stessa ad essere direttamente tenuto a risarcire il cliente per l’inadempimento contrattuale del provider (cfr. sec. 512, c), Digital Millenium Copyright Act) qualora la notification risulti infondata. Il problema è particolarmente sentito anche in ambito comunitario, tanto che nella prima Relazione sull’attuazione della direttiva 2000/31/CE (Relazione della Commissione del 21 novembre 2003) si è dedicato all’argomento un intero paragrafo. In particolare, la considerazione essenziale espressa sul punto è quella secondo cui, al momento dell’adozione della direttiva, si decise di non disciplinare le procedure di «notifica e rimozione», limitandosi soltanto, nel considerando n. 40 e nell’art. 16, ad incoraggiare l’autoregolamentazione in quest’ambito. Tale impostazione è stata acriticamente seguita anche dagli Stati membri, al momento di recepire la direttiva nelle rispettive legislazioni. Tra questi, difatti, soltanto la Finlandia ha inserito nella propria normativa nazionale una disposizione che stabilisce una procedura di «notifica e rimozione», anche se unicamente in rapporto alle violazioni del diritto d’autore. Per tutti gli altri Stati membri tale problematica rimane ancora aperta, restando relegata nella sfera di un’autoregolamentazione che tarda a prendere corpo, considerato che finora soltanto il Belgio ha utilizzato una procedura, di coregolamentazione orizzontale, che ha condotto all’adozione di un protocollo di cooperazione con l’associazione locale dei fornitori di servizi Internet. A monte rimangono, d’altronde, i penetranti poteri di sindacato e controllo sull’informazione e sulla libertà di manifestazione del pensiero on line attribuiti dalla normativa ad un soggetto privato quale è l’ISP. Cfr: U. Draetta, Internet e commercio elettronico, Giuffré, 2005, p. 81; G.M. Riccio, in S. Sica, P. Stanzione (a cura di), Professioni e responsabilità civile, Zanichelli, 2006, p. 74; L. Bugiolacchi, La responsabilità dell’host provider alla luce del d.lg. n. 70/2003: esegesi di una disciplina “dimezzata”, in Responsabilità civile e previdenza, 2005, 199. [15] D.Lgs. n. 70 del 9 aprile 2003, Art. 16 (Responsabilità nell’attività di memorizzazione di informazioni – hosting):  1. Nella prestazione di un servizio della società dell’informazione, consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non è responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore: a) non sia effettivamente a conoscenza del fatto che l’attività o l’informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitene, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l’illiceità dell’attività o dell’informazione; b) non appena a conoscenza di tali fatti, su comunicazione delle autorità competenti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso. 2. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano se il destinatario del servizio agisce sotto l’autorità o il controllo del prestatore. 3. L’autorità giudiziaria o quella amministrativa competente può esigere, anche in via d’urgenza, che il prestatore, nell’esercizio delle attività di cui al comma 1, impedisca o ponga fine alle violazioni commesse. [16] Si permetta di rinviare a: D. Mula, La responsabilità e gli obblighi degli Internet Provider per violazione del diritto d’autore, in Rivista di Diritto Industriale, 2010, 3, p. 252. [17] Sul punto si veda: J. H. Reichman, A Reverse Notice and Takedown Regime to Enable Public Interest Uses of Technically Protected Copyrighted Works, in Berkeley Technology Law Journal, 2007, 3, p. 981; più recente, B. Wilson, Notice, takedown, and the good-faith standard: how to protect internet users from bad-faith removal of web content, in Saint Louis University Public Law Review, 2010, 2, p. 613. [18] Digital Millennium Copyright Act (DMCA), 1998, sezione 512 (c)(3): Elements of notification: (A) To be effective under this subsection, a notification of claimed infringement must be a written communication provided to the designated agent of a service provider that includes substantially the following: (i) A physical or electronic signature of a person authorized to act on behalf of the owner of an exclusive right that is allegedly infringed. (ii) Identification of the copyrighted work claimed to have been infringed, or, if multiple copyrighted works at a single online site are covered by a single notification, a representative list of such works at that site. (iii) Identification of the material that is claimed to be infringing or to be the subject of infringing activity and that is to be removed or access to which is to be disabled, and information reasonably sufficient to permit the service provider to locate the material. (iv) Information reasonably sufficient to permit the service provider to contact the complaining party, such as an address, telephone number, and, if available, an electronic mail address at which the complaining party may be contacted. (v) A statement that the complaining party has a good faith belief that use of the material in the manner complained of is not authorized by the copyright owner, its agent, or the law. (vi) A statement that the information in the notification is accurate, and under penalty of perjury, that the complaining party is authorized to act on behalf of the owner of an exclusive right that is allegedly infringed. (B) (i) Subject to clause (ii), a notification from a copyright owner or from a person authorized to act on behalf of the copyright owner that fails to comply substantially with the provisions of subparagraph (A) shall not be considered under paragraph (1)(A) in determining whether a service provider has actual knowledge or is aware of facts or circumstances from which infringing activity is apparent. (ii) In a case in which the notification that is provided to the service provider‘s designated agent fails to comply substantially with all the provisions of subparagraph (A) but substantially complies with clauses (ii), (iii), and (iv) of subparagraph (A), clause (i) of this subparagraph applies only if the service provider promptly attempts to contact the person making the notification or takes other reasonable steps to assist in the receipt of notification that substantially complies with all the provisions of subparagraph (A). [19] V. nota n. 13. [20] Nel caso Google c. Vividown (Tribunale di Milano, 24 febbraio 2010, sent. n. 1972), i consulenti tecnici del giudice hanno chiarito che ancora oggi non esistono software in grado di assicurare una perfetta individuazione dei contenuti illeciti, in questa Rivista, 2011, 2,  p. 29, con nota di E. Maggio, Il diritto di impresa non può prevalere sulla privacy e sulla tutela dei diritti della perona. Sullo stesso caso si veda altresì V. Franceschelli, Sul controllo preventivo del contenuto dei video immessi in rete e i provider: A proposito del caso Google/Vivi Down, in questa Rivista, 2010, 4-5, p. 352. [21] Un tipico esempio di tali filtri è costituito dal software impiegato da YouTube sui video che riceve per eliminare le immagini pornografiche o, più di recente, quei video in cui appaiono i loghi di canali televisivi al fine di evitare che soggetti non titolari dei diritti di sfruttamento economico carichino illecitamente tali filmati. Si osservi, tuttavia, come siano sempre di più i video in cui le immagini sono traslate in modo tale che il logo non risulti più leggibile dal programma, così aggirando il filtro. Anche in questo caso, tuttavia, il controllo viene effettuato da chi detiene il file, non già dai motori di ricerca che offrono uno strumento di reperimento delle pagine web semplificato. Se così non fosse, infatti, ossia se i motori di ricerca entrassero nei server cui ciascun URL visualizzato dal loro algoritmo di ricerca, si renderebbe responsabile del reato di cui all’art. 615-ter cod. pen. rubricato “Accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico” (Cass. pen., Sez. IV, 4 ottobre 1999 – 14 dicembre 1999, n. 3067, in Cassazione Penale, 2000, 11, p. 2990, con nota di S. Aterno, Sull’accesso abusivo a un sistema informatico o telematico.). [22] F. Di Ciommo, Programmi-filtro e criteri di imputazione/esonero della responsabilità online. A proposito della sentenza Google/Vivi Down, in Diritto dell’Informatica e dell’Informazione, 2010, 6, p. 829 ss.. Si rinvia inoltre a G. Finocchiaro, Filtering e responsabilità del provider, in Aida, 2010, p. 349 ss.. [23] D.Lgs. n. 70 del 9 aprile 2003, Art. 14 (Responsabilità dell’attività di semplice trasporto – Mere conduit): 1. Nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nel trasmettere, su una rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del servizio, o nel fornire un accesso alla rete di comunicazione, il prestatore non   responsabile delle informazioni trasmesse a condizione che: a) non dia origine alla trasmissione; b) non selezioni il destinatario della trasmissione; c) non selezioni né modifichi le informazioni trasmesse. 2. Le attività di trasmissione e di fornitura di accesso di cui al comma 1 includono la memorizzazione automatica, intermedia e transitoria delle informazioni trasmesse, a condizione che questa serva solo alla trasmissione sulla rete di comunicazione e che la sua durata non ecceda il tempo ragionevolmente necessario a tale scopo. 3. L’autorità giudiziaria o quella amministrativa, avente funzioni di vigilanza, può esigere, anche in via d’urgenza, che il prestatore, nell’esercizio delle attività di cui al comma 2, impedisca o ponga fine alle violazioni commesse. [24] Sul punto si veda: A. Manna, I soggetti in posizione di garanzia, in Il Diritto dell’informazione e dell’informatica, 2010, 6, p. 779. [25] S. Bonavita, M. Tavella, La Corte di Giustizia sul caso “AdWords”: tra normativa marchi e commercio elettronico, in Diritto Industriale, 2010, 5, p. 441. [26] Corte di Giustizia della Comunità Europea, C236/08 e C238/08, Louis Vuitton Mallettier SA vs Google France, in Giurisprudenza italiana, 2010, 7, pp. 1604 – 1610, con nota di M. Ricolfi, Motori di ricerca, link sponsorizzati e diritto dei marchi: il caso Google di fronte alla Corte di giustizia. [27] Nello stesso senso si veda – oltre alle pronunce indicate dal Tribunale nel provvedimento: vedi comunque quali precedenti che negano la rilevanza del tempo trascorso Trib. Firenze 13/02/2006, Trib. Firenze 14/12/2006, e per l’affermazione del principio per cui assumono rilevanza il mutamento della intensità del fenomeno illecito e l’aumento progressivo del giro di affari del contraffattore Trib. Milano, 08/10/2007 e Trib. Venezia, 30/01/2006 – Trib. Ancona 16 marzo 1999, ord. (in Giurisprudenza di Merito, 2000, 4-5, p. 846 con nota di G. Pizzirusso, L’inibitoria provvisoria ex art. 700 c.p.c. nel diritto di autore), ove è stato disposto che “ai fini della concessione dell’inibitoria ex art. 700 c.p.c. in materia di diritto d’autore, il pericolo nel ritardo è dato dalla prosecuzione dell’attività censurata nelle more del giudizio di merito, idonea ad estendere e radicare un pregiudizio difficilmente risarcibile, anche perché di difficile previsione. [28] D.Lgs. n. 30/2005, art. 131 – “Inibitoria: 1. Il titolare di un diritto di proprietà industriale può chiedere che sia disposta l’inibitoria di qualsiasi violazione imminente del suo diritto e del proseguimento o della ripetizione delle violazioni in atto, ed in particolare può chiedere che siano disposti l’inibitoria della fabbricazione, del commercio e dell’uso delle cose costituenti violazione del diritto, e l’ordine di ritiro dal commercio delle medesime cose nei confronti di chi ne sia proprietario o ne abbia comunque la disponibilità, secondo le norme del codice di procedura civile concernenti i procedimenti cautelari. L’inibitoria e l’ordine di ritiro dal commercio possono essere chiesti, sugli stessi presupposti, contro ogni soggetto i cui servizi siano utilizzati per violare un diritto di proprietà industriale. 1-bis. Se il giudice nel rilasciare il provvedimento cautelare non stabilisce il termine entro cui le parti devono iniziare il giudizio di merito, quest’ultimo deve essere iniziato entro il termine di venti giorni lavorativi o di trentuno giorni di calendario qualora questi rappresentino un periodo più lungo. Il termine decorre dalla pronuncia dell’ordinanza se avvenuta in udienza o, altrimenti, dalla sua comunicazione”. [29] Per una ricostruzione dell’azione cautelare di cui all’art. 131 del Codice di Proprietà Industriale si veda: C. Pappalardo, Periculum in mora, contraffazione diretta e indiretta, in questa Rivista, 2011, 4-5, pp. 261 – 266; G. Casaburi, Il processo industrialistico rinnovellato, in Diritto Industriale, 2010, 6, p. 508; M.S. Spolidoro, Profili processuali del Codice della proprietà industriale, in Diritto Industriale, 2008, 2, p. 174. [30] Ai sensi dell’art. 1, d.lgs. n. 30/2005, l’espressione diritto di proprietà industriale: «comprende marchi ed altri segni distintivi, indicazioni geografiche, denominazioni di origine, disegni e modelli, invenzioni, modelli di utilità, topografie dei prodotti a semiconduttori, informazioni aziendali riservate e nuove varietà vegetali». [31] In un breve commento redatto nell’imminenza della pubblicazione dell’ordinanza erano già state evidenziate molte delle analizzate criticità. Si permetta di rinviare a: D. Mula, Tribunale di Roma, sez. IX, 20 marzo 2011: I motori di ricerca svolgono attivita’ di caching provider e hanno l’obbligo di disattivare i collegamenti con siti web pirata, in Diritto Mercato Tecnologia, 2011, www.dimt.it . [32] Sui poteri di oscuramento dei siti web riproducenti contenuti lesivi del diritto d’autore si veda: S. Ercolani, I poteri Agcom in materia di diritto di autore: un rebus normativo? Riflessioni a margine della proposta di regolamento dell’Agcom, in Diritto Mercato Tecnologia, 2011, 2, p. 18. In chiave comparatistica di veda: V. Franceschelli, Libertà in Internet: per fortuna c’è la Corte costituzionale francese!, in questa Rivista, 2009, 4-5, p. 414 ss.. [33] Per una breve disamina si veda: F. Tozzi, Plagio e presupposti di tutela di opera letteraria, in Diritto di autore, 2010, 4, p. 398; G. Bonomo, L’assenza del “fine commerciale” nelle utilizzazioni libere ex art. 70 l.d.a., in  Diritto di autore, 2006, 4, p. 529; V. Falce, Diritto d’autore e innovazione derivata nelle Information Technologies, in questa Rivista, 2003, 1, p. 74 ss.. Sulle potenziali conseguenze di un’eccessiva estensione delle privative autoriali si veda: L. Briceno Moraia, G. Ghidini, Il futuro della proprietà intellettuale: un universo in espansione, in Il Diritto industriale, 2011, 2, p. 201 ss.; V. Falce, G. Ghidini, Open source, General Public License e incentivo all’innovazione, in AIDA, 2004, p. 3 ss. [34] Art. 669-duodecies, cod. proc. civ.: Attuazione – Salvo quanto disposto dagli articoli 677 e seguenti in ordine ai sequestri, l’attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto somme di denaro avviene nelle forme degli articoli 491 e seguenti in quanto compatibili, mentre l’attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto gli obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare avviene sotto il controllo del giudice che ha emanato il provvedimento cautelare il quale ne determina anche le modalità di attuazione e, ove sorgano difficoltà o contestazioni, dà con ordinanza i provvedimenti opportuni, sentite le parti. Ogni altra questione va proposta nel giudizio di merito. [35] Si veda: M. Orditura, Effettività della tutela cautelare: quale attuazione?, in Giurisprudenza di merito, 2006, 4, p. 815. [36] V. nota n. 10. [37] Si veda: M. Mocci, Il punto sulle spese processuali alla luce della riforma, in Rivista di diritto processuale, 2011, 4, p. 907.

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