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Risarcimento del danno da inadempimento di direttive comunitarie agli specializzandi iscritti ad anni accademici prima del 01.01.’83.

di Valentina Zirafa Cassazione Civile – Sezione Sesta – Sentenza n. 23652/15 del 18/12/2015

Abstract

The judgment in question is interesting because it addresses the most classic topics Processual-statutory braided with Community law or “damages from breach of EU directives”; it addresses an issue (or that of residents in Medicine attending its courses in the years ’83 / ’84) long-standing and well known to the industry. The basic problem was born, basically, by the lack of implementation by the Italian State, after 31/12/1982 provisions to comply with Directive 82/76 EEC; Directive which recognized the medical specialists (years ’83 / ’84) the opportunity to receive adequate pay, considered essential to enable the full-time participation in training activities.With considerable delay typical “Italian” the Directive was transposed only by Legislative Decree n. 257 / ’91 and its application was made after the academic year 1991/1992.The ECJ, for its part, pointed out that the scholarship is not applicable to interns from previous years.

Abstract

La pronuncia in oggetto appare interessante poiché affronta il più classico degli argomenti  processual-civilistici intrecciato al diritto comunitario: “il risarcimento del danno da inadempimento di direttive comunitarie”; essa affronta una problematica (ovvero quella degli specializzandi in Medicina frequentanti i relativi corsi negli anni  ‘83/’84) ormai di vecchia data e ben nota agli operatori del settore. Il problema di fondo nasceva, fondamentalmente, dalla mancata attuazione da parte dello Stato italiano, al termine del 31/12/1982 delle disposizioni volte a conformarsi alla Direttiva CEE 82/76;Direttiva la quale riconosceva ai medici specializzandi (anni ‘83/’84)la possibilità di ricevere una retribuzione adeguata, considerata come condizione essenziale per rendere possibile la partecipazione a tempo pieno alle attività di formazione. Con il notevole tipico ritardo “all’italiana” la Direttiva veniva trasposta solo con il Decreto Legislativo n. 257/’91 e la sua applicazione veniva fatta decorrere dall’anno accademico 1991/1992. La CGE, dal canto suo, evidenziava che la borsa di studio non fosse applicabile agli specializzandi degli anni precedenti. Sommario: 1. Introduzione, punti chiave della pronuncia e sintesi della fattispecie; 2. Analisi delle argomentazioni fornite dalla Cassazione; 2.1 La qualificazione giuridica  del danno da risarcimento per inadempimento da direttive comunitarie nel nostro ordinamento ed  il recepimento  di suddetta qualificazione all’interno degli ordinamenti degli Stati membri; 2.2 L’estensione o meno del suddetto risarcimento ad alcune categorie di soggetti evidenziati nella fattispecie; 2.3 Il riconoscimento della retroattività alla normativa comunitaria di settore di cui la Cassazione si occupa; 2.4 Le conclusioni a cui pervengono i giudici della Corte estrapolando attraverso l’interpretazione di alcuni principi cardine di diritto comunitario la tematica del risarcimento del danno da inadempimento; 3. Considerazioni finali.

1.Introduzione, punti chiave della pronuncia e sintesi della fattispecie.

La pronuncia in oggetto appare interessante poiché affronta il più classico degli argomenti processual-civilistici intrecciato al diritto comunitario ovvero: “il risarcimento del danno da inadempimento di direttive comunitarie”. A tal uopo, evidenzieremo immediatamente i punti chiave della pronuncia che sono i seguenti: a) La “qualificazione giuridica” del danno da risarcimento per inadempimento da direttive comunitarie nel nostro ordinamento ed il recepimento di suddetta qualificazione all’interno degli ordinamenti degli Stati membri. b) L’estensione o meno del suddetto risarcimento ad alcune categorie di soggetti evidenziati nella fattispecie. c) Il riconoscimento della retroattività alla normativa comunitaria di settore di cui la Cassazione si occupa. d) Le conclusioni a cui pervengono i giudici della Corte estrapolando attraverso l’interpretazione di alcuni principi cardine di diritto comunitario la tematica del risarcimento del danno da inadempimento. Per meglio comprendere effettuiamo, quindi, una breve sintesi della fattispecie in oggetto: un cospicuo gruppo di professionisti, appartenenti alla categoria Medici Specializzati, proponeva, illo tempore, ricorso innanzi al competente Tribunale locale, Sezione Lavoro (contro l’Università degli Studi, Ministero dell’Università e Ricerca, Ministero della sanità, Tesoro, Presidenza del Consiglio dei Ministri) onde ottenere il risarcimento del danno consistente nella mancata percezione della giusta remunerazione e mancata percezione nel periodo relativo alla frequentazione delle scuole di specializzazione in medicina, in tempo anteriore all’entrata in vigore del D.lgs n. 257 del 1991, adducendo quale motivo principale di doglianza, l’inadempimento agli obblighi comunitari derivanti allo Stato dalle Direttive n. 75/362/CEE e 82/76/CEE. Il Giudice di prime cure rigettava il ricorso per intervenuta prescrizione; veniva indi proposto appello con esito vittorioso, ritenendo la Corte d’Appello di Palermo applicabile alla fattispecie in oggetto il termine di prescrizione decennale decorrente dalla data di entrata in vigore della l. 370/’99; termine che, riferito ai soli anni accademici 1982/’83  e 1990/’91, non era ancora decorso  al momento della istaurazione del giudizio di primo grado. Nella pronuncia veniva condannata (esclusa la legittimazione attiva dell’ Università, del Ministero Istruzione, Ministero Sanità  e Tesoro) solo la Presidenza del Consiglio dei Ministri onerata a rifondere ai ricorrenti una irrisoria cifra comprensiva dei soli interessi legali fino al soddisfo, compensando le spese di entrambi i gradi di giudizio.Alcuni di ricorrenti principali, resistevano non solo con controricorso ma, altresì, dispiegando ricorso incidentale. Orbene, occorre pertanto scindere la problematica nei due distinti punti ed eccezioni sollevate nel controricorso e nel ricorso incidentale. Essenzialmente nel controricorso le parti eccepivano i seguenti vizi: 1) inadempimento dell’obbligo statale alle Direttive comunitarie, sin dal lontano 1982. 2) Questione di fatto, sussistente nell’aver ridotto l’entità del risarcimento del danno a nulla rilevando le diverse modalità di articolazione e frequenza del corso rispetto sia alla durata dello stesso che alle previsioni comunitarie. 3) Inammissibilità per “novità della questione”. 4) Infondatezza della tesi sull’insussistenza delle esigenze materiali per un impegno a tempo pieno. Nel ricorso incidentale venivano eccepiti vizi articolati nel seguente modo: 1) violazione e falsa applicazione delle Direttive CEE 75/362, 75/363, 82/76 e degli artt. 1173, 1183, 1218, 2043 c.c, artt. 291 e 297 del Trattato CEE nella versione recepita dall’art. 3 Cost. Essendo negli anni 1983/1984 già entrata in vigore in Italia la normativa comunitaria. 2) Omesso esame di fatto decisivo per il giudizio ovvero erroneità degli anni riconosciuti ad alcuni ricorrenti. 3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c  e altra omissione di fatto decisivo ai fini della decisione ovvero la disposta compensazione nonostante l’integrale soccombenza delle parti.

2. Analisi delle argomentazioni fornite dalla Cassazione.

2.1 La “qualificazione giuridica” del danno da risarcimento per inadempimento da direttive comunitarie ed  il recepimento  di suddetta qualificazione all’interno degli ordinamenti degli Stati membri.

 A questo punto esaminiamo le argomentazioni fornite dalla Cassazione Civile alla luce dei punti chiave, supra evidenziati. Orbene, la responsabilità degli Stati nei confronti dei singoli per i danni causati con violazione del diritto comunitario si colloca in un contesto giuridico articolato, nel quale altre forme di responsabilità – quella degli Stati membri e delle Comunità – sono previste a livello di Trattati.  Tale regime di responsabilità è sottoposto ad una disciplina di natura composita, dettata per le sue linee generali dall’ordinamento comunitario, mentre per il resto dai diritti nazionali (1). Giova rilevare che la Corte ha, sia pure con qualche esitazione, elaborato un criterio pratico per dirimere le questioni legate all’intreccio delle responsabilità comunitaria e nazionale: si tratta del criterio della «competenza efficiente» (2), secondo il quale la competenza spetta normalmente al giudice nazionale, quando questi sia in grado di statuire utilmente sulla materia controversa per garantire la protezione giurisdizionale del soggetto leso (3). Nel caso in cui ciò non sia possibile, al singolo è data la possibilità di rivolgersi alla Corte per ottenere la condanna delle istituzioni comunitarie cui sia ascrivibile il danno sofferto, in modo da essere comunque protetto dalle conseguenze dannose del comportamento di queste ultime. L’aspetto centrale del regime della responsabilità della Comunità riguarda il caso in cui il danno, del quale si chieda il risarcimento, derivi dall’adozione o dalla mancata adozione (carenza) di un atto comunitario, normativo o meno. Altresì, la CGE ha ribadito che l’azione di responsabilità «è diretta non all’eliminazione di un determinato provvedimento ma al risarcimento del danno causato da un’istituzione» (4), con ciò intendendo che l’eventuale declaratoria di illegittimità dell’atto produttivo del danno rimane incidentale e non produce gli effetti tipicamente erga omnes dell’azione di annullamento. Pertanto, non si può proporre un’azione di responsabilità che persegua lo stesso risultato di un’azione di annullamento (o in carenza) dichiarata non fondata, in quanto l’illegalità dell’atto contestato deve essere comunque tenuta distinta dalla sua illiceità, intesa quale condizione dell’azione (5). Da ciò appare dunque evidente che chi vuole agire in via risarcitoria nei confronti di un’istituzione di uno Stato membro dell’UE per i danni cagionati derivanti da atti adottati da quest’ultima potrà proporre un’azione autonoma di responsabilità, attenendosi alle condizioni limitative ad essa afferenti, o proporre un’azione di annullamento corredata da una domanda risarcitoria, restando inteso che, in quest’ultimo caso, il rigetto della domanda di annullamento comporta per se il rigetto di quella per danni. Fin qui nulla quaestio, sicché, la CGE ha posto un limite alla risarcibilità del danno derivante da inadempimento delle Direttive comunitarie, con riferimento sia ad atti amministrativi diretti a specifici destinatari che ad atti normativi di portata generale. Con riguardo a questi ultimi la CGE ha affermato che, qualora il danno derivi da un «atto normativo che implica delle scelte di politica economica, la responsabilità della Comunità per il danno che i singoli possono aver subìto in conseguenza di questo atto sussiste unicamente in caso di violazione grave di una norma superiore intesa a tutelare i singoli» (6). Ne consegue inevitabilmente, ahimè, duole constatare, la sussistenza di un forte  limite alla possibilità di riconoscere il risarcimento tutte le volte che sia messo in discussione un atto che implichi un elevato grado di discrezionalità in capo all’istituzione che lo adotta. Valgono in ambito europeo le stesse regole riscontrabili negli ordinamenti di “Civil Law”, come quello italiano appunto, in relazione ai caratteri principali che il “danno” deve avere per poter essere risarcito ovvero deve essere: certo e attuale,  la prova di esso incombe, ovviamente, sul ricorrente. La CGE ha precisato, a tal fine, che possono essere presi in considerazione tanto il danno emergente che il lucro cessante, e , che sono risarcibili sia il pregiudizio materiale che quello morale (7) . Nella liquidazione del danno, inoltre, deve tenersi conto degli interessi moratori e della svalutazione monetaria.

2.2. L’estensione o meno del suddetto risarcimento ad alcune categorie di soggetti evidenziati nella fattispecie.

Sulla scorta di quanto premesso  il punto chiave suole essere più un interrogativo di fondo tutt’oggi e cioè: In che modo la protezione del diritto comunitario può trovare ingresso, applicazione, trasposizione nel Diritto civile italiano? La pronuncia in oggetto affronta una problematica(quella degli specializzandi in Medicina frequentanti i relativi corsi negli anni  ‘83/’84) ormai di vecchia data e ben nota agli operatori del settore. Il problema di fondo nasceva fondamentalmente nella mancata attuazione da parte dello Stato italiano, al termine del 31/12/1982 delle disposizioni volte a conformarsi alla Direttiva CEE 82/76; Direttiva la quale riconosceva ai medici specializzandi ( anni ‘83/’84) la possibilità di ricevere una retribuzione adeguata, considerata come condizione essenziale per rendere possibile la partecipazione a tempo pieno alle attività di formazione. Con il notevole tipico ritardo “all’italiana” la Direttiva veniva trasposta solo con il Decreto Legislativo n. 257/’91 e la sua applicazione veniva fatta decorrere dall’anno accademico 1991/1992. La CGE, dal canto suo, evidenziava che la borsa di studio non fosse applicabile agli specializzandi degli anni precedenti (8) , mentre (contraddittoriamente) nello stesso anno, in Italia, a seguito della declaratoria di illegittimità da parte del T.A.R.  espressa in numerose pronunce, veniva introdotta la L. 370/’99 con la quale si riconosceva anche ai medici specializzandi degli anni anteriori una borsa di studio (ad esclusione però de gli interessi legali e importi di rivalutazione monetaria). Nel 2000, sempre con Decreto, si fissò indi la data di tre mesi  decorrenti dalla pubblicazione in G.U. per la richiesta da parte degli interessati della corresponsione della borsa di studio (suddetto termine, tacciato di “incostituzionalità”, passò invece positivamente al vaglio degli Ermellini). Si succedettero  in sequenza  altre pronunce  ma, a differenza del Giudice amministrativo, il Giudice civile italiano dettò un “contrordine” circa l’interpretazione del diritto degli specializzandi al percepimento della retribuzione, negando la possibile retroattività agli anni precedenti il 1991/1992. Fino all’anno 2015 in cui la Corte di Cassazione cambia definitivamente rotta (a causa di orientamenti di segno opposto espressi dalle sue sezioni e sottosezioni (9) e dal Consiglio di Sato) rientrando solo apparentemente  in armonia con le pronunce della Corte di Giustizia Europea, in quanto sostanzialmente da luogo ad una restrizione di fatto. Fa riflettere, a tal uopo, che la prima questione “pregiudiziale”  concernente il risarcimento del danno, per mancata attuazione delle Direttive comunitarie,  fu sollevata  proprio in Italia dagli allora Pretori di Vicenza e Bassano dl Grappa, nel ben noto caso Francovich (10) , laddove si sancì che: «la responsabilità dello Stato  per danni causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario ad esse imputabili è inerente al Trattato», rimettendo al giudice nazionale  il compito di garantire la piena efficacia delle norme comunitarie  e dei diritti da esse attribuite ai singoli; rilevando altresì come: «la possibilità di risarcimento, ai danni dello Stato, è particolarmente indispensabile qualora l’efficacia delle norme comunitarie sia subordinata alla condizione da parte di uno Stato, e, considerato che i singoli in mancanza di tali azioni non possono far valere dinanzi ai giudici nazionali i diritti loro riconosciuti dal diritto comunitario». Nonostante ciò il giudice civile italiano degli anni a venire si mostrò del tutto reticente e poco recettivo a tale interpretazione giuridica.

2.3. Il riconoscimento della retroattività alla normativa comunitaria di settore di cui la Cassazione si occupa.

Dunque la Sesta Sezione della Cassazione riconosce finalmente la cd “retroattività” della disciplina concernente la retribuzione dei medici specializzandi, in applicazione del principio della cd “equivalenza giurisdizionale” ovverossia qualificando come “rapporto di durata” quello derivante dall’iscrizione ad un corso di specializzazione con conseguente applicazione del principio secondo il quale la legge sopravvenuta disciplina il rapporto giuridico in corso, sebbene sorto anteriormente (qualora lo stesso rapporto non abbia esaurito ancora i propri effetti e purché la norma innovatrice non sia diretta a regolare il fatto generatore del rapporto bensì il suo perdurare nel tempo). La Cassazione, quindi, conclude di non poter esimersi dall’applicazione della retroattività ai casi di specie posto che anche il Consiglio di Stato, nel tempo, ha consolidato tale orientamento. Fin qui nulla quaestio, purtuttavia, al paragrafo successivo, scopriremo come la pronuncia della Cassazione non sia affatto scevra da contraddizioni logico – giuridiche.

2.4. Le conclusioni a cui pervengono i giudici della Corte estrapolando attraverso l’interpretazione di alcuni principi cardine di diritto comunitario la tematica del risarcimento del danno da inadempimento.

Ebbene, le conclusioni della Cassazione, apparentemente lineari, non sembrano affatto “convincenti” in quanto la Corte da un lato riconosce il perdurante inadempimento dello Stato italiano nell’inadempimento delle Direttive in oggetto, dall’altro lato perviene, essa stessa, a creare una forte  limitazione al diritto dei singoli ed ai diritti di una categoria specifica, negando a questi ultimi la possibilità di un risarcimento ed adducendo, addirittura, quale motivazione una “carenza legislativa”, un “vuoto normativo” a livello comunitario. In altri termini la Cassazione afferma che : «i medici i quali si sono immatricolati ed iscritti ad un corso di specializzazione iniziato prima della data di obbligatorietà delle direttive comunitarie (e quindi prima dell’insorgenza dell’inadempimento da parte dello Stato italiano)si sono immatricolati o iscritti quando l’inadempimento ancora non sussisteva. Sulla scorta di ciò non potrebbe sussistere un inadempimento sopravvenuto poiché nessuna norma comunitaria ha previsto l’immediata estensione ai corsi non in regola con la direttiva comunitaria sopravvenuta e già in fase di svolgimento e poiché i corsi devono essere valutati unitariamente proprio per l’unitarietà del risultato a cui mirano». La Sesta sezione della Cassazione, dopo un interessante ed esteso incipit sull’applicazione delle direttive comunitarie, sui principi dell’equivalenza giurisdizionale, primazia del diritto comunitario e principio di non discriminazione, torna a concludere mettendo in dubbio la sussistenza dell’inadempimento da parte dello Stato italiano, l’antigiuridicità dell’evento, l’illegittimità dell’esclusione di una determinata categoria di soggetti, la possibilità di ogni tipologia di risarcimento del danno da inadempimento, evidenziando finanche la non necessità di rimessione alla CGE,  sicché rimettendo (ex art. 379 c.p.c) la questione al vaglio del Primo Presidente onde investirne, qualora ne ravvisasse l’opportunità, le Sezioni Unite.

3. Considerazioni finali.

Qualora le Sezioni Unite dovessero riconfermare quanto accennato saremmo di fronte non solo ad una pesante “involuzione giurisprudenziale” ma, altresì, alla negazione di ogni ragionevole principio di logica giuridica, del Diritto Comunitario, dei principi ad esso sottesi ed a tutti i Trattati che l’Italia ha (a suo tempo)sottoscritto dandone attuazione e recepimento nel nostro ordinamento. Insieme al disconoscimento dell’evoluzione giurisprudenziale della Corte di giustizia Europea, la quale vanta un cospicuo numero di precedenti “pregiudiziali”  sollevati poi dal giudice italiano stesso. Occorre ricordare come se pur vero che la CGE, nel noto caso Francovich (11), riconosceva nella direttiva la mancanza di alcuna definizione circa la adeguata remunerazione ne i metodi per la sua fissazione o le istituzioni preposte a corrisponderla, ma la stessa sentenza evidenziava a chiare lettere (richiamando la pronuncia “Von Colson e  Kamann” (12) che l’obbligo degli Stati membri, derivante da una Direttiva, di conseguire il risultato da questa contemplato, come pure il dovere loro imposto dall’art. 5 del Trattato di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l’adempimento di tale obbligo vale per tutti gli organi degli Stati membri … ivi compresi, nell’ambito di loro competenza, quelli giurisdizionali. E ancora nei casi “Marleasing” e “Wagner Miret”(13), la Corte di Giustizia Europea affermava che il giudice nazionale deve interpretare il proprio diritto nazionale quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva onde perseguire il risultato atteso d quest’ultima. Nel caso “Carbonari” e “Cozza” (14) altresì evidenziava circa la questione degli specializzandi che: in assenza di una questione pregiudiziale sul punto, nel caso in cui  il risultato prescritto da una direttiva non possa essere conseguito mediante interpretazione, il diritto comunitario impone agli Stati membri di risarcire i danni causati ai singoli ; inoltre l’applicazione retroattiva  e completa delle misure di attuazione di una Direttiva permette di rimediare alle conseguenze pregiudizievoli della tardiva attuazione a condizione che la direttiva stessa sia stata regolarmente recepita. Sull’entità del risarcimento inoltre concludeva affermando che: spetta la giudice nazionale far si che il risarcimento del danno sia adeguato. Un’applicazione retroattiva regolare e completa delle misure di attuazione sarà a tal fine sufficiente, a meno che i beneficiari non dimostrino l’esistenza di danni ulteriori e che dovrebbero anche essi essere risarciti. Anche sul termine di prescrizione era stato dirimente la risposta della CGE al quesito posto a mezzo di rinvio pregiudiziale nella Sentenza “IAIA” del maggio 2011(15), sollevato dalla CDA Firenze; quesito al quale rispose che: «il Diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che non osta a che uno Stato membro eccepisca la scadenza di un termine di prescrizione ragionevole a fronte di un’azione giurisdizionale proposta da un singolo per ottenere la tutela dei diritti conferiti da una direttiva, anche qualora lo Stato non l’abbia correttamentetrasposta…l’accertamento da parte della Corte della violazione del diritto dell’Unione e ininfluente sul dies a quo allorché detta violazione è fuori dubbio». In conclusione, forse, il giudice civile italiano si mostra ancora poco convinto non in relazione all’applicazione dei principi base sanciti dai Trattati e dalla normativa promanate dall’ UE, quanto piuttosto nei confronti del recepimento delle regole fondanti stesse. In sostanza poco incline e poco proteso non verso la reinterpretazione esegetica, bensì al cospetto della più moderna, attuale lettura dei nostri principi processual – civilistici con quelli comunitari, insieme al riconoscimento della primazia del Diritto e degli Organi Giurisdizionali Europei. Chi scrive, pertanto concorda in pieno con le conclusioni già espresse nel 2011 (in una relazione avente ad oggetto la problematica) dal Dott. Paolo Vittoria, Presidente aggiunto della Corte di Cassazione in Roma, che ivi qui si riportano in versione integrale (16) : «La responsabilità dello Stato, per il risarcimento del danno da mancata trasposizione di direttiva non direttamente applicabile, è strumento essenziale per assicurare l’effettività dell’ordinamento dell’Unione, in presenza di una ricezione del tutto mancata. Invece, una volta che la ricezione, sia pure soggettivamente incompleta, abbia reso azionabile la misura di protezione che la direttiva attribuisce, il giudice è in linea di principio nella condizione di interpretare il diritto nazionale nel senso che identica situazione soggettiva sia attività attribuita anche alle persone cui, pur versando nelle stesse condizioni, non lo sia stata, salvo a percorrere la strada del giudizio di legittimità costituzionale, in presenza di una disposizione che specificamente le escluda da quella attribuzione. Riconoscendo che ai soggetti non compresi o esclusi si deve considerare attribuito lo stesso diritto ad una prestazione, disciplinato dalla disposizione di trasposizione, al titolare del diritto è assicurata una protezione che va oltre quella consentita dal sistema della responsabilità civile, perché ogni danno ulteriore rispetto alla tempestiva mancata fruizione della prestazione si presenta risarcibile. Né il regime della prescrizione, nel caso di specie, potrebbe essere considerato anziché quello decennale, quello quinquennale previsto dall’art. 2948, n. 4, c.c., perché è discutibile che questa disposizione si presti a trovare applicazione in presenza di una prestazione, che quando fosse da ritenere periodica – il che nel caso indagato è ulteriormente discutibile- si presenterebbe determinabile, ma non predeterminata. Quanto poi alla decorrenza della prescrizione decennale applicabile – alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia – parrebbe che la soluzione non possa dipendere dalla qualificazione della situazione soggettiva azionabile ma sempre e solo dal giudizio sul momento a partire dal quale, nel contesto determinato dal comportamento di mancata ricezione, la parte, pur da questa pretermessa, potesse ragionevolmente ritenere di aver maturato anche lei il diritto alle prestazione» . In una sentenza del 2009 emessa dalla Cassazione a Sezioni Unite, presieduta dal Dott. Paolo Vittoria, furono esposti i seguenti principi, nei quali si confermava già l’orientamento volto a riconoscere la possibilità di risarcimento da inadempimento di direttive comunitarie, conformemente alla giurisprudenza della CGE e contrariamente al pregresso orientamento dei giudici civili italiani, infatti così massimava: «Esiste un orientamento giurisprudenziale secondo cui, stante il carattere autonomo e distinto tra gli ordinamenti comunitario e interno, “il comportamento del legislatore è suscettibile di essere qualificato come antigiuridico nell’ambito dell’ordinamento comunitario, ma non alla stregua dell’ordinamento interno, secondo principi fondamentali che risultano evidenti nella stessa Costituzione. Ciò ha, come conseguenza, il fatto che lo Stato non può essere condannato, secondo le norme interne, al risarcimento dei danni per fatto la cui antigiuridicità è rinvenibile nella normativa comunitaria». La Corte di Giustizia CEE smentisce questa interpretazione e assegna alcuni parametri per il risarcimento del danno che sono stati precisati secondo i principi di seguito elencati: a) anche l’inadempimento riconducibile al legislatore nazionale obbliga lo Stato a risarcire i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario. b) Il diritto al risarcimento deve essere riconosciuto allorché la norma comunitaria, non dotata del carattere self-executing, sia preordinata ad attribuire diritti ai singoli. c) Il risarcimento del danno non può essere subordinato alla sussistenza del dolo o della colpa. d) Il risarcimento deve essere adeguato al danno subito. e) Il risarcimento non può essere limitato ai soli danni subiti successivamente alla pronunzia di una sentenza della Corte di Giustizia che accerti l’inadempimento.


Note: [*] Il presente contributo è stato preventivamente sottoposto a referaggio anonimo affidato ad un componente del Comitato di Referee secondo il Regolamento adottato da questa Rivista. 1) Antonio Saggio, in “La responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario, Relazione presentata nell’ambito del 46° Convegno di Studi Amministrativi, Varenna, 21-23 settembre 2000”. 2) L’espressione è di G. Tesauro, op. cit., 165. 3) Si veda, ad esempio, la sentenza 29 settembre 1987, causa n. 81/86, De Boer Buizen, in Racc. 1987, 3677. 4)  Sentenza 17 maggio 1990, causa n. C-87/90, Sonito, in Racc. 1990, I-1981, punto 14 della motivazione. Sul punto si veda anche  M. Migliazza, op. cit., 760 ss. 5) Ordinanza della Corte del 26 ottobre 1995, cause riunite n. C- 199/94 P e n. C-200/94 P., Pevasa e Impesca c. Commissione, in Racc.  1995, I-3709. 6) Sentenze 28 aprile 1971, causa n. 4/69 LütticKe, in Racc. 1971, 325, e 2 dicembre 1971, causa n. 5/71, Zuckerfabrik Schöppenstedt  in Racc. 1971, 975. 7) Sentenza 3 febbraio 1994, causa n. C-308/87, Grifoni, in Racc. 1994. 8)  Causa “Carbonari”, CGE 25/02/1989, C- 131/’97. 9)  Cass n 10612/2015 e 17434/2015 oltre a molteplici degli anni passati. 10) CGE 19/11/1991,  C-6/90 e 9/90. 11) CGE, sent. 19/11/91 C-6/90  e 9/90. 12) CGE, sent. 10/04/1984 C – 14/83. 13) CGE, sent. 13/11/90 C- 106/89  e  16/11/93 C- 334/92. 14) CGE, sent. 25/02/99 C- 131/97 e 3/10/2000 C- 371/97. 15)  CGE, sent. 19/05/2011 C- 452/09. 16) Dott. Paolo Vittoria, Pres. Agg. Corte Cass. Roma, “La protezione dei diritti comunitari nel processo civile e l’incompleta trasposizione della Direttiva: riflessioni a margine del caso sugli specializzandi” documento reperibile anche online sul sito tematico seguente:  https://www.giustizia-amministrativa.it/cdsintra/…/intra_ 17) Cassazione civile, sezioni unite, 17.4.2009, n. 9147.   24 Marzo 2016

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