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Il disegno di legge S. 1119-B: verso una auspicabile e definitiva equiparazione tra stampa cartacea e stampa on line?

di Andrea Napolitano

Abstract

The aim  of this work is to analyze the news of the draft law S.1119 B still to be approved in  Parliament. It modifies the discipline concerning the defamation through the press, going towards an equality between newspapers and online newspapers.

Il presente lavoro si prefissa l’obiettivo di analizzare le novità contenute nel  D.D.L S. 1119-B, in corso di approvazione definitiva in Parlamento, di modifica della disciplina in materia di diffamazione con il mezzo della stampa con la previsione di una sostanziale equiparazione tra stampa cartacea e quella on line.

Sommario: 1. Premessa. 2. Le prospettive di riforma della Legge sulla stampa.  3. Le (auspicate) modifiche apportate dalla riforma alle norme del codice penale in materia di responsabilità del direttore responsabile e alle disposizioni  a tutela dell’onore e della reputazione.  4. Le (possibili) innovazioni apportate dalla riforma ai codici civile, di procedura civile e procedura penale. 5. Conclusioni.

1. Premessa.

La libertà di  espressione del proprio pensiero e quella di informazione sono state oggetto, nel tempo, di particolare attenzione da parte della dottrina e  della giurisprudenza, soprattutto in considerazione dell’inarrestabile evoluzione tecnologica che ha influenzato, in maniera “determinante”, i modi attraverso i quali la collettività si informa quotidianamente [1].

Ne è derivato che, le norme di riferimento in materia, contenute  nella  legge n°47 del 1948 e pensate solo ed esclusivamente per la stampa cartacea, risultino ormai di difficile, o comunque controversa, applicazione ai nuovi mezzi di informazione diversi dalla stessa.

In particolare, come è noto, dottrina e giurisprudenza si sono interrogate sulla possibile equiparazione tra le testate giornalistiche cartacee e quelle on line, queste ultime regolamentate, ad oggi, solo con riferimento ad alcuni aspetti [2].

Al fine di sopperire a questa evidente vacatio legislativa, in Parlamento è in fase di approvazione un disegno di legge, mediante il quale il legislatore intende rivedere, alla  luce delle nuove tecnologie utilizzate nel settore, la nozione di informazione professionale, predisponendo modifiche significative alle disposizioni della legge del ’48,  del codice penale [3], nonché, ad alcune disposizioni dei codici civile, di procedura civile e  di procedura penale. La cautela sui tempi di approvazione del d.d.l. è d’obbligo anche perché non si tratta del primo progetto di legge presentato in Parlamento al fine di disciplinare tale materia e questo stesso d.d.l., presentato alla Camera dei Deputati il 13 maggio 2013, sta registrando un iter di approvazione alquanto travagliato, considerata la ripetuta “navetta” alla quale è stato assoggettato in questi due anni [4].

Da un esame del disegno di legge nel suo complesso emerge abbastanza chiaramente come le intenzioni del legislatore siano indirizzate, in modo particolare, non solo alla eliminazione della pena detentiva per i reati di diffamazione ed ingiuria, ma soprattutto verso l’auspicato adeguamento della complessiva normativa in materia di libertà di stampa in considerazione delle tecnologie, diffuse ormai anche nel settore dell’informazione professionale, che hanno reso inadeguate ed obsolete le disposizioni vigenti rispetto alle esigenze di tutela attuali.

2. Le prospettive di riforma della Legge sulla Stampa.

Come si è appena avuto modo di ricordare, la mancata equiparazione della c.d. stampa on line a quella cartacea è tema fortemente dibattuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza, tanto da considerare vera e propria vacatio legislativa la circostanza che alcune attività svolte dalle testate giornalistiche telematiche non risultino essere disciplinate da nessuna norma.

L’articolo 1 del disegno di legge in esame sembra voler colmare questa lacuna estendendo esplicitamente le disposizioni previste per la stampa cartacea anche “alle testate giornalistiche on line registrate ai sensi dell’articolo 5, limitatamente ai contenuti prodotti, pubblicati, trasmessi o messi in rete dalle stesse redazioni, nonché alle testate giornalistiche radiotelevisive”.

Il riferimento ai meri contenuti prodotti e pubblicati dalla redazione risulta essere di estrema rilevanza. In questo modo, infatti, il legislatore esclude l’applicazione delle norme sulla stampa anche ai materiali immessi dagli utenti in sede di  commenti a notizie o in altri spazi telematici, che rientrano ad oggi nella più generale previsione del Decreto Legislativo n° 70 del 2003 [5].

Inoltre, e coerentemente con questa scelta, la  differenza tra i contenuti redazionali e quelli inseriti dagli utenti riguarda anche altri due aspetti, sempre oggetto di attenzione del legislatore, quali la responsabilità del direttore responsabile e la rettifica [6].

L’articolo 1 comma  2 lettera a) del disegno di legge, prevede infatti l’estensione dell’istituto della rettifica, previsto già per il quotidiano, il periodico e l’agenzia di stampa [7], anche alle testate giornalistiche telematiche registrate [8].

Da questa categoria restano però escluse le trasmissioni radiofoniche o radiotelevisive per le quali il rinvio è alla normativa prevista dal c.d. Testo Unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici [9].

Altro elemento di innovazione, prettamente formale, è quello riconducibile all’obbligo di pubblicare la rettifica secondo un’indicazione standard per tutti i mezzi di informazione, cartacei o telematici.

La stessa, infatti, dovrà racchiudere gli estremi della notizia oggetto della richiesta, il titolo, la data di pubblicazione, l’autore dell’articolo, ed inoltre non potrà contenere commenti,  risposte e dare nuova visibilità alla notizia che doveva essere smentita o corretta.

Al direttore viene inoltre attribuita la facoltà, già prevista dal legislatore, di non pubblicare dichiarazioni o rettifiche richieste nei casi in cui le stesse non possano essere divulgate vista la loro rilevanza penale. A quest’ultima viene aggiunta, nel d.d.l., un’altra ipotesi di diniego, ossia quando le stesse dichiarazioni e rettifiche siano “ inequivocabilmente” false.

Alla lettera e) dello stesso articolo 1 comma 2, il legislatore ha inteso disciplinare la rettifica per la stampa non periodica prevedendo, per l’autore dello scritto o per il direttore e vice direttore responsabile, l’obbligo di pubblicare non oltre quindici giorni dalle ricezione della richiesta, in caso di ristampa o nuova diffusione ed anche in formato telematico, dichiarazioni o rettifiche di soggetti che si ritengono lesi della loro reputazione o del loro onore. La stessa disposizione prevede inoltre che nel caso in cui non sia possibile la ristampa o una nuova diffusione dello stampato o la pubblicazione sul sito internet, la rettifica deve essere pubblicata, non oltre quindici giorni dalla ricezione della richiesta, sulla edizione telematica di un quotidiano a diffusione nazionale.

Inoltre, come è noto, in caso di mancata rettifica il soggetto che si ritiene leso può chiedere l’intervento del giudice, ex art 700 c.p.c., che, una volta accolta la richiesta, può obbligare la pubblicazione della rettifica, irrogando al tempo stesso sanzioni di carattere amministrativo.

Il d.d.l. estende tale facoltà anche allo stesso autore dell’offesa nel caso in cui  il direttore responsabile di un giornale cartaceo, di una testata telematica registrata o di un’emittente radiofonica o televisiva, non pubblichi la rettifica disponendo, inoltre, l’obbligo per il giudice di accogliere la richiesta “quando è stato falsamente attribuito un fatto determinato che costituisce reato”.

Dall’analisi di queste future disposizioni in materia di rettifica può ritenersi come le stesse vadano nella direzione di una rafforzata tutela dei soggetti lesi nella loro dignità.

Non si può tuttavia non sottolineare come tale proposito venga contraddetto da altre disposizioni previste nello stesso testo. E’ il caso ad esempio, della  nuova formulazione dell’articolo 13 della Legge sulla stampa, secondo cui l’autore  dell’offesa, il direttore della testata giornalistica cartacea e di quella on line registrata nonché quello di testate radiofoniche o televisive, ipotesi prevista dalla Camera nell’ultima votazione, sono immuni da responsabilità qualora pubblichino, secondo quanto previsto in precedenza o in maniera spontanea, dichiarazioni o rettifiche [10]. Nello stesso comma 4 del “nuovo” articolo 13 è prevista la non punibilità dell’autore dell’offesa nel caso in cui lo stesso abbia richiesto espressamente la pubblicazione della smentita o della rettifica proposta dalla parte offesa e questa sia stata rifiutata.

Come è stato sottolineato, tali ipotesi paiono configurarsi come “ rettifiche a regola d’arte” ritenute causa di non punibilità per i responsabili della diffamazione, non sanzionabili in sede penale ma solo in ambito civilistico con la richiesta di risarcimento del danno [11].

Infine per sottolineare un’ulteriore modifica effettuata alla legge sulla stampa, si ricorda  la previsione normativa inserita nella nuova formulazione dell’ articolo 21 della stessa legge, secondo la quale per le ipotesi di diffamazione telematica la competenza sarà del giudice del luogo di residenza della persona offesa.

3. Le (auspicate) modifiche apportate dalla riforma alle norme del codice penale in materia di responsabilità del direttore responsabile e alle disposizioni a tutela dell’onore e della reputazione.

La già analizzata distinzione tra i contenuti inseriti dalla redazione e quelli immessi dagli utenti è, come ricordato in precedenza, di particolare rilevanza anche in riferimento alla modifica dell’articolo 57 del codice penale con il quale viene disciplinata la responsabilità del direttore di un giornale.

Il legislatore sembra essere orientato verso un adeguamento della norma alle esigenze attuali, in considerazione dei nuovi strumenti con cui possono essere compiuti i reati ed, al tempo stesso, ad un rafforzamento del nesso di causalità tra i doveri di vigilanza del direttore ed i delitti commessi, elementi costitutivi e fondamentali per l’ipotesi di responsabilità per omesso controllo addebitabile al direttore ed al suo vice.

Come è noto, mentre il testo attuale dell’art 57 c.p. si riferisce solo ed esclusivamente alla stampa periodica, la “ nuova” formulazione va a modificare la rubrica del codice, aggiungendo alla stampa sia le testate radiotelevisive sia “altri mezzi di diffusione”  [12].

L’articolo 2 comma 1 del disegno di legge prevede, infatti, che  “il direttore o il vice direttore responsabile del quotidiano, del periodico o della testata giornalistica on line registrata ai sensi dell’articolo 5 della legge 8 febbraio 1948 n.47, limitatamente ai contenuti prodotti, pubblicati, trasmessi o messi in rete dalle stesse redazioni, risponde con il mezzo della stampa della diffusione radiotelevisiva o con altri mezzi di diffusione se il delitto è conseguenza della violazione dei doveri di vigilanza sul contenuto della pubblicazione”.

Sembra quindi immutata la riduzione della pena del direttore nella misura di un terzo, non potendosi applicare la pena accessoria dell’interdizione dalla professione di giornalista, mentre può essere considerata come elemento di importante novità  la facoltà attribuita al direttore ed al suo vice di poter delegare, con atto scritto avente data certa, le funzioni di vigilanza e di controllo ad uno o più giornalisti qualificati allo svolgimento delle stesse [13].

Il punto centrale della riforma con riferimento alla responsabilità del direttore si ricava tuttavia, come ricordato in precedenza, dalla nuova formulazione dell’articolo 13 della legge sulla stampa dalla quale emerge la voluntas legislativa tesa alla eliminazione  della pena detentiva ed alla sostituzione di quest’ultima con  una multa, connessa alla pena accessoria della pubblicazione della sentenza, irrogata nell’ipotesi di diffamazione in cui l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato falso, la cui diffusione sia avvenuta con la consapevolezza della sua falsità.

Nella stessa direzione si indirizza lo stesso legislatore con il 2°comma dell’articolo 2 dello stesso d.d.l., teso a modificare le norme previste dal codice penale in materia di diffamazione ed ingiuria [14].

Si tratta dell’orientamento auspicato in alcune decisioni della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ha ritenuto illegittima la possibile irrogazione della pena detentiva ritenuta lesiva della libertà di cronaca [15].

Al tempo stesso, può sottolinearsi che il nostro Parlamento ha esteso la cancellazione della pena detentiva anche per attività non riconducibili all’esercizio di attività informative volta ad eliminare incertezze tra azioni illecite commesse nell’esercizio del diritto di cronaca e quelle che risultano essere diretta conseguenza del diritto di manifestazione del pensiero. Infatti alla libertà di stampa è associabile la sola ipotesi della diffamazione, mentre l’ingiuria, per le caratteristiche stesse della fattispecie, va ricondotta a forme di comunicazione interpersonale, rientranti essenzialmente nella tutela costituzionale dell’art. 15 e non dell’art. 21 Cost. Anche per questo è stato rilevato come questa scelta del legislatore potrebbe causare un rilevante indebolimento della tutela dei cittadini, vittime  di offese ricevute non solo tramite il mezzo della stampa, ma soprattutto attraverso la rete, ad esempio tramite i social network [16].

4. Le (possibili) innovazioni apportate dalla riforma ai codici civile, di procedura civile e procedura penale.

Come già ricordato il disegno di legge prevede anche modifiche al codice civile, di procedura civile e di procedura penale[17].

In modo particolare, al fine di definire un equilibrio tra offensore e offeso,  con l’articolo 3 il legislatore ha previsto la possibilità di condannare il querelante al pagamento delle spese e dei danni cagionati in caso di sentenza di non luogo a procedere perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso [18].

L’articolo 4 del disegno di legge si occupa invece di riformulare la disposizione dell’articolo 200 c.p.p. estendendo la disciplina del segreto professionale anche ai giornalisti pubblicisti iscritti al rispettivo albo. Si tratta di una innovazione di particolare rilevanza, anche in considerazione dei profondi cambiamenti intervenuti nella composizione delle redazioni dei giornali.

In riferimento alle modifiche apportate al codice di procedura civile, si ricorda come l’articolo 5 del d.d.l. intende riformare l’ articolo 96 del c.p.c., introducendo un’ipotesi di responsabilità aggravata a carico del promotore di un’azione risarcitoria per diffamazione, rivelatasi poi temeraria, commessa con il mezzo della stampa, delle testate giornalistiche on line, e di quelle radiotelevisive.

Con riferimento a questo aspetto, si ricorda inoltre che la Camera, ripristinando la disposizione già approvata in prima lettura, ha considerato, in caso di querela temeraria, la facoltà per il giudice di irrogare al querelante una sanzione pecuniaria da 1.000 a 10.000 euro da versare alla cassa delle ammende [19].

Al riguardo il legislatore, ha previsto che in tutti i casi di diffamazione commessa con tutti i mezzi di comunicazione, il giudice nella fase di  definizione della somma, definita in maniera equitativa a carico della parte soccombente, deve tener conto della “consistenza” della domanda risarcitoria.

La riforma si conclude infine con il “ nuovo” articolo 6 del disegno di legge, inserito nel corso dell’ ultimo esame da parte della Camera dei Deputati, con il quale si intende modificare l’articolo 2751 bis c.c. riconoscendo la qualifica di “privilegio generale sui mobili al credito del direttore responsabile o dell’autore della pubblicazione”, nei confronti del proprietario o dell’editore, nei casi in cui lo stesso responsabile della testata o l’autore abbiano risarcito il danno in conseguenza di una condanna per diffamazione, esclusi i casi in cui venga accertata la natura dolosa della condotta dell’autore dell’articolo o del direttore [20].

5. Conclusioni.

Il d.d.l. in esame, nonostante i molteplici contenuti positivi, deve essere ritenuto solo l’inizio di un più ampio aggiornamento normativo di una materia così delicata quale la libertà di stampa e delle disposizioni penali aventi ad oggetto i limiti della libertà di espressione [21].

In maniera positiva può considerarsi la riforma dell’istituto della rettifica prevista anche per la stampa on line, con la quale potrebbe colmarsi un importante vuoto normativo presente nel nostro ordinamento in virtù del quale possono sorgere situazione di evidente disparità tra la stampa cartacea e quella on line [22].

L’aspetto ritenuto di straordinaria importanza appare essere però l’equiparazione della stampa on line alle altre forme di informazione professionale ed il conseguente riconoscimento alla stessa della giusta rilevanza anche in ambito giuridico, in considerazione dell’utilizzo sempre maggiore di tale strumento da parte della collettività.

Si tratta di una scelta importante anche il linea con la CEDU [23] volta ad equiparare le due forme di stampa.

Al riguardo appare tuttavia opportuno sottolineare che il legislatore avrebbe potuto decidere di attenzionare la disciplina prevista per la stampa in modo da deregolamentare l’intero settore dell’informazione professionale, come da talune parti era stato proposto. Ha invece fatto la scelta opposta poiché essa appare come l’unica in grado di porre in essere un reale bilanciamento tra libertà di informazione e tutela dei diritti individuali.

Inoltre, se confermata la netta e specifica distinzione tra informazione professionale e non, slegandola dallo strumento utilizzato e collegandola alla finalità informativa, verrebbe confermata l’eccezionale attualità dell’articolo 21 della nostra Carta Costituzionale. Esso infatti prevede già la doppia e diversa classificazione della manifestazione del pensiero e della relativa regolamentazione: la prima volta a tutelare la libertà di chiunque di manifestare il proprio pensiero, l’altra ad hoc prevista per l’informazione professionale, circoscritta alla carta stampata e oggi, rectius domani (se il ddl verrà finalmente approvato), allargata a tutti gli altri mezzi di diffusione [24].

Note

[1] Sul punto, come è noto, autorevole dottrina ha avuto modo di analizzare i molteplici aspetti e le problematiche di tale disciplina. Senza nessuna ambizione di completezza si ricordano, tra i tanti:  G. Cuomo, Libertà di stampa e impresa giornalistica nell’ordinamento costituzionale, Jovene, 1956; S. Fois , Principi costituzionali e libertà di manifestazione del pensiero, Milano, 1957; P. Barile, Le libertà nella Costituzione, Padova, 1966, 181 ss. A. Loidice, Contributo allo studio della libertà di informazione, Milano, 1967; ID, Informazione ( diritto alla) in Enc. Die, XXI, Milano, 1971; C. Chiola, L’informazione nella Costituzione, Padova, 1973; C. Mortati, La libertà di stampa in regime democratico, in Raccolta di scritti, vol III, Milano, 1973; N. Lipari, Libertà di informare o diritto ad essere informati ?, in Dir. radiodiff., 1978; A. Baldassare, Libertà di stampa e diritto all’informazione nelle democrazie contemporanee, in Politica del Diritto, 1986.L. Paladin, Libertà di pensiero e libertà di informazione: le problematiche attuali, in Quad. cost., 1987;  P. Costanzo, Le nuove forme di comunicazione in rete: Internet, in Interlex, 26 giugno 1987;  ID, Informazione nel diritto costituzionale, in Digesto disc. Pubbl., VIII, 1993; M. Luciani, La libertà di informazione nella giurisprudenza costituzionale italiana, in Politica del Diritto, 1989, 605 ss; P. Costanzo, Aspetti evolutivi del regime giuridico di internet, in Il diritto dell’informazione e dell’informatica, 1996; ID: Libertà di manifestazione del pensiero e “pubblicazione” in Internet, in Il diritto dell’informazione e dell’informatica, 1997; G. Corasaniti, Diritto dell’informazione, Padova, 1999; P. Costanzo  Stampa (Libertà di), in Digesto disc. Pubbl., XIV, 1999; ID: voce Internet, in  Digesto delle discipline pubblicistiche, Torino, 2000; ID: Profili costituzionali di Internet, in E. Tosi ( a cura di), I problemi giuridici di Internet, Milano, 2003;  P. Costanzo  Stampa (Libertà di), in Digesto disc. Pubbl., XIV, 1999; AA.VV. Percorsi di diritto dell’informazione, Torino, 2006; A.Pace, M Manetti, Art. 21. La libertà di manifestazione del pensiero, in Commentario della Costituzione, G. Branca e A. Pizzorusso,( a cura di), Bologna, 2006; A. Papa, Espressione e diffusione del pensiero in Internet, Torino, 2009;  R. Zaccaria, Diritto dell’informazione e della comunicazione, Padova, 2010, P. Caretti, Diritto dell’informazione e della comunicazione, Bologna, 2011, 22. S. Sica- V. Zeno Zencovich, Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione, Padova, 2012. Resta una lettura fondamentale: P. Barile, Libertà di manifestazione del pensiero, Milano, 1975.

[2] Il riferimento è senza dubbio alla legge 7 marzo 2001 n°62, (Nuove norme sull’editoria e sui prodotti editoriali e modifiche alla legge 5 agosto 1981, n°416) emanata in seguito decisioni giurisprudenziali, che in mancanza di una norma, nell’andare a dirimere controversie, avevano, seppur in maniera embrionale, dato il via all’ingresso di quei siti che svolgevano attività di stampo giornalistico nella categoria dell’informazione professionale.

Infatti, il legislatore allargò la categoria del c.d. prodotto editoriale anche ai contenuti su supporti telematici, ed estese, non senza creare polemiche, alla disciplina dello stesso alcune norme previste in materia di stampa, nello specifico l’articolo 2 della legge 47/1948, con il quale venivano definite le indicazioni obbligatorie che si dovevano trovare sugli stampati, nonché l’art. 5 che obbligava i giornali alla registrazione presso le cancellerie dei tribunali di competenza.

Proprio quest’ultima disposizione, fu oggetto di particolari critiche da parte della dottrina e degli operatori del settore, che ritennero tale obbligo esteso anche per le testate telematiche, una limitazione della libertà di manifestazione del pensiero.

Come è noto, per sopperire a tali critiche, lo stesso legislatore  con il  successivo Decreto Legislativo 70/2003, stabilì la sussistenza dell’obbligo della registrazione per le sole realtà editoriali che intendevano avvalersi delle provvidenze previste dalla legge 7 marzo 2001 n. 62.

Nell’analisi della normativa del 2001, inoltre, autorevole dottrina ha avuto modo di sottolineare la mera natura economica dell’intervento, definito quale “ mero strumento di concessione di provvidenze o agevolazioni pubbliche alle testate on  line”. Cfr. sul punto  V. Zeno- Zencovich, I prodotti editoriali elettronici nella l. 7 marzo 2001 n. 62 ed il preteso obbligo di registrazione, in Riv. Inform, 2001, 166.Cfr., inoltre, sul punto, A. Papa, Espressione e diffusione del pensiero in internet, Torino, 2009,  A. Papa, La disciplina di stampa alla prova delle nuove tecnologie, in Riv. inform., 2011, 3, 477 ss.

[3] Il riferimento è alle norme riconducibili ai c.d. delitti contro l’onore e alla responsabilità del direttore di una testata giornalistica.

[4] Il Disegno di Legge S. 1119 B recante “ Modifiche alla legge 8 febbraio 1948 n. 47 al codice penale, al codice di procedura penale, al codice di procedura civile e al codice civile in materia di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, di ingiuria e di condanna del querelante, nonché di segreto professionale” è stato approvato dalla Camera dei Deputati il 17 ottobre 2013, approvato con modifiche dal Senato della Repubblica il 29 ottobre 2014, nuovamente riapprovato dalla Camere dei Deputati il 24 giugno 2015, trasmesso  da parte del Presidente della stessa assemblea alla Presidenza del Senato il 25 giugno 2015, è stato assegnato alla 2° Commissione Permanete Giustizia in sede referente il 3 luglio 2015 ed è dal 9 settembre 2015 in corso di esame da parte della stessa Commissione. Per un primo commento a questo disegno di legge si consenta il richiamo a A. Napolitano, La responsabilità del direttore di testata giornalistica on line: orientamenti giurisprudenziali e prospettive di riforma, in www.dimt, 2, 2014, 5 ss.

[5] Decreto Legislativo 9 aprile 2003, n°70, Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico

[6] Come è noto, l’istituto della rettifica è stato disciplinato in maniera diversa in  riferimento alla stampa e alla radiotelevisione.

L’articolo 8 della legge sulla stampa impone al direttore responsabile del giornale la pubblicazione delle rettifiche entro e non oltre i due giorni dal ricevimento della richiesta, in maniera gratuita sul periodico o nell’agenzia di stampa, dando la stessa rilevanza della notizia a cui la rettifica di riferisce. In materia di radiotelevisione, invece, l’articolo 10 della legge 6 agosto 1990, n° 223, ( Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato) equiparando la figura del direttore di telegiornali e giornali radio a quella dei direttori responsabili delle testate giornalistiche cartacee, stabilisce che vengano applicate le medesime norme previste in materia di stampa, obbligando, quindi, lo stesso, alla pubblicazione della rettifica entro e non oltre il secondo giorno dalla ricezione della stessa, durante la fascia oraria della trasmissione dove è stata diffusa la notizia lesiva. Per quanto riguarda invece le testate telematiche, ad oggi, l’unico obbligo previsto per i siti on line, è quello definito, da una decisione del 24 gennaio 2013 del Garante della Privacy,  con la quale è stabilita la predisposizione, in riferimento all’archivio storico on line, di un sistema idoneo a segnalare possibili sviluppi delle notizie pubblicate. Ne deriva che il conseguente obbligo di aggiornamento dell’archivio storico del sito svolgerebbe la stessa finalità prevista per la rettifica.

[7] A tal proposito, quindi, particolare attenzione viene attribuita alla necessità di evidenziare l’applicabilità delle nuove disposizioni alle sole testate telematiche registrate e ai contenuti prodotti, pubblicati, trasmessi e messi in rete dalle stesse redazioni, escludendo, anche in questo caso,  i materiali caricati dagli utenti in caso di commenti alle notizie caricate dalla stessa redazione.

[8] Per queste il legislatore ha previsto con la lettera b) del suddetto articolo 1 comma 2 l’obbligo di pubblicare la rettifica entro e non oltre due giorni “ con la stessa metodologia, visibilità e modalità di accesso al sito internet, nonché con le stesse caratteristiche grafiche della notizia cui si riferiscano, nonché all’inizio dell’articolo contenente la notizia cui si riferiscono, senza modificarne la URL e in modo da rendere evidente l’avvenuta modifica”.

Questa ultima previsione risulta essere di particolare importanza poiché lega in maniera inscindibile le rettifiche e le dichiarazioni con l’articolo o l’immagine incriminate, con la conseguenza che l’utente sarà in grado di conoscere non solo il contenuto inizialmente pubblicato ma anche la successiva rettifica.

Nello stesso, modo inoltre è stato previsto che se la testata telematica fornisca agli utenti un servizio personalizzato, “le dichiarazioni e le rettifiche devono essere inviata agli utenti che hanno avuto accesso alla notizia cui si riferiscono”.

[9] Si tratta del  Decreto Legislativo 31 luglio 2005, n. 177(Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici)

Nello specifico, l’articolo 32 quinquies dello stesso, ai commi 2 e 3 statuisce il diritto per chiunque  si  ritenga  leso nei suoi interessi morali, quali in particolare  l’onore  e  la  reputazione, o materiali da trasmissioni contrarie a verità a chiedere al fornitore di servizi di media  audiovisivi  lineari,  incluse  la concessionaria del servizio pubblico  generale  radiotelevisivo, all’emittente radiofonica ovvero alle persone  da  loro delegate al controllo della trasmissione, che sia  trasmessa  apposita  rettifica,  purché questa ultima non abbia contenuto che possa dar luogo a responsabilità penali. La  rettifica deve essere effettuata entro quarantotto ore dalla data di ricezione della relativa richiesta, in fascia oraria e con il rilievo corrispondenti  a  quelli della trasmissione che ha dato origine alla lesione  degli  interessi.

[10] Come si è avuto di ricordare in precedenza, nella nuova disposizione dell’articolo 13  sono, inoltre, riunite diverse fattispecie sanzionatorie inerenti alla diffamazione a mezzo stampa, per le quali viene eliminata la pena detentiva sostituita da una multa da 5.000 a 10.000 euro, l’applicazione della pena accessoria della pubblicazione della sentenza ed, in casi di recidiva, l’interdizione della professione di giornalista per un periodo che va da un mese a sei mesi. In merito alla recidiva, la Camera dei Deputati, nell’ultima votazione ha statuito che la pena accessoria dell’interdizione dalla professione debba applicarsi alle ipotesi disciplinate dall’art 99 comma 1 del codice penale e non come previsto dal Senato per la recidiva reiterata disposta dal quarto comma della stessa norma codicistica.

Sarà lo stesso giudice che attraverso la sentenza di condanna disporrà la trasmissione degli atti al competente ordine professionale competente ad irrogare la sanzione disciplinare.

[11] Cfr. C. Melzi D’eril- G.E.Vigevani, Nella nuova diffamazione un arsenale pericoloso, in Il Sole 24 Ore, 31 ottobre 2014, 41. In riferimento all’azione di risarcimento del danno, bisogna inoltre ricordare come il legislatore abbia introdotto al comma 3 dell’articolo 1 del Disegno di Legge, l’articolo 11 bis nella legge sulla stampa relativo proprio al risarcimento del danno, evidenziando come l’azione civile si prescriva in due anni ed individuando dei parametri di cui il giudice deve tener conto nella quantificazione del danno derivante da diffamazione quali la diffusione quantitativa e la rilevanza, nazionale o locale, del mezzo di comunicazione usato per compiere il reato, la gravità dell’offesa e l’effetto riparatorio della pubblicazione o della diffusione della rettifica. Questa nuova disposizione sostituisce l’abrogato articolo 12 della Legge sulla Stampa in virtù del quale per la persona offesa poteva chiedere oltre al risarcimento del danno anche una somma a titolo di riparazione, determinata in relazione alla gravità dell’offesa e alla diffusione dello stampato.

[12] Si ricorda come la responsabilità del direttore di un giornale on line è stata oggetto di interventi legislativi, risultati inidonei alla risoluzione dei dubbi riscontrati dalla dottrina e  dalla giurisprudenza e delle lacuna legislativa in materia. Il riferimento è alla c.d. legge Mammì e alla già citata legge 62/2001, con le quali furono previste specifiche ipotesi di responsabilità per il direttore di una testata telematica riferite ai soli fini della registrazione. Tra le innumerevoli decisioni che si sono interessate al problema si ricordino: Ufficio Indagini Preliminari Milano, 11 dicembre 2008, in Foro ambrosiano, 2008, 401; Trib. Firenze, 13 febbraio 2009, in Dir. informatica, 2009, 6; Cass. 16 luglio 2010 n. 35511, in Resp. civ e prev., 2011, 1, 82; Cass. 28 ottobre 2011, n. 44126, in Resp. civ e prev., 2012, 2, 647.

[13] Tale possibilità sarebbe però collegata alle dimensioni organizzative e alla diffusione della testata giornalistica, radiofonica o televisiva o della testata telematica registrata ai sensi dell’articolo 5 della già citata legge sulla stampa.  Bisogna inoltre ricordare, come la Camera dei Deputati, nel modificare il testo del d.d.l., il 24 giugno 2015, ha ritenuto opportuno sopprimere la disposizione secondo la quale il direttore o il vice direttore del quotidiano, del periodico o della testata giornalistica radiofonica o televisione o della testata giornalistica on line, avrebbero risposto in prima persona dei delitti commessi con il mezzo della stampa, di strumenti radiotelevisivi o di altra diffusione nei casi di scritti anonimi.

[14] Si tratta, nello specifico degli articoli 594, 595 c.p. per i quali viene esclusa l’irrogazione della pena detentiva che mantengono al tempo stesso la natura giuridica di delitto, a dispetto di parte della dottrina che ne auspicava la depenalizzazione. La nuova formulazione dell’ articolo 594 c.p. stabilisce per la c.d. ingiuria semplice la pena detentiva fino a sei mesi o il pagamento di una multa di 516 euro, raddoppiata nei c.d. casi di ingiuria specifica, riscontrabile in un’ affermazione offensiva avente ad oggetto l’attribuzione di un fatto specifico proferita in presenza di più persone. Nello stesso modo, il “ nuovo” articolo 595 c.p. prevede l’irrogazione della pena detentiva fino ad un anno o il pagamento di una multa fino a 1032 euro per la c.d. diffamazione semplice, fino a due anni, o una multa fino a 2065 euro, in caso di diffamazione specifica ed in casi particolari, come ad esempio la diffusione delle offese tramite il mezzo della stampa, la reclusione da sei mesi a tre anni o una multa non inferiore a 516 euro. All’ultimo comma della medesima norma viene stabilito un aumento di pena nel caso in cui l’offesa venga rivolta a “ corpo politico, amministrativo o giudiziario o ad una sua rappresentanza o ad un’Autorità costituita in collegio”. Dall’analisi delle norme appena esaminate risulta chiara  la volontà legislativa di aggiornare queste disposizioni alle nuove tecnologie. Il legislatore ha previsto, inoltre, l’applicazione di tali disposizioni anche alle “ comunicazioni telematiche” ritenute strumenti idonei ad arrecare un’offesa dell’onore di una persona, ipotesi già riconosciuta dalla giurisprudenza di legittimità che in alcune decisioni aveva statuito, seppur in maniera ufficiosa, l’inserimento delle “ comunicazioni telematiche” nella fattispecie penale. In riferimento, al “ nuovo” articolo 595 c.p.  si sottolinea  l’aggravamento della pena prevista per i casi di diffamazione compiuti con il mezzo della stampa o attraverso altri mezzi idonei a diffondere i contenuti diffamatori in pubblico, anche a quella realizzata utilizzando dispositivi telematici.

A tal fine bisogna però evidenziare come il legislatore non abbia tenuto conto della rilevante differenza tra l’offesa pubblicata su un sito internet e quella divulgata attraverso i c.d. social network  che per le loro caratteristiche  possono essere al tempo stesso strumenti sia di diffusione del pensiero e di informazione che di comunicazione interindividuale, ritenendo come aggravata indistintamente, l’offesa cagionata attraverso il mezzo telematico.

Infine, dallo studio della normativa in esame si evince come le norme analizzate del codice penale concedano al giudice la facoltà di scegliere tra la sanzione detentiva e quella pecuniaria. Si tratta di una facoltà non prevista dall’attuale  articolo 13 della legge sulla stampa, in virtù del quale la diffamazione a mezzo stampa consistente nell’attribuzione di un fatto specifico viene sanzionata con  la reclusione( da uno a sei anni) e la pena pecuniaria ( non inferiore a 256 euro) che non risultano essere  alternative ma devono essere obbligatoriamente irrogate entrambe dal giudice.

Per concludere il discorso sulle modifiche al codice penale, si evidenzia come, al fine di  bilanciare la cancellazione della pena detentiva, il legislatore ha, per questo motivo, previsto un rilevante innalzamento delle sanzioni pecuniarie.

Nello specifico, nel caso di diffamazione commessa con il mezzo della stampa si applica la pena della multa da 5.000 a 10.000 euro, aumentata fino a 50.000 euro se l’offesa si basa sull’attribuzione di un fatto determinato la cui diffusione è avvenuta nonostante la consapevolezza della sua falsità; per l’ingiuria semplice la sanzione è elevata fino a 5.000 euro, per la diffamazione semplice è prevista una multa fino a 10.000, 15.000 se si tratti di diffamazione specifica.

[15] Tra le tante, si ricorda la sentenza Belpietro v. Italy, del 24 settembre 2013 con la quale la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, accolse il ricorso presentato dal giornalista italiano condannato a quattro mesi di reclusione per diffamazione aggravata ( pena che il giornalista non sconterà mai visto il beneficio della sospensione della pena) per non aver controllato un articolo, ritenuto in seguito diffamatorio, pubblicato sul quotidiano di cui lo stesso era direttore.

I giudici di Strasburgo, nell’accogliere il ricorso, evidenziarono come la legislazione italiana, nel prevedere l’irrogazione della pena detentiva per i giornalisti, non rispettasse il limite di proporzionalità imposto dall’art. 10 della CEDU, idoneo a limitare la libertà di espressione.

Gli stessi giudici, nel motivare tale decisione evidenziarono come la libertà di cronaca dovesse essere intesa quale nucleo fondamentale della libertà di espressione, sanzionando in maniera rigida la scelta dell’Italia di prevedere pene detentive, pecuniarie eccessivamente alte  ed amministrative nei confronti dei giornalisti, idonee a creare il c.d. chilling effect nei confronti degli stessi giornalisti e delle imprese editoriali. Sul punto, bisogna però ricordare anche il c.d. caso Sallusti, concluso con il D.P.R. 20 dicembre 2012 grazie al quale l’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in virtù dei poteri conferiti dalla Costituzione, commutò in pena pecuniaria la  condanna per diffamazione aggravata inflitta al giornalista Alessandro Sallusti, condannato anche esso per omesso controllo. Cfr. sul punto M. Orofino, Il Disegno di Legge S. 1119: alla ricerca di un nuovo bilanciamento tra la libertà di espressione ed il diritto all’onore ed alla reputazione, in Astrid Rassegna, 17, 2014.

[16] M. Orofino, Il Disegno di Legge S. 1119: alla ricerca di un nuovo bilanciamento tra la libertà di espressione ed il diritto all’onore ed alla reputazione, cit.

[17] Anche se non è presente nell’ultima versione del testo votato dalla Camera, si ritiene opportuno menzionare l’ “ex” articolo 3 del disegno di legge in esame,  composto da tre commi con i quali si intendevano disciplinare due temi di straordinaria rilevanza quali la rimozione dei contenuti dai siti internet e la c.d. deindicizzazione dei contenuti da parte dei motori di ricerca, divenuto di strettissima attualità in seguito alla sentenza della Corte di Giustizia del 13 maggio 2014, la  c.d. Sentenza Google. Si trattava di una disposizione inserita nel testo licenziato dalla Commissione Giustizia del Senato e  votata dallo stesso ramo del Parlamento il 29 ottobre 2014 che era stata da subito oggetto di importanti critiche da parte della dottrina in merito alla difficile comprensione della stessa da parte degli operatori del diritto e per la non chiarissima definizione.

Il primo comma della norma statuiva,  che “ Fermo restando il diritto di ottenere la rettifica o l’aggiornamento delle informazioni contenute nell’articolo ritenuto lesivo dei propri diritti, l’interessato può chiedere l’eliminazione dai siti internet e dai motori di ricerca, dei contenuti diffamatori o dei dati personali trattati in violazione di disposizioni di legge”. Forti perplessità erano state mosse in merito alla natura giuridica dell’istituto disciplinato che non poteva essere ricondotto né a quello della rettifica né all’aggiornamento delle informazioni inserite in un articolo on line, previsto dalla sentenza numero 5525 del 2012 della Corte di Cassazione (Cfr. Cass.  5 aprile  2012, n. 5525, in Guida al diritto, 2013, 5, 44). Al tempo stesso il legislatore aveva fatto coincidere due attività tra di loro completamente diverse quali, appunto, la cancellazione di un contenuto da un sito internet, e la sua deindicizzazione dal motore di ricerca. Ciò avrebbe comportato la permanenza sul web della notizia che non veniva di fatto eliminata, ma soltanto deindicizzata dai motori di ricerca e quindi essere visibile attraverso il collegamento diretto al sito su cui la stessa è caricata.

I due istituti, inoltre non potevano neanche essere sovrapposti da un punto di vista normativo, in virtù del fatto che la cancellazione ha ad oggetto i tradizionali diritti garantiti dalla Costituzione, quali la libertà di manifestazione del pensiero, il diritto di essere informarti e di informarsi, il c.d. diritto all’oblio e il diritto alla memoria.

Sempre al primo comma, ulteriori incertezze sono state riscontrate in riferimento ai soggetti legittimati a richiedere la cancellazione e/o deindicizzazione, in virtù del fatto che, utilizzando il termine “ interessato”  si sarebbe potuto creare una difficoltà ad interpretare tale disposizione, poiché  lo stesso assume un significato ben preciso e determinato in materia di protezione dei dati personali, ma senza dubbio più ampio e meno definito quando l’indagine si allarga al di fuori del settore normativa della c.d. tutela della privacy.

Per quanto concerne il secondo comma  dello stesso articolo, era previsto che “l’interessato, in caso di rifiuto o di omessa cancellazione dei dati, ai sensi dell’articolo 14 del Decreto Legislativo 9 aprile 2003 n. 70, può chiedere al giudice di ordinare la rimozione, dai siti internet e dai motori di ricerca, delle immagini e dei dati ovvero di inibirne l’ulteriore diffusione”. Da subito era stato sottolineato che l’utilizzo del termine “immagini” avrebbe potuto, anche in questo caso, generare confusione interpretativa visto che, così strutturata, la norma avrebbe limitato la richiesta di cancellazione alle sole immagini, escludendo, quindi tutti gli altri contenuti immessi in rete avente natura diffamatoria.

In secondo luogo, il riferimento alla norma richiamata, che regola le ipotesi di responsabilità del prestatore di un servizio della c.d. società dell’informazione avente ad oggetto la trasmissione, su una rete di comunicazioni, informazioni o nella fornitura di un accesso alla rete di comunicazione, la c.d. mere conduit, risulta quanto meno illogica in virtù del fatto che i siti internet ed i motori di ricerca non rientrano certamente nella categoria appena citata, ma in quella dei fornitori di contenuti o di  servizi. Il richiamo a questa disposizione poteva essere giustificato solo ed esclusivamente nei casi in cui la domanda presentata dalla parte offesa  avrebbe avuto ad oggetto la richiesta di “inibire l’ulteriore diffusione” del contenuto diffamatorio e non certo nella cancellazione o deindicizzazione dello stesso da un sito o da un motore di ricerca.

Infine, con il terzo comma il legislatore aveva concesso la facoltà di trasmettere i diritti dell’interessato agli eredi o al convivente dello stesso ( senza però precisare a che tipo di convivenza fare riferimento, se alle sole convivenze more uxorio, o comprendere anche quelle tra persone dello stesso sesso), il che avrebbe tutelato l’onore e la reputazione di un soggetto anche in seguito alla sua morte.

Sul punto cfr. M. Orofino, Il Disegno di Legge S. 1119: alla ricerca di un nuovo bilanciamento tra la libertà di espressione ed il diritto all’onore ed alla reputazione, cit.

Al fine di evitare difficoltà nell’interpretazione della stessa da parte di dottrina e giurisprudenza, la Camera dei Deputati, nel testo votato il 24 giugno 2015, ha ritenuto opportuno sopprimere tale norma, decidendo, si spera per poco, di non disciplinare una materia che dovrebbe essere analizzata, vista anche la grande rilevanza in ambito europeo, in maniera condivisa e dovrebbe essere regolate da norme certe e lineari, attribuendo alla materia tutta l’attenzione necessaria vista anche la delicatezza degli interessi da tutelare.

[18] Tale ipotesi è espressamente prevista grazi alla nuova formulazione dell’ articolo 427 dello stesso codice di procedura penale modificato con l’aggiunta di un comma, il 3 bis.

[19] Il testo approvato dal Senato faceva, invece, espresso riferimento alla c.d. temerarietà della querela e della condanna al pagamento di una somma determinata in via equitativa.

[20] Tale ipotesi è disciplinata in maniera esplicita dal comma 5 quater della suddetta disposizione. Questa disposizione, posta a tutela delle garanzie del giornalista che adempiendo l’obbligo di risarcire il danno rispetto all’eventuale fallimento dell’editore, deve recuperare dallo stesso, in quanto obbligati in solido parte di quanto versato, è stata inserita in seguito all’episodio capitato al direttore di un giornale che aveva dovuto appunto risarcire l’intera somma stabilita dal giudice singolarmente il danno in seguito al fallimento dell’editore del proprio giornale.

[21] M. Orofino, Il Disegno di Legge S. 1119: alla ricerca di un nuovo bilanciamento tra la libertà di espressione ed il diritto all’onore ed alla reputazione, cit.

[22] Anche se la riforma ha l’innegabile pregio di “ modernizzare” la materia, il legislatore, anche in questo caso, ha deciso di non disciplinare fino in fondo l’utilizzo di altri mezzi telematici di comunicazione, quali ad esempio blog o forum.

[23] In merito, non può non ricordarsi come le Corti Europee abbiano dato fortissima rilevanza alla rilevante pervasità del reato di diffamazione, dando per scontata l’equiparazione tra stampa cartacea e quella on line.

A tal proposito, si ricorda, una importante decisione della Corte di Giustizia, con la quale fu concessa la facoltà alla vittima di diffamazione di esercitare la richiesta di risarcimento sia ai giudici dello Stato in cui è stabilito l’editore della pubblicazione diffamatoria, sia in quelli in cui il contenuto diffamatorio è stato diffuso. C-161/10, in www.curia.europa.eu.

Si ricordi, infine la decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nella sentenza Delfi vs Estonia del 10 ottobre 2013, che confermando quanto previsto dalla Corte Estone che aveva condannato i responsabili di un sito per dei commenti anonimi e diffamatori ad un articolo pubblicato sullo stesso, aveva ritenuto tale sanzione una giustificata e  proporzionata restrizione del diritto di libertà di espressione vista la particolare offensività  dei commenti postati,  dai quali, addirittura gli stessi proprietari ne avevano tratto un beneficio commerciale, acquisendone di fatto la “ paternità” poiché non avevano previsto nessun controllo preventivo attraverso una registrazione degli utenti stessi. Per questo ultimo motivo nelle motivazioni della sentenza, i giudici di Strasburgo, sottolinearono come, anche in seguito alla condanna emessa dai giudici estoni,  non vi fosse stata alcuna lesione dell’art. 10 CEDU, norma che tutela la libertà di espressione del proprio pensiero e che prevede una limitazione della stessa da parte di organi dello Stato idonea alla tutela  della reputazione di soggetti, quando la stessa sia proporzionata all’offesa. L’approvazione di questo atto normativo potrebbe essere inoltre, strumento di attuazione dell’obbligo previsto nel preambolo del capo II della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea inerente al dovere, per ogni Stato, di “ rafforzare la tutela dei diritti fondamentali, alla luce dell’evoluzione della società, del progresso sociale e degli sviluppi scientifici e tecnologici.

[24] Cfr. sul punto G. Cuomo, Libertà di stampa e impresa giornalistica nell’ordinamento costituzionale, cit ; S. Fois , Principi costituzionali e libertà di manifestazione del pensiero, cit ; P. Barile, Le libertà nella Costituzione, Cedam, cit.; C. Chiola,L’informazione nella Costituzione, cit ; A. Pace- M. Manetti, Rapporti civili .Libertà di manifestazione del proprio pensiero, cit. A. Papa, La disciplina di stampa alla prova delle nuove tecnologie, cit, 477 ss.

23 dicembre 2015

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