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Sul gas non serve tornare allo Stato imprenditore

di Alberto M. Gambino

La presa di posizione del ministro dello Sviluppo Economico diretta ad escludere ipotesi di fusione fra Snam Rete Gas e Terna, con il possibile esito della mera traslazione di un controllo della rete di distribuzione del gas dall’Eni alla Cassa Depositi e Prestiti (entrambi in vario modo controllati dallo Stato), riapre il tema della liberalizzazione e della concorrenza tra operatori in un settore strategico quale quello del gas. Occorre sul punto ricordare il quadro normativo oggi rappresentato dall’art. 15 della legge “liberalizzazioni”, che stabilisce “al fine di introdurre la piena terzietà dei servizi” che entro fine mese un DPCM definisca il modello di separazione proprietaria tra il gestore della rete (Snam) e il proprietario delle infrastrutture (Eni), in attuazione della Direttiva 2009/73/CE, che, peraltro, non ha imposto una separazione proprietaria, accettando come “sufficiente” la separazione gestionale. L’art. 9, punto 6, della Direttiva consente inoltre di ritenere soggetti distinti anche enti controllati dallo Stato. Con l’acquisizione di Snam da parte della CDP (controllata per il 70% dal Ministero dell’Economia), si verificherebbe ciò che, risalendo nel tempo, incardinò, da un’originaria pertinenza della materia delle fonti energetiche alla sfera del mercato, il processo di “statalizzazione”. Ciò tuttavia corrispondeva allora all’esigenza di una più diffusa ed equa distribuzione, in quanto alcuni beni, ove lasciati al mercato, non erano fruibili dal maggior numero dei consociati. La riserva dell’attività produttiva e gestionale in “mano pubblica” o, come si dice, il “monopolio naturale”, garantiva invece il soddisfacimento dei bisogni diffusi della collettività. Era lo Stato imprenditore. Ne è conseguito che al naturale regime privatistico si sia sovrapposto un modello di circolazione unilateralmente predisposto dallo Stato, attraverso sue articolazioni funzionali. Conclusasi quella stagione, l’ordinamento italiano, sospinto dalla UE, ha previsto, con la pri-vatizzazione a partire dalle fonti di approvvigionamento o ai soli enti erogatori, la dismissione delle attribuzioni alle articolazioni dello Stato nella titolarità e nella gestione. L’apertura al mercato e la caduta del monopolio pubblico ha così comportato che l’efficienza del sistema sul piano degli approvvigionamenti alla collettività si sia spostata alla previsione di presidi e rimedi di stampo comunitario, con la nozione di servizio universale. Obblighi di servizio universale sono menzionati dalle direttive n. 2003/54/CE (energia elettrica) e 2003/55/CE (gas) del 26 giugno 2003. E’ un sistema elastico che si giustifica, a monte, per la concorrenzialità nell’accesso alle fonti di produzione e, a valle, per la competizione qualitativa delle offerte immesse sul mercato dell’erogazione del servizio. La devoluzione di situazioni di potere gestorio e di titolarità a soggetti privati, con l’apertura alla concorrenza tra più operatori, ha comportato il mutamento del ruolo dello Stato: lo statuto normativo della circolazione è ora approntato dalle autorità di regolazione e, in particolare, dalle carte dei servizi, delle quali gli erogatori devono dotarsi. Alle autorità amministrative indipendenti è stato assegnato il compito di determinare gli indirizzi cui conformare l’attività dei soggetti erogatori, già attribuito allo Stato. I compiti di pianificazione quale determinazione autoritativa dei fini dell’erogazione, propri dello Stato, sono stati sostituiti da un orizzonte di obiettivi generali, indicati nella legge: per il gas, la legge 3 agosto 2007, n. 125, e il d.lgs. n. 164/2000, richiamano il parametro dell’equa distribuzione del servizio sul territorio. Eppure, come dimostra l’ultima gara per la fornitura del gas a Roma, cui ha partecipato la sola Italgas (controllata da Snam, gruppo Eni), c’è un gap significativo tra intenzioni del legislatore e realtà di mercato.
In presenza di un apparato normativo di particolare garanzia, dunque, appare quantomeno discutibile che si affacci l’ipotesi di uno Stato nuovamente imprenditore, attraverso il controllo societario del soggetto che dovrà garantire la distribuzione del gas in un mercato che nella fase dell’erogazione all’utenza finale ancora non ha realizzato gli obiettivi concorrenziale e anzi paga il dazio di una mancata liberalizzazione dei servizi pubblici locali.
Tratto da Il Sole 24 ore, domenica 6 maggio 2012
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