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La responsabilità del direttore di testata giornalistica on-line: orientamenti giurisprudenziali e prospettive di riforma

di Andrea Napolitano Abstract This work has the aim to analyse the peculiar hypothesis of the responsibility of the online newspaper director, starting from a general analysis on the concept of freedom of press in the national and the European environment. In particular, the subject concerns the difficult relation between traditional mass media such as paper press and  new media  such as on line newspaper, which is object of a deep research by doctrine and  jurisprudence, which have been tried to regulate such a delicate issue for years. Moreover, the last part of the work is focused on the analysis of the Draft Law S1119, currently on discussion at Senate, which is aimed to fill a legislative gap, in response to a necessity shared by doctrine and jurisprudence.  Il presente lavoro si prefissa l’obiettivo, partendo da un’analisi generale sul concetto di libertà di stampa in ambito nazionale ed europeo, di analizzare l’ipotesi particolare della responsabilità del direttore di un giornale on line. Si tratta di un argomento che si innesta nel difficile rapporto tra i mezzi di informazione tradizionali quale è la stampa cartacea e le nuove forme di comunicazione come appunto il giornale on line, oggetto di indagine approfondita da parte di di dottrina e giurisprudenza che hanno cercato negli anni di disciplinare la materia. L’ultima parte del contributo è stata inoltre incentrata sull’analisi del Progetto di Legge S1119 in discussione al Senato, con il quale si andrebbe a colmare un vuoto legislativo in tale ambito, rispondendo ad un’esigenza condivisa da tempo da parte di dottrina e giurisprudenza. Sommario: 1. Premessa. – 2.  Cenni storici sulla libertà di informazione: dall’Habeas Corpus alla C.E.D.U. – 3. Breve ricostruzione della libertà di informazione professionale in Italia: dalla legge 47/48 alla legge 62/01. – 3.1. Blog, forum e giornalismo partecipativo. – 4. La responsabilità del direttore di un giornale cartaceo. – 5. La responsabilità del direttore di un giornale on-line. – 6. Le prospettive di riforma della responsabilità del direttore di una testata giornalistica nel progetto di legge S1119. 1. Premessa. L’incessante processo di convergenza tecnologica e la diffusione dell’utilizzo di supporti collegati ad internet fanno si che, oggi, un numero crescente di utenti si informi quotidianamente non più solo attraverso la lettura di giornali cartacei o alla visione di telegiornali o programmi di approfondimento bensì anche mediante l’accesso ai siti web di informazione. L’importanza, non solo in termini quantitativi, di tale fenomeno è da tempo oggetto di analisi in diversi campi (economico, sociologico, giuridico) sia in termini assoluti sia comparativamente rispetto agli altri mass media. In particolare, in ambito giuridico, da tempo si indaga la percorribilità di una equiparazione tra le forme regolamentate di stampa e  l’informazione on line o quanto meno la proponibilità di una disciplina ad hoc per quest’ultima. In particolare, in ambito legislativo la questione viene periodicamente proposta ed anche nella presente legislatura è stato presentato ed ha  superato l’esame della Camera, un progetto di legge in materia (che offre lo spunto per il presente scritto), che si propone di rileggere la nozione di informazione professionale alla luce dell’evoluzione dei mass media, modificando alcune disposizioni della legge 47 del 1948 e del codice penale in materia, in particolare escludendo la pena detentiva per i delitti contro l’onore, pur conservando loro la natura giuridica di “delitto” [1]. 2. Cenni storici sulla libertà di informazione: dall’Habeas Corpus alla C.E.D.U.  La libertà di informare, comunicare e manifestare il proprio pensiero ha avuto, come è noto,  già nel XVII secolo una prima forma, seppur embrionale, di tutela in alcuni ordinamenti giuridici [2]. In Italia, invece, il percorso di questa libertà ha avuto avvio più tardi, con lo Statuto Albertino, che tuttavia, all’articolo 28, faceva riferimento non alla libertà di espressione in generale ma alla libertà di stampa, riconoscendola ma sottoponendola a limitazioni di legge per casi specifici[3]. Analoga impostazione si rinviene nell’Editto sulla Stampa (r.d. n.695/1848), primo fondamentale intervento settoriale in materia che poggiava su due principi fondamentali: l’espressa previsione legislativa della libertà di manifestare il proprio pensiero ed  il divieto di limitazioni preventive di tale libertà e di interventi repressivi, applicabili dal giudice solo in caso di abusi. Come è noto, i principi dell’Editto furono tuttavia quasi immediatamente attenuati dall’approvazione di alcune leggi di polizia (1859, 1865 e 1889)[4], fino ad arrivare alla emanazione del codice Rocco del 1930 che  incise in maniera determinante su questa libertà, soprattutto per quanto concerne la materia dei reati commessi con tale mezzo. In particolare, per la parte che qui interessa, venne modificata  la normativa riconducibile alla imputazione di un determinato fatto al gerente attraverso l’attribuzione a quest’ultimo di una responsabilità oggettiva per fatto altrui ex art. 57 c.p., in virtù del quale chi ricopriva tale ruolo era “per ciò solo chiamato a rispondere, insieme all’autore dello scritto, del reato a mezzo stampa”. Peraltro, questa  nuova forma di responsabilità, che costituì, come è noto, un ulteriore strumento repressivo della libertà in esame, fu giustificata dal regime fascista quale estensione in ambito penale di una già preesistente tipologia di responsabilità in campo civile, quella del rischio professionale [5]. Tale normativa rimase in vigore fino all’emanazione del d.l. n. 561/1946, con il quale si  abolì il sequestro preventivo da parte dell’autorità pubblica, rimanendo però inalterato il  potere del giudice di  ordinare il ritiro dello stampato in caso di sentenza irrevocabile di condanna, a carico di un giornalista, per un reato a mezzo stampa. Il Costituente del 1946, nell’approcciarsi alla disciplina di questo diritto, in parte si pose in linea di continuità con lo Statuto, in parte, la più importante, se ne discostò. Innanzitutto diede valore costituzionale alla distinzione tra comunicazione riservata e manifestazione del pensiero nella sfera pubblica, dedicando ad esse due distinti articoli (art. 15 e art. 21 Cost.) e due diverse tutele. Inoltre, con riferimento alla libertà di espressione, viene da un lato mantenuto il riferimento esplicito alla stampa (peraltro con una tutela rafforzata [6]) dall’altro viene dato particolare risalto alla libera manifestazione del pensiero di ciascun individuo, al fine di sottolineare come quest’ultima sia non solo uno strumento di crescita dell’intera comunità ma anche, e soprattutto, l’esplicazione di una esigenza individuale. Da qui la previsione di un unico limite esplicito, quello del buon costume, ponendo di conseguenza le premesse a che ogni restrizione della libertà di manifestazione del pensiero possa avvenire e debba essere motivata dal legislatore con il bilanciamento con altri diritti costituzionalmente garantiti [7]. La disciplina costituzionale della libertà di espressione è oggi completata, anche alla luce del Trattato di Lisbona (all’interno del quale rilevanza fondamentale viene data alle tradizioni costituzionali dei singoli Stati), dalle disposizioni della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo  ( C.E.D.U.)  e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ( Carta di Nizza). Per quanto riguarda gli articoli 10 e 11 della CEDU essi riconoscono espressa tutela ai profili attivi e passivi della libertà di manifestazione del pensiero [8]. Peraltro, la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha adottato un’interpretazione evolutiva di questi articoli, ed in particolare dell’art. 10, tale da rimarcare, nonostante l’assenza di chiare indicazioni testuali, l’importanza del diritto di ognuno a ricevere un’informazione il più possibile pluralistica e non condizionata dalla presenza di posizioni dominanti. La giurisprudenza della Corte [9], inoltre, espandendo la tutela accordata dalla disciplina convenzionale, ha chiarito che l’informazione – nello specifico quella che, tramite la stampa, ricopre una funzione di “watch dog” dei pubblici poteri – svolge un ruolo fondamentale dal momento che i lettori hanno il diritto di ricevere informazioni in merito alle azioni dei titolari di funzioni pubbliche, prevedendo una estensione della tutela convenzionale anche alle opinioni che possano risultare sgradite o inquietanti [10]. Così facendo è stata prevista, per gli organi di informazione, la facoltà di utilizzare frasi contenenti un certo grado di esagerazione e di provocazione, sempre che vengano riservate ai lettori informazioni di interesse generale, affidabili e precise e che rispettino le norme deontologiche. Anche l’art. 11 della Carta di Nizza prevede e regola il profilo attivo e passivo della libertà di manifestazione del pensiero [11], ma al riguardo occorre sottolineare che la sua Corte di riferimento, la Corte di Lussemburgo, appare orientata a ritenere che la libertà d’espressione può subire restrizioni qualora siano previste da “obiettivi di interesse generale” e quando tali limitazioni siano “previste dalla legge” e “ dettate da uno o più scopi legittimi, necessarie in una società democratica, cioè giustificata da un bisogno sociale imperativo e, in particolare, proporzionate al fine legittimo perseguito” [12]. 3. Breve ricostruzione della libertà di informazione professionale in Italia: dalla legge 47/48 alla legge 62/01. Il primo rilevante intervento legislativo della storia della Repubblica Italiana in materia di libertà di stampa è rappresentato dalla legge n. 47 del 1948, il cui testo finale si presenta molto diverso da quello che era l’originario disegno di legge presentato dal Governo. In particolare l’Assemblea costituente, chiamata a disciplinare la libertà di stampa prima delle elezioni politiche del 1948,  decise di non affrontare in maniera approfondita temi, oggetto dell’iniziativa legislativa del governo, quali la responsabilità per i reati a mezzo stampa, la loro riforma e la determinazione delle fonti di finanziamento delle imprese editoriali [13]. Per quanto concerne gli aspetti di maggiore rilevanza introdotti, essi si sostanziano nell’introduzione della “registrazione” della testata giornalistica, in luogo dell’autorizzazione prefettizia, e dell’istituto della pena pecuniaria e nel richiamo specifico alla diffamazione a mezzo stampa. In particolare, per la parte che qui interessa, la legge produce una vera e propria integrazione dell’impianto codicistico dei reati a mezzo stampa con l’aggiunta di una ulteriore aggravante a quelle previste dall’art 595 c.p., ossia la fattispecie della diffamazione commessa con il mezzo della stampa consistente nella attribuzione di un fatto determinato. Inoltre, risulta chiara un’estensione di quanto disposto dall’art 528 c.p. agli scritti destinati ai minori a riprova della particolare attenzione rivolta alla tutela dei minori ed alle pubblicazioni che descrivano con particolare crudezza avvenimenti idonei a “turbare il comune sentimento della morale e dell’ordine familiare” [14]. Da un punto di vista civilistico, invece, la legge 47/48,  all’art. 11, stabilisce che “sono civilmente responsabili in solido con gli autori del reato, e fra di loro, il proprietario della pubblicazione e l’editore; più esattamente in essa si precisa che il proprietario e l’editore rispondono per intero nei confronti del danneggiato, vantando un diritto di regresso nei confronti degli altri obbligati con riferimento al grado di  responsabilità di ogni singolo soggetto. Ulteriore elemento di innovazione è poi rappresentato dall’inserimento dell’istituto della rettifica, inteso quale mezzo di tutela del diritto alla propria reputazione e del diritto ad essere informati correttamente: l’art. 8 della legge 47/48  prevede, infatti, l’obbligo a carico del direttore di pubblicare le dichiarazioni di soggetti i quali si ritengano lesi da una notizia o da un’immagine offensiva della loro dignità o contraria a verità [15]. Questa legge, pur con i limiti che la dottrina ha evidenziato sin dal primo momento, ha certamente avuto il merito di disciplinare, nel rispetto dell’art. 21 Cost., il mezzo di informazione più importante in quel momento storico; l’evoluzione tecnologica ha tuttavia mutato ben presto il quadro complessivo con l’affermarsi, nel giro di pochi decenni, di altri mass media, la televisione prima e i siti di informazione on line dopo. Per quanto concerne la televisione – oggetto, come è noto, di un incessante “dialogo” tra legislatore e Corte Costituzionale – ,  occorre attendere la Legge di riforma della Rai del 1975 e, in seguito, la Legge Mammì, per avere una prima definizione e disciplina della “testata giornalistica televisiva” che solo in parte ricalca quella di stampa cartacea [16]. In particolare, vengono introdotti, sulla falsa riga di quanto previsto dalla legge 47/1948, l’obbligo di registrazione per le testate televisive e  una “particolare” ipotesi di rettifica e di imputabilità del direttore che si differenzia da quella prevista per il direttore di un giornale cartaceo. Infatti, l’art. 30 della legge 223/90, riprendendo solo in parte quanto previsto dall’art. 57 c.p., fa ricadere la responsabilità per i reati commessi a mezzo di trasmissioni radiofoniche o televisive non sul direttore responsabile ma sul “concessionario privato o la concessionaria pubblica ovvero la persona da loro delegata al controllo della trasmissione”. Ciò comporta quindi che, non essendo estendibile analogicamente in malam partem quanto previsto dall’art. 57 c.p., poiché  il reato di diffamazione non può essere configurato a titolo colposo, i soggetti in questione  risponderanno solo ed esclusivamente  secondo i principi generali previsti dall’ordinamento. Inoltre, la facoltà concessa ai concessionari di avvalersi di delegati comporta l’espresso spostamento in capo a questi ultimi delle ipotesi di imputabilità, possibilità vietata al direttore responsabile che infatti non può spostare, con delega di funzioni, la responsabilità nella sfera del delegato [17]. L’introduzione della nozione di testata giornalistica televisiva, al di là dei singoli aspetti, presenta comunque una importanza di carattere generale, perché segna il superamento del legame tra informazione e giornale cartaceo. Infatti, una volta messo in secondo piano il requisito della “fisicità”, elemento caratterizzante della stampa cartacea, l’attenzione del legislatore si sposta sulla finalità informativa dell’attività svolta, che diviene il vero elemento caratterizzante dell’attività giornalistica e i cui elementi essenziali si sostanziano nei caratteri dell’attendibilità, pertinenza, continenza ed imparzialità  da qualsiasi altro tipo di informazione. Ciò ha consentito – anche sotto la spinta di alcune pronunce giurisprudenziali chiamate a dirimere controversie in materia e con l’affermarsi dell’utilizzo della rete Internet – di inserire, o almeno di tentarvi, nell’alveo dell’informazione professionale anche quei siti che svolgevano una attività informativa di tipo giornalistico. In tal senso dispone la legge 62/01 ed il successivo intervento legislativo del 2003 [18]. Anche per questo motivo l’approvazione della legge del 2001 è sembrata il frutto di una precisa scelta legislativa, laddove l’art. 1 comma 1 definisce editoriale il “prodotto realizzato su supporto cartaceo, ivi compreso il libro, o su supporto informatico destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico, o attraverso la radiodiffusione sonora o televisiva, con esclusione dei prodotti discografici o cinematografici”, estendendo alla disciplina dello stesso alcune norme della legge 47/48 e precisamente: l’art 2, il quale definisce le indicazioni obbligatorie che si devono trovare sugli stampati e l’art 5 che prevede l’obbligo di registrazione per i giornali presso le cancellerie dei tribunali di competenza [19]. Inoltre, come è noto, la prima interpretazione di questa novella aveva portato a ritenere che essa obbligasse “tutti” i siti con finalità informativa ad indicare il luogo e l’anno della pubblicazione, nonché il nome e il domicilio dello stampatore [20] e, se esistente, l’editore e a registrarsi presso la cancelleria del Tribunale competente per territorio [21]. Numerose, però, erano state le critiche rivolte a questa legge sia da parte degli operatori telematici e degli utenti, che ritenevano che questo intervento legislativo ponesse in essere una limitazione della libertà di manifestazione del pensiero in internet, sia da parte dalla dottrina. Anche in seguito a tali perplessità, il legislatore ha previsto una ridefinizione parziale della disciplina [22]. Infatti, con  la legge 39/02 [23], la c.d. legge comunitaria 2001, all’art. 31 è stato previsto che “ deve essere esplicito che l’obbligo di registrazione della testata editoriale telematica si applica esclusivamente alle attività per le quali i prestatori del servizio intendano avvalersi delle provvidenze previste dalle legge 7 marzo 2001 n. 62, o che comunque ne facciano specifica richiesta, con l’esplicita previsione che i soggetti non interessati a tali fondi possano omettere di conformarsi alle previsioni della legge del 2001 e “diffondere liberamente informazioni su internet, senza essere sottoposto ai controlli amministrativi ed alla applicazione delle norme penali sulla stampa” [24]. Conseguenza di tale previsione è stato il d.lgs. 70/03, il cui art. 7, ridimensionando quanto era stato previsto dalla legge 62/01, statuisce che “la registrazione della testata editoriale telematica è obbligatoria esclusivamente per le attività per le quali i prestatori del servizio intendano avvalersi delle provvidenze previste dalla legge 7 marzo 2001 n. 62” [25], con la conseguenza che, come è stato sottolineato, l’unico scopo realmente raggiunto dalla legge 62/01 è stato di carattere meramente economico, visto che la stessa è stata definita come “mero strumento di concessione di provvidenze o agevolazioni pubbliche alle testate on line” [26]. 3.1: Blog, forum e giornalismo partecipativo.  L’introduzione della nuova disciplina ha da un lato certamente risolto il dubbio che la giurisprudenza aveva manifestato negli anni’ 90 circa la possibilità di attribuire ad un sito internet la  qualificazione di “giornale”, dall’altro ha però aperto la strada ad un ulteriore filone giurisprudenziale, senza dubbio minoritario, volto a verificare l’estensione ai siti internet della restante disciplina contenuta nella legge 47/48. In altri termini, da un lato è parsa affermarsi una finalità informativa sostitutiva della nozione di stampa cartacea, dall’altra, e al contrario, si è posto il problema dell’estendibilità a questa nuova realtà della normativa stessa e in particolare delle norme penali. Il dibattito tra gli studiosi presenta orientamenti diversi, al pari della giurisprudenza, dove tuttavia sembra prevalere la tesi della non equiparazione tra uno scritto on-line ed uno scritto cartaceo [27]. In assenza di una disciplina normativa specifica, la  giurisprudenza, sia di merito [28] che di legittimità [29], sta infatti svolgendo il compito di dirimere le controversie in materia attraverso un’attività di ricognizione, con l’obbligo, imposto dal legislatore costituzionale e da quello ordinario, di non andare ad intaccare l’equilibrio tra libertà di manifestazione del pensiero, diritto di informazione e diritti della personalità. Anche in merito all’ iscrizione di una testata giornalistica on-line nel registro dei giornali periodici, novità prevista dalla legge del 2001, permangono aspetti problematici dovuti alla poca chiarezza dell’intervento legislativo, oggetto di interventi giurisprudenziali attraverso i quali si è palesata l’impossibilità di assimilare un sito Internet ad uno stampato, escludendo quindi l’informazione on-line dal concetto di stampa [30]. L’orientamento seguito in materia è stato ben sintetizzato nella considerazione espressa dalla Suprema Corte, in base alla quale il diritto deve adeguarsi alle nuove tecnologie “ma da questo assunto non può farsi derivare che i nuovi mezzi di comunicazione del proprio pensiero possano, tutti in blocco, solo perché tali, essere inclusi nel concetto di stampa prescindendo dalle caratteristiche specifiche di ciascuno di essi” [31]. La giurisprudenza, se per la determinazione di alcuni elementi caratterizzanti l’attività on line ha utilizzato il principio di analogia, individuando quali fattori fondamentali la periodicità regolare, il titolo identificativo e l’oggetto dell’attività, nelle proprie pronunce ha più volte sollecitato un intervento legislativo chiaro e specifico capace di disciplinare l’informazione professionale on-line e soprattutto la responsabilità riconducibile al direttore di un giornale on-line, onde garantire il principio di tassatività in materia penale. La problematica inerente alla possibile equiparazione della stampa on line alla stampa cartacea si estende inoltre anche a quei siti che svolgono attività informativa di tipo giornalistico ma che giuridicamente non possono essere considerati tali, alla luce della già citata l. 62/01. Si tratta del fenomeno del c.d. citizen journalism, che si caratterizza per la “partecipazione attiva” dei lettori, grazie alla natura interattiva dei nuovi media e alla possibilità di collaborazione di un numero elevatissimo di utenti della rete [32]. Questa particolare tipologia di giornalismo si distingue dalle altre perché non è formalmente previsto un controllo preliminare delle informazioni ricevute, passaggio quasi obbligato nelle altre forme di giornalismo. I due principali strumenti utilizzati dai citizen journalist sono il blog e il forum, anche se deve riconoscersi la crescente rilevanza dei social network in questo settore. Il blog negli ultimi anni è diventato un mezzo di informazione molto importante, anche per la tendenziale professionalità con il quale sono gestiti questi siti. Il blogger, infatti, di regola pubblica un proprio post, sovente frutto di una attenta attività ricostruttiva di un fatto o espressiva di un’opinione, e lo apre al commento dei propri lettori; oppure ospita i post di coloro che vogliono esprimere la propria opinione in merito ad un determinato fatto[33]. A differenza del responsabile del forum in cui non è previsto un controllo preventivo di quanto pubblicato,  il responsabile del blog può visionare preventivamente  quanto pubblicato sul proprio blog, con  la possibilità di rimuovere il materiale ritenuto diffamatorio. Ciò rende particolarmente problematica la determinazione della responsabilità del blogger stesso in presenza di articoli o commenti scritti da altri. Secondo alcuni autori e parte della giurisprudenza in questi casi il blogger concorre nel reato di cui all’art. 595 del codice penale insieme alla persona che  ha redatto il post stesso. Peraltro, la possibilità di selezionare i commenti da pubblicare consente al blogger sia di tutelarsi sia di imprimere alla propria attività informativa una specifica linea editoriale.  Secondo altro orientamento, il blogger è invece responsabile solo di ciò che scrive personalmente, escludendo quindi ogni possibile equiparazione del blogger ad un direttore responsabile di una testata giornalistica, che è responsabile per i contenuti presenti nelle pagine del giornale o del sito, “per cui il gestore di un blog risponde personalmente solo dei post a lui direttamente riconducibili”  [34]. A differenza del blog, il forum può essere inteso, invece, quale strumento di incontro e discussione per mezzo del quale gli utenti hanno facoltà di confrontarsi liberamente in una piazza virtuale dove non viene creata informazione, ma vengono scambiate opinioni. Non può, quindi, considerarsi quale “forma” di editoria e quindi, non essendo possibile l’applicazione delle norme in materia, si nega la configurabilità di una responsabilità da parte del provider assimilabile a quella del direttore di una testata giornalistica per il mancato controllo  preventivo dei contenuti delle dichiarazioni formulate dagli utenti [35]. La giurisprudenza ha infatti escluso tali siti dalla nozione di stampa in virtù del principio che “il forum altro non è che un gruppo di discussione nell’ambito del quale ogni partecipante è libero di esprimere la propria opinione ed è tenuto ad assumere la responsabilità, senza poter invocare tutele di tipo professionale per sé o per il sito sul quale pubblica” [36]. Anche se  risulta pacifico il principio in virtù del quale il gestore del forum non risponde di una preventiva responsabilità per culpa in vigilando ciò non comporta tuttavia l’inesistenza di specifici obblighi e responsabilità in presenza di determinate circostanze. La giurisprudenza ritiene infatti legittima la pretesa di colui che si ritiene leso da un messaggio postato sul forum di chiedere informazioni al gestore dello stesso per risalire alla fonte delle dichiarazioni offensive e di pretendere la cancellazione delle stesse, anche se tale attività di individuazione della fonte dei commenti offensivi risulta non sempre agevolmente praticabile  [37]. 4. La responsabilità del direttore di un giornale cartaceo. La decisione del gestore di un sito web di informazione di registrarlo presso il tribunale quale testata giornalistica comporta, tra l’altro, la necessità di indicare un giornalista professionista quale direttore, sul quale possa ricadere la responsabilità, peraltro tutta da indagare, per gli argomenti immessi o postati sul sito di cui è responsabile. Non essendoci, al momento, un intervento da parte del legislatore che definisca e qualifichi la “eventuale” responsabilità del direttore di un giornale on-line o del responsabile di un sito di informazione, la giurisprudenza negli anni ha affrontato tali problematiche fissando alcuni principi, con particolare riferimento al regime sanzionatorio applicabile in caso di reati quali l’ingiuria e la diffamazione [38]. Già con sentenza 4741/00 la Corte di Cassazione ha evidenziato come l’utilizzo di un sito internet per la diffusione di immagini o scritti atti ad offendere un soggetto potesse integrare il reato di diffamazione aggravata. Al contempo però la Suprema Corte ha  ricordato come “la diffusività e la pervasività di Internet siano solo lontanamente paragonabili a quelle della stampa ovvero delle trasmissioni televisive”,  sottolineando  quindi come la diffamazione a mezzo Internet fosse grave come quella realizzata a mezzo stampa ma non includibile nella categoria della diffamazione a mezzo stampa, con l’espresso divieto quindi di utilizzare, attraverso un procedimento interpretativo analogico in malam partem, le disposizioni previste per la stampa per regolamentare queste nuove forme di bilanciamento tra libertà informazione e tutela della dignità individuale [39]. Nell’analizzare la responsabilità del direttore di un giornale appare infatti necessario fare riferimento al delicato rapporto che intercorre tra il “diritto all’onore e alla reputazioneda un lato ed il diritto di informare e di essere informati dall’altro. Appare tuttavia importante sottolineare che di rapporto e non di contrasto si parla tra questi  due diritti che in realtà sono, anche se con prospettive diverse, espressione della stessa libertà, la libertà di autodeterminazione, con la conseguenza che risulta difficile immaginare la prevalenza automatica di una libertà rispetto ad un’altra, essendo comune il fondamento [40]. Il direttore di una testata giornalistica, rappresentando una figura centrale nell’organizzazione e nello sviluppo dello stesso giornale in quanto anello di congiunzione tra “l’editore” e la redazione, svolge due delicati compiti: innanzitutto di conciliare la linea editoriale voluta dal primo con la libertà di informare riconosciuta alla seconda; in secondo luogo di verificare che l’esercizio della libertà di informazione e di formazione dell’opinione pubblica che si svolge sul suo giornale non vada a ledere in modo ingiustificato i diritti di terzi. Bilanciamento difficile ma nel quale il direttore del giornale è certamente confortato dalla giurisprudenza che, a partire dalla sentenza 8959/1984 della Suprema Corte di Cassazione, che con sentenza 8959/1984, ha ritenuto non diffamatoria l’attività giornalistica svolta nel rispetto dei criteri della “verità,  pertinenza e continenza”  [41]. In altri termini, solo se il giornalista avrà verificato la correttezza della notizia, avrà usato un linguaggio adeguato ed avrà diffuso notizie interessanti per la pubblica opinione, potranno essere applicate  allo stesso le ipotesi previste ex art  51 c.p. Premessi questi criteri, che devono essere rispettati in primo luogo dal giornalista nell’esercizio della propria attività ma che svolgono funzione di parametro anche per il direttore del giornale, appare opportuno analizzare le diverse tipologie di responsabilità – ne sono ravvisabili almeno quattro – a carico del direttore di un giornale cartaceo tre tipologie di responsabilità  in relazione alla pubblicazione di articolo che si presume essere diffamatorio. In primo luogo allo stesso può essere imputata una responsabilità diretta nel reato di diffamazione nel caso in cui egli firmi personalmente l’articolo diffamatorio, non essendoci in questo caso nessuna distinzione tra la responsabilità del giornalista analizzata in precedenza e la responsabilità del direttore. Qualora il direttore invece ponga in essere una condotta accessoria a quella principale del giornalista, potrà configurarsi in capo al responsabile del giornale una responsabilità concorsuale con l’articolista che ha redatto l’articolo diffamatorio. Si parlerà, in questo caso, di concorso omissivo o commissivo nel reato di diffamazione  [42]. La terza forma di responsabilità imputabile al direttore del giornale è, poi, quella per colpa ex art. 57 c.p., la quale ha conosciuto varie fasi e che oggi vede prevalere, sulla scia di una fondamentale sentenza della Corte Costituzionale, la teoria della culpa in vigilando [43]. A queste tre ipotesi di responsabilità, largamente accettate dalla giurisprudenza, se ne affianca una  quarta, di natura prevalentemente dottrinale, in virtù della quale viene prevista  una responsabilità del responsabile del direttore del giornale ex art. 40 comma 2 c.p. qualora l’articolo diffamatorio sia anonimo. In questo caso, infatti, il direttore assume una responsabilità di tipo diretto, venendo considerato alla stregua dell’autore del pezzo diffamatorio [44]. Si tratta, come appare evidente, di una situazione problematica, dal momento che il direttore non è l’autore dell’articolo, decide comunque di pubblicarlo garantendo l’anonimato dell’autore e ritenendo soddisfatti i requisiti di verità, pertinenza e continenza. Da qui la necessità di consiliare principi del diritto penale, primo fra tutti la personalità, con la tutela della persona lesa dall’articolo diffamatorio che ha portato la dottrina a formulare ipotesi diverse. Da alcuni autori si è ritenuto che il direttore sia immune da responsabilità; secondo altri invece egli deve essere ritenuto responsabile ai sensi dell’art 57 c.p. vista l’impossibile individuazione dell’autore del reato. Tale conclusione è stata però messa in discussione da quanti sostengono che l’art 57 c.p. sia strutturalmente inapplicabile al caso considerato, ritenendo sussistente, in questo particolare caso, un’ ipotesi di responsabilità diretta o al massimo una ipotesi di responsabilità concorsuale nel reato altrui [45]. Secondo altri, poi, dovrebbe rispondere a titolo di responsabilità concorsuale nell’articolo anonimo-diffamatorio [46]. Tale ultimo orientamento ha trovato riscontro nella sentenza della Corte di Cassazione, con la quale si è stabilito che “la pubblicazione di un articolo senza nome comporta l’attribuzione dell’articolo al direttore responsabile per la sua consapevole condotta volta a diffondere lo scritto diffamatorio” [47]. 5. La responsabilità del direttore di un giornale on line. Come prima rilevato, in mancanza di un intervento legislativo ad hoc, il forum ed il blog, pur rientrando a pieno titolo nella categoria dei mezzi di comunicazione, non possono essere equiparati alla stampa con la conseguenza che non sono applicabili agli stessi le norme previste dalla legge 47/48 in materia di responsabilità. Per quanto riguarda invece i giornali telematici registrati tale esclusione non può essere scontata, con la conseguenza che occorre analizzare, se possibile, i profili di responsabilità del suo direttore dal momento che non sembra essere contestata in nessuna sede la responsabilità del giornalista autore di un articolo diffamatorio pubblicato on line [48]. Poiché in materia manca un intervento legislativo ad hoc, gli unici riferimenti, al momento, sono le sentenze di merito e di legittimità, peraltro divergenti, volte a risolvere specifiche controversie. L’Ufficio Indagini Preliminari di Milano, infatti,  l’ 11 dicembre 2008 ha previsto che “nel caso di pubblicazione di giornale on-line, considerata l’interpretazione estensiva della definizione di stampa periodica di cui all’art 57 c.p. ed attesa l’evoluzione dello specifico concetto alla stregua del progresso tecnologico e della creazione della rete internet, deve ritenersi sussistente l’aggravante della diffamazione a mezzo stampa e la configurabilità della responsabilità del direttore responsabile fungendo il medesimo da garante della pubblicazione periodica, non solo cartacea ma anche on line. La pubblicazione di giornale on-line, e non riduttivamente e semplicisticamente di pagine web in appositi siti nel qual  caso si applicherebbe sempre l’aggravante ex art 595 c.p. ma sub specie di qualsiasi altro mezzo di pubblicità, risulta del tutto assimilabile al giornale cartaceo costituendone la versione telematica e consistendo, quest’ultima, solo in una particola forma della prima” [49]. Seguendo l’orientamento dell’ufficio milanese, anche il Tribunale di Firenze ha previsto che “è configurabile il reato di diffamazione a mezzo stampa quando la divulgazione delle notizie lesive avvenga tramite una testata telematica, stante l’applicabilità a tali fattispecie della disciplina sulla stampa, e stante la riforma della nuova legge sull’editoria che ha esteso la definizione di prodotto editoriale alle pubblicazioni divulgate con il mezzo elettronico. Qualora la diffamazione avvenga tramite commenti inseriti on-line dei quali sia ignoto l’autore, il direttore responsabile della testata telematica risponde del reato di diffamazione, ove le affermazioni lesive rimangano in rete per un lasso di tempo sufficiente ad esercitare il dovuto controllo” [50]. Di diverso avviso è la giurisprudenza di legittimità che, anche se ha evidenziato che sussistano evidenti analogie tra la stampa tradizionale e gli scritti pubblicati in Internet ed ammesso il maggior danno provocato da notizie diffamatorie diffuse attraverso i siti web, ha tuttavia stabilito che la possibile consultazione di informazioni in internet non trasforma di per sé tali mezzi di comunicazione in stampa [51]. La Suprema Corte ne deduce che il direttore di un giornale on line sia assimilabile al provider, oppure al coordinatore di un blog, con espresso riferimento quindi alla mancata possibilità di essere chiamato a rispondere del reato di diffamazione. In questa sentenza, la Suprema Corte evidenzia come si possa parlare di “stampa in senso giuridico” qualora sussistano due condizioni imprescindibili: deve esservi una riproduzione tipografica ed il prodotto di tale attività debba essere destinato alla pubblicazione e quindi debba essere effettivamente distribuito tra il pubblico [52]. Di conseguenza, per i giudici di legittimità, non è possibile applicare quanto previsto dall’art. 57 c.p. al direttore di un giornale on line non potendo lo stesso rispettare il precetto normativo visto che non è riscontrabile il collegamento psichico tra le condotta del soggetto astrattamente punibile e l’evento verificatosi e lo stesso nesso di causalità. Risulta interessante sottolineare come nella sentenza venga evidenziata l’impossibilità di  estendere la disciplina dell’art. 57 c.p., norma che, giova ricordarlo, si riferisce esclusivamente alla informazione diffusa tramite carta stampata, anche in considerazione della “implicita voluntas legis, atteso che, da un lato, risultano pendenti diverse ipotesi di estensione della responsabilità ex art. 57 c.p. al direttore del giornale telematico (il che costituisce ulteriore riprova che ad oggi tale responsabilità non esiste), dall’altro va pur rilevato che il legislatore è effettivamente intervenuto, negli ultimi anni, sulla materia senza minimamente innovare sul punto”  [53]. A simile conclusione arriva sempre la Suprema Corte con la sentenza 44126/11, con la quale viene sottolineato nuovamente il principio giurisprudenziale secondo cui non è possibile applicare la disciplina prevista dall’art. 57 c.p. al periodico on line,  con l’espressa conseguenza che il direttore di tale testata non possa rispondere quindi di omesso controllo, necessario ad impedire la commissione del reato di diffamazione aggravata perpetrato attraverso la pubblicazione di un commento lesivo della dignità altrui da parte di un lettore [54]. 6. Le prospettive di riforma della responsabilità del direttore di testata giornalistica nel progetto di legge S1119.  La giurisprudenza della Suprema Corte appena citata sottolinea un elemento che non può che essere condiviso, ossia l’impossibilità di estendere analogicamente la normativa prevista per un mass media definito, quale appunto è la stampa, ad un altro media qual è il web. Le diverse pronunce che si sono susseguite hanno definito un quadro non univoco, a partire dalla controversa riconducibilità di un giornale on line registrato nel novero dei generici siti internet, oppure in quello dei “giornali”, quindi come mezzi di informazione professionale che, anche se presentano caratteristiche “fisiche” diverse da quello cartaceo, ne condividono la medesima finalità informativa. Peraltro, la riconduzione, ad oggi prevalente, dei giornali on line alla categoria generale dei siti internet rende problematico motivare la loro iscrizione nel registro dei periodici e il conseguente accesso degli stessi ai fondi pubblici per l’editoria, che giova ribadire hanno lo scopo di consentire il massimo pluralismo nel settore dell’informazione professionale. Al tempo stesso il vuoto normativo in materia rende difficile definire se quanto pubblicato su un giornale on line registrato sia un “articolo”, equiparabile a quello pubblicato su un qualsiasi giornale cartaceo, o sia un post, e debba quindi seguire la disciplina prevista per i blog: nel primo caso, infatti, in presenza di un articolo diffamatorio, non sembra contestabile sia che l’autore dello stesso debba essere assoggettato  alle stesse norme  previste per il giornalista della carta stampata, sia, in caso di articolo diffamatorio anonimo o firmato con nome di fantasia, vista l’impossibilità di identificare l’autore dell’articolo, che il direttore della testata on line ne acquisti la “ paternità”. Se invece si vuole intendere l’articolo on line come un post, equiparando la stampa on line  ai mezzi di informazione quale il blog, tale equiparazione non è possibile, con le lacune nelle garanzie di terzi sulle quali ci si è già soffermati [55]. I dubbi in merito alla responsabilità del direttore di una testata on line in caso di articolo diffamatorio potrebbero ora trovare finalmente soluzione con l’approvazione definitiva del progetto di legge S119 (Modifiche alla legge 8 febbraio 1948, n. 47, al codice penale e al codice di procedura penale in materia di diffamazione, di diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, di ingiuria e di condanna del querelante), che già superato il vaglio della Camera, attualmente in discussione al Senato, dove ha completato l’iter in Commissione. Un primo, importante, elemento di innovazione contenuto nel progetto di legge è l’aggiunta all’art. 1 della l. 47/1948 della disposizione che estende la disciplina della legge stessa anche alle testate giornalistiche televisive e, per la parte che qui interessa, ai giornali on line registrati [56]. Con riferimento a questi ultimi la previsione normativa introduce due elementi di grande interesse: innanzitutto l’estensione a questi ultimi dell’intera legge 47/1948 e quindi, se il progetto verrà approvato con questo testo, di tutti gli istituti in essa contenuti [57]; in secondo luogo, dando valore normativo a quanto espresso da prevalente giurisprudenza in materia, viene operata una scissione tra contenuti immessi dalla redazione (“limitatamente ai contenuti prodotti, pubblicati, trasmessi o messi in rete dalle stesse redazioni”, per usare le parole del legislatore), sui quali quindi è attivabile la responsabilità dei giornalisti e del direttore, e commenti inseriti dagli utenti (considerati “terzi non professionisti”), dei quali questi ultimi restano gli unici responsabili, nella misura in cui si riesca ad individuarli. Nulla infatti viene comunque detto nel progetto di legge in materia di commenti anonimi. Il progetto di legge opera tale distinzione tra contenuti redazionali e commenti degli utenti con particolare riferimento a due aspetti: la rettifica e la responsabilità del direttore. Per quanto concerne la rettifica, come è noto, sia la legge 47/48 in materia di stampa che la legge 223/90, in materia di radiotelevisione, hanno disciplinato in maniera dettagliata tale istituto. L’art 8 della legge 47/48, infatti, obbliga il direttore del giornale a far pubblicare le rettifiche, non oltre due giorni da quello in cui è avvenuta la  richiesta, gratuitamente, sul quotidiano, sul periodico o nell’agenzia di stampa, nella stessa pagina del giornale che ha riportato la notizia a cui si riferiscono. Per quanto riguarda invece la materia radiotelevisiva, l’art 10 della legge 223/90, considerando i direttori dei telegiornali e dei giornali radio quali direttori responsabili, espressamente stabilisce che agli stessi si applicano le stesse norme previste dalla  legge sulla stampa in materia, prevedendo che la rettifica debba essere effettuata entro quarantotto ore dalla ricezione della richiesta, durante la fascia oraria e con lo stesso rilievo della trasmissione che ha dato origine alla lesione. I siti di informazione on line invece non sono obbligati sino ad oggi alla rettifica, anche se per una maggiore tutela dei soggetti lesi da notizia pubblicate su tali siti, il Garante della Privacy, con decisione 24 gennaio 2013 ha stabilito l’obbligo per questi siti di predisporre, nell’ambito dell’archivio storico on line, un sistema idoneo a segnalare l’esistenza di sviluppi delle notizie pubblicate, introducendo quindi l’obbligo di aggiornamento dell’archivio storico del sito volto ad avere la stessa funzione della rettifica in materia di stampa e radiotelevisione. Nel progetto di legge in esame, la distinzione tra i diversi tipi di testata giornalistica cadrà e la rettifica dovrà essere pubblicata senza commento e risposta menzionando il titolo, la data e l’autore dell’articolo diffamatorio con l’obbligo per il direttore di informare della richiesta l’autore del servizio. Con specifico riferimento, invece, al profilo della responsabilità del direttore  e del vice direttore, viene riformulato e adeguato il contenuto dell’art 57 c.p. dal momento che, tenendo conto delle nuove modalità con cui possono essere commessi i reati (con altri mezzi di diffusione), rafforza  il nesso di causalità tra i doveri di vigilanza del direttore e i delitti commessi. Il testo vigente dell’art 57 c.p. fa infatti riferimento, nella rubrica e nello stesso testo, alla sola stampa periodica, che nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, come ricordato, viene letta come “ giornale cartaceo”. La proposta di legge, invece, già nella rubrica parla espressamente di “stampa” (che rimane quindi solo cartacea) e di “diffusione radiotelevisiva o con altro mezzi di diffusione”, evidenziando così come tutti i mass media, per i quali sia prevista la figura del direttore,  sono assoggettati alla medesima disciplina, in termini di responsabilità. Il testo del riformando art. 57 è peraltro ancora più specifico, in quanto prevede che  “il direttore e il vice direttore responsabile del quotidiano, del periodico o della testata giornalistica, radiofonica o televisiva o della testata giornalistica on line registrata ai sensi dell’art 5 della legge 8 febbraio 1948 n. 47, limitatamente ai contenuti prodotti, pubblicati o  trasmessi dalle stesse redazioni, risponde dei delitti commessi con il mezzo della stampa, della diffusione radiotelevisiva e con altri mezzi di diffusione se il delitto è conseguenza della violazione dei doveri di vigilanza sul contenuto della pubblicazione”. Anche riformando l’intero dettato della disposizione, il legislatore ha lasciato, comunque, inalterata la natura della responsabilità del direttore e del suo vice. Infatti, pur essendo scomparsa la locuzione “il quale omette di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario”, il riferimento ai doveri di vigilanza, propri della figura del responsabile della testata e del suo vice, resta, senza dubbio, elemento costitutivo e fondamentale per le ipotesi di responsabilità per omesso controllo, addebitabile agli stessi soggetti [58]. Al riguardo, il progetto di legge, innovando la normativa vigente, esclude l’applicazione della pena detentiva e aumenta l’importo delle pene pecuniarie [59]. Nello specifico la pena detentiva viene sostituita da una multa, in caso di attribuzione di un fatto determinato, associata all’obbligo della pubblicazione della sentenza. In questo progetto di legge sono previste inoltre anche particolari sanzioni di carattere disciplinare. In caso di recidiva, infatti, è prevista la possibilità che il direttore venga temporaneamente interdetto dall’esercizio della professione. Con particolare riguardo alla figura del direttore del giornale, secondo questa proposta, fuori dai casi di concorso con l’autore del servizio, lo stesso non risponde più a titolo di colpa ma solo se vi è un nesso di causalità tra omesso controllo e diffamazione: in questo caso la pena può essere in ogni caso ridotta di un terzo [60]. Da questa, seppur breve, disamina del progetto di legge emerge l’elemento, certamente positivo, della equiparazione della stampa on line alle altre forme di informazione professionale, sottolineando così come essa rappresenti oggi un mezzo importante mediante il quale si forma l’opinione pubblica. In questo modo, inoltre, viene anche rispettato dal nostro Stato l’obbligo, presente nel preambolo del capo II della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, di “rafforzare la tutela dei diritti fondamentali, alla luce dell’evoluzione della società, del progresso sociale e degli sviluppi scientifici e tecnologici” [61]. Se definitivamente approvato, il progetto, al di là di ogni altra considerazione, si presenta idoneo ad operare una nuova, diversa distinzione tra informazione professionale e non professionale, slegandola dal mezzo utilizzato e legandola alla finalità informativa. In quest’ottica, ancora una volta verrà confermata l’attualità dell’art. 21 della Costituzione che tale distinzione aveva voluto nettamente affermare, distinguendo tra disciplina della manifestazione del pensiero di “tutti” e informazione professionale, allora circoscritta alla carta stampata e oggi propria di tutti i mass media. Note: [*] Il presente contributo è stato preventivamente sottoposto a referaggio anonimo affidato ad un componente del Comitato di Referee secondo il Regolamento adottato da questa Rivista. [1] Il riferimento è alla Proposta di legge presentata alla Camera dei Deputati (C. 925) recante come titolo “Diffamazione a mezzo della stampa o di altro mezzo di diffusione” ed ora in discussione al Senato (S 1119). Il disegno di legge, se approvato, non porterà comunque alla depenalizzazione dei reati contro l’onore, diversamente da quanto viene richiesto da molti  in sede politica e dottrinale. [2] Ne è esempio l’Habeas Corpus, all’interno del quale, si inizia già a parlare di “libertà di manifestazione del pensiero”. Mentre in Inghilterra, grazie all’emanazione di tale  fondamentale  testo, si inizia ad intravedere, anche se in maniera generica, una tutela della libertà di pensiero, negli Stati Uniti ed in Francia, che sono divenuti nel XIX secolo modelli di riferimento, è solo dopo  la rivoluzione americana e quella francese, e quindi con l’avvento della Costituzione Americana e  della Dichiarazione dei diritti dell’Uomo in Francia, che tali diritti hanno ricevuto una tutela specifica. Il “modello” americano, che trova formalizzazione nel 1° Emendamento della Costituzione del 1787, indica la libertà di espressione quale fattispecie preesistente alla sua costituzionalizzazione che dunque non è sottoponibile ad alcuna forma di limitazione, se non da parte di un giudice. L’“esempio” francese, che trova invece estrinsecazione nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1789 e nella Costituzione del 1791, pone invece le sue basi nella stretta ed intima connessione sussistente tra diritti di libertà e norma, definendo la Costituzione e la legge del Parlamento quali mezzi necessari per creare  un punto di equilibrio tra libertà e potere autoritativo. All’art. 11 la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo infatti statuisce che La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’uomo: tutti i cittadini possono dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo a rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla legge”. Nel Titolo I delle Disposizioni fondamentali garantite dalla Costituzione viene statuito che “La Costituzione garantisce parimenti come diritti naturali e civili: La libertà di ogni uomo di parlare, di scrivere, di stampare e di pubblicare i suoi pensieri, senza che gli scritti possano essere sottoposti ad alcuna censura né ispezione prima della loro pubblicazione”. Tale equilibrio è il  frutto del richiamo all’affermazione costituzionale della libertà in oggetto, al categorico divieto di interventi preventivi volti al condizionamento dell’esercizio di suddetta libertà ed infine alla possibilità da parte del legislatore di definire la nozione di “abuso” da cui far discendere  conseguentemente l’intervento del giudice. Successivamente, come è noto, il modello francese, di matrice rigorosamente positivistica, fu di esempio per lo Statuto Albertino del 1848, che anche se si presentò come intervento legislativo a carattere generale, fu senza dubbio il primo che andò a regolare la libertà di manifestazione del pensiero in Italia. [3] Cfr. art. 28 Statuto Albertino secondo il quale “La Stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi. Tuttavia le bibbie, i catechismi, i libri liturgici e di preghiere non potranno essere stampati senza il preventivo permesso del Vescovo”. [4] La legge del 1859, andando a definire i compiti dell’autorità pubblica di sicurezza in materia modificò sensibilmente la ratio dell’Editto sulla stampa. In particolare la novità senza dubbio più importante in materia fu l’introduzione di un’autorizzazione obbligatoria che doveva essere rilasciata allo stampatore per l’esercizio della propria attività da parte della polizia ed il sequestro preventivo che poteva essere disposto anche dall’Autorità di Pubblica Sicurezza. Con la legge 278/1906, il legislatore limitò poi l’utilizzo del sequestro preventivo solo ai casi di violazione del buon costume e del mancato rispetto dell’obbligo di deposito delle tre copie presso l’autorità pubblica; questo intervento legislativo fu tuttavia vanificato dallo scoppio della prima guerra mondiale, in conseguenza della quale la libertà di stampa subì nuovamente restrizioni. Cfr. sul punto P. Caretti, Diritto dell’informazione e della comunicazione, Il Mulino, 2011, 22. [5] Cfr. sul punto G. Lazzaro,  La libertà di stampa in Italia: dall’ Editto albertino alle norme vigenti, Mursia, 1969; P. Barile , Libertà di manifestazione del pensiero, in Enc. dir., XXIV, 1974, 424 ss.; G. Ponzo, Le origini della libertà di stampa in Italia, (1846-1852) Giuffrè, 1980, 315 ss 387 ss.; S. Grassi , Informazione (libertà di), in Nuov. Dig. It, App. vol IV, 1983 ; P. Barile, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Il Mulino, 1984; A. Baldassarre , Diritti inviolabili, in Enc. giur., XI, Giuffrè, 1989 ; P. Caretti, Diritto dell’informazione e della comunicazione, cit., 35. [6]Per quanto riguarda la stampa, la Costituzione, come è noto, ne amplia la garanzia stabilendo l’impossibilità di sottoporre la stessa ad autorizzazione, censura e sequestro preventivo se non per i casi espressamente previsti dalla legge sulla stampa. [7] La dottrina e la giurisprudenza costituzionale si sono ampiamente interessate di quest’ultimo diritto evidenziando come esso disciplini al di là della possibile interpretazione, situazioni giuridiche diverse. Sono infatti desumibili dal testo dell’art. 21cost. varie modalità di espressione della propria opinione, ognuna delle quali riceve accurata attenzione da parte del Costituente. Si pensi, ad esempio, alla tutela del pensiero espresso per finalità ludiche, artistiche, il diritto ad informare professionalmente e non, il diritto di essere informati. Due tra le diverse situazioni giuridiche soggettive previste dall’art 21 cost. rilevano in modo particolare in questa sede:   il diritto di essere informati e la libertà di informazione professionale. In particolare, per quanto concerne la libertà di stampa, accanto allo specifico riconoscimento del diritto di informare, la Carta pone le basi per la definizione di un diritto ad essere informati, inteso quale diritto del cittadino a ricevere una informazione quanto più possibile completa ed imparziale, affidando quindi allo Stato il ruolo di garante della corretta realizzazione della libertà di espressione da parte dei singoli ed il pluralismo delle fonti informative. L’analisi dell’art 21 permette, senza dubbio, come accennato in precedenza, di individuare in esso un chiaro riferimento anche alla libertà di informazione professionale. Al 2°comma dello stesso articolo, infatti, analizzando le tutele per la libertà di stampa, espressione principale della libera manifestazione del pensiero, il Costituente ha fissato tre principi fondamentali quali quello del divieto di autorizzazione o censura, il divieto di ricorrere all’istituto del sequestro se non in casi del tutto eccezionali e l’obbligo per le case editrici di rendere noti i loro mezzi di finanziamento. La disposizione, di matrice garantista, prevista in materia di autorizzazione e censura viene poi confermata dalla disciplina del sequestro degli stampati. Il terzo comma dell’art. 21 infatti prevede, inoltre, espresse garanzie per l’istituto del sequestro basate su un’ipotesi di una riserva di legge e di una riserva di giurisdizione. Con la previsione di cui al quinto comma invece, oggetto di tutela è  il c.d. principio di trasparenza delle fonti di finanziamento, il quale ha assunto con il passare del tempo rilevanza sempre maggiore, fino ad assumere il ruolo di vera e propria forma di tutela non solo di chi informa, ma anche di chi riceve informazioni. Ne dà conferma la stessa Corte costituzionale che, nella sentenza n. 84 del 1969, ha definito la manifestazione del pensiero “pietra angolare della democrazia” a prescindere dalle modalità di espressione dello stesso. Cfr. sul punto G. Cuomo, Libertà di stampa e impresa giornalistica nell’ordinamento costituzionale, Jovene, 1956; S. Fois , Principi costituzionali e libertà di manifestazione del pensiero, Giuffrè, 1957; P. Barile, Le libertà nella Costituzione, Cedam, 1966, 181 ss.; C. Chiola, L’informazione nella Costituzione, Cedam, 1973; A. Pace- M. Manetti, Rapporti civili .Libertà di manifestazione del proprio pensiero, Il Mulino, 2006. [8] Infatti il paragrafo 1 dell’art 10 C.E.D.U. afferma che “Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti frontiera”. L’art 11 C.E.D.U. invece statuisce che “Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione, Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. La libertà dei media e i loro pluralismi sono rispettati” [9] Cfr. Sunday Times c Regno Unito, 26 novembre 1991; Observer e Guardian c Regno Unito, 26 novembre 1991, Vogt c Germania, 26 settembre 1995; Fressoz e Roire c Francia, 21 gennaio 1999. Sul punto, più ampiamente cfr. R. Mastroianni,  La direttiva sui servizi media audiovisivi e la sua attuazione nell’ordinamento italiano, Giappichelli, 2011, 30; G. Strozzi, La libertà di informazione nel diritto internazionale, in Nuove dimensioni nei diritti di libertà, in Scritti in onore di Paolo Barile, Padova, 1990. [10] Il concetto di “cane da guardia delle istituzioni”, citato in alcune sentenze delle Corti sovranazionali in riferimento al ruolo dell’informazione, è stato ripreso anche dalla Corte di Cassazione, che ha ribadito in due recenti decisioni la funzione peculiare della stampa per la divulgazione dei temi di pubblico interesse. Corte di Cassazione 21 febbraio 2007 n° 25138  in Cass. pen. 2008, 7-8, 2882 e Corte di Cassazione 9 febbraio 2011 n° 15447 in Guida al diritto 2011, 26, 88. [11] Giova precisare, però, che già prima della Carta di Nizza, la Corte di Giustizia aveva riconosciuto  la tutela prevista per la libertà d’espressione come principio generale frutto della C.E.D.U.  e delle tradizioni costituzionali, anche se la stessa veniva interpretata da un punto di vista funzionalistico con particolare riferimento agli obiettivi del mercato comune. Sul punto più ampiamente, cfr. P. Caretti, Diritto dell’informazione e della comunicazione, cit., 37. Si veda inoltre, tra gli altri P. Costanzo, Informazione nel diritto costituzionale, in Digesto disc. Pubbl., VIII, 1993; G. Corasaniti, Diritto dell’informazione, Padova, 1999; P. Costanzo  Stampa (Libertà di), in Digesto disc. Pubbl., XIV, 1999; AA.VV. Percorsi di diritto dell’informazione, Torino, 2006. [12] Cfr. P. Caretti, Diritto dell’informazione e della comunicazione, cit, 53. [13] Cfr. sul punto G. Cuomo, Libertà di stampa ed impresa giornalistica nell’ordinamento costituzionale, cit.; C. Mortati, La libertà di stampa in regime democratico, in Raccolta di scritti, vol III, Giuffrè, 1973; A. Baldassare, Libertà di stampa e diritto all’informazione nelle democrazie contemporanee, in Politica del Diritto, 1986.; L. Paladin, Libertà di pensiero e libertà di informazione: le problematiche attuali, in Quad. cost., 1987; G. Corasaniti, Diritto dell’informazione, Cedam, 1999. [14] Cfr. Art. 14  e 15 Legge 8 febbraio 1948 n° 47: Art. 14 – (Pubblicazioni destinate all’infanzia o all’adolescenza): Le disposizioni dell’art. 528 del Codice penale si applicano anche alle pubblicazioni destinate ai fanciulli ed agli adolescenti, quando, per la sensibilità e impressionabilità ad essi proprie, siano comunque idonee a offendere il loro sentimento morale od a costituire per essi incitamento alla corruzione, al delitto o al suicidio. Le pene in tali casi sono aumentate. Le medesime disposizioni si applicano a quei giornali e periodici destinati all’infanzia, nei quali la descrizione o l’illustrazione di vicende poliziesche e di avventure sia fatta, sistematicamente o ripetutamente, in modo da favorire il disfrenarsi di istinti di violenza e di indisciplina sociale. Art. 15 – (Pubblicazioni a contenuto impressionante o raccapricciante): Le disposizioni dell’art. 528 del Codice penale si applicano anche nel caso di stampati i quali descrivano o illustrino, con particolari impressionanti o raccapriccianti, avvenimenti realmente verificatisi o anche soltanto immaginari, in modo da poter turbare il comune sentimento della morale o l’ordine familiare o da poter provocare il diffondersi di suicidi o delitti. [15] Una prima forma di rettifica, in realtà, già era stata prevista dall’ Editto sulla Stampa del 1848 in cui, all’art. 43,  recitava: “I gerenti saranno tenuti d’inserire, non più tardi della seconda pubblicazione successiva al giorno in cui le avranno ricevute le risposte o le dichiarazioni delle persone nominate nelle loro pubblicazioni. L’inserzione della risposta deve essere intiera e gratuita”. L’art. 8 della legge 47/48 invece prevede che “Il direttore o, comunque, il responsabile è tenuto a fare inserire gratuitamente nel quotidiano o nel periodico o nell’agenzia di stampa le dichiarazioni o le rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini od ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità, purché le dichiarazioni o le rettifiche non abbiano contenuto suscettibile di incriminazione penale. Per i quotidiani, le dichiarazioni o le rettifiche di cui al comma precedente sono pubblicate, non oltre due giorni da quello in cui è avvenuta la richiesta, in testa di pagina e collocate nella stessa pagina del giornale che ha riportato la notizia cui si riferiscono. Per i periodici, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, non oltre il secondo numero successivo alla settimana in cui è pervenuta la richiesta, nella stessa pagina che ha riportato la notizia cui si riferisce. Le rettifiche o dichiarazioni devono fare riferimento allo scritto che le ha determinate e devono essere pubblicate nella loro interezza, purché contenute entro il limite di trenta righe, con le medesime caratteristiche tipografiche, per la parte che si riferisce direttamente alle affermazioni contestate. Qualora, trascorso il termine di cui al secondo e terzo comma, la rettifica o dichiarazione non sia stata pubblicata o lo sia stata in violazione di quanto disposto dal secondo, terzo e quarto comma, l’autore della richiesta di rettifica, se non intende procedere a norma del decimo comma dell’articolo 21, può chiedere al pretore, ai sensi dell’articolo 700 del codice di procedura civile, che sia ordinata la pubblicazione. La mancata o incompleta ottemperanza all’obbligo di cui al presente articolo è punita con la sanzione amministrativa da lire 15.000.000 a lire 25.000.000. La sentenza di condanna deve essere pubblicata per estratto nel quotidiano o nel periodico o nell’agenzia. Essa, ove ne sia il caso, ordina che la pubblicazione omessa sia effettuata”. Cfr. A. Lojodice, Contributo allo studio sulla libertà di informazione, Jovene, 1969; N. LIPARI, Libertà di informare o diritto ad essere informati ?, in Dir. radiodiff., 1978; M. Luciani, La libertà di informazione nella giurisprudenza costituzionale italiana, in Politica del Diritto, 1989, 605 ss. [16] L. 14 aprile 1975, n.104, Nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva;  L. 6 agosto 1990 n. 223, Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato. [17] Cfr. sul punto A. Chimenti,  L’ordinamento radiotelevisivo italiano, Giappichelli, 2007; M.  Cuniberti, Nuove tecnologie e libertà della comunicazione: profili costituzionali e pubblicistici, Giuffrè 2008; A.M. Gambino- A. Stazi, Diritto dell’informatica e della comunicazione, Giappichelli, 2009; R. Zaccaria,  Diritto dell’informazione e della comunicazione, Cedam, 2010, D. Pomata, La responsabilità penale del direttore del telegiornale e del periodico telematico, in www.altalex.it [18] Sugli elementi citati nel testo, indicati da una nota sentenza della Suprema Corte di Cassazione si ritornerà infra. Sul punto cfr. A. Papa, La disciplina di stampa alla prova delle nuove tecnologie, in Riv. inform., 2011, 3, 477 ss. Particolarmente degne di attenzione sono le decisioni del Tribunale di Napoli e del Tribunale di Roma del 1997 ed in seguito quella del Tribunale di Oristano nel 2000. Con decreto del 18 marzo 1997, il Tribunale di Napoli ordinava la registrazione, ai sensi dell’art. 5 della legge 47/48, di un giornale on-line solo ed esclusivamente se lo stesso fosse stato stampato sul supporto cartaceo. Per applicare la legge sulla stampa quindi  veniva confermato per i giornali on-line il requisito ontologico, “tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico chimici”,  ed il requisito teleologico “in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione”, Tribunale di Napoli, sez I, decr. 18 marzo 1997, in Foro it, 1997, I, 2307. Sullo stesso argomento intervenne il Tribunale di Roma, che con ordinanza del 6 novembre 1997, ha stabilito che “un periodico telematico può beneficiare della tutela rappresentata dalla registrazione, in quanto possiede sia il requisito ontologico, sia quello finalistico relativo alla diffusione delle notizie, pur con una tecnica di diffusione diversa dalla stampa”. La possibilità di applicare l’art. 1 della legge 47/48 fu riconosciuta anche  per le notizie diffuse tramite Internet, con  “l’esclusione in ogni caso, delle contestuali norme di rilievo penale, prime fra tutte gli art. 57 c.p. e 16 della legge 47/48”. Vista la caratteristica principale di tali reati, la commissione degli stessi tramite stampa, in virtù del principio di legalità e il conseguente divieto di estensione analogica in malam partem venne impedito che tali disposizioni potessero applicarsi ad eventuali comportamenti commessi attraverso le reti telematiche. L’ordinanza segnava, secondo autorevole dottrina, “un passo importante, forse addirittura rivoluzionario, per l’evoluzione della nostra giurisprudenza, costituendo, infatti, la prima pronuncia con cui si è riconosciuta la qualifica di stampa ad una testata telematica”. Cfr sul punto F. Lolli,  I contenuti in rete tra comunicazione e informazione, in Resp. comunicazione impresa, 1999, 457; cfr. Tribunale di Roma, sez. per la stampa e l’informazione, ord. 6 novembre 1997, in Riv. inform., 1998, 75. Il tribunale di Oristano invece con decisione del 25 maggio 2000, nell’escludere, in virtù del generale divieto di analogia in diritto penale sancito dall’art. 14 disp. prel, l’applicabilità alle affermazioni diffamatorie on-line dell’art.13 della legge 47/48, individuò nell’art. 595, commi 2 e 3 c.p., la disciplina per sanzionare l’immissione su Internet di affermazioni diffamatorie. Tribunale Oristano, 25 maggio 2000, in Foro it, 2000, II, 663. Tale previsione fu confermata dalla Cassazione, che con sentenza 27 dicembre 2000 n. 4741 ha ammesso la punibilità della diffamazione commessa tramite internet in virtù del comma 3 dell’art. 595 c.p. Cfr. sul punto Corte di Cassazione 27 dicembre 2000 n. 4741, in Guida al diritto 2001, n. 3, 73; R. sciaudone, Profili del regime giuridico applicabile alle testate telematiche, cit, 209; Tribunale Oristano, 25 maggio 2000, in Foro it, 2000, II, 663. [19] Art. 2 Legge 47/48: “Ogni stampato deve indicare il luogo e l’anno della pubblicazione, nonché il nome e il domicilio dello stampatore e, se esiste, dell’editore. I giornali, le pubblicazioni delle agenzie d’informazioni e i periodici di qualsiasi altro genere devono recare la indicazione: del luogo e della data della pubblicazione; del nome e del domicilio dello stampatore; del nome del proprietario e del direttore o vice direttore responsabile. All’identità delle indicazioni, obbligatorie e non obbligatorie, che contrassegnano gli stampati, deve corrispondere identità di contenuto in tutti gli esemplari”. Art. 5 Legge 47/48 “Nessun giornale o periodico può essere pubblicato se non sia stato registrato presso la cancelleria del tribunale, nella cui circoscrizione la pubblicazione deve effettuarsi. Per la registrazione occorre che siano depositati nella cancelleria: 1) una dichiarazione, con le firme autenticate del proprietario e del direttore o vice direttore responsabile, dalla quale risultino il nome e il domicilio di essi e della persona che esercita l’impresa giornalistica, se questa è diversa dal proprietario, nonché il titolo e la natura della pubblicazione; 2) i documenti comprovanti il possesso dei requisiti indicati negli artt. 3 e 4; 3) un documento da cui risulti l’iscrizione nell’albo dei giornalisti, nei casi in cui questa sia richiesta dalle leggi sull’ordinamento professionale; 4) copia dell’atto di costituzione o dello statuto, se proprietario è una persona giuridica. Il presidente del tribunale o un giudice da lui delegato, verificata la regolarità dei documenti presentati, ordina, entro quindici giorni, l’iscrizione del giornale o periodico in apposito registro tenuto dalla cancelleria. Il registro è pubblico.” [20] Ad esempio l’obbligo di indicare sullo stampato  il luogo e l’anno della pubblicazione, nonché il nome e il domicilio dello stampatore. Da ciò è possibile rilevare l’importanza di stabilire l’essenzialità della presenza di uno stampatore vista l’impossibile applicazione di tale requisito alla stampa on-line o se sia possibile identificare l’Internet provider quale soggetto legittimato a ricoprire tale ruolo. Cfr. sul punto A. Papa,  Espressione e diffusione del pensiero in Internet, Giappichelli, 2009, 140 ss. [21] Tale imposizione potrebbe però essere disattesa. Infatti l’art. 16  della stessa legge prevede l’esenzione da tale obbligo per i soggetti tenuti all’iscrizione al registro degli operatori di comunicazione predisposto dalla legge n.249/97. Inoltre gli  obblighi previsti dall’art. 5 potrebbero scontrarsi con quanto previsto dalla direttiva 31/2000/CE avente ad oggetto lo sviluppo dei servizi della società dell’informazione. In questo caso si andrebbe a restringere la libertà di stabilimento per quei soggetti che hanno ricevuto autorizzazioni in un altro Stato, con il rischio quindi di un “obiettivo ostacolo alla libertà di prestazione dei servizi della società dell’informazione”. [22] V.Zeno- Zencovich, I prodotti editoriali elettronici nella l. 7 marzo 2001 n.62 e il preteso obbligo di registrazione, , in Riv. Inform., 2001,166 ss; T. Senni, La nuova legge sull’editoria e le sue conseguenze sullo sviluppo dell’editoria elettronica, in Dir. comm. Int., 2001, il quale vede nell’estensione dell’obbligo di registrazione ai giornali on-line un elemento di incompatibilità con la direttiva in quanto tendente a colpire la prestazione di una particolare attività appartenente alla categoria dei servizi della società dell’informazione, considerato che la direttiva di applica anche ai giornali on-line. Secondo tale autore infatti, “la diffusione e la visualizzazione di informazioni e di dati in rete, non potendo essere fatta ricomprendere nella categoria del trasferimento dei beni, consiste evidentemente nella prestazione di un’attività immateriale, cioè in uno scambio di file tra il computer che ospita il giornale ed il computer del lettore. Tale interpretazione della prestazione di servizi come categoria residuale rispetto al trasferimento dei beni materiali è del resto confermata da una ricca giurisprudenza della Corte di Giustizia della Comunità Europea”. Nessun contrasto con la direttiva è rilevato invece da G. Scorza,  I veri rischi della l. 62/01, in www.interlex.it, secondo cui “è la stessa normativa EU a richiedere agli stati membri di riservare ai servizi della società dell’informazione il medesimo trattamento giuridico delle equivalenti attività esercitate attraverso i canali tradizionali”. Cfr. inoltre R. Sciaudone, Profili del regime giuridico applicabile alle testate telematiche, cit, 209; 166; R. Loi, Via libera alla nuova legge sull’editoria: contenuto e spunti interpretativi, in Dir. prat. Soc., 2001, n. 12; M. Quaranta, Le testate telematiche, in Dir. ec. mezzi di comunicazione, 2002, 50  [23] Legge 1 marzo 2002, n°39, Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria 2001″, in www.camera.it [24] Cfr. G. Cassano – F.buffa,  Responsabilità del content provider e dell’ host provider, in Corr. Giur., 2003, 80 [25] Le Sezioni Unite. hanno ribadito che “non sussiste l’obbligo di registrazione presso la Cancelleria del Tribunale per il giornale informatico diffuso in via telematica, ossia per quei blog, o , più in generale, per quei siti web che pubblicano informazioni con frequenza regolare”. Sul punto cfr. Cass. Sez. Un. 10 aprile 2012 n. 23230 in Diritto e giustizia, 2012. Risulta necessario specificare però che dopo questa sentenza della Cassazione, è entrata in vigore una nuova norma che pone una limitazione alla facoltà di non registrare le testate presso i tribunali di competenza. Si tratta della legge 16 luglio 2013 n.103  la quale prevede che “Le testate periodiche realizzate unicamente su supporto informatico e diffuse unicamente per via telematica ovvero on-line, i cui editori non abbiano fatto domanda di provvidenze, contributi o agevolazioni pubbliche e che conseguano ricavi annui da attività editoriale non superiori a 100.000 euro, non sono soggette agli obblighi stabiliti dall’art 5 della legge 8 febbraio 1948 n.47, dall’art 1 della legge 5 agosto 1981 n.416, e successive modifiche, e dall’art 16 della legge 7 marzo 2001 n. 62, e ad esse non si applicano le disposizioni di cui alla delibera dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 666/08/CONS del 26 novembre 2008 e successive modifiche”. Stando quindi a quanto stabilito dalla nuova  legge, rimane legittimo l’esonero dall’obbligo di registrazione per tutti i blog e i giornali che non intendano accedere a finanziamenti pubblici a condizione che il ricavo derivante dall’attività della testata on-line non superi i 100.000 euro annui. [26] V.Zeno- Zencovich, I prodotti editoriali elettronici nella l. 7 marzo 2001 n.62 e il preteso obbligo di registrazione, cit, 166 ss; [27] Il Tribunale di Teramo aveva negato l’equiparazione di un sito Internet ad un giornale in quanto del tutto diverso è il mezzo di diffusione, rispetto al quale può ritenersi effettivamente ragionevole dare per provato che un giornale sia letto da più persone o una trasmissione televisiva raggiunga più spettatori”. Tribunale di Teramo, 6 luglio 2002 n. 112 in www.interlex.it. [28] Cfr. Tribunale di Aosta 15 febbraio 2002, in Giur. Merito, 2002, 765Tribunale di Aosta 26 maggio 2006, in Dir. Inf. 2006, 3, 366-373; e in Dir. e giust., 2006, 31, 76. Il Tribunale nella prima decisione negò l’applicabilità della responsabilità disciplinate dalla legge sulla stampa ad un sito Internet, poiché il testo non poteva essere reso pubblico su un sito assimilabile ad uno stampato. Nella seconda pronuncia del Tribunale aostano invece venne riconosciuta in capo al gestore  di un blog la posizione di direttore responsabile di una testata stabilendo che “ colui che gestisce il blog, altro non è che il direttore responsabile dello stesso, pur se non viene formalmente utilizzata tale forma semantica per indicare la figura del gestore proprietario di un sito Internet, sui cui altri soggetti possano inserire interventi. Ma evidentemente, la posizione di un direttore di una testata giornalistica stampata e quella di chi gestisce un blog (che infatti può cancellare messaggi) è mutatis mutandis identica. Il gestore di un blog  ha infatti il totale controllo di quanto viene postato e, per l’effetto, allo stesso modo di un direttore responsabile, ha il dovere di eliminare quelli offensivi. Diversamente, vi è responsabilità penale ex art. 596 bis c.p.”. [29] Cfr. Corte di Cassazione, 10 marzo 2009, n. 10535 in www.cortedicassazione.it . La Suprema Corte nella sentenza in questione ha rigettato il ricorso di un’associazione di consumatori che invocava, per il forum del proprio sito internet, le regole dettate per la stampa dal comma 3 dell’art 21 Cost. Nell’argomentare il proprio rifiuto la Corte ha evidenziato come “Gli interventi dei partecipanti al forum in questione invece non possono essere fatti rientrare nell’ambito della nozione di stampa, neppure nel significato più esteso ricavabile dall’art. 1 legge 7 marzo 2001. Il semplice fatto che i messaggi e gli interventi siano visionabili da chiunque o almeno da coloro che si siano registrati nel forum stesso, che è assimilabile ad un gruppo di discussione, possa essere qualificato come un prodotto editoriale, o come un giornale on line o come una testata giornalistica informatica. Si tratta quindi di una semplice area di discussione, dove qualsiasi utente o gli utenti registrati sono liberi di esprimere il proprio pensiero, rendendolo visionabile a tutti gli altri soggetti autorizzati ad accedere al forum, ma non per questo il forum resta sottoposto alle regole e agli obblighi cui è soggetta la stampa, o può giovarsi delle guarentigie in tema di sequestro che l’art. 21 comma 3 riserva soltanto alla stampa, sia pure latamente intesa, ma non genericamente a qualsiasi mezzo e strumento con cui è possibile manifestare il proprio pensiero”. [30] Cfr. Tribunale di Salerno, 16 marzo 2001, in Giur.it, 2002, 85; Tribunale di Latina, 7 giugno 2001, in Temi rom, 2001, 145; Tribunale di Milano, 15 aprile 2002, in Dir. inform. 2002, 568 e in Guida al diritto, 2002, n.47, 44; Corte di Cassazione , 16 luglio 2010,n. 35511, in Resp. civ e prev. 2011, 1, 82 [31] Più ampiamente sul punto cfr. A. Papa, La disciplina di stampa alla prova delle nuove tecnologie, cit, 485. In giurisprudenza cfr. Corte di Cassazione, 11 dicembre 2008, n. 10535, in Guida al diritto, 2009, 14, 66. [32] Cfr. sul punto G. Carotenuto, Giornalismo partecipativo. Storia critica dell’informazione al tempo di Internet, Nuovi Mondi, Modena, 2009; U. Vallauri, Blog journalism: nuovi formati e prospettive per il giornalismo online, Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, 2002; U. Vallauri, Blog,blog, blog. Sembrava una nicchia. Sta cambiando il giornalismo ( anche quello tradizionale), in Problemi dell’informazione, n. 1, marzo 2003, pp. 68–78; D. Galli, Che cos’è il giornalismo partecipativo? Dal giornalismo come lezione al giornalismo come conversazione, in Problemi dell’informazione,  3, 2005, 297–315. [33] I c.d. blog partecipativi si  trovano a vivere un rapporto particolare con gli altri mezzi di comunicazione di massa. Infatti è possibile che alcune notizie  “nascano” dai blog da dove i giornalisti possono attingere informazioni e nello stesso tempo alcune notizie date dall’informazione tradizionale possano essere approfondite nei blog divenendo in questo caso una “ forma supplementare di giornalismo” Cfr. sul punto, A. Papa,  Espressione e diffusione del pensiero in Internet, cit., 140 ss. [34] Esemplificative al riguardo appaiono le sentenze del Tribunale di Aosta e della Corte di appello di Torino, chiamate ad occuparsi di alcune dichiarazioni diffamatorie contenute su un blog. Con espresso riferimento alle possibili ipotesi di responsabilità del c.d. blogger, particolarmente controversa invece è stata la sentenza del Tribunale di Aosta  con la quale un  blogger è stato condannato, in seguito ad alcuni post diffamatori pubblicati sul proprio blog, per un’ipotesi di culpa in vigilando. Il Tribunale di Aosta infatti, con sentenza 20 maggio 2006 n.553, in Giur. Merito, 2007, 4,1069,  aveva stabilito che “la posizione di un direttore di una testata giornalistica stampata e quella di chi gestisce un  blog è  mutatis mutandis- identica. Il gestore di un blog ha infatti il totale controllo di quanto viene postato e, per l’effetto, allo stesso modo di un direttore responsabile, ha il dovere di eliminare quelli offensivi. Diversamente vi è responsabilità penale ex art. 596 c.p.”. Cfr. V. Pezzella,  Blog uguale al giornale? C’ è chi dice di si. Se chi gestisce il sito è come il direttore, in Dir. e Giust., 31, 71. Tale decisione è stata però in parte ribaltata dalla Corte d’ Appello di Torino che confermando la condanna per diffamazione in relazione ai contenuti immessi direttamente dal gestore di un blog, cioè quelli a cui viene attribuita la paternità allo stesso, ha invece assolto il blogger dalla seconda accusa, ritenendo non sussistente alcun obbligo di controllo sui contenuti immessi da altri nel suo blog. Corte d’Appello di Torino, 24 aprile 2010, in www.penale.it. [35] Visti i numerosi interventi che si susseguono all’interno del forum, risulta materialmente impossibile da parte del gestore dello stesso controllare e verificare la possibile lesività di ogni singolo messaggio. [36]Corte di Cassazione n. 1035/08, in Riv. Inf. e informatica, 2009,3, 508 con la quale la Suprema Corte ha stabilito che il forum rientra nella disciplina generale della libertà di manifestazione del pensiero ex art. 21 Cost. [37] Al riguardo, vi è chi propone, non essendo prevista una responsabilità per omesso controllo in capo al gestore e una quasi impossibile individuazione dell’autore del commento diffamatorio anonimo, per assicurare una tutela ai soggetti lesi dalle dichiarazioni anonime, di prevedere un obbligo in capo al gestore di identificazione dei partecipanti al forum tramite registrazione. Cfr. L.Vignudelli, Il gestore del forum: spunti su identificazione dell’utente, anonimato e (ir)responsabilità, in Riv. inform, 2011, 1, 107 [38] Per il reato di diffamazione compiuto a mezzo stampa la Corte Costituzionale ha previsto un regime sanzionatorio più severo visto che essa si presenta quale mezzo di formazione dell’opinione pubblica. Per questo motivo risulta necessario stabilire se per la risoluzione di controversie aventi ad oggetto diffamazione compiuta tramite strumenti on-line sia applicabile la diffamazione semplice o la diffamazione a mezzo stampa. Nessun dubbio si ipotizza per le testate giornalistiche on-line alle quali viene applicata l’aggravante del mezzo stampa. Non immune da dubbi  appare invece  la questione inerente le altre forme di comunicazione essendo in questo caso obbligatorio stabilire la natura professionale o meno della situazione posta in essere non essendo possibile applicare automaticamente l’aggravante per ogni eventuale forma di diffamazione posta in essere in Rete  Cfr. sul punto A. Papa,  Espressione e diffusione del pensiero in Internet, cit., 140 ss. [39] Cfr. Corte di Cassazione,  17 novembre 2000, in Diritto e informazione, 1787, 2002; Corte di Cassazione, 17 novembre 2000 n 4741, in Studium Juris, 2001, 599 [40] Il primo intervento giurisprudenziale (Corte di Cassazione 7 febbraio 1996 n.978 in Guida al diritto, 2013, 5, 62) che ha aderito alla teoria monista sui diritti della personalità ha argomentato la sua scelta osservando che bisogna sì parlare di contrasto tra diritti diversi, ma bisogna anche riferirsi al concetto di persona e soprattutto ai modi di estrinsecazione della personalità. La “piramide gerarchica” non è tra onore e reputazione da un lato e libertà di stampa dall’altro, ma è l’art. 2 della nostra Carta Costituzionale la norma posta al vertice del sistema, così che tutte le altre norme della stessa carta risultino essere norme di attuazione dello stesso articolo 2. Come è stato precisato anche attraverso interventi giurisprudenziali recenti (Corte di Cassazione 26 settembre 2012 n. 41249 in www.cortedicassazione.it), in realtà, quando in conflitto vi sono diritti della personalità, non è possibile immaginare automatismi di prevalenza, dovendo essere effettuato ,il bilanciamento tra queste libertà, in concreto “escludendo ruoli gregari e gerarchie di valori nella risoluzione dei conflitti”; sulla base di questa considerazione si può osservare che non risulta possibile, quindi, la prevalenza presuntiva di  una libertà sull’altra perché, trattandosi di libertà attuative di un valore comune, quale quello della personalità, l’ accertamento non può che riferirsi al caso concreto. Con riferimento all’onore ed alla reputazione, il primo importante intervento in materia è stato quello della Corte Costituzionale che nella sentenza n.38/73, in www.giurcost.org, ritenne che le libertà all’onore e alla reputazione fossero libertà fondamentali ed inviolabili. La Corte di Cassazione invece, con sentenza 65/65, in www.cortedicassazione.it, affermò che la libertà di stampa è “ una libertà di carattere democratico che caratterizza il regime vigente dello stato”. Non essendo possibile, quindi, stabilire una gerarchia tra diritti, il bilanciamento di interessi risulta essere l’unica strada percorribile in caso di conflitti. La teoria del bilanciamento di interessi risulta essere preferita anche in ambito comunitario, infatti all’art 10 CEDU, viene stabilito che l’esercizio della libertà di espressione, di opinione e di essere informati può ricevere restrizioni o sanzioni quando sia il legislatore a prevederlo e quando tali misure risultano essere necessarie per tutelare altri diritti fondamentali.Anche la Corte Europea dei diritti dell’Uomo con sentenza 17/7/2008, in www.giustizia.it, ha stabilito espressamente che qualora vi siano in conflitto libertà fondamentali risulta essere necessario il bilanciamento di interessi in concreto. Nel caso di specie la libertà che prevarrà non sarà gerarchicamente più importante ma prevarrà limitatamente a quel giudizio. [41] Cfr Corte di Cassazione, 30 giugno 1984 n 8954, in Foro it 1984, II, 531, con nota di G. Fiandaca, Nuova tendenza repressiva in tema di diffamazione a mezzo stampa? ed in Giust. Civ, 1984, I, 2941 con nota di M. Finocchiaro, La Cassazione e l’uniforme interpretazione della legge  ed in Riv. pen. 1984, 10, 767 ed in Giust. it. 1985, II, 148, con nota di R. Teresi, Diritto di cronaca ed errore scusabile. Nella sentenza in esame, la S.C. non ha stabilito una gerarchia tra questi tre criteri ma ha sottolineato la necessità che essi debbano essere rispettati dal giornalista. Con espresso riferimento al criterio della verità ci si è chiesti se fosse possibile un’impostazione meno rigorista parlando di verosimiglianza e non di verità ma questa impostazione è stata scartata. In merito invece alla possibile previsione di una verità putativa, citando i principi delle scriminanti, è possibile evidenziare come la verità putativa possa essere prevista ai sensi dell’art. 59 comma 4 c.p,  non essendo riscontrabile una  differenza da un punto di vista penalistico tra colui che ha ritenuto correttamente esistente il requisito della verità e colui che invece lo riteneva esistente solo nella sua mente, non essendo presente una condotta connotata da carica di lesività. Con espresso riferimento all’ammissione della verità putativa, vista la fondamentale importanza che viene data in giurisprudenza a tale requisito, tendenzialmente viene esclusa l’ammissibilità di tale tipologia di verità in virtù del fatto che il giornalista è un professionista della materia e quindi deve prestare particolare attenzione nella ricerca della stessa e perché,   ammettere la verità putativa significherebbe creare un conflitto tra valori fondamentali. La Cassazione, con sentenza n. 11259/07 stabilì che il presupposto dell’attività giornalistica è la verità. Tuttavia la verità putativa deve essere ammessa a condizione che il giornalista abbia comunque un serrato e completo controllo sulla veridicità della notizia. Per la pertinenza e continenza, il dibattito si è riproposto in relazione alla sussistenza dei requisiti nelle diverse fattispecie di diritto di critica, cronaca e satira. La differenza tra cronaca e critica può essere riscontrata  nell’angolo visuale: il diritto di cronaca è l’illustrazione oggettiva dei fatti, mentre quello di critica è un’impostazione soggettiva, un commento, un parere. Quando la giurisprudenza ha immaginato i tre requisiti, quasi sicuramente lo ha fatto con riferimento al diritto di cronaca, perché ,quando si è di fronte ad esso, gli stessi devono sussistere contestualmente, a differenza dei casi di diritto di critica e satira. Il requisito della pertinenza è elemento essenziale; in queste ipotesi a venir meno è proprio il requisito della verità. Sul punto è possibile analizzare tre teorie. La prima ricostruzione esclude la sussistenza del requisito della verità nel caso di diritto di critica, si evidenzia quindi un’ incompatibilità sistematica tra requisito della verità e diritto di critica. In opposizione alla prima un’altra ricostruzione svaluta qualsivoglia distinzione tra diritto di critica e di cronaca, ritenendo che il requisito della verità sia necessario parimenti per il diritto di critica. La terza teoria, accolta dalla Cassazione, evidenzia come la verità sia un criterio che debba essere seguito anche nel diritto di critica ma con minore rigore, anzi, ben individuando il termine di riferimento della verità. Il requisito della verità deve essere rispettato con riferimento ai fatti base del diritto di critica. Il criterio della continenza invece può essere messo in discussione qualora si faccia riferimento ad una critica politica. Secondo una prima analisi, l’ elemento di discriminazione risiede nella qualifica dei due soggetti. Qualora il soggetto attivo e quello passivo del reato siano personaggi politici, la continenza può essere interpretata con minor rigore; se invece i soggetti non sono  entrambi  politici, ma politico è solo il destinatario dell’invettiva, ritorna il criterio originario di pertinenza. Si preferisce, però, superare questa impostazione, seppur suggestiva, cercando di prescindere dalla qualità di entrambi i contendenti e dando più importanza alla natura della critica. E’ così emerso come sia il criterio della verità che quello della continenza, seppur necessari, possano essere piegati all’occorrenza nell’ ambito del diritto di critica. Nel diritto di satira queste applicazioni hanno un’efficacia ancora più dirompente: secondo alcuni, infatti, il diritto di satira non è semplicemente una forma esasperata del diritto di critica, non è una species del genus, ma qualcosa di più travolgente, capace di abbattere frontiere che il diritto di critica non è in grado di superare. Se nel diritto di critica i requisiti della verità e della continenza devono sempre sussistere, anche se attenuati, quando ci spostiamo nel diritto di satira è possibile affermare che i requisiti di verità e continenza non operino più. Conseguenza inevitabile di ciò è che l’unico criterio operante è quello della pertinenza, anche se lo stesso risulta essere claudicante, perché il diritto in esame pone le sue basi non solo sull’art. 21 Cost. ma anche sugli articoli 9 e 33 Cost. essendo non solo espressione della libertà di manifestazione del pensiero, ma anche di quella finalità di promozione dell’ arte e della cultura costituzionalmente prevista .Per un’ analisi dei criteri del decalogo del giornalista cfr.; S. Ramajoli., Offese all’onore della persona e libera manifestazione del pensiero, Giuffrè, 1966; E. Roppo, Diritto di cronaca sul banco degli imputati, in Dem. e diritto, 1985, 3, 45-57; ; M. Polvani , La diffamazione a mezzo stampa, Cedam, 1995; R. Razzante, Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione: con riferimenti alla tutela della privacy, alla diffamazione e all’editoria on-line, Cedam, 2002; A.Pace  –  F. Petrangeli , Diritto di cronaca e di critica, in Enc. dir. (Agg. V), 2002, 303-339; S. Peron , La diffamazione tramite mass-media, Cedam, 2006. Sui criteri che il giornalista deve seguire nell’esercizio della propria professione si sofferma nuovamente la Suprema Corte con sentenza 4 settembre 2012 n. 14822, in Giust. civ. Mass. 2012, 9, 1088. Con tale decisione si prevede  che la divulgazione a mezzo stampa di notizie lesive dell’onore è scriminata per legittimo esercizio del diritto di cronaca se ricorrono  i criteri della verità oggettiva, dell’interesse pubblico dell’informazione, e della c.d. continenza, cioè la forma “ civile” dell’esposizione e della valutazione dei fatti. [42] Trattandosi di un concorso di persone e applicando l’art. 110 c.p., e quindi di una fattispecie plurisoggettiva eventuale, il supporto che il direttore deve dare all’articolista può tradursi in un’agevolazione dell’articolista. Ad esempio il direttore fornirà al giornalista elementi non veritieri oppure ometterà, volontariamente e consapevolmente, di intervenire sull’articolo percependone il contenuto diffamatorio facendolo quindi proprio. Il responsabile del giornale risponderà per concorso commissivo nel reato qualora agevolerà o addirittura con l’articolista partecipa alla redazione dell’articolo e per concorso omissivo qualora non interverrà e con quell’omissione favorisce la pubblicazione dell’articolo. [43] Corte Costituzionale 15 giungo 1956 n.3 , in www.giurcost.org . Secondo una prima “ interpretazione”, l’art. 57 c.p. era da intendersi come un’ipotesi di responsabilità anomala, trattandosi infatti di ipotesi di c.d. responsabilità oggettiva e cioè  un meccanismo giuridico di attribuzione soggettiva del fatto illecito che prescinde dall’atteggiamento psicologico del soggetto a cui è attribuito il fatto. Tale responsabilità, in quanto oggettiva, si distingue dalla responsabilità per fatto proprio, perché si fonda esclusivamente su dati ricavabili dal fatto stesso, e sulla sussumibilità del fatto alla legge, a prescindere dalle caratteristiche dell’atteggiamento illecito soggettivo. In una seconda fase  lo stesso articolo veniva definito quale ipotesi di  responsabilità per fatto altrui o di posizione, fino a quando, nel 1956, la Corte Costituzionale ha accolto la ricostruzione oggi seguita, quella della responsabilità per culpa in vigilando. Possiamo quindi dire che la responsabilità per colpa del direttore che omette di intervenire, non è una responsabilità anomala. La teoria della responsabilità anomala è quella ripresa dall’art. 116 c.p., quando cioè il legislatore punisce a titolo di colpa un soggetto che, in realtà, ha posto in essere una condotta dolosa o viceversa. Le cause di responsabilità anomala quindi sono casi in cui viene individuato un elemento soggettivo diverso da quello che, in concreto, si è verificato. La giurisprudenza chiarirà che non è un atteggiamento doloso quello del direttore perché se ci si trova dinnanzi ad un atteggiamento doloso, l’art. 57 c.p. non si applica. Viene esclusa pacificamente la responsabilità per fatto altrui o di posizione perché sostanzialmente questa teoria rispolverava una responsabilità oggettiva del direttore del giornale perché riteneva lo stesso responsabile a titolo di colpa sempre ed in ogni caso, senza la verifica della esigibilità della condotta alternativa. Si tratta di una responsabilità inammissibile nel diritto penale perché  il direttore del giornale veniva condannato per fatto altrui. E’ in realtà una responsabilità di posizione, della posizione che il direttore riveste all’interno del giornale. Ecco perché la Corte Costituzionale nel 1956 scartò queste due teorie aderendo alla teoria che l’art. 57 c.p. implica un giudizio di colpevolezza del direttore che si estrinseca nella valutazione di ciò che il direttore non ha fatto e poteva invece fare. Secondo la ricostruzione ancora oggi prevalente, il direttore del giornale non risponderà sempre ex art. 57 c.p. per la pubblicazione dell’articolo diffamatorio, ma bisognerà fare analizzare il caso concreto, rinviando ad esempio, ad alcuni criteri specifici, quali l’estensione della testata giornalistica, il numero di collaboratori, il rilievo che l’articolo ha ricevuto all’interno del giornale, ai titoli. E’ opinione consolidata che il direttore sia responsabile per tutti gli articoli pubblicati in prima pagina, perché tale è la risonanza che questi hanno nel giornale, che non possono certo sfuggire al controllo del direttore; la responsabilità di quest’ ultimo ovviamente sussiste anche con riguardo agli altri articoli che, pur non essendo posizionati in prima pagina, hanno, per gli argomenti trattati, una risonanza tale da dover essere necessariamente vagliati e verificati dal direttore. [44] Per l’individuazione di un reato omissivo improprio,  elemento essenziale è  la posizione di garanzia del soggetto. La giurisprudenza inizialmente accoglieva due teorie: quella formale che riteneva  dovesse individuarsi la posizione di garanzia in base semplicemente alla previsione di legge e la teoria sostanziale che prescindeva dalla previsione normativa e guardava agli interessi in concreto tutelati. L’orientamento che oggi viene  pacificamente accolto  è misto: viene accolta la teoria formale con espresso riferimento però anche agli interessi che vi sono alla base. Quando si analizza la responsabilità del direttore, sussistono due problematiche da risolvere; il primo problema è quello di trovare una norma che elevi espressamente il direttore del giornale a garante della reputazione di tutti i consociati, il secondo  è trovare una norma che individui un obbligo di impedire l’evento. Ecco perché, secondo una prima ricostruzione, l’art. 40 comma 2 c.p. non può operare perché non esiste una norma specifica in tal senso. Dubbi sono sorti in merito alla possibile di intendere l’art. 57 c.p. quale norma che individua il direttore del giornale quale garante della reputazione, anche se è opinione diffusa che l’art. 57 c.p. nacque non con riguardo al reato omissivo improprio a carattere doloso, ma per introdurre un concetto colposo. Secondo invece una differente dottrina, nella ricerca di una norma che elevi il direttore del giornale quale garante, non bisognerebbe riferirsi all’art. 57 c.p. ma basterebbe fermarsi alle norme che hanno istituito la categoria, le norme disciplinari perché sostanzialmente è insito, è correlato al ruolo del giornalista quello di garantire il corretto svolgimento delle attività giornalistiche del giornale  quindi sostanzialmente anche la reputazione. Cfr. sul punto: A.Valastro, Libertà di comunicazione e nuove tecnologie. Inquadramento costituzionale e prospettive di tutela delle nuove forme di comunicazione interpersonale, Giuffrè, 2001; R. Razzante, Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione con riferimento alla tutela della privacy, alla diffamazione ed all’editoria on line, Cedam, 2003; A.M. Gambino- A. Stazi, Diritto dell’informatica e della comunicazione, Giappichelli, 2009. [45] Stabilire che in caso di un articolo anonimo il direttore del giornale risponde di responsabilità diretta vuol dire che in questa ipotesi, la paternità dell’articolo viene sostanzialmente ascritta direttamente al direttore del giornale. L’articolo anonimo è un articolo che va imputato al direttore, cosi che lo stesso risponda direttamente ai sensi dell’art. 595 c.p. stabilendosi quindi una responsabilità commissiva per aver firmato potenzialmente l’articolo, per aver redatto l’articolo. Inoltre la Corte di Cassazione, con sentenza 21 ottobre 2013 n. 46226, in www.dirittoitalia.it, ha escluso l’ipotesi colposa prevista dall’art 57 c.p. a carico del direttore responsabile per omesso controllo qualora il querelante si sia limitato ad indicare come autori del reato sia l’autore dello scritto che il direttore responsabile, evidenziando come sia necessario prevedere all’interno della querela l’espressa volontà che il direttore venga perseguito a titolo di colpa per omesso controllo o che si proceda per qualsiasi ipotesi riscontrabile a suo carico. [46] Questa prospettiva ermeneutica parte dal presupposto che il reato di diffamazione posto in essere non debba essere concretamente accertato ma debba esistere in astratto. Se si ritiene che il direttore possa rispondere di concorso nel reato posto in essere dall’articolista anonimo è necessario partire dal presupposto che, in realtà, non è necessario accertare l’esistenza del reato di diffamazione, ma bisogna accertare in astratto l’esistenza dei presupposti della diffamazione. La prospettiva quindi viene spostata dall’articolo anonimo che rileva per la sua potenzialità diffamatoria al contributo che il direttore del giornale ha dato.. [47] Da una lettura della sentenza, la sensazione è che la prima ipotesi di responsabilità in capo al direttore  concorsuale, la seconda  diretta, e l’art. 57 c.p. risulta essere ipotesi residuale. Partendo dall’identificazione dell’articolo privo di firma in piena linea con l’orientamento tradizionale, la Cassazione passa a valutazioni che sembrano distoniche. La Cassazione infatti afferma che l’articolo anonimo così inteso, è attribuibile al direttore del giornale per il solo fatto che ne ha voluto consapevolmente la pubblicazione, ipotizzando quindi la responsabilità del direttore ai sensi dell’art. 110 c.p, anche se la stessa lascia spazio ad una duplice interpretazione del concorso di reato: un concorso commissivo per il fatto di aver voluto la pubblicazione e un concorso omissivo per non aver impedito la pubblicazione. La Suprema Corte quindi sembra dare nella sentenza la seguente soluzione: il direttore del giornale risponderà normalmente per concorso di persone nell’art. 595 c.p., se non direttamente, salvo l’art. 57 c.p., ipotesi che la corte ritiene residuale. Parlare quindi di responsabilità diretta e responsabilità concorsuale ci pone dinnanzi a principi e applicazioni differenti tra loro; la sentenza non evidenzia a pieno la differenza tra responsabilità concorsuale e responsabilità diretta da parte del direttore, facendo quasi emergere che il direttore debba sempre rispondere per responsabilità diretta perché parte dal presupposto che l’articolo privo di firma è attribuibile al direttore stesso. La Corte stabilisce altresì che Ciò che si imputa al direttore responsabile è la pubblicazione senza la quale il reato non si ravvisa. Pubblicazione che è disposta dal direttore del giornale e pertanto questo risponde almeno in via concorsuale. Ne consegue che a fronte dell’avvenuta pubblicazione è possibile ipotizzare il concorso del direttore con l’autore dell’articolo diffamatorio se non addirittura l’attribuibilità a lui stesso dell’articolo privo di forma, salvo prova del solo reato di cui al 57 c.p. per non aver impedito la pubblicazione”. Cosi,  Corte di Cassazione, 23 ottobre 2012 n. 41249, in www.cortedicassazione.it [48] La responsabilità del direttore di un giornale on line è stato oggetto di interventi legislativi che tuttavia non hanno risolto i numerosi dubbi sorti in materia. Infatti, prima con la legge Mammì e successivamente con la legge 62/01, sono state previste ipotesi di responsabilità per il direttore di un giornale solo ed esclusivamente ai fini della registrazione, relegando ad ipotesi residuali, basate soprattutto su accordi specifici, le altre ipotesi in cui il direttore era ritenuto responsabile, facendo in modo che si andassero ad intaccare, ma non a modificare le ipotesi di responsabilità previste dalle legge 47/48. Con riferimento invece gli altri mezzi di informazione, quali giornali e telegiornali, il legislatore ha previsto norme di dettaglio che  disciplinano la responsabilità del direttore. Infatti, per quanto riguarda la stampa cartacea il direttore è responsabile dell’intero contenuto dello stesso, dalla prima all’ultima pagina. Discorso simile deve essere fatto per il telegiornale, in cui la responsabilità di ciò che viene messo in onda, dalla sigla inziale a quella finale, ricade sul direttore o quanto meno sulla redazione. [49] Ufficio Indagini preliminari Milano, 11 dicembre 2008, in Foro ambrosiano, 2008, 401. [50] Cfr. Tribunale di Firenze, 13 febbraio 2009, in Dir. Informatica 2009, 6, 911 [51] Cfr. Corte di Cassazione, 16 luglio 2010 n 35511/10, in Resp. civ. e prev, 2011, 1, 82 [52] Infatti, anche se il messaggio internet può essere stampato, tale circostanza non appare determinante vista la mera eventualità soggettiva ed oggettiva della stessa, anche perché non tutti i messaggi trasmessi via internet possono essere stampati. [53] Infatti sia la legge 62/01 che il d. lgs. 70/03 non hanno previsto una estensione della operatività dell’art 57 c.p. dalla carta stampata ai giornali telematici, visto che la legge del 2001 si è limitata solo a prevedere la registrazione dei giornali on line solo per ragioni amministrative, con la conseguenza che quindi il sistema non preveda la punibilità ai sensi dell’art .57 c.p. del direttore di un giornale on line. [54] Cfr. Corte di Cassazione, 28 ottobre 2011, n. 44126, in Resp.civ. e prev. 2012, 2, 647. [55] In quest’ottica è senza dubbio condivisibile l’opinione di chi ritiene auspicabile un intervento legislativo che preveda, in capo al direttore o al responsabile del sito informatico, con espresso riferimento a quanto stabilito dagli art. 16 ss. del D.lgs. 70/03, un obbligo di identificazione del soggetto che scrive un articolo attraverso la registrazione dell’utente stesso. In questo modo, quindi, in caso di articolo diffamatorio il responsabile del sito potrebbe essere ritenuto responsabile qualora non abbia adottato tutte le misure necessarie all’individuazione  dell’ identità dell’ autore del pezzo diffamatorio. Cfr. C. Melzi D’Eril, La responsabilità del direttore del periodico telematico, tra facili equiparazioni e specificità di internet., in Riv. inform., 2010, 1, 91. Di contrario avviso è la giurisprudenza. Infatti, La Corte d’appello di Milano, con sentenza 8611/13, ha  stabilito che il gestore o il proprietario di un sito web qualificabile come content provider non può essere ritenuto corresponsabile del reato di diffamazione derivabile dal contenuto di materiale caricato da terzi giacché, ad oggi, non risulta ravvisabile un obbligo di legge codificato che imponga ai fornitori di servizi internet un controllo preventivo delle innumerevoli serie di dati che passano ogni secondo nelle maglie dei gestori dei siti web. Corte d’appello di Milano, 27 febbraio 2013 n 8611. [56] Il testo del comma aggiunto all’art. 1 della l. 47/1948 è il seguente: “Le disposizioni della presente legge si applicano, altresì, alle testate giornalistiche on line registrate ai sensi dell’articolo 5, limitatamente ai contenuti prodotti, pubblicati, trasmessi o messi in rete dalle stesse reda-zioni, nonché alle testate giornalistiche radiotelevisive”. [57] Prevedendo una sostanziale equiparazione tra stampa cartacea e stampa on line, il legislatore ha sopperito alla sostanziale violazione dell’art. 3 della Costituzione che poteva ritenersi presente, dal momento che le due fattispecie praticamente identiche, stampa cartacea e quella on line, venivano trattate in maniera diversa, creando una sorta di favor nei confronti del direttore della testata telematica, il quale rimaneva impunito anche quando poneva in essere gli stessi atti e comportamenti del direttore di un giornale cartaceo, il quale, come sottolineato in precedenza,  svolge una funzione di chiusura del sistema informativo,  per il quale sono previste particolari e tassative ipotesi di responsabilità. [58] Di particolare rilevanza si presenta la previsione legislativa, contenuta nel “nuovo” secondo comma dell’art. 57 c.p., che disciplina la possibile delega delle funzioni di vigilanza da parte del direttore ad uno o più giornalisti professionisti idonei a svolgere le funzioni di cui al primo comma. Questa ipotesi particolare è senza dubbio collegata alle dimensioni organizzative e alla diffusione della testata giornalistica, radiofonica, televisiva nonché delle testate giornalistiche on line registrate ai sensi dell’art 5 della legge sulla stampa. [59] L’eliminazione della pena detentiva con riferimento all’“offesa consistente nell’attribuzione di un fatto determinato falso” è stato oggetto di critica da parte di autorevole dottrina che, sottolineando come la restrizione della libertà per queste ipotesi specifiche non si ponga in contrasto con la CEDU, evidenzia come l’abolizione della stessa comporterebbe una contraddittorietà all’interno nel nostro ordinamento giuridico, visto che in ipotesi di falso, personale o documentale, il nostro ordinamento prevede sempre la punizione dello stesso attraverso la pena detentiva. A.Pace, Cronaca e diffamazione, in www.aic.it . [60] Camera dei Deputati, XVII Legislatura, Dossier GI0055, in www.camera.it ; Senato della Repubblica, XVII Legislatura, Disegno di legge n. 1119, in www.senato.it [61] Sul punto sembra peraltro opportuno ricordare come alcune recenti sentenze della Corte di Giustizia e della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, proprio in materia di diffamazione, abbiano dato grande risalto alla negatoria pervasività di tale reato. Infatti, per la decisione di ipotesi particolari, le Supreme Corti sovranazionali in numerose pronunce, hanno dato per scontata l’equiparazione tra giornale cartaceo e giornale on line. Con particolare riguardo ai possibili casi di diffamazione on line, la Corte di Giustizia ha statuito, con una famosissima decisione, che la vittima della diffamazione ha la possibilità di esperire nei confronti di un editore un’azione di risarcimento sia  ai giudici dello Stato del luogo dove è stabilito l’editore della pubblicazione diffamatoria, sia ai giudici di ciascuno Stato in cui la pubblicazione è stata diffusa e in cui la vittima assume aver subito una lesione della sua reputazione. C-161/10 – C-509/09 del 25 ottobre 2011 in www.curia.europa.eu . Con un’ulteriore importante pronuncia la Corte Europea dei diritti dell’Uomo ha fissato un  ulteriore principio stabilendo che la cancellazione di un articolo on line diffamatorio sarebbe configurabile come ipotesi di censura. La Corte ha infatti stabilito che cancellare un articolo, anche se diffamatorio, comporterebbe una violazione dell’art. 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo evidenziando come la mancata cancellazione di tale articolo non comporterebbe nessuna violazione della privacy ma andrebbe a ledere la libertà di espressione e conoscenza. La Corte stabilisce che sia sufficiente annotare che l’articolo è stato sanzionato e riportare in calce le notizie della pronuncia. Cfr. Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ,Wegrzynowski e Smolczewsky v. Polonia, 16 luglio 2013. Anche se per una fattispecie differente, tale principio è stato contraddetto dalla stessa Corte in una recente pronuncia che ha confermato la condanna per i responsabili di un sito per non aver cancellato commenti diffamatori  per di più anonimi. La Corte ha avallato la decisione della Corte Estone, la quale aveva condannato i responsabili di un sito per commenti ad un articolo postato sullo stesso sito, diffamatori e anonimi,  ritenendo che la sanzione fosse una giustificata e proporzionata restrizione del diritto alla libertà di espressione vista la particolare offensività dei commenti attraverso i quali il portale aveva tratto profitto dalla loro esistenza. L’art. 10 C.E.D.U. infatti prevede che la libertà di espressione del proprio pensiero possa essere comunque attenuata da organi dello Stato ( in questo particolare caso la Corte Estone) così da proteggere la reputazione di una persona quando tale interferenza possa essere proporzionata. La Corte evidenzia come non vi sia stata alcuna violazione dell’art. 10 C.E.D.U. vista la proporzionalità della restrizione del diritto di informare da parte del sito che, non cancellando i commenti diffamatori aveva ricevuto un beneficio commerciale ed avendo permesso agli utenti di lasciare commenti diffamatori anonimi senza porre in essere nessun controllo preventivo tramite una registrazione degli stessi, ne aveva acquisito tacitamente la “paternità”. Dall’analisi quindi delle decisioni delle Corti Europee si evince come, già da tempo, l’equiparazione tra stampa cartacea e stampa on line sia stata ampiamente accettata e sia una solida realtà. Cfr. Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Delfi v. Estonia, 10 ottobre 2013. Scarica il contributo [Pdf] Scarica il quaderno Anno IV – Numero 2 – Aprile/Giugno 2014 [pdf]

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