skip to Main Content

Diritti della persona e mercato

di Ferdinando Tozzi Diritti della persona e mercato1 – I diritti della personalità negli orientamenti della giurisprudenza. Nell’ordinamento giuridico nazionale, i diritti della personalità trovano innanzitutto riconoscimento e tutela nelle previsioni della Carta Costituzionale. La legislazione ordinaria prevede poi diversi livelli di protezione: la normativa penalistica è prevalentemente diretta a garantire il diritto alla vita ed alla incolumità fisica (si pensi all’omicidio ed alle lesioni), quello all’onore (si pensi all’ingiuria ed alla diffamazione) quello alla libertà personale e morale (il sequestro di persona, l’inviolabilità del domicilio, ecc.). La, pur scarna, normativa civilistica, con il Codice Civile, ha riconosciuto il diritto al nome, allo pseudonimo, all’immagine ed allo svolgimento della persona nelle formazioni sociali ed ha disciplinato gli atti di disposizione del corpo nonché, prevalentemente attraverso interventi normativi di settore, ha riconosciuto i diritti dei consumatori [1], degli autori[2], la tutela dei dati personali [3], eccetera. Resta ferma la posizione di assoluto rilievo rivestita dalla Carta Costituzionale che – in una rinnovata visione precettiva [4] e non più solo programmatica – rappresenta la grundnorm a tutela dei diritti inviolabili dell’uomo [5]. Rilevante è anche l’opera della giurisprudenza che ha enucleato, dai principi costituzionali, delle regole non immediatamente presenti nella legislazione ordinaria. Proprio la giurisprudenza, in relazione ai casi di violazione dei diritti della personalità, riconosce la possibilità di un risarcimento del danno patrimoniale attraverso modalità di ristoro dall’abusivo sfruttamento della personalità e ciò rappresenta un rilevante indice della natura anche disponibile di tali diritti. Riconoscendo le Corti il danno patrimoniale diretto (usualmente il lucro cessante legato al criterio del prezzo del consenso) ed indiretto (derivante dalla diminuzione della stima e dell’apprezzamento sociale e quindi del valore della persona presso i terzi) ed arrivando a tutelare anche il danno da “annacquamento”[6] della persona. La giurisprudenza registra una generale evoluzione dei diritti della personalità che assumono una colorazione anche economica[7] che pretende tutela [e peraltro potrebbe trovare un riferimento nella disciplina positiva del diritto di autore, diritto della personalità comprensivo dei profili sia personali (si pensi al diritto alla paternità di un’opera) che patrimoniali (si pensi al diritto di cedere lo sfruttamento di un’opera), tutti però afferenti l’unico diritto della personalità dell’autore [8]]. L’evoluzione del diritto della personalità – che, negli anni, con il mutare della pratica commerciale (coerentemente con il dettato normativo di cui all’art. 1174 codice civile) [9] ha reso parziale ed obsoleto il suo inquadramento unicamente con i caratteri della indisponibilità, intrasmissibilità e non negoziabilità – è stata dunque registrata in primis nel lavoro delle Corti; la giurisprudenza ha agito con gli strumenti dell’analogia iuris e legis, applicando i principi generali dell’ordinamento, nonché le specifiche previsioni poste in particolare a tutela dell’immagine e del nome, ai casi di sfruttamento della personalità quale oggetto di un rapporto obbligatorio suscettibile di valutazione economica. Un esame della casistica giurisprudenziale [10] dimostra infatti come l’Autorità Giudiziaria venga adita non solo, esemplificativamente, in ipotesi di lesione del riserbo o dell’onore ma anche a tutela dell’interesse patrimoniale di ciascun individuo a disporre della propria persona e trarre vantaggio economico dal suo utilizzo per fini commerciali (e per converso a non subire abusivi depauperamenti). Il valore commerciale della personalità (sul presupposto della sua disponibilità) è stato riconosciuto in numerose pronunce, prevalentemente attinenti l’immagine, che hanno statuito come in assenza del consenso del soggetto interessato, sia illecita la riproduzione dell’immagine a fini commerciali e come il danno derivante sia presumibile e ricollegabile alla impossibilità (o maggiore difficoltà) di disporre della propria persona ai medesimi fini stante la riduzione del suo valore. Si ha così l’emersione di un diritto disponibile dal contenuto eminentemente patrimoniale in quanto si riconosce espressamente la possibilità di trarre vantaggi economici dallo sfruttamento di un attributo della personalità (parlandosi di finalità pubblicitarie e di “commercializzazione” fino ad assimilare la persona ad un bene giuridico). In particolare, ciò che emerge, anche da una analisi dell’evoluzione socio-economica, è che le tradizionali enunciazioni sui diritti della personalità [11] – volte a far emergere la loro innatezza, imprescrittibilità, irrinunciabilità, non trasmissibilità, caratteristiche che non consentono cessioni, trasferimenti, autorizzazioni e in generale, attività negoziali di disposizione – appaiono immediatamente il portato di una visione figlia di una società con esigenze e caratteri diversi da quelli attuali [12]. Non è più possibile riconoscere il solo profilo morale della personalità ma la si deve considerare, secondo la caratteristica elasticità della sua fonte normativa primaria [13], diritto anche disponibile e partecipe di un valore patrimoniale. 2 – Legge sul diritto di autore dello Stato della Città del Vaticano. In tale rinnovato contesto pare inserirsi la nuova disciplina sul diritto d’autore emanata il 19 marzo dallo Stato della Città del Vaticano [14] che, pur recependo la normativa vigente in Italia [15], prevede una più pregnante tutela dell’immagine, della persona tutta nonchè dei contenuti dell’insegnamento del Romano Pontefice. In un’epoca in cui la riproducibilità tecnica, grazie alle nuove tecnologie [16], è enormemente agevolata, il fine ultimo pare essere connesso al fatto che: “la maggiore facilità di diffusione dei dati, se da un lato rende sempre più accessibile il patrimonio delle informazioni in ogni parte del mondo, favorendo la stessa opera evangelizzatrice, dall’altro richiede una maggiore attenzione per garantire l’integrità dei contenuti, soprattutto quando questi facciano riferimento all’insegnamento evangelico o al magistero ecclesiastico” [17]. In particolare rileva la tutela che, con un innovativo passo in avanti rispetto alla legge sul diritto di autore nazionale, la disciplina dello Stato della Città del Vaticano garantisce alla voce, attributo della persona e necessario strumento di comunicazione e vita. Recita l’art. 3) § 2: “L’immagine del Romano Pontefice non può essere esposta, riprodotta, diffusa o messa in commercio quando ciò rechi pregiudizio, in qualsiasi modo, anche eventuale, all’onore, alla reputazione, al decoro o al prestigio della Sua Persona.” Per poi continuare al § 3: “Salvo che ciò sia giustificato da scopi religiosi, culturali, didattici o scientifici e salvo che sia collegato a fatti, avvenimenti o cerimonie pubbliche o che si svolgono in pubblico, l’immagine del Romano Pontefice non può essere esposta, riprodotta, diffusa o messa in commercio senza il Suo consenso, espresso a mezzo degli Organismi competenti, i quali sono tenuti ad informare, nei casi di maggiore importanza, la Segreteria di Stato.” [18] Per addivenire al § 4: “Quanto previsto nei paragrafi precedenti si applica altresì alla tutela della voce del Romano Pontefice”. Tale intervento normativo (pur se dello Stato della Città del Vaticano), ad avviso di chi scrive, dovrebbe essere l’ulteriore occasione per prendere atto e dare dignità giuridica ad un fenomeno che, nella pratica negoziale, va avanti da molti anni: lo sfruttamento economico degli attributi della personalità umana (dall’ovvio dell’immagine, al nome, sino alla voce, tutti c.d. indicia of personality) [19]. Il mutare della pratica commerciale e delle esigenze socio economiche ha, come anticipato, fatto emergere nuove sfide ai classici assetti dottrinari e giurisprudenziali – che al momento restano fermi nel considerare i diritti della personalità valori extrapatrimoniali ed indisponibili – che richiedono di esplorare la possibilità di un nuovo inquadramento della persona e dei diritti ad essa afferenti. Sarebbe lecito sostenere che accanto alla tutela degli interessi morali inerenti la personalità, vi sia un diritto, altrettanto esclusivo, alla tutela degli interessi economici di essa. Andrebbe altresì esplorata una applicazione della medesima ratio legis sottesa al diritto di autore, che si caratterizza per la summa divisio tra diritti morali e patrimoniali: anche la persona [20] – quale coacervo di interessi morali ed economici espressi, prevalentemente, attraverso l’immagine (così come è riconosciuto, dal lontano 1953, negli Stati Uniti, con la figura del c.d. right of publicity) – si vedrebbe riconosciuti, diritti morali e patrimoniali tutti insiti nell’unitario diritto della personalità. La citata legge dello Stato della Città del Vaticano, ad avviso di chi scrive, andrebbe dunque letta in combinato con gli artt. 96 e 97 della legge Italiana sul diritto di autore al fine di orientare e colorare l’interpretazione della disciplina medesima ancor più verso un riconoscimento degli interessi (anche) economici sottesi ad alcune manifestazioni della personalità umana. In particolare, in forza dei suoi peculiari caratteri, il diritto all’immagine può essere considerato l’archetipo di diritto della personalità disponibile [21] ed a valenza anche patrimoniale [22]. 3 – L’incoerenza del sistema. Come noto, l’ordinamento – occupandosi di organizzare gli aspetti, essenzialmente economici, dei rapporti intersoggettivi – considera le azioni dei consociati meritevoli di protezione oppure indifferenti, (ad esempio le regole sociali), qualora si tratti di un interesse lecito ma non apprezzabile da un punto di vista giuridico ed infine illecite, (e quindi proibite), perché in conflitto con interessi superiori e generali di cui l’ordinamento è portatore [23]. L’emersione anche del carattere patrimoniale e della disponibilità dei diritti della persona non pare rientrare nel novero dell’illiceità (se non per fattispecie espressamente previste) [24] e nemmeno nel cono dell’indifferenza ma, al contrario, nulla osta a che possa rappresentare un interesse meritevole di protezione da parte dell’ordinamento giuridico [25]. Bisogna considerare la persona umana ed i diritti ad essa afferenti senza pregiudizi, rifugendo da ogni ossequiosa e tralaticia adesione a quanto per alcuni o per molti (ciò è indifferente ai nostri fini) può o deve essere; bisogna invece analizzare il dato positivo della norma, caratterizzato da una serie di previsioni volte a disciplinare la tutela di alcuni interessi che, direttamente o indirettamente, presuppongono la collocazione della personalità nell’alveo delle res in commercium. Si pensi al nome ed all’immagine, alle opere dell’ingegno (espressione della personalità dell’autore) o alla salvaguardia di alcuni interessi del de cuius per il periodo successivo alla sua dipartita [26], ancora si pensi alla già citata legge sul diritto di autore relativamente all’immagine ed alla divulgazione epistolare (artt. 93 e 97, 23 e 24) nonché alle invenzioni (art. 62 del D.Lgs 30/2005) o alla tutela dei dati personali delle persone decedute (art.9 del Dlgs 196/2003). Ulteriore riprova della disponibilità e della valenza anche patrimoniale della persona è la possibilità di oggettivare quest’ultima in un bene economico quale è il marchio; infatti, l’esigenza di riservare il valore suggestivo dei segni della personalità, in quanto tali, a colui che ne è oggetto e soggetto (cioè alla persona) è alla base dell’articolo 8 (primo comma) del Codice della Proprietà Industriale [27] che prevede come “i ritratti di persone non possono essere registrati come marchi senza il consenso delle medesime e, dopo la loro morte, senza il consenso del coniuge e dei figli […]” [28] ove è palese la reificazione della personalità che si fa segno distintivo, bene commerciale collettore di clientela, trasferibile inter vivos e, conseguentemente, mortis causa. E’ evidente che la norma – ed è questa la ratio sottesa alla concezione della persona quale valore anche disponibile – vuole evitare fenomeni di parassitismo consistenti nell’indebito sfruttamento della personalità che offrirebbe degli indubbi vantaggi competitivi al registrante; così come chi ha investito tempo e mezzi per giungere a realizzare un trovato [29] ha diritto alla privativa brevettuale su di esso, alla stessa stregua il soggetto la cui personalità sia divenuta commercialmente appetibile, acquisendo capacità attrattiva, ha diritto di vietarne l’uso indiscriminato da parte di terzi e di cederlo solo a chi ritenga meritevole di utilizzarlo e ciò, in genere, a fronte di un vantaggio di tipo economico (si pensi, ad esempio, al fenomeno del merchandising) [30]. Appare dunque riduttivo relegare la tutela del diritto della personalità solo alle ipotesi in cui si incide sulla riservatezza dell’individuo, essendo altresì da tener presente l’esigenza di un uso corretto della personalità anche quale fonte di reddito (che va controllata e preservata) ed appare altresì riduttivo ritenere che l’individuo possa solo opporsi ad usi distorti della propria personalità, quando, anche attraverso il consenso (strumento più volte richiamato nelle norme de quo), l’individuo ha il controllo attivo, la disponibilità appunto, delle modalità di diffusione e sfruttamento commerciale della propria persona [31]. Tuttavia si preferisce – senza risolvere l’incoerenza del sistema [32] – continuare a riconoscere un ristoro da lesione di un diritto patrimoniale, (in particolare con il c.d. mancato guadagno e con il criterio del c.d. prezzo del consenso), afferente però interessi pur sempre definiti extrapatrimoniali, sottesi a valori – formalmente ancora e solo – non commerciabili ed indisponibili [33]. Altrimenti e per coerenza, sarebbero da valutare sempre e comunque nulli i negozi dispositivi della personalità [34] ed inesistente il relativo danno (patrimoniale) [35]. Il fatto poi che il nostro legislatore non abbia definito, al contrario di altri casi [36], la personalità in quanto tale come un diritto indisponibile, significa che tale diritto o non interest rei publicae, ed allora è con il consenso, dunque la volontà, della persona che si decide se lo sfruttamento commerciale di essa sia o meno lecito [37]; oppure che tale diritto interest rei publicae ma nel senso che se ne riconosce una disponibilità, inter vivos e mortis causa, di esso, compatibilmente con i divieti, questi si espressi, a salvaguardia dei valori essenziali dell’uomo. 4 – Persona e mercato. Il right of publicity. Conforto alla ammissibilità della patrimonializzazione e della disponibilità dei diritti della personalità e della coesistenza tra persona e mercato si rinviene nell’esperienza maturata non tanto in ambito comunitario ma in altri ordinamenti giuridici, ed in particolare in quello statunitense, da utilizzare come modello da calare nel diverso contesto del nostro diritto; tenendo al contempo presente che, in un mondo dalle esigenze economiche e sociali sempre più globalizzate, anche il giurista, nei limiti di compatibilità con le peculiarità dei diversi sistemi giuridici, deve cercare di assumere un punto di analisi il più aperto possibile alle spinte ed alle evoluzioni sociali ed economiche esterne. Proprio per l’insopprimibile ostacolo alla commercializzazione dell’immagine (quale coacervo rappresentativo dell’intera personalità) considerata solo elemento della persona a valenza morale, negli anni ’50, negli Stati Uniti, è stata creata la figura giuridica del c.d. “right of publicity” [38] con cui si è formalmente riconosciuta una tipologia di diritto proprietario sull’immagine ed in genere sulla personalità, considerata quale bene immateriale a valenza patrimoniale, che ha come portato la disponibilità del diritto nonché la sua possibilità di “descent after death”. Opportuno citare quanto scrive il Giudice Frank [39]: “property evolves over time […] an example of this development can be seen in the right of publicity. Once thought to be a personal, non assignable right emanating from the right of privacy, the right of publicity evolved into a legally protected, transferable interest. In the right of publicity context the Courts have realized that the tag property expresses a legal conclusion rather than any independent meaning. An interest labelled property normally may possess certain characteristics: it can be transferred to others, it can be devised and inherited, it can be levied upon to satisfy a judgment, it comes under the jurisdiction of a bankruptcy court in a bankruptcy proceeding, it will be protected against invasion by the courts, it cannot be taken away without due process of law”. E’ ormai pacifico, oltreoceano, che la lesione del diritto della personalità, inteso come publicity right, non ha nulla a che vedere con la lesione della riservatezza [40] né con la lesione dell’onore o della reputazione ma si esaurisce nella perdita di carattere puramente patrimoniale [41] (“commercial loss”) derivante dall’indebito utilizzo dei segni distintivi della persona, fermi restando gli strumenti offerti dal diritto a tutela della privacy e dell’onore e reputazione che fungono, anzi, da bilanciamento dei diversi interessi, morali e patrimoniali, afferenti la personalità, garantendo ad essa una protezione completa [42]. Stando però alla comune definizione dei diritti della personalità il fenomeno della commercializzazione non potrebbe essere nemmeno teoricamente concepibile [43] e il consenso allo sfruttamento costituirebbe mero negozio unilaterale, avente ad oggetto non il diritto, personalissimo ed inalienabile, della persona, “ma soltanto il suo concreto esercizio” [44] così salvaguardando i caratteri dell’indisponibilità ed inalienabilità. Non può sfuggire l’artificiosa forzatura di tale ricostruzione [45] e come la prestazione del consenso rappresenti la definizione di un accordo volto a costituire (o regolare od estinguere) un rapporto giuridico patrimoniale inerente la persona – bene non consumabile (se non naturalmente) ma disponibile – che ne è al contempo soggetto ed oggetto. La disponibilità e la valenza anche patrimoniale della personalità è data dall’essere l’oggetto del rapporto obbligatorio – caratterizzato, quest’ultimo, da fini direttamente o indirettamente economici [46] in relazione ad una controprestazione normalmente di carattere patrimoniale -, come richiamato nello scambio dei reciproci consensi non meramente scriminanti ma vincolanti (il c.d. in idem placitum) [47]; ciò anche considerando che da un lato il negozio giuridico [48] è una categoria dogmatica frutto dell’elaborazione dottrinaria, che conosce principalmente la distinzione tra negozi inter vivos e mortis causa, oltre che negozi unilaterali, bilaterali e plurilaterali (di cui il contratto è la fattispecie di maggior rilievo), tutte figure caratterizzate dalla patrimonialità, [49] dall’altro che, elemento essenziale del negozio è la dichiarazione di volontà, atto volitivo da cui deriva l’impegno per i dichiaranti in ordine ad un dato assetto di interessi, potendo tale vincolo sorgere anche in virtù di un negozio unilaterale con il quale si può disporre di un proprio diritto che, per coerenza giuridica, dovrà essere considerato disponibile. Inoltre è la stessa prassi negoziale afferente la personalità a costituire un uso che conferma l’incompletezza delle soluzioni tradizionali [50]: d’altronde se i diritti della personalità fossero davvero indisponibili non potrebbero esistere atti dispositivi [51] (siano contratti o negozi unilaterali) ad essi inerenti. Sul medesimo solco si insinua poi la problematica della trasmissibilità mortis causa del valore economico degli attributi della personalità: bisogna chiedersi se sia comunque applicabile il brocardo actio personalis moritur cum persona [52]. In conclusione di tali brevi riflessioni, emerge il riconoscimento di una duplice valenza sottesa ai diritti della personalità e dunque l’incrinazione del “dogma” della indisponibilità [53]. Il fenomeno della patrimonializzazione dei diritti della personalità si inserisce dunque in quel processo c.d. di formazione decentrata del diritto, caratterizzato dalla emersione “pregiuridica” e prettamente mercantilistica che sfocia poi necessariamente in una dimensione giuridica, quale fenomeno umano e sociale da disciplinare. Proprio la legge sul diritto di autore dello Stato della Città del Vaticano, che ha riconosciuto tutela non solo all’immagine ma anche alla voce (del Romano Pontefice), conferma una tendenza verso il riconoscimento di un nuovo statuto della personalità comprensivo anche di un proprio regime dell’appartenenza dei risultati economici e ciò non solo riferito al mero ritratto ma anche a tutti i segni distintivi della personalità e quindi, in ultima istanza, alla personalità intera, alla sua identità, che i menzionati segni distintivi contribuiscono a delineare o evocare. Con la tutela della voce si vuole cioè proteggere lo sfruttamento (commerciale e non) della personalità cui la voce appartiene e che identifica [54]. Si torna dunque alla etimologia di “persona” ovvero Pròsopon – maschera [55] pubblica che, in tale prospettiva, garantisce l’attribuzione al soggetto cui si riferisce di tutte le utilità derivanti anche dalla circolazione lucrativa dei segni distintivi della persona elemento identificatore della personalità [56]. Se i diritti della personalità potevano, un tempo, essere concepiti come una mera pretesa negativa (come è per la tutela della riservatezza) ora si caratterizzano anche per una pretesa positiva, a controllare le espressioni e manifestazioni della personalità medesima [57]. Senza la presunzione di offrire soluzioni ma solo far emergere alcune criticità del sistema si vuole così giungere – con una rinnovata lettura della vigente normativa, non più forzatamente piegata a raccogliere spinte unicamente di carattere morale – al superamento di ogni tradizionale approccio al “sistema” dei diritti della personalità, con una rielaborazione volta a riconsiderare i caratteri della indisponibilità ed extracommerciabilità facendo sempre più convergere le categorie, solo in apparenza opposte, di persona e mercato [58]. 5 – Note Bibliografiche. [ ] Si fa riferimento in particolare al Decreto Legislativo 6 settembre 2005, n. 206 e successive modifiche; recentissimo ed esaustivo commento sul tema è il lavoro di E. Capobianco, G. Perlingieri, Codice del consumo annotato con la dottrina e la giurisprudenza, E.S.I., 2009, nonché Trattato di diritto privato dell’Unione Europea, diretto da G. Ajani e G. A. Benacchio, Vol. 3^ I Diritti dei Consumatori, Tomo II^, a cura di G. Alpa, Giappichelli, 2009. [2] Si fa riferimento agli artt. da 5 a 10 c.c. ed alla Legge 22 aprile 1941 n. 633, Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio. La legge sul diritto d’autore è stata pubblicata in GU 16 luglio 1941 n. 166, è entrata in vigore il 18 dicembre 1942, ed è stata modificata, principalmente, dalle seguenti norme: decreto legislativo del capo provvisorio dello stato 23 agosto 1946, n. 82; decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 1974 n. 490; legge 5 maggio 1976 n. 404; decreto del Presidente della Repubblica 8 gennaio 1979 n. 19; legge 5 febbraio 1992 n. 93; decreto legislativo 29 dicembre 1992 n. 518; legge 22 maggio 1993 n. 159; decreto legge 30 giugno 1994 n. 421 (non convertito in legge); decreto legislativo 16 novembre 1994 n. 685; decreto legge 28 ottobre 1994 n. 606 (non convertito in legge); decreto legge 23 dicembre 1994 n. 728 (non convertito in legge); decreto legge 1 marzo 1995 n. 59 (non convertito in legge); decreto legge 29 aprile 1995 n. 137 (non convertito in legge); decreto legge 23dicembre 1995 n. 544 (non convertito in legge); legge 6 febbraio 1996 n. 52; decreto legge 26 febbraio 1997 (non convertito in legge); decreto legislativo 15 marzo 1996 n. 204; decreto legislativo 15 marzo 1996 n. 205; decreto legge 8 agosto 1996 n. 331(non convertito in legge); decreto legge 23 ottobre 1996 n. 545 (convertito con modificazioni dalla legge 23 dicembre 1996 n.650); decreto legislativo 23 ottobre 1996 n. 581; decreto legislativo 26 maggio 1997 n. 154; legge 7 agosto 1997 n. 266; decreto legislativo 6 maggio 1999 n. 419; legge 18 agosto 2000 n. 248;decreto legislativo 2 febbraio 2001 n. 95; decreto legislativo 9 aprile 2003 n. 68; decreto legge 22 marzo n. 72 (convertito con modificazioni dalla legge 21 maggio 2004 n. 128); decreto legislativo 13 febbraio 2006 n. 118; decreto legislativo 16 marzo 2006 n. 140. [3] Il Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196 è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 174 del 29 luglio 2003 – Supplemento Ordinario n. 123. [4] Vedasi anzitutto la pronuncia della Corte Costituzionale, sent. 12 luglio 1979, n. 88 (Pubblicazione in Gazz. Uff. n. 210 del 1 agosto 1979) che, relativamente al diritto alla salute stabilisce che: “Il bene a questa afferente è tutelato dall’art. 32 Costituzione non solo come interesse della collettività, ma anche e soprattutto come diritto fondamentale dell’individuo, sicché si configura come un diritto primario ed assoluto, pienamente operante anche nei rapporti tra privati. Esso certamente è da ricomprendere tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione e non sembra dubbia la sussistenza dell’illecito, con conseguente obbligo della riparazione, in caso di violazione del diritto stesso. Da tale qualificazione deriva che la indennizzabilità non può essere limitata alle conseguenze della violazione incidenti sull’attitudine a produrre reddito ma deve comprendere anche gli effetti della lesione al diritto, considerato come posizione soggettiva autonoma, indipendentemente da ogni altra circostanza e conseguenza. Ciò deriva dalla protezione primaria accordata dalla Costituzione al diritto alla salute come a tutte le altre posizioni soggettive a contenuto essenzialmente non patrimoniale, direttamente tutelate.” Rilevante in tale ottica è stato altresì il contributo delle due pronunce c.d. gemelle Cass. Civ. nn. 8827 e 8828 del 31 maggio 2003 (in Giust. civ. Mass. 2003, 5 e Foro amm. CDS 2003, 1542), in relazione alle quali giova riportare quanto segue: “Nel vigente assetto dell’ordinamento, nel quale assume posizione preminente la Costituzione – che, all’art. 2 riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo – il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona, non esaurendosi esso nel danno morale soggettivo.”. Altresì rilevante la recente Cass. Civ. S.U. dell’11 novembre 2008 n. 26972 – in Diritto & Giustizia 2008, Il civilista 2009, 1, 29 ed in Resp. civ. e prev. 2009, 1, 38 – ove si cerca di razionalizzare ulteriormente il “sistema” risarcitorio dei danni non patrimoniali legati alla tutela della personalità facendo riferimento alla “lesione di un diritto inviolabile della persona” e che “la gravità dell’offesa e la serietà del pregiudizio costituiscono requisiti ulteriori[…]”. [5] Si pensi all’art. 2 della Costituzione considerato clausola generale dei diritti della personalità o all’art. 3 che riconosce la pari dignità e l’eguaglianza di ogni individuo oppure l’articolo 41 – da leggere in combinato con il citato articolo 2 – sulla libertà di iniziativa economica, quale svolgimento della personalità, che incontra il solo limite della lesione della sicurezza, libertà e dignità umana. [6] Vedasi la Cass. Civ. 2 maggio 1991 n. 4785. [7] In ogni caso, pur non volendo ritenere che le potenzialità patrimoniali dei diritti della personalità siano necessariamente frutto del lavoro dell’individuo, va ricordato come l’ordinamento non tutela solo i beni acquisiti con l’attività personale del titolare, ma anche quelli a lui pervenuti senza alcuna attività. Si pensi agli acquisti tramite donazione o successione mortis causa, ma anche a modi d’acquisto della proprietà come occupazione ed alluvione. [8] Da questa breve rassegna del dato normativo positivo risulta l’esistenza di fonti normative volte a garantire la disponibilità della persona e l’interesse a preservare da indebite appropriazioni da parte di soggetti terzi la propria personalità, intesa quale coacervo di valori sia intellettuali che patrimoniali tutti utili a rappresentare ed identificare la persona, nella sua complessità, in pubblico (publicity) ed in privato (privacy), per fini morali e patrimoniali. Quale è infatti la fonte di tutela della persona contro l’abusivo sfruttamento economico di essa? Non la riservatezza, perché la persona non lamenta una intrusione nella propria intimità ed allora – ed è questo il vulnus nella protezione della personalità – solo una rinnovata lettura della vigente normativa potrà offrire delle risposte ed in proposito giova constatare come la disciplina sul diritto di autore riconosce diritti sia di carattere morale che patrimoniale in capo all’autore. [9] Vedasi D. Aniceti, Lo sfruttamento pubblicitario della notorietà tra concessione di vendita e contratto di sponsorizzazione, Giust. Civ. 1998, 4, 1059; S. Gatti, Sponsorizzazione, in Enc. Dir., XLIII, Milano 1990, 309 e ss. e Vincenzo Zeno Zencovich, Profili negoziali degli attributi della personalità, Dir. Inf., 1993, 545. Vedasi anche nota seguente. [10] Copiosa è stata negli anni la produzione delle Corti su tali tematiche, ex multis, si richiama Cass. Civ. 11.10.97 n° 9880 – in Giust. civ. Mass. 1997, 1909 – davvero significativa nell’affermare che: “La obbligazione assunta dallo sponsorizzato ha piena natura patrimoniale ai sensi dell’art. 1174 c.c., e corrisponde all’affermarsi, nel costume sociale, della commercializzazione del nome e dell’immagine personali, e viene accompagnata – ordinariamente – da una “esclusiva”, ovvero dall’obbligo, per le parti contraenti, di non consentire – anche per un certo tempo dopo la cessazione del rapporto – almeno all’interno del medesimo comparto commerciale, analoga veicolazione.” Vedasi poi, Trib. Milano 5 giugno 1996, in A.I.D.A., Rep. 1996, 814; Trib. Roma 22 dicembre 1994, in A.I.D.A. 1995, 344/3 (illiceità dell’uso di immagine di Totò, tratta dal fotogramma di un film); App. Roma 26 aprile 1993, in Giur. ann. dir. ind. 1993, 2961/1 (caso Totò/Sperlari); la già citata (v. nota 34) Cass. 6 febbraio 1993 n. 1503, (caso Bartali: uso della nota foto Bartali-Coppi abbinata a prodotti) ove la Corte statuisce che: “In assenza del consenso del soggetto interessato, è illecita la riproduzione dell’immagine di un personaggio celebre a fini pubblicitari, ed il danno derivante è presumibile e ricollegabile alla impossibilità di fare uso del proprio ritratto a fini pubblicitari, essendo stato da altri utilizzato, e alla riduzione del suo valore commerciale”, in Giust. civ. Mass. 1993, 255, Giur. it. 1993, I,1,1423, Riv. dir. ind. 1993, II, 119, Dir. informatica 1993, 907, Dir. autore 1993, 637; Trib. Milano 26 ottobre 1992, in Dir. informatica 1993, 942 (uso non autorizzato di sosia di Monica Vitti per pubblicizzare salotti; la decisione menziona sia un ambito di tutela mirante a salvaguardare la dimensione morale della persona, sia l’esistenza di un “aspetto patrimoniale” ove si deduce che il divieto di uso pubblicitario non autorizzato non comprende la caricatura, la quale è legittima o ex art. 97, comma 1, l. aut. oppure ex art. 21 della Costituzione: decisione in linea di massima non condivisibile). Di grande interesse è Cass. Civ. 16 aprile 1991 n. 4031, in Giust. civ. Mass. 1991, fasc. 4, Dir. informatica 1991, 835, Giur. it. 1991, I,1,1345 (caso Cerè / Corinne Clery-Piccolo) ove si deduce che: “Chiunque pubblichi abusivamente il ritratto di persona notoria, per fini di pubblicità commerciale e pur senza pregiudicare l’onore o il decoro della persona stessa, è tenuto al risarcimento del danno, la cui quantificazione deve essere operata tenendo conto più che della lesione del diritto alla riservatezza, in sè considerato, delle cause di detta notorietà, poiché, se questa consegue ad esercizio di un’attività (nella specie, nel campo dello spettacolo) cui si ricollega la consuetudine dello sfruttamento rimunerato dell’immagine, l’abusiva pubblicazione determina un danno di natura patrimoniale, comportando il venir meno per l’interessato della possibilità di offrire l’uso del proprio ritratto per pubblicità di prodotti o servizi analoghi e d’altra parte difficoltà a commercializzare al meglio la propria immagine anche con riferimento a servizi o prodotti del tutto diversi.”. Ancora, Pret. Roma 13 dicembre 1955, Giur. it. 1956, I, 2, 5; Cass., Sez. I, 28 marzo 1990 n. 2527 (Tattilo vs Sandrelli), con nota di M. Dogliotti, Da Sophia Loren a Stefania Sandrelli: una sicura evoluzione giurisprudenziale, in Dir. famiglia 1992, 967. Da ultimo vedasi Cass. Civ. n. 21995 in Foro it. 2008, 11, 3104, secondo cui “È illecita la pubblicazione di ritratti fotografici in violazione dei limiti soggettivi od oggettivi, questi ultimi relativi alle modalità di divulgazione, cui il titolare del diritto all’immagine ha subordinato il proprio consenso alla pubblicazione medesima” (nella specie, la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva affermato la liceità della pubblicazione di fotografie di una nota attrice parzialmente nuda senza accertare se avesse avuto luogo su riviste di prestigio internazionale, requisito cui pure la persona ritratta aveva subordinato il proprio consenso alla pubblicazione). Cassa App. Roma, 16 maggio 2005. Ancora Cass. Civ. 16 maggio 2008 n. 12433, in Giust. civ. Mass. 2008, 5, 744, Riv. dir. ind. 2008, 6, 575, Foro it. 2008, 11, 3215, ove si deduce che “Se una rivista pubblica foto non autorizzate, alla vittima spetta il prezzo del consenso, ossia la somma che il ritratto avrebbe potuto ottenere quale corrispettivo della volontaria concessione a terzi del diritto di pubblicare la propria fotografia. Sul fronte della sua liquidazione, invece, il giudice dovrà procedere in via equitativa tenendo conto degli utili presumibilmente conseguiti dall’autore dell’illecito, in relazione alla diffusione del mezzo su cui la pubblicazione è avvenuta, alle finalità che esso intendeva perseguire e ad ogni altra circostanza rilevante allo scopo”. Sempre nella medesima pronuncia si significa che: “L’illecita pubblicazione dell’immagine altrui obbliga al risarcimento anche dei danni patrimoniali, che consistono nel pregiudizio economico di cui la persona danneggiata abbia risentito per effetto della predetta pubblicazione e di cui abbia fornito la prova. In ogni caso, qualora non possano essere dimostrate specifiche voci di danno patrimoniale, la parte lesa può far valere il diritto al pagamento di una somma corrispondente al compenso che avrebbe presumibilmente richiesto per concedere il suo consenso alla pubblicazione, determinandosi tale importo in via equitativa, avuto riguardo al vantaggio economico conseguito dell’autore dell’illecita pubblicazione e ad ogni altra circostanza congruente con lo scopo della liquidazione, tenendo conto, in particolare, dei criteri enunciati dall’art. 128, comma 2, l. n. 633 del 1941 sulla protezione del diritto di autore”. [11] Una sommaria ricognizione dell’elaborazione dottrinaria sui diritti della personalità – intesi quali diritti a carattere non patrimoniale che mirano a difendere beni immanenti alla persona fisica – porterebbe ad individuare, anche considerando che solo taluni di essi sono codificati, come facenti parte di tale categoria fra gli altri: il diritto alla vita e all’integrità fisica, (con le relative problematiche giuridiche attinenti a suicidio, eutanasia, aborto etc.), il diritto alla salute, la tutela dell’ambiente, la tutela del consumatore, dell’utente di servizi radiotelevisivi, il diritto morale di autore, il diritto al nome, allo pseudonimo, all’immagine, alla reputazione, all’identità personale, all’identità sessuale, alla riservatezza, il diritto all’oblio, il diritto allo sfruttamento economico della propria notorietà, nonché i più svariati diritti di libertà (diritto alla libertà personale, sessuale, religiosa, alla libera manifestazione del pensiero, alla libertà di esplicazione di attività nel campo economico e privato, alla costituzione e alla partecipazione alle formazioni sociali). Per una prima puntuale analisi vedasi per tutti P. Perlingieri, Il diritto alla salute quale diritto della personalità, in Rassegna di diritto civile, 1982, 1035 ss. ed anche G. Alpa, A. Ansaldo, Le persone fisiche. Artt. 1-10, Milano, Giuffrè, 1996. Nell’ambito delle concezioni dei diritti della personalità che ne riconoscono (o presuppongono) la natura di diritti soggettivi il dibattito si è incentrato tra l’approccio “pluralista” e quello “monista”; in base alla prima teoria si possono solo configurare singoli, specifici diritti della personalità, (in tal senso paiono orientati A. De Cupis, I diritti della personalità, Milano, Giuffrè, 1982-2^ ed. – I^ ed. 1959 – ; C. M. Bianca, Diritto civile I. La norma giuridica. I soggetti, Milano, Giuffrè, 1990, 144-146 e G. Giacobbe, L’identità personale tra dottrina e giurisprudenza. Diritto sostanziale e strumenti di tutela, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, 1983, 810-887). La teoria monista concepisce non singoli diritti della personalità, ma un diritto generale della personalità, o forse alla personalità, vale a dire un diritto unitario all’autonomo sviluppo della propria personalità, che si articola poi in diversi aspetti o specifiche facoltà (così già T. Ascarelli, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Giuffrè, Milano, 1957 e poi G. B. Ferri, Oggetto del diritto della personalità e danno non patrimoniale, in Persona e formalismo giuridico, 1984). Ma, sulla definizione di diritti della personalità o diritto della personalità e dunque anche in merito all’analisi della natura e del concetto di tali diritti (con un approccio di volta in volta colorato dalla citata visione pluralista o monista) copiosa è la produzione dottrinaria; ex multis, per interessanti considerazioni proprio sulla concezione unitaria o monista, Dogliotti, Profili di responsabilità civile nella tutela della persona, in La responsabilità civile-aggiornata diretto da Alpa-Bessone, in Giurisprudenza sistematica di diritto civile commentato fondata da Bigiavi, Torino 1997, t. 1, 420; Giampiccolo, La tutela giuridica della persona umana e il c.d. diritto alla riservatezza, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1958, 465-466; Voltaggio Lucchesi, I beni immateriali, Milano 1962, 244. Apparentemente più propensi ad accogliere la tesi pluralista (che, ad avviso di chi scrive, meglio rispecchia le esigenze di elasticità che dovrebbero caratterizzare i diritti della persona) vedasi – oltre i già citati Bianca, Diritto civile: 1. La norma giuridica. I soggetti, e De Cupis, I diritti della personalità – Navarretta, Diritti inviolabili e risarcimento del danno, Torino – Giappichelli, 1996, 57, 65; P. Vercellone, Personalità (diritti della), in Nss. D.I., XII, Torino 1965, 1084; T. Auletta, Riservatezza e tutela della personalità, Milano 1978, 1-7; Rescigno, Personalità (diritti della), in Enc. giur. Treccani, XXIII, Roma 1990, 5; S.Rodotà, Elaboratori elettronici e controllo sociale, Bologna, 1973, 125 ss.; Bessone-Ferrando, Persona fisica, in Encicl. dir., XXXIII, Milano 1983, 196; Mazzoni, Persona fisica, in Digesto disc. priv., sez. civ., XIII, Torino 1995, 381; Stanzione, Persona fisica: I) diritto civile, in Enc. giur. Treccani, XXIII, Roma 1990, 1; V. Zeno Zencovich, Personalità (diritti della), in Digesto disc. priv., sez. civ., XIII, Torino 1995, 435, nota 39. Non si ignora quanto di recente è riportato da P. Cendon, Voci del danno, forme dell’essere, in Resp. civ. e prev. 2009, 06, 1211 che trae spunto da Sez. Un. civ. 26972, 11 novembre 2008 per tratteggiare un aggiornato profilo dei diritti della personalità. Interessante è altresì la posizione espressa in A. Barbera, F. Cocozza, G. Corso, Le situazioni soggettive. Le libertà dei singoli e delle formazioni sociali. Il principio di eguaglianza, in G. Amato, A. Barbera (a cura di), Manuale di diritto pubblico, I, Diritto pubblico generale, Bologna, il Mulino, 1995 (I ed. 1984), 223-333 secondo cui: “La categoria dei diritti della personalità si riferisce a quelle situazioni giuridiche soggettive, tutelate dalla Costituzione o dalle leggi civili e penali, che assicurano alla persona la propria identità sotto il profilo morale e sociale, il proprio decoro, la propria immagine, il rispetto di cui gode presso gli altri”. Di grande interesse, al fine di avere un minimo comune denominatore nelle definizioni dei diritti della personalità è altresì quanto sostenuto dal De Cupis: “nel comune linguaggio giuridico tale denominazione [“diritti della personalità”, n.d.r.] è riservata a quei diritti soggettivi, la cui funzione, rispetto alla personalità, si specializza, costituendo il ‘minimum’ necessario e imprescindibile del suo contenuto” in A. De Cupis, op. cit., 13. Peraltro, proprio il medesimo autore da ultimo citato, il De Cupis, ha precisato quale sia a suo giudizio la reale portata del rapporto tra interessi personali e interessi patrimoniali nel diritto civile: in A. De Cupis, Sulla «depatrimonializzazione» del diritto privato, in Riv. Dir. Civ., 1982, II, 482 ss. [12] In particolare, l’evoluzione dei diritti della personalità è strettamente legata allo sviluppo delle nuove tecnologie, soprattutto di quelle applicate ai mezzi di comunicazione di massa; la fotografia, la cinematografia, la televisione ed infine la rete internet hanno marcato la struttura del diritto il quale si è articolato in funzione delle crescenti esigenze di tutela e si è evoluto in funzione delle diverse modalità di utilizzo. [13] Ovvero la Carta Costituzionale. [14] Si tratta della recente Legge sulla protezione del diritto di autore sulle opere dell’ingegno e dei diritti connessi, del 19 marzo 2011 n° CXXXII, dello Stato della Città del Vaticano. [15] La l. 22 aprile 1941, n° 633, Protezione del diritto di autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, in G.U. n° 166 del 16 luglio 1941 (vedasi nota 2). [16] Proprio in tema di diritto di autore, l’affermazione globale del protocollo di trasmissione internet e la rapida diffusione delle reti di comunicazione elettroniche, che hanno innovato il sistema di produzione e fruizione della cultura, rappresentano la base del c.d. “dilemma digitale” del diritto di autore ovvero la necessità di ricercare un giusto equilibrio tra diffusione dei contenuti e tutela della proprietà intellettuale nell’era dell’on line e del web. Vedasi in proposito “I contenuti digitali nell’era di internet – Executive summary”, lavori della Commissione Interministeriale sui contenuti digitali nell’era di internet, 2005. Mi si conceda di citare sul tema il seguente lavoro, F. Tozzi, Per una riforma del diritto d’autore, in Digitalia Rivista dei Beni Culturali anno III, Numero 2 – 2008, 9. [17] Tratto dal sito Ufficiale Società Italiana Autori ed Editori www.siae.it . [18] L’art. 97 l.d.a. recita: “Non occorre il consenso della persona ritrattata quando la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico. Il ritratto non può tuttavia essere esposto o messo in commercio, quando l’esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all’onore, alla riputazione od anche al decoro nella persona ritrattata.”. Per consolidato orientamento giurisprudenziale è illecita (ai sensi degli artt. 10 c.c. e 96 l.d.a. e senza consenso e non giustificata ai sensi dell’art. 97 l.d.a.) l’utilizzazione dell’immagine di una persona “anche se nota e inquadrata nella cornice di un pubblico avvenimento”, a fini commerciali; vedasi Ubertazzi, Commentario Breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, CEDAM, 2007, 1798 sub II. [19] Dottrina e giurisprudenza sono infatti concordi nel ritenere che il diritto ad inibire la diffusione del ritratto presupponga la riconoscibilità della persona effigiata (v. Ubertazzi, op. cit., 1792 sub II); a contrario dunque è la riconoscibilità il presupposto di tutela. [20] Artisti, autori e professionisti del c.d. mondo dello spettacolo – sebbene non pare sussistere alcuna preclusione per una estensione in favore di ciascun essere umano (ma in particolare se nota, la persona è una sorta di “autore” di se stessa) – sono portatori, in virtù dei loro meriti (o demeriti) professionali, di un valore economico che, attraverso una innovativa lettura del dato normativo, potrebbe ricevere tutela quale bene patrimoniale, affinchè solo la persona di cui si tratta ed i suoi eredi possano trarne giovamento, evitando il grave rischio che detti attributi divengano liberamente appropriabili e disponibili, alla mercè di chiunque. [21] Sebbene un diritto se disponibile è anche patrimonialmente valutabile vi sono casi in cui tale assunto non opera perché l’ordinamento colloca il diritto nell’alveo della disponibilità (limitata) ma non della patrimonialità (si pensi alle donazioni di organi relativamente ai quali è vietato ogni tipo di commercio). [22] L’immagine è sia segno distintivo essenziale idoneo ad effigiare le sembianze e l’aspetto fisico di una persona che espressione più generale del modo d’essere della personalità di un soggetto complessivamente considerata. Sul punto vedasi S. Peron, Il diritto all’immagine nella giurisprudenza del tribunale ambrosiano, in Resp. Civ. e previdenza n° 4 2006, 1, vedasi altresì G. Piazza e D. Goetz, Il diritto all’immagine nella giurisprudenza dell’ultimo decennio, in Resp. Civ., 1998, 350 ss e L. Martis, Abusiva utilizzazione economica dell’immagine altrui: danni e criteri risarcitori (nota a sentenza Trib. Milano 3.11.1997) in Dir. Inf. 1998, 310 e M. Santini, Danno all’immagine, guida al risarcimento. Il “quantum” non dipende solo dalla notorietà della vittima (nota a Trib. Roma 24.05.2005) in D&G Dir. e Giust. fasc. f. 28, 27. [23] Vedasi gli interessanti spunti offerti in tema di negozi atipici (quali sono la prevalenza di quelli aventi ad oggetto diritti della personalità) e sulla meritevolezza dell’interesse tutelato dall’ordinamento giuridico, in G. Alpa, Liberta’ contrattuale e tutela costituzionale,in Riv. critica dir. priv. 1995, I, 35; ma anche A. Di Majo, Liberta’ contrattuale e dintorni, in Riv. critica dir. priv. 1995, I, 5 e A. Di Francia, La causa dei contratti atipici tra giudizio di meritevolezza e autonomia negoziale: spunti per una riflessione (nota a sent. Trib Verona 15 dicembre 1988, Soc. Club 23 c. Soc. Isfi), in Giur. merito 1990, 301, ove si deduce che: “Il contratto di “sale and lease back” è nullo perché contrario al divieto del patto commissorio, ed è altresì caratterizzato da un’incongruente distribuzione di pesi e vantaggi contrattuali a scapito del venditore-utilizzatore, che lo rende non meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico”. [24] Si pensi in prima istanza all’art. 5 c.c. . [25] In generale l’ordinamento giuridico permette ai soggetti di vincolarsi solo se il contratto soddisfa interessi meritevoli di tutela; vedasi Guarnieri, Meritevolezza dell’interesse e utilità sociale del contratto, in Riv. dir. civ., 1994, I, 799; ID., voce “Meritevolezza dell’interesse, in Digesto (civ.), XI, Torino, 1994, 324 nonché V. Roppo, Il contratto, in Trattato Iudica-Zatti, Milano, 2001, 424; Rescigno, voce “Contratto (in generale)”, in Enciclopedia Giur., IX, Roma, 1988, 6. Per Sacco, Motivi, Fini, Interessi, in Sacco – De Nova, Il Contratto, in Tratt. Dir. Priv., diretto da Rescigno, 337, l’art. 1322 c.c. si riferirebbe all’area “in cui l’interesse è intrinsecamente immeritevole di protezione per una sua connaturale insignificanza”. E’ invece considerato illecito (v. art. 1343 c.c.) un contratto a fini “antisociali” cioè che lede “interessi che l’ordinamento giuridico favorisce e protegge”, parrebbe anche potersi dire lo stesso per quei contratti che commercializzano la personalità che invece è un interesse favorito e protetto dal nostro ordinamento; dunque anche tali contratti – se non si risolvono le problematiche afferenti il riconoscimento della personalità anche economica – sarebbero nulli. I negozi relativi al diritto della personalità e alle sue manifestazioni sono fondamentalmente atipici, ma certo tutti, direttamente o indirettamente, patrimoniali e tendenzialmente sinallagmatici in quanto a fronte dell’uso di una o più manifestazioni della personalità vi è una controprestazione di denaro o di altre utilità. Per i contratti non tipizzati vi è un giudizio di meritevolezza che, ex art. 1322 c.c., è qualitativamente diverso rispetto a quello sulla liceità, mentre quest’ultimo ha la funzione di salvaguardare l’ordine giuridico dalla presenza di singoli accordi impegnativi i cui contenuti siano in contrasto con i propri canoni regolamentari, il giudizio di meritevolezza si incentra prevalentemente nella valutazione dell’idoneità dello strumento elaborato dai privati ad assurgere a modello giuridico di regolamentazione degli interessi, vista l’assenza di una preventiva opera di tipizzazione legislativa. La meritevolezza opera a livello di tipo perché deve permettere di valutare se lo schema astratto è o meno accettabile sul piano giuridico ed allora, posta la rilevanza economica della personalità e posto che tramite le sue manifestazioni essa è oggetto di disposizioni a valenza patrimoniale, per comprendere se – nel pieno rispetto di divieti espressi (si pensi a quanto è statuito all’ art. 5 c.c.) – tali atti dispositivi siano meritevoli di tutela bisognerà soprattutto aver riguardo alla loro causa. Un negozio che manchi di una valida causa non solo non appare meritevole di tutela ma dovrebbe addirittura essere considerato nullo, infatti è un atto inqualificato e dunque irrilevante sul piano giuridico mentre nessuna importanza può essere attribuita al fatto che tale negozio possieda una sua rilevanza sociale e magari sia spontaneamente adempiuto; a nulla rilevando la possibilità di sostenere che l’atto nullo comunque esiste, ciò rappresenta infatti solo un mero quid facti ma giuridicamente l’atto nullo è inesistente. Ad essa collegato è dunque la figura del contratto che è, secondo la nota definizione di cui all’art. 1321 c.c., l’accordo di due o più parti per costituire regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale. [26] Quei medesimi diritti che in vita sono economicamente fruttiferi saranno disponibili mortis causa ed è proprio il testamento lo strumento tipico che, per la sua elasticità, permette il trasferimento anche di diritti strettamente legati alla persona. [27] Ovvero il Decreto Legislativo 10 febbraio 2005 n° 30. In proposito è esauriente il commento di M. Scuffi, M. Franzosi, A. Fittante, Il Codice della Proprietà Industriale, Cedam 2005, 110 e ss. [28] È stato però sostenuto che la ratio del principio di cui all’art. 8 circa il libero uso del nome altrui si fonda sull’opportunità di consentire all’imprenditore l’adozione come marchio di un nome già familiare al pubblico, permettendo il libero sfruttamento del potenziale economico insito nell’altrui fama (così letteralmente Macioce, Profili del diritto al nome civile e commerciale, Padova 1984, 111, che riprende l’analoga affermazione di Ferrari, Osservazioni in tema di uso del nome altrui come marchio, in Riv. dir. comm. 1962, II, 225 e 233, nota a Cass. 1 febbraio 1962 n. 201 e App. Milano 22 gennaio 1960, c.d. caso Faruk). L’affermazione non è necessariamente condivisibile, nella misura in cui si dovrebbe individuare la ratio nell’esigenza di tutelare l’imprenditore, che adotti in buona fede nomi di persona, da iniziative ricattatorie del titolare del nome. Inoltre vedasi Leonini, Marchi famosi e marchi evocativi, Milano 1991, 363-364 (ove si fa riferimento al “diritto del singolo allo sfruttamento del valore acquistato”); L. Albertini, L’abusivo sfruttamento commerciale (in particolare come marchio) del nome e dell’immagine altrui, in Giust. Civ., 1997, II, 479 nonchè Da Molo, I contratti di pubblicità, in I contratti in generale, diretto da Alpa-Bessone, II, t. 1, Torino 1991, 416-417. [29] L’invenzione può anche essere fortuita così come le ragioni di una appetibilità commerciale di una determinata persona. [30] M. Scuffi, M. Franzosi, A. Fittante, op. cit., 110 e ss. [31] Si deve fare leva sulla struttura stessa della summenzionata normativa “che, per essere formulata nei termini di un diritto soggettivo, ammette di essere ricostruita in chiave personalistica quando la pretesa si rivolge all’esterno risolvendosi nella proibizione dei comportamenti altrui […] e, al contempo, in chiave patrimoniale quando invece il soggetto eserciti, in positivo, le facoltà concernenti la raffigurazione del proprio ritratto e, nel così fare, svolga attività suscettibili di valutazione patrimoniale” in M. A. Urciuoli, Autonomia Negoziale e Diritto all’Immagine, Napoli, Editoriale Scientifica, 2000, 116 e ss. [32] G. Resta, L’appropriazione dell’immateriale, Dir. Inf. 2004, Giuffrè, 41 e ss. Ma la giurisprudenza, al di la di qualche debole ed incerto passaggio evolutivo sulla tutela della persona si assesta su posizioni quantomeno contraddittorie. In proposito vedasi anche la già citata Cass. 11.11.2008 n° 26972 in Resp. Civile e Previdenza n° 1 2009 con nota di Pier Giuseppe Monateri, Le Sezioni Unite rimeditano il sistema risarcitorio dei danni non patrimoniali, ove si deduce che: “fuori dei casi determinati dalla legge è data tutela risarcitoria al danno non patrimoniale solo se sia accertata la lesione di un diritto inviolabile della persona. La gravità dell’offesa e la serietà del pregiudizio costituiscono requisiti ulteriori per l’ammissione a risarcimento dei danni non patrimoniali alla persona conseguenti alla lesione di diritti costituzionali inviolabili … la tutela risarcitoria del danno non patrimoniale è ammessa quando abbia luogo la lesione di un diritto inviolabile della persona che risulti compreso nell’area del contratto sulla base della causa concreta del negozio ovvero sulla base di una previsione di legge…il danno non patrimoniale è categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate…il danno non patrimoniale costituisce danno conseguenza che deve essere allegato e provato”. [33] In particolare vedasi Cass. Civ. 4 giugno 2007 n° 12929: “la giurisprudenza della Corte e segnatamente quella di questa Sezione si è attestata su una linea interpretativa che identifica il danno patrimoniale riconducibile direttamente all’art. 2043 cod. civ. esclusivamente in quello concretatosi in una conseguenza del fatto illecito di tipo economico, facendo rifluire nella nozione di danno non patrimoniale, oltre naturalmente al danno morale in senso soggettivo, quelle fattispecie di danno che l’evoluzione giurisprudenziale – tenuta presente in parte dell’esposizione del motivo, come si è visto – identificava come danni patrimoniali in senso non economico e particolarmente le fattispecie di danno per lesione in se di una situazione giuridica riconducibile ai diritti fondamentali della persona”. L’approdo a tali risultati è stato espresso nelle sentenze n. 8827 e 8828 del 2003. [34] M. Ricolfi, Questioni in tema di regime giuridico dello sfruttamento commerciale dell’immagine, in Nuova Giurisp. Civ. Commentata 1992, 58 e ss, in commento alle già citate Cass. Civ. nn. 4785 e 4031 del 1991 (note 47 e 49). Opportuno è rifarsi al giudizio di meritevolezza, si pensi all’art. 1322 c.c., per valutare se lo scopo e le modalità dell’atto negoziale afferente la personalità siano o meno meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico, considerando che il legislatore, secondo il Ricolfi, “nel perseguire l’ambizioso obiettivo di provvedere al regolamento completo dei diritti della personalità abbia fatto ricorso agli strumenti consegnatile dalla tradizione proprietaria, nelle quali l’edificio codicistico affonda le proprie fondamenta, ed abbia, pertanto, istituito la coesistenza tra un polo personale ed un polo materiale e strutturato il rapporto fra questi due poli nella chiave di un diritto soggettivo, che ne ammette la configurazione in termini di appartenenza […] il meccanismo di raccordo tra la protezione dell’essere e quella dell’avere o, più specificamente, fra la tutela dell’interesse della persona a mantenere il riserbo sul proprio sembiante e quello ad ottenere profitto […] sembra dover essere rinvenuto nella struttura stessa dei precetti che fondano l’esclusività delle facoltà dell’individuo […] i quali per essere formulati nei termini di un vero e proprio diritto soggettivo ammettono di essere letti in un chiave personalistica [laddove] la pretesa si rivolga esternamente e si rivolga alla proibizione dei comportamenti altrui lesivi della propria riservatezza e, al contempo, in una chiave patrimoniale quando invece il soggetto eserciti in positivo facoltà concernenti la raffigurazione del proprio ritratto e, nel così fare, svolga attività suscettibili di valutazione economica”. Ancora bisogna “superare la contraddizione fra l’originario radicamento della salvaguardia in un ambito collegato alla difesa dell’onore, della reputazione e del decoro […] e l’esigenza di accordare [alla persona] protezione contro comportamenti che nel frattempo si sono rivelati privi di riflessi negativi sull’integrità morale della [persona]”. [35] Il problema, per ciò che interessa il presente lavoro, è che si parla di danno da lesione di un valore della persona considerato in commercio e dunque come fosse disponibile (il criterio del “prezzo del consenso” è significativo) a fronte però di diritti extrapatrimoniali, non certo che un danno non patrimoniale sia poi liquidato con una somma di danaro. Sembra in tal senso orientata la pronuncia della Cass. Civ. del 4 giugno 2007 n. 12929, in Il civilista 2009, 10, 26: “Il danno patrimoniale, direttamente riconducibile all’art. 2043 c.c., è quello che si concretizza quale conseguenza del fatto illecito di tipo economico, facendo rifluire nella nozione di danno non patrimoniale, oltre naturalmente al danno morale in senso soggettivo, quelle fattispecie di danno che l’evoluzione della giurisprudenza identificava come danni patrimoniali in senso non economico (e particolarmente le fattispecie di danno per lesione in sé di una situazione giuridica riconducibile ai diritti fondamentali della persona). Nei casi in cui vi sia una lesione di diritti della persona aventi fondamento nella Costituzione, si deve affermare la risarcibilità della lesione dello stesso diritto all’esistenza nell’ordinamento come soggetto, del diritto all’identità, del diritto al nome e del diritto all’immagine della persona giuridica ed in genere dell’ente collettivo. Tale risarcibilità va riconosciuta a prescindere dalla verificazione di eventuali danni patrimoniali conseguenti per la configurabilità di un danno di natura non patrimoniale, rappresentato dalla deminutio di tali diritti che la lesione di per sè è idonea ad arrecare quale danno-conseguenza”. Va altresì significato come la differenza principale tra la c

Back To Top