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Comunicazione della Commissione UE riguardo agli orientamenti sulle priorita’ nell’applicazione dell’articolo 82 del Trattato CE al comportamento abusivo delle imprese dominanti volto all’esclusione dei concorrenti

di Rosetta Surdo Abstract: The European Commission set out the enforcement priorities that will guide its action in applying Article 102 TFUE to the principal exclusionary conducts by dominant undertakings, including predatory pricing. The emerging discipline requires as a pre-requisite of relevant cases, the deliberate profits sacrifice by the dominant undertaking and the anticompetitive foreclosure effects, assessed by examining a series of economic elements. Such a focus on effects, rather than on the formal features of the undertaking strategy, is particularly valuable. However, excessive discretionary interventions by the Commission are likely to discourage benevolent phenomena of low pricing and be used for protectionist purposes. Sommario: 1. Premessa; 2. Gli obiettivi del Guidance Paper; 2.1 Il testo della Comunicazione: il sacrifice test; 2.2. La preclusione anticoncorrenziale; 2.3. Sulla (ir)rilevanza del recoupment; 2.4. L’above-cost predation; 2.5. Le obiettive giustificazioni economiche del comportamento; 3. Il tentativo di abbandono dell’intento da parte della Commissione; 3.1. Il ruolo dell’intento nell’art. 102 TFUE e nel predatory pricing; 3.2. Le conseguenze della prova dell’intento eliminatorio: intento come succedaneo dell’effetto anticoncorrenziale; 4. Conseguenze prevedibili in termini di politica applicativa; 5. Efficacia e adeguatezza della Comunicazione. 1. Premessa In sede di dibattito sull’applicazione dell’articolo 102 TFUE (ex art. 82 TCE), la Commissione europea è stata spesso accusata di aver attuato un approccio formalistico, a discapito di più accurate valutazioni economiche e di mercato che avrebbero, forse, consentito una disciplina più adeguata degli abusi di posizione dominante. Nel 2005, a tal proposito, l’Organo comunitario ha avviato un’interessante riflessione sulla politica alla base dell’articolo 102 TFUE pubblicando un documento di discussione-Discussion Paper- al fine di promuovere un dibattito su come proteggere al meglio i mercati europei dai comportamenti escludenti che rischiano di indebolire la concorrenza. Il documento delinea una possibile metodologia per la valutazione di alcune delle più diffuse pratiche di esclusione abusive, tra cui, le riduzioni predatorie [1]. Quasi tre anni dopo, nel dicembre del 2008, la Commissione ha emanato un documento formale sulle priorità d’applicazione dell’articolo 102 TFUE, che sarà pubblicato nel 2009 (di seguito Guidance Paper) [2]. Analizzeremo, di seguito, il contenuto del documento. 2. Gli obiettivi del Guidance Paper La Comunicazione sulle priorità applicative, quale strumento di soft law non destinato ad avere valenza giuridica né a pregiudicare l’interpretazione dell’articolo 102 TFUE da parte delle corti comunitarie, evidenzia i parametri che indirizzeranno l’azione della Commissione nell’applicazione del diritto comunitario, sui comportamenti unilaterali escludenti. Mira altresì a fornire maggiore chiarezza e prevedibilità all’approccio della Commissione sui casi meritevoli di attenzione, nonché a orientare il comportamento delle imprese nel valutare la liceità o meno dello stesso. L’obiettivo è, dunque, un’applicazione dell’articolo che garantisca un valido funzionamento dei mercati e il conseguimento, da parte dei consumatori finali [3], degli efficienti vantaggi derivanti dalla concorrenza effettiva tra imprese, imperniata sui meriti dei prodotti o dei servizi che forniscono. Nel perseguire tali propositi, la Commissione rimane in ogni modo attenta a non tralasciare la tutela dell’efficace processo concorrenziale quale vera finalità del sistema giuridico, adeguando l’approccio illustrato nella misura in cui questo risulti ragionevole e adeguato nei singoli casi. 2.1 Il testo della Comunicazione: il sacrifice test Riguardo ai comportamenti escludenti imperniati sui prezzi, la Commissione sancisce la generale proficuità di una concorrenza vivace incentrata sugli stessi. Onde impedire un’eventuale preclusione anticoncorrenziale, l’intervento comunitario sarà effettuato esclusivamente qualora il comportamento in questione abbia già ostacolato, o sia atto a ostacolare, la concorrenza da parte dei concorrenti che sono considerati efficienti quanto l’impresa dominante (anche se, in effetti, nella sua Comunicazione, la Commissione accetta che in «determinate» e non indicate «circostanze» potrebbe essere necessario proibire condotte di low-pricing al fine di proteggere i concorrenti meno efficienti). Più in particolare, per i casi di predazione, la Commissione propone un test innovativo. Dalla Comunicazione si evince, difatti, che l’Organo comunitario interverrà generalmente quando l’impresa dominante: «sostiene deliberatamente perdite o rinuncia a profitti a breve termine (un comportamento definito in seguito “sacrificio”), in modo da precludere o avere la probabilità di precludere il mercato a uno o più dei suoi concorrenti reali o potenziali allo scopo di rafforzare o di mantenere il suo potere di mercato, causando quindi un danno ai consumatori». All’interno di tale nuovo contesto, la Commissione propone essenzialmente un “sacrifice” test [4], considerando per l’appunto un sacrificio il comportamento secondo il quale l’impresa dominante: «applicando un prezzo più basso per tutta la sua produzione o per una sua parte particolare durante il periodo rilevante, o ampliando la sua produzione durante il periodo rilevante, sostiene o ha sostenuto perdite che avrebbero potuto essere evitate, sostenendo in tal modo un sacrifico economico [5]». A tal proposito, sarà utilizzato il CEM (costo evitabile medio) come criterio valutativo per determinare se l’impresa dominante sostiene, o ha sostenuto, perdite evitabili. I prezzi inferiori al CEM costituiscono generalmente un chiaro indice di sacrificio [6]. Il concetto di profit sacrifice non comprende, dunque, soltanto la fissazione di prezzi al di sotto di tale valore. Per dimostrare l’esistenza di una strategia predatoria, l’Organo comunitario può anche valutare se il comportamento d’impresa «ha determinato a breve termine entrate nette più basse rispetto a quanto ci si sarebbe potuti attendere da un comportamento ragionevole alternativo, ossia se l’impresa dominante ha sostenuto una perdita che avrebbe potuto essere evitata [7]». Da quanto detto, dunque, si evince che la predazione non si riscontri esclusivamente in presenza di vendite al di sotto dei costi di produzione, ma che la stessa possa anche manifestarsi allorquando l’impresa stia realizzando profitti inferiori rispetto a una condotta di prezzo alternativa. La Commissione, a tal fine, confronterà il comportamento effettivo esclusivamente con alternative economicamente razionali e praticabili che può prevedere – tenendo conto delle condizioni di mercato e delle realtà commerciali che affronta l’impresa dominante – siano realisticamente più proficue. Nonostante il tentativo di formulazione di un test chiaro e agevole, una tale enunciazione rimane piuttosto ampia, lasciando grande incertezza applicativa [8]. La Comunicazione non menziona, infatti, in conformità a quali valutazioni considererà “deliberato” il sacrificio di profitti; sembra piuttosto che la deliberatività della scelta sia presunta. Ciò è supportato dall’affermazione secondo la quale l’impresa non incorrerà in sanzioni qualora dimostri che la sua decisione ex ante, ossia prima di porre in essere una determinata condotta, sia stata presa in buona fede. In altre parole, l’impresa deve dimostrare che la propria politica di prezzo, ex ante, aveva una precisa giustificazione economica, nonostante la stessa abbia determinato ex post una perdita di profitto. Il criterio del deliberato sacrificio è, però, solo il primo elemento del test sul predatory pricing, ed ha essenzialmente una funzione di screening: filtrare i casi al fine di concentrarsi su quelli che possano causare reali effetti anticompetitivi. 2.2 La preclusione anticoncorrenziale Il successivo elemento del test -ovvero la preclusione anticoncorrenziale [9] – richiede l’applicazione dell’as efficient competitor test così come descritto più volte dalla Commissione. Dall’analisi della Comunicazione si desume che i prezzi inferiori al CEM comportino una presunzione di preclusione anticoncorrenziale oltre che di deliberato sacrificio dei profitti e, pertanto, siano considerati abusivi, salvo che l’impresa non presenti obiettive giustificazioni. Con riferimento ai prezzi superiori al CEM, ma inferiori al CIMLP (costo incrementale medio di lungo periodo), tale prezzazione intermedia indica che l’impresa non sta recuperando i costi fissi e che dunque un concorrente altrettanto efficiente potrebbe essere precluso dal mercato, ma ciò non è sufficiente ai fini di un abuso. La Commissione dovrà, pertanto, esaminare anche tutti gli altri fattori che sono rilevanti ai fini della preclusione, quali la posizione dell’impresa, dei suoi concorrenti e dei clienti, le caratteristiche del mercato rilevante e la portata della condotta. Oltre a ciò, l’Organo comunitario farà riferimento a ulteriori fattori specifici per uno scenario di predazione, quali la rilevanza delle asimmetrie informative, la capacità di distorcere i segnali di mercato sulla profittabilità dello stesso [10]. La Commissione sembra, dunque, voler abbandonare la nozione d’intento, come secondo elemento del test, a favore di un’interpretazione dei summenzionati fattori quali indici di probabile preclusione. A tal proposito, la documentazione interna dell’impresa attestante l’intenzionalità del sacrificio finalizzato all’esclusione di un rivale o all’impedimento dell’ingresso sul mercato, o le concrete prove di minacce in tal senso [11], saranno utilizzate esclusivamente al fine di interpretare la condotta, ossia a supporto dell’onere probatorio, anziché come prova dell’intento. Una tale terminologia è più chiara e l’attenzione sugli effetti, anziché sulle caratteristiche formali della strategia, sembra sia più in linea con l’oggettiva natura del concetto di abuso [12]. 2.3 Sulla (ir)rilevanza del recoupment Nella sezione riguardante la “preclusione anticoncorrenziale”, la Commissione considera svariate forme di recupero dell’investimento sostenuto dal predatore, quali la possibilità di aumentare i prezzi a seguito dell’uscita del rivale, scoraggiare l’ingresso sul mercato e “disciplinare” i concorrenti impedendogli di competere in modo deciso e spingendoli ad allinearsi ai prezzi dell’impresa dominante. In aggiunta, si riconosce la possibilità che l’impresa dominante acquisisca una reputazione di predatrice (il che scoraggerà l’ingresso sul mercato o disciplinerà la condotta dei rivali sugli altri mercati). Tuttavia, nonostante i relativi dettagli sulle possibili utilità della condotta, la Commissione utilizza un’ampia formula per descrivere il danno ai consumatori: è sufficiente che sia “probabile che l’impresa sia in grado di trarre un vantaggio dal sacrificio fatto”, non è invece richiesta alcuna prova di generali profitti [13]. Dunque, al fine di evitare eventuali dubbi sulla necessità o meno del recoupment test [14], la Commissione ha espressamente sancito il proprio intervento non solo qualora l’impresa in questione sia in grado di rialzare i prezzi a seguito della condotta anticompetitiva, ma anche quando sia probabile che il suo comportamento eviti o ritardi una discesa dei prezzi che si sarebbe altrimenti verificata [15]. La Corte di giustizia, nel primo caso comunitario successivo alla pubblicazione del Guidance Paper (caso France Télécom) ha confermato l’irrilevanza del recupero, rilevando, tuttavia, come lo stesso possa essere impiegato come fattore di valutazione aggiuntivo ai fini dell’abuso, ulteriormente legittimante l’intervento antitrust [16]. 2.4 L’above – cost predation Fiorenti dibattiti sono sorti in dottrina sull’eventuale predatorietà delle riduzioni di prezzo al di sopra dei costi dell’impresa [17]. Se negli Stati Uniti tali prezzi sono pienamente leciti e rappresentano politiche commerciali profittevoli per i consumatori [18], in Europa non beneficiano di una presunzione assoluta di liceità. La prezzazione sopra i costi potrebbe, infatti, ricadere nella disciplina degli sconti selettivi, in presenza di particolari circostanze, o essere considerata abusiva in casi eccezionali (caso Compagnie Marittime Belghe [19]). Nel nuovo Guidance Paper la Commissione si riserva di valutare, anche qualora i prezzi si collochino sopra i costi di produzione, se il presunto comportamento predatorio abbia determinato, a breve termine, entrate nette più basse di quelle che ci si poteva attendere da un comportamento alternativo economicamente razionale e praticabile. Poiché la Commissione ha ribadito la possibilità di intervenire anche qualora il comportamento possa avere effetti preclusivi nei confronti dei concorrenti meno efficienti, in determinate circostanze [20], non è esclusa la possibilità di un intervento sanzionatorio qualora l’offerta dei prezzi particolarmente ridotti prevenga l’entrata o la crescita di concorrenti potenzialmente altrettanto efficienti [21]. Una simile valutazione tuttavia rischia di deviare il processo concorrenziale dalla finalità di riduzione dei prezzi a beneficio dei consumatori finali, per proteggere concorrenti meno efficienti. 2.5 Le obiettive giustificazioni economiche del comportamento Con la Comunicazione, la Commissione sembra sia scettica sulla possibilità che il predatory pricing produca delle efficienze, tuttavia non ne esclude un impiego per il raggiungimento di economie di scala o di efficienze relative all’espansione del mercato [22]. Le corti comunitarie hanno più volte sancito l’abusività di determinati comportamenti attuati da un’impresa in posizione dominante, salvo che gli stessi non siano obiettivamente giustificati [23]. Ci si è allora interrogati sul significato di obiettiva giustificazione. Le pronunce della Corte sul punto spesso sono state poco chiare e contraddittorie. La prassi decisionale finora ha dimostrato un’ampia apertura teorica all’accettazione di giustificazioni di tipo economico del comportamento in questione, non supportata però da un concreto accoglimento delle argomentazioni invocate a propria discolpa dalle imprese. Limitatamente ai casi di predatory pricing, si può sostenere che nel caso Akzo [24] il Tribunale abbia riconosciuto la possibilità di una meeting competition defence [25]. Nella controversia in questione, il giudice comunitario ha, infatti, confermato la possibilità, per un’impresa dominante, di ridurre i propri prezzi al livello di quelli del concorrente, ma in determinate circostanze (ovvero quando ciò con comporti per l’impresa dominante una vendita sottocosto [26]). Tuttavia, la ricostruzione del ragionamento del Tribunale rivela come l’argomento difensivo sia invocabile solo qualora l’intento escludente dell’impresa non possa essere stabilito, ossia solo se un elemento del test non sia dimostrato [27]. 3. Il tentativo di abbandono dell’intento da parte della Commissione La Comunicazione, sebbene sia l’esito di un percorso di ricostruzione dei precedenti comunitari [28], rappresenta un tentativo da parte della Commissione d’introdurre un metodo di valutazione delle pratiche escludenti basato sugli effetti da queste prodotte sul mercato rilevante, allineando in tal modo la normativa di cui all’articolo 102 TFUE alla disciplina in materia d’intese e di concentrazioni. Il maggior apporto è costituito dal tentativo di sostituire la nozione di «intento» predatorio, pur non tralasciandola definitivamente, con un’analisi che tuttavia eleva il livello di prova richiesto ai fini della dimostrazione dell’esistenza di una politica predatoria. La disciplina che emerge richiede come elemento di preselezione dei casi rilevanti il deliberato sacrificio dei profitti da parte dell’impresa dominante, sia sotto forma di vendita sottocosto che di prezzi inferiori rispetto a una condotta alternativamente razionale nonché l’effetto di preclusione anticoncorrenziale rilevato attraverso l’esame di una serie di elementi, quali la posizione dell’impresa, dei suoi concorrenti e clienti, le particolari condizioni di mercato e la portata della condotta escludente. Si sostituisce pertanto all’intento, l’interpretazione dei fattori di mercato quali indici di probabile preclusione. Tuttavia, sebbene la Commissione cerchi di abbandonare la soggettività della nozione focalizzandosi sugli effetti della condotta, l’intento è incorporato nel primo elemento del test, ossia nel “deliberato” sacrificio dei profitti. E’ chiaro come tali elementi non coincidano in maniera puntuale con i classici elementi del test sul predatory pricing elaborati dalle corti comunitarie, vale a dire la vendita sottocosto e l’intento escludente [29]. Una tale attenzione sugli effetti, piuttosto che sulle caratteristiche formali della strategia, è nonostante ciò, come vedremo, più in linea con l’oggettiva natura del concetto di abuso più volte ribadito dalla corte. 3.1 Il ruolo dell’intento nell’articolo 102 TFUE e nel predatory pricing Il pensiero delle Corti e della Commissione comunitaria s’impernia sul concetto di abuso in senso oggettivo. Ciò significa che un abuso può essere rinvenuto indipendentemente dalla specifica volontà dell’impresa di dar seguito a una determinata decisione commerciale, purché l’effetto attuale o potenziale del comportamento sia di ostacolare il mantenimento o la crescita della concorrenza sul mercato [30]. Nonostante i summenzionati sforzi dei recenti casi europei di non considerare l’intento come elemento rilevante ai fini di una responsabilità antitrust, sia alla luce degli obiettivi dello stesso articolo 102 sia in considerazione della natura oggettiva del concetto di abuso, è indiscusso che l’intento rivesta un ruolo peculiare nel diritto europeo della concorrenza così come emerge dalle pronunce delle corti. In particolare, vi è un ovvio paradosso nei casi comunitari circa la concezione della natura oggettiva dell’abuso e il requisito dell’intento predatorio, richiesto dalle corti come elemento fondamentale qualora i prezzi si collochino tra i costi variabili medi e i totali. Sebbene altre plausibili spiegazioni commerciali siano possibili in ipotesi di prezzi superiori all’AVC oltre all’esclusione dei rivali, qualora sia stata rinvenuta la prova dell’intento eliminatorio, la condotta sarà considerata abusiva. Tuttavia, mentre nell’ipotesi di prezzi inferiori ai costi medi vi è una presunzione d’intento predatorio, in caso di prezzi superiori all’AVC l’intento deve essere provato sul fondamento d’indizi “gravi e concordanti” [31]. Sia la Commissione sia le corti europee danno chiara importanza alla documentazione interna dell’impresa considerata a volte come prova diretta dell’intento escludente. Il caso France Télécom è paradigmatico in tal senso. Poiché per parte del periodo considerato i prezzi si collocavano al di sopra dell’AVC, la Commissione si è dovuta preoccupere di carpire, all’interno della documentazione aziendale, sintomi di una strategia finalizzata al controllo o all’esclusione dei rivali, ossia, un intento di impadronirsi del mercato. Lo sfortunato utilizzo della frase “appropriazione prioritaria del mercato”, utilizzata in alcuni dei documenti sequestrati, è stata utile per la ricostruzione di gran parte del caso. In sede di appello, la Corte ha rivolto particolare attenzione al controllo del raggiungimento di un adeguato livello probatorio ai fini della dimostrazione della predazione, in particolare con riferimento all’esattezza dell’interpretazione, da parte della Commissione, della documentazione aziendale. Dopo aver dedicato diversi paragrafi alla questione, la Corte ha concluso per la fondatezza delle valutazioni della Commissione e che, di conseguenza, «in conformità delle precedenti decisioni (Akzo, Tetra Pak) la Commissione ha dunque dimostrato la presenza dei due elementi necessari ai fini della predazione». Al contrario, all’interno di un solo paragrafo, ha rigettato la difesa supportata dall’impresa. Nella stessa sede, l’impresa aveva anche sollevato la questione secondo la quale il Tribunale avesse fondato la propria decisione esclusivamente su evidenze soggettive, contravvenendo con ciò all’oggettiva natura dell’abuso. Tuttavia, la Corte, rigettando le argomentazioni dell’impresa, ha rilevato che i documenti aziendali fossero piuttosto da considerarsi come degli “elementi obiettivi”. L’importanza della prova dell’intento è stata altresì ampiamente illustrata nel caso Compagnie Marittime Belghe, nel quale l’intento sembra sia stato decisivo ai fini della responsabilità dell’impresa, nonostante i prezzi non si collocassero al di sotto di determinate misure di costo. Ciò che del caso colpisce maggiormente è che le tipiche condizioni oggettive del predatory pricing non fossero state rinvenute, poiché le tariffe rilevanti si collocavano al di sopra dei costi dell’impresa Cewal. I prezzi erano differenti da quelli normalmente praticati dall’impresa ed erano determinati non in conformità ai criteri economici (quali i costi), ma esclusivamente al fine di uguagliare o ribassare i prezzi del concorrente. In virtù di ciò, tali riduzioni sono state considerate abusive poiché attuate con lo specifico obiettivo di eliminare dal mercato il principale concorrente. Sebbene altri aspetti del caso possano aiutare a comprendere la decisione della Corte [32], sembra che proprio l’intenzionalità del comportamento sia stata decisiva per la qualificazione dell’abusività dello stesso. La Corte ha precisato come l’intento predatorio fosse stato sufficientemente dimostrato dalla Commissione attraverso i verbali delle riunioni di Cewal, nei quali si faceva riferimento all’intento di “sbarazzarsi” dell’operatore indipendente, insieme con l’instaurazione dello Special Fighting Commitee all’interno di Cewal, oltre all’uso dell’espressione “fighting ships” per descrivere la propria politica commerciale [33]. 3.2 Le conseguenze della prova dell’intento eliminatorio: intento come succedaneo dell’effetto anticoncorrenziale Una volta individuata l’esistenza di un piano predatorio, non incomberà sulla Commissione l’onere di dimostrare la presenza di reali effetti anticoncorrenziali [34] né la probabilità del recupero delle perdite. L’onere probatorio passerà invece in capo all’impresa interessata la quale dovrà fornire la prova negativa, dei possibili effetti anticompetitivi, o positiva, dell’oggettiva e concreta giustificazione economica che bilanci i potenziali effetti anticompetitivi [35], sebbene in pratica ciò sia molto complesso da dimostrare al fine di un esonero da responsabilità. Nonostante la Commissione, all’interno della Comunicazione, sembri mostrare un approccio più sfumato sulla rilevanza dell’intento predatorio, rilevando tra gli altri fattori che, insieme con la prova diretta di qualsiasi strategia escludente, possa essere rilevante un’indagine sui probabili effetti anticompetitivi del comportamento presumibilmente abusivo, tale retorica tuttavia non si riflette nell’applicazione pratica della Commissione né nella giurisprudenza della Corte. Mentre per la Commissione le prove dirette del piano eliminatorio “possono essere utili per interpretare il comportamento dell’impresa dominante” [36], la Corte va ben oltre, attribuendo invece all’intento un peso probatorio. Qualora sia stabilito che prezzando al di sotto dell’ATC l’impresa persegua un oggetto anticompetitivo, in altre parole, l’eliminazione del rivale, la prova dell’effetto è ridondante, poiché quest’ultimo sarà considerato come il risultato necessario di una tale condotta [37]. Nel caso France Télécom la Corte ha precisato che «se si dimostra che il comportamento di un’impresa in posizione dominante ha lo scopo di restringere la concorrenza, detto comportamento sarà anche idoneo a produrre un effetto di tal genere». Aggiunge che «qualora un’impresa in posizione dominante attui effettivamente una pratica il cui fine sia l’estromissione di un concorrente, il fatto che il risultato atteso non si realizzi non è sufficiente a escludere la qualifica di abuso di posizione dominante ai sensi dell’art. 82 CE». Alla stessa conclusione si giunge qualora sia dimostrata la mancata possibilità di recupero. Ciò significa che la prova dell’intento eliminatorio è usata, in definitiva, come un succedaneo degli effetti anticoncorrenziali. A parere della Corte, infatti, anche quando il risultato ricercato dal presunto predatore non sia raggiunto, perché, per esempio, il predatore ha sottovalutato la resistenza della preda, l’applicazione del 102 non può essere esclusa una volta che sia stato dimostrato che la condotta è stata adottata per eliminare il rivale. Alla luce delle considerazioni di cui sopra, emergerebbe che l’intento escludente possa essere per il diritto antitrust europeo motivo d’intervento, poiché è parte centrale del test predatorio [38] e fa da spartiacque tra un lecito ed un illecito comportamento di prezzi. Gli Organi comunitari sembrano essere attratti dalla prova dell’intento probabilmente perché è di più facile applicazione. In una certa misura, quest’approccio consente loro di evitare complicate e profonde valutazioni del contesto legale ed economico che potrebbero aver indotto l’impresa a comportarsi in un dato modo. La prova dell’intento è perciò la base della responsabilità antitrust, anche qualora non vi siano oggettive condizioni per una probabile esclusione di concorrenti altrettanto efficienti, come nel caso di prezzi superiori all’AVC, d’insuccesso della strategia e d’impossibilità di recupero. In Europa, nonostante la retorica delle linee guida della Commissione secondo la quale il diritto antitrust è finalizzato a proteggere la concorrenza, si deve dedurre che il principale obiettivo dell’intervento antitrust europeo sia assicurare che i mercati rimangano aperti, proibendo così condotte che possano ritardare l’ingresso sugli stessi, escludere o disciplinare i rivali. Il comportamento è quindi valutato negativamente in ragione degli effetti strutturali che determina, cioè in termini di riduzione del numero di concorrenti. Sarebbe così la rivalità e, dunque, la libertà economica delle imprese, il vero oggetto della protezione normativa. Difatti, in conformità della giurisprudenza, l’articolo 102 riguarda non soltanto le pratiche che possano danneggiare direttamente i consumatori, ma anche quelle che sono considerate dannose nei loro confronti indirettamente “pregiudicando la sussistenza di una concorrenza effettiva” [39]. Come dichiarato dalla Corte, all’interno dello stesso caso, nelle ipotesi di vendite sottocosto, anche se il recupero è impossibile (perché ad es. mancano barriere all’entrata, per la diminuzione della quota dell’impresa) i consumatori possono anche essere danneggiati a seguito del recesso dal mercato di uno o più imprese, poiché ciò limiterà “le loro possibilità di scelta” [40]. Tuttavia, un eccessivo public enforcement del diritto antitrust potrebbe scoraggiare il rischio d’impresa e, dunque, essere dannoso per lo sviluppo dell’attività commerciale e dell’innovazione [41]. 4. Conseguenze prevedibili in termini di politica applicativa Poiché non vi è distinzione pratica tra il desiderio di competere e l’ambizione di sconfiggere il rivale, giacché l’intenzione di eliminare i propri avversari è l’essenza della concorrenza, punire le imprese perché semplicemente intendano primeggiare sul mercato rischia di confondere e di scoraggiare le dinamiche del processo concorrenziale [42]. In particolare, contrastare il comportamento unilaterale sulla base dell’intento eliminatorio potrebbe trasmettere il messaggio secondo il quale sia pericoloso e sbagliato cercare di guadagnare maggiori profitti a spese del concorrente. Si dovrebbe notare che tale messaggio può aver effetti anche nei confronti delle imprese non realmente dominanti, data la possibilità di rinvenire un significativo potere di mercato a livelli non elevati. Il peso assegnato all’intento non sembra, dunque, sia stato preceduto da una matura riflessione in tal senso e rischia di creare un contesto nel quale le imprese potrebbero aver timore di ridurre i prezzi per la preoccupazione di incorrere in responsabilità. A tal proposito, la necessità di minimizzare gli errori e di evitare di lanciare segnali confusi al mercato, raccomanda, dunque, ai decisori di avvalersi al massimo di fattori oggettivi nella valutazione delle condotte di prezzo. La valutazione dovrebbe concernere se sia stato attuato un oggettivo atto anticompetitivo. Una tale preoccupazione consiglia di concentrarsi su prove economiche o comportamentali, escludendo dunque l’intento quale principale scopo dell’analisi. In altre parole, la valutazione dovrebbe concentrarsi sulla condotta, considerando ed esempio se, dal punto di vista dell’impresa che pone in essere un dato comportamento, il suo impiego è economicamente razionale a prescindere da qualsiasi effetto di esclusione del rivale che si possa avere, nonché su altri strumenti oggettivi (barriere, possibili controstrategie, tagli selettivi, probabilità di esclusione). Al massimo, il ruolo dell’intento potrebbe essere confinato a una prova secondaria di conferma, ossia, utilizzato per supportare la prova del danno anticoncorrenziale, già sufficientemente raggiunta attraverso altre prove comportamentali ed economiche. In ogni caso, i decisori dovrebbero tener in considerazione l’inerente natura arbitraria delle prove documentali tese a dimostrare lo stato mentale dell’impresa. Uno stretto affidamento sull’intento, senza la considerazione di un’analisi basata sugli effetti, può causare risultati perversi portando a considerare anticompetitive certe condotte laddove non vi siano obiettive giustificazioni in tal senso. 5. Efficacia e adeguatezza della Comunicazione Dal punto di vista applicativo, la Comunicazione si limita a esporre una serie di priorità di cui la Commissione terrà conto nell’applicazione dell’articolo. Ciò vuol dire che gli effetti vincolanti del contenuto della comunicazione sono molto limitati: poiché con l’emanazione del documento la Commissione limita la propria discrezionalità, qualora un eventuale discostamento dalle stesse non sia adeguatamente motivato, potrebbe verificarsi una violazione del principio di parità di trattamento e della tutela del legittimo affidamento. Il Guidance Paper rappresenta tuttavia il primo tentativo della Commissione di introdurre una metodologia che dovrebbe sempre di più focalizzare la valutazione dell’art. 102 non tanto sull’accertamento formale dell’esistenza della posizione dominante, quanto piuttosto sugli effetti (non solo negativi, perché restrittivi della concorrenza, ma anche quelli positivi giacché pro – competitivi) che le attività delle imprese possano avere sul mercato rilevante. Il fatto che la Commissione sia riuscita, nonostante varie difficoltà, a creare un documento coerente rappresenta uno sviluppo positivo che sarà probabilmente apprezzato. Tuttavia, un primo ambizioso passo di muoversi verso una nuova direzione politica, non sarà esente da critiche [43]. Come già osservato in precedenza, la certezza giuridica non è una caratteristica propria di un’analisi basata sugli effetti. A differenza del passato, dove lo stabilire una posizione dominante significava in pratica anche rinvenirne l’abuso, ora gli effetti anticompetitivi possono essere dedotti solo sulla base dell’esame di svariati fattori collegati sia alla struttura di mercato sia all’incidenza della condotta dell’impresa. L’enumerazione e la sistematizzazione dei fattori rilevanti che saranno presi in considerazione riducono, in una certa misura, il grado d’incertezza giuridica. Tuttavia l’assenza di quantificazione dei vari fattori rende difficile per un’impresa valutare ex ante la propria condotta. Spesso le argomentazioni della Commissione appaiono, infatti, contraddistinte da una costante ricerca di una flessibilità (per la Commissione) nel giudicare lo specifico caso concreto, tale da provocare per le imprese che si trovano a operare sul mercato una vera e propria incertezza del diritto [44]. Sebbene ciò rappresenti una debolezza, la stessa è comprensibile laddove si consideri la mancanza di un’esperienza precedente sull’applicazione di un’analisi basata sugli effetti. Come per ogni riforma, ci sarà probabilmente una learning curve che andrà incontro agli interessi delle parti e un frammento di certezza sacrificata nel breve periodo sarà presumibilmente riguadagnato. La sfida per la Commissione sarà dunque ottenere il placet delle corti comunitarie e in tal senso la decisione France Télécom si è rivelata di particolare importanza per una, fino ad ora, scarsa legittimazione della riforma. In essa è chiara l’esigua apertura della corte ad accettare analisi sugli effetti di mercato e plausibili giustificazioni economiche [45]. Il maggiore elemento di differenzazione dell’approccio tra i due Organi comunitari concerne tuttavia un aspetto di fondamentale importanza, rappresentato dalla necessità o meno di una possibile o probabile preclusione anticoncorrenziale nonostante la comprovata illiceità della condotta dell’impresa. Sebbene una riforma dell’articolo si sia formalmente compiuta con la pubblicazione della Comunicazione, la reale riforma è appena iniziata. Il nuovo approccio economico dovrà quindi essere applicato specificamente, le decisioni della Commissione dovranno essere coerentemente costruite su salde basi economiche e a tal punto solo l’avallo della corte potrà eventualmente incorporare in strumenti, questa volta di hard law, la valutazione delle condotte sulla base degli effetti delle stesse sui mercati rilevanti. ________ Note: * Desidero ringraziare il Prof. Baccini Alberto e l’Avv. Vasques Luciano per le preziose discussioni sugli argomenti trattati e per il supporto nella stesura del presente lavoro. [1] «During the past centuries, many forms of business conduct have been attacked as predatory. Neither courts nor legal and economic scholars, however, agree on a broad definition of predatory behavior. The minimal consensus (if such exists) is that predatory pricing entails selling a product “below cost” in order to induce a rival’s exit, deter future entry, or dissuade a rival(s) from future competition. Stated more broadly, “predatory behavior is a response to a rival that sacrifices part of the profit that could be earned under competitive circumstances, were the rival to remain viable, in order to [lessen competition] and gain consequent monopoly profit». S. N. Durlauf and L. E. Blume, The New Palgraves, Dictionary of Economics. Second Edition. Eds. Palgrave Macmillan, 2008. [2] Comunicazione della Commissione. Orientamenti sulle priorità della Commissione nell’applicazione dell’art. 82 del trattato CE e al comportamento abusivo delle imprese dominanti volto all’esclusione dei concorrenti. Bruxelles, 9-2-2009, C (2009) 864. [3] Il concetto di “consumatori” comprende tutti gli utilizzatori, diretti o indiretti, dei prodotti interessati dal comportamento, compresi produttori intermedi che utilizzano i prodotti come fattore di produzione, nonché i distributori e i consumatori finali sia del prodotto immediato sia dei prodotti forniti da produttori intermedi. Qualora gli utilizzatori intermedi siano concorrenti effettivi o potenziali dell’impresa dominante, la valutazione si concentra sugli effetti del comportamento sugli utilizzatori più a valle. Comunicazione della Commissione, cit. [4] Si veda G. Faella, Above-cost predation. Spunti di analisi economica comparata, in: «Mercato concorrenza regole», 2/2010, Il Mulino, pp. 243-278. Secondo Faella, un simile approccio potrebbe avere conseguenze indesiderabili, in termini di livello dei prezzi, e la sua applicazione potrebbe rivelarsi sensibilmente complessa nella pratica, poiché si fonda sul raffronto con un ipotetico but – for scenario che potrebbe essere difficilmente determinabile. [5] La Commissione ha inoltre rilevato una maggiore facilità e riuscita di un comportamento predatorio selettivo e dunque destinato a clienti specifici (poiché questo ridurrà le perdite sostenute dall’impresa dominante) ritenendo per contro poco probabile l’esistenza di una predazione in presenza di generali ribassi di prezzi per prolungati periodi di tempo. Comunicazione, cit. [6] Giacché si tratta di una presunzione iuris tantum, l’impresa che abbia attuato tale comportamento può provare per esso l’esistenza di una giustificazione. [7] Le imprese non dovrebbero tuttavia essere penalizzate per aver sostenuto perdite ex post quando la decisione ex ante di adottare il comportamento è stata presa in buona fede, ossia se possono fornire prove inoppugnabili del fatto che potevano ragionevolmente prevedere che l’attività sarebbe stata redditizia. [8] Secondo alcuni autori, un più ragionevole approccio avrebbe forse considerato la condotta tenuta in passato dalla stessa impresa. Se questa, in precedenza, otteneva dall’applicazione di determinati prezzi grossi guadagni, allora un cambio di politica commerciale che comporti una forte diminuzione dei ricavi potrebbe essere sintomo di sacrificio. In tal senso E. Rousseva, Rethinking exclusionary abuses in EU Competition Law, Oregon, Hart publishing, 2010. [9] Nella Comunicazione l’espressione “preclusione anticoncorrenziale” è utilizzata per descrivere una situazione in cui l’accesso effettivo di rivali reali o potenziali a forniture o a mercati è ostacolato o eliminato a causa del comportamento dell’impresa dominante, e in cui è probabile che quest’ultima sia in grado di aumentare in modo redditizio i prezzi a scapito dei consumatori. L’individuazione di un probabile danno per i consumatori si può basare su prove qualitative e, ove possibile e opportuno, su prove quantitative. [10] Qualora poi l’impresa operi e sia dominante in più mercati e la sua condotta possa avere ripercussioni sugli stessi in periodi consecutivi, la Commissione considererà se il comportamento sia idoneo a far guadagnare all’impresa la reputazione di predatore, in tal caso anche un concorrente altrettanto efficiente sarà dissuaso dal competere (par. 68 della Comunicazione). [11] Gli Organi comunitari si sono avvalsi di tali strumenti probatori in diverse cause di predazione. Nella causa AKZO (causa C-62/86) la Corte ha rinvenuto l’esistenza di una chiara prova in tal senso, nel fatto che AKZO avesse minacciato la concorrente ECS, in due riunioni, di applicare prezzi inferiori ai costi se quest’ultima non si fosse ritirata dal mercato dei perossidi organici. Esisteva inoltre un piano dettagliato e corredato di dati, delle misure che sarebbero state poste in atto da AKZO nell’ipotesi in cui ECS avesse perpetrato la propria condotta (cfr. punti 76-82, 115 e 131-140). Allo stesso modo, nel caso Tetra Pak (causa C-333/94P) un rapporto interno dell’impresa indicava la necessità di «sacrifici di ordine finanziario ed economico per importi ingenti». [12] Per un’analisi del Guidance Paper si vedano: M. A. Gravengaard – N. Kjaersgaard, The EU Commission guidance on exclusionary abuse of dominance – and its consequences in practice, in: «European Competition Law Review», vol. 31, issue 7/2010, pp. 285 – 305. A. Emch – G. K. Leonard, Predatory Pricing – Ecoonomics and Law in the United States and the European Union, 2009, Fa Xue Jia, pp. 100 – 110, disponibile su http://ssrn.com/abstract=1567537. [13] «Ad esempio, se l’impresa dominante dispone di migliori informazioni sui costi o su altre condizioni di mercato, o se può distorcere i segnali del mercato relativi alla redditività, essa può adottare un comportamento predatorio tale da influenzare le aspettative di potenziali nuovi operatori scoraggiandone quindi l’ingresso sul mercato. Se il comportamento e i suoi probabili effetti sono percepiti su vari mercati e/o in periodi successivi, è possibile dimostrare che l’impresa dominante cerchi di costruirsi una reputazione d’impresa con comportamento predatorio. Se il concorrente oggetto del comportamento predatorio dipende da finanziamenti esterni, diminuzioni sostanziali dei prezzi o altri comportamenti predatori attuati dall’impresa dominante potrebbero comprometterne le prestazioni e, dunque, il suo accesso a ulteriori finanziamenti potrebbe essere seriamente compromesso». Punto 67 della Comunicazione. [14] Negli USA, poiché il comportamento predatorio rileva come attempt to monopolize (Section II dello Sherman Act), la Corte Suprema considera quale criterio di preselezione dei casi rilevanti di predatory pricing, la «probabilità reale che l’impresa dominante sarà capace di recuperare le perdite subite durante la messa in opera della pratica, aumentando i prezzi una volta eliminata la concorrenza» Causa Brooke Group Ltd v Brown & Williamson Tobacco Corp., 509 US 209, 1993. [15] L’individuazione del danno arrecato ai consumatori non è un calcolo meccanico di profitti e perdite, e non è necessaria la prova dei profitti complessivamente realizzati. Il danno probabile ai consumatori può essere dimostrato valutando il probabile effetto di preclusione causato dal comportamento, prendendo nello stesso tempo in considerazione altri fattori, come le barriere all’ingresso sul mercato. In questo contesto, la Commissione considererà anche le possibilità di reingresso sul mercato. Punto 70 della Comunicazione. [16] Secondo la Corte, la possibilità di recupero delle perdite sostenute nel corso della predazione non costituisce un presupposto necessario per dimostrare il carattere abusivo di una siffatta politica in materia di prezzi, tuttavia, ciò non esclude che la Commissione possa considerare una siffatta possibilità come «elemento rilevante in sede di valutazione della natura abusiva della pratica in questione in quanto, per esempio, essa può contribuire a escludere, in caso di applicazione di prezzi inferiori alla media dei costi variabili, giustificazioni economiche diverse dall’eliminazione di un concorrente, oppure a dimostrare, in caso di applicazione di prezzi inferiori alla media dei costi totali ma superiori alla media dei costi variabili, l’esistenza di un piano avente lo scopo di eliminare un concorrente. Del resto, la mancanza di qualsiasi possibilità di recupero delle perdite non può bastare a escludere che l’impresa in questione giunga a rafforzare la sua posizione dominante in seguito, in particolare, all’uscita dal mercato di uno o più tra i suoi concorrenti, di modo che il grado di concorrenza esistente sul mercato, già indebolito proprio a causa della presenza dell’impresa in questione, risulti ancor più diminuito e che i consumatori subiscano un danno derivante dalla limitazione delle loro possibilità di scelta» (vd. punti 110 112). Sentenza della Corte, causa C-202/07P del 2 aprile 2009, France Télécom. [17] L’orientamento prevalente nella letteratura giuseconomica assume che i prezzi superiori a una data misura dei costi non debbano considerarsi predatori, sul presupposto che, ove operatori altrettanto efficienti possano competere, l’abbassamento dei prezzi sia espressione di una legittima forma di concorrenza fondata sulle prestazioni. L’esclusione dei concorrenti meno efficienti mediante una politica di prezzi aggressivi, ma superiori al livello dei costi, rifletterebbe semplicemente l’esito del fisiologico funzionamento del processo concorrenziale. P. Areeda – D. F. Turner, Predatory Pricing and Practicies under Section II of the Sherman Act, in «Harvard Law Review», Vol. 88, N. 4, 1975, pp. 697-733. [18] Senza specificare un particolare cost benchmark, la Corte Suprema ha riconosciuto che la prezzazione al di sopra dei costi non possa essere predatoria poiché «the exclusionary effect of prices above a relevant measure of cost either reflects the lower cost structure of the alleged predator, and so represents competition on the merits or is beyond the practical ability of a judicial tribunal to control without courting intolerable risks of chilling legitimate price cutting» (Brooke Group Ltd v Brown & Williamson Tobacco Corp 113 S Ct 222578, 1993). [19] L’unico caso in cui la Corte è giunta a una condanna, pur trattandosi di prezzi non sottocosto, riguarda un abuso di posizione dominante collettiva o comunque accompagnato da una previa intesa tra le imprese coinvolte. La controversia in questione, Compagnie Marittime Belghe, concerneva un comportamento abusivo che distruggeva la concorrenza ed era atto a estromettere dal mercato un’impresa forse altrettanto efficiente della conferenza dominante, ma che a causa della sua inferiore capacità finanziaria, se comparata a quella di un cartello, non poteva resistere alla concorrenza organizzata in modo concertato e abusivo da un potente gruppo di armatori riuniti in una conferenza marittima, turbando, così, le normali dinamiche del mercato. L’esistenza di perdite finanziarie effettive era irrilevante, essendo sufficiente che si verificassero perdite di entrate. Sentenza del Tribunale di primo grado dell’ 8 ottobre 1996. Compagnie marittime belghe contro Commissione delle Comunità europee. Cause riunite T-24/93, T-25/93, T- 26/93, T- 28/93. Sentenza della Corte del 16 marzo 2000, cause riunite C-395/96P, C-396/P. [20] Il contrappeso concorrenziale rappresentato dai concorrenti meno efficienti dovrebbe essere valutato in modo dinamico, tenendo conto del fatto che, in assenza della pratica escludente, i rivali potrebbero beneficiare di vantaggi relativi alla domanda, quali effetti di rete e d’apprendimento, che tenderebbero a migliorare l’efficienza. Comunicazione della Commissione, cit. [21] Vd. G. Faella, Above – cost predation. Spunti di analisi economica comparata, cit. [22] La Commissione sembra sia disposta a esaminare le argomentazioni supportate dall’impresa dominante a sostegno della liceità del proprio comportamento, addossandole l’arduo onere di dimostrare la sussistenza di una serie di requisiti tassativi sulla falsariga del meccanismo d’esenzione di cui all’art. 101 (3). A tal proposito, l’impresa dovrà dimostrare che il proprio comportamento sia obiettivamente necessario e che produca considerevoli efficienze tali da compensare eventuali effetti anticoncorrenziali, e che lo stesso non sopprima la concorrenza effettiva, eliminando tutte o la maggior parte delle fonti esistenti di concorrenza reale o potenziale. Qualora le condizioni di cui sopra siano soddisfatte, la Commissione prenderà in considerazione le affermazioni delle imprese dominanti. Punto 73 della Comunicazione. [23] «This means that, once the conduct is found to be harmful to competition, the dominant undertaking may show that its conduct is objectively justified either because it has been undertaken in response to aggressive competition on the part of competitors (“meeting competition defence”), or because it is efficient (“efficiency justification defence”) » E. Rousseva, Rethinking exclusionary abuses in EU Competition Law, cit. [24] Commissione, 14 dicembre 1985, ECS/Akzo in G.U.C.E. n. L 374 del 31 dicembre 1985, p. 1. Corte di Giustizia, 3 luglio 1991, causa C-62/86, Akzo Chemie BV c. Commissione. Per un commento alla decisione della Commissione vedi: D. Guy, The AKZO Case. Predatory pricing as an Abuse of a Dominant Position, in: «European Intellectual Property Review», EIPR Oxford, Vol. 9, No. 3. March 1987, pp. 86-89. [25] Sul punto: M. S. Gal, Below-Cost Price Alignment: Meeting or Beating Competition? The France Télécom Case, in: «European Competition Law Review», 2007, Vol. 28, n. 6, pp. 382-391. [26] «Non è possibile asserire che il diritto di un’impresa dominante di allineare i propri prezzi a quelli dei concorrenti sia assoluto» Punto 182 della sentenza del Tribunale. Il Tribunale ha notato altresì rilevato che «sebbene a un’impresa non dominante sia consentito allineare i prezzi a quelli dei concorrenti, anche vendendo sottocosto, un’impresa dominante non ha necessariamente lo stesso diritto». Punto 186. [27] Nei precedenti comunitari, all’accusa di aver praticato prezzi superiori al costo medio variabile, ma inferiori a quello totale, AKZO aveva replicato che il proprio obiettivo era guadagnare nuovi clienti per mitigare la perdita di profitti causata dalle offerte della concorrente ECS. La Corte ha però rigettato tale argomento, poiché l’applicazione di prezzi sottocosto notevolmente inferiori a quelli del proprio concorrente ha rivelato come l’intenzione di AKZO non fosse quella di vincere l’ordine dei clienti, perché ciò l’avrebbe indotta a ridurre i prezzi solo fino al limite in cui ciò fosse stato necessario per raggiungere l’obiettivo. Allo stesso modo, all’interno del caso France Télécom, laddove l’impresa sanciva il proprio diritto di allineare i prezzi a quelli del concorrente, la Corte ha affermato la non assolutezza di tale diritto, in particolare qualora sia esercitato per giustificare l’uso di prezzi predatori proibiti dal Trattato. Infatti, anche in tal caso, l’allineamento non consentiva all’impresa di ricoprire i propri costi di produzione, causa (C-202/07P). [28] La sintesi che è emersa dalla casistica giurisprudenziale in tema di predatory pricing è stata la seguente. Per i prezzi inferiori ai costi medi variabili vige una presunzione iuris tantum di predatorietà (casi Akzo, Tetra Pak, British Sugar, France Télécom). I prezzi compresi tra i costi medi variabili e i costi medi totali sono abusivi allorquando siano parte di un piano volto all’eliminazione del rivale, provato sul fondamento d’indizi “gravi e concordanti” (casi Akzo, France Télécom). Sia la Commissione sia le Corti europee hanno dato chiara importanza alla documentazione interna dell’impresa, considerata a volte come prova diretta dell’intento escludente. Quanto ai prezzi superiori al costo totale medio, è possibile considerarli predatori, in casi eccezionali, fondandosi prevalentemente sulla valutazione dell’intento dell’impresa dominante (caso Compagnie Marittime Belghe). [29] Da una valutazione della casistica giurisprudenziale avutasi fino ad oggi, emerge chiaramente come gli Organi comunitari facciano riferimento all’intento soggettivo dell’impresa dominante. [30] Sentenza del tribunale dell’1 aprile 1993, T-65/89, BPB Industries PLC v Commissione, par. 70. Il tribunale sancisce inoltre che «perché un’infrazione alle regole di concorrenza possa considerarsi commessa intenzionalmente, non è necessario che l’impresa fosse consapevole di violare un divieto sancito da tali regole; è sufficiente che essa non potesse ignorare che il comportamento censurato aveva per oggetto o poteva avere per effetto quello di falsare la concorrenza nel mercato comune». [31] Caso T – 340/03, France Télécom, par. 197. [32] Quali, ad esempio, la condizione di superdominanza dell’impresa (con oltre il 90% della quota di mercato) e l’esistenza di un unico concorrente sul mercato. [33] M. M. João, The Use and Abuse of Intent Evidence in Antitrust Analysis, in: «World Competition» 33, n. 4, 2010, pp. 569 – 594. [34] Dalla sentenza del Tribunale nel caso France Télécom si evince che: «quanto alle condizioni d’applicazione dell’art. 82 CE e alla distinzione tra oggetto ed effetto della pratica abusiva, occorre sottolineare che, ai fini dell’applicazione del detto articolo, la prova in merito all’oggetto e quella relativa all’effetto anticoncorrenziale possono, eventualmente, confondersi. Infatti, se si dimostra che il comportamento di un’impresa in posizione dominante ha lo scopo di restringere la concorrenza, detto comportamento sarà anche idoneo a produrre un effetto di tal genere. Quindi la Corte, per quanto concerne le pratiche in materia di prezzi, ha statuito nella sua sentenza AKZO/Commissione […] che prezzi inferiori alla media dei costi variabili praticati da un’impresa che detiene una posizione dominante sono giudicati di per sé abusivi, poiché l’unico interesse che l’impresa può avere a praticare simili prezzi è eliminare i propri concorrenti e che prezzi inferiori alla media dei costi totali, ma superiori alla media dei costi variabili, sono abusivi allorché sono fissati nell’ambito di un disegno inteso a eliminare un concorrente. La Corte non ha preteso in tale causa nessuna dimostrazione degli effetti concreti delle pratiche di cui trattasi (vd., in tal senso, sentenza del Tribunale 30 settembre 2003, causa T-203/01, Michelin/Commissione, Racc. pag. II-4071, punti 241 e 242)». Tratto da France Télécom, causa T – 304/03, paragrafo n. 195. [35] Paragrafi 28-30 della Comunicazione. [36] Paragrafo 20 della Comunicazione. [37] La ratio della Corte, dunque, sembra basarsi sulla percezione che la stessa impresa sia nella migliore posizione per valutare le conseguenze delle proprie azioni. Se un’impresa intende sconfiggere un rivale, è perché essa probabilmente ha le capacità per farlo, e per di più, è molto probabile che lo farà. Sul punto Vd.: J. Glöckner – L. V. Bruttel, Predatory pricing and recoupment under EU competition law – Per se rules, underlying assumptions and the reality: Results of an experimental study, in: «European Competition Law Review», vol. 31:issue 11/2010, pp. 423 – 431. Secondo gli autori dell’articolo:«arguably any market participant engaging in a price war with the proven intention of eliminating a competitor would not do so, unless he were convinced to leave the battleground as the winner and able to recoup the costs of the price war subsequently». [38] Al contrario, in USA la prova documentale dell’intento è esclusa dalla’analisi antitrust, poiché vista con grande scetticismo. [39] In France Télécom, recuperando la formula stabilita nel 1973 nel caso Continental Can, la Corte rileva che «poiché l’art. 82 CE riguarda non solo le pratiche che possono provocare un danno immediato ai consumatori, ma anche quelle che li danneggiano pregiudicando la sussistenza di una concorrenza effettiva (sentenza 21 febbraio 1973, causa 6/72, Europemballage e Continental Can/Commissione, Racc. pag. 215, punto 26), è all’impresa che detiene una posizione dominante che incombe la responsabilità particolare di non pregiudicare, con il suo comportamento, una concorrenza effettiva e leale all’interno del mercato comune (sentenza Nederlandsche Banden – Industrie – Michelin/Commissione, cit., punto 57)». Secondo alcuni autori è, infatti, ragionevole presumere un rafforzamento della concorrenza qualora i concorrenti – anche non altrettanto efficienti – siano mantenuti sul mercato anziché eliminati. Anche tale frangia di concorrenti in realtà potrebbe, forse a seguito di modificazioni economiche, gestionali o di sviluppo tecnico, prosperare a vantaggio del sistema concorrenziale e dei consumatori. In tal senso: J. Glöckner – L. V. Bruttel, Predatory pricing and recoupment under EU competition law – Per se rules, underlying assumptions and the reality: Results o fan experimental study, cit. [40] Punto 112 della sentenza della Corte. [41] Costituisce l’essenza del sistema concorrenziale competere sui prezzi. Sarebbe perverso se gli effetti del diritto antitrust fossero quelli di indurre le imprese a non competere sugli stessi per paura di incorrere in un abuso di posizione dominante. In tal senso: R. Whish, Competition Law, Oxford, Oxford University press, 2009. [42] La pratica predatoria tende, infatti, a restringere la concorrenza seguendo dei meccanismi identici a quelli utilizzati per aumentarla. Essendo, dunque, arduo distinguere «the uneasy line between competition on the merits and improper competition», alcuni autori suggeriscono un approccio basato sull’analisi degli effetti, contrariamente alle pratiche indubbiamente restrittive e prive di qualsiasi beneficio per i consumatori, per le quali invece un approccio di condanna formalistico è più idoneo. Sul punto: H. Kanninen – N. Korjus – A. Rosas, EU Competition Law in Context, Essays in Honour of Virpi Tiili, Oregon, Hart Publishing, 2009. [43] Vi è chi ha ampiamente sollevato la necessità di revocare la Comunicazione, poiché, attraverso la stessa, la Commissione sta agendo al di là del proprio mandato tentando, attraverso strumenti di soft law, di andare oltre i limiti sanciti dalle corti comunitarie. Di tale parere è L. L. Gormsen, Why the European Commission’s enforcement priorities on Article 82 EC should be withdrawn, in «European competition Review» 2010, v. 31, n. 2, pp. 45 – 51. [44] Vd. M. Bianchi, Abuso di posizione dominante: linee – guida sulle priorità, in: «Diritto e Prativa delle Società», anno XII, n. 9, settembre 2009, pp. 46 – 53. [45] Secondo alcuni autori il caso France Télécom è contraddistinto, piuttosto, dall’utilizzo, da parte di tutti gli operatori del mercato, di strategie aggressive al fine di guadagnare quote in un settore in rapida espansione. In virtù di ciò, la presunzione di predatorietà, cui sono giunti gli Organi comunitari, è stata frutto di una valutazione priva di robuste analisi sulla presenza di barriere all’ingresso sul mercato, sulla concorrenza potenziale e sugli effetti delle condotte. A. Giannaccari, Il caso Wanadoo, in «Mercato concorrenza regole», Il Mulino, N. 1, 2007, pp. 109 – 117.

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