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Il Consiglio di Stato sulla nozione di mercato rilevante ed il fenomeno delle A.T.I. “sovrabbondanti”

di Gaetano Marino

Abstract

La sentenza n. 5423 del 4 novembre 2014 del Consiglio di Stato ha nuovamente affermato come, nelle ipotesi di intese restrittive, la definizione di “mercato rilevante” sia direttamente correlata al contesto in cui si inquadra l’intento anticoncorrenziale delle imprese coinvolte. Il Consiglio di Stato ha così confermato che, nel caso di specie, il “mercato rilevante” corrisponda alla gara di affidamento della concessione del servizio di distribuzione del gas naturale poiché è in tale ambito che le imprese partecipanti avevano coordinato il loro comportamento anticoncorrenziale. I giudici di secondo grado, infatti, hanno rilevato come l’assetto normativo che contraddistingue il mercato di distribuzione del gas permetta alle imprese ivi operanti di poter essere in grado di competere solo grazie alla loro partecipazione alla gara per la concessione del servizio. Alla luce di tali considerazioni, quindi, il Consiglio di Stato inverte nuovamente il proprio orientamento sulla legittimità delle associazioni temporanee di imprese (ATI) “sovradimensionate” nella partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica. Infatti, i giudici di Palazzo Spada tornano a condividere l’approccio interpretativo seguito dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato secondo cui nelle ipotesi di costituzione di ATI “sovradimensionate” (intendendosi per tali quei raggruppamenti di imprese che siano autonomamente in possesso dei requisiti economico-finanziari e tecnici per la partecipazione alla gara) opererebbe una presunzione di anticoncorrenzialità dell’associazione temporanea in quanto quest’ultima consentirebbe alle imprese contraenti la sostanziale eliminazione di potenziali concorrenti alla gara e la conseguente spartizione delle commesse oggetto della procedura ad evidenza pubblica.

On 4th November 2014 the Italian Council of State with the sentence No. 5423 has once again remarked how correlated the definition of relevant market and anti-competitive practice of an incriminated trust under the assumption of restrictive practices are. In doing so, the Italian Council of State pointed out in this case that the relevant market corresponded to the public tender offer of the service for the natural gas distribution, because  natural gas distribution is the sector where the incriminated trust had acted their anti-competitive behaviour out. The judges of the second instance court indeed noticed that the framework law which defines the natural gas distribution sector allows the companies acting in the sector to compete just because of their participation to the public tender offer. In light of the above, hence, Italian Council of State changes again its mind about the legality of “oversized” temporary grouping of enterprises (Associazione Temporanea di Imprese – ATI) in participation to the procedures of the public tender offer. The judges indeed share the  interpretation of the  Italian Competition Authority who stated that the definition of oversized temporary grouping of enterprises represents an anti-competitive behaviour, because the group size could eliminate the potential competitors of the public tender offer.

Sommario: 1. Premessa. – 2. Mercato rilevante e tutela della concorrenza. – 3. A.T.I. “sovrabbondanti”: profili anticoncorrenziali e limiti di ammissibilità. – 4. Conclusioni.

1.Premessa.

Con la sentenza oggetto del presente commento, il Consiglio di Stato torna a pronunciarsi su un tema ampiamente dibattuto in dottrina e giurisprudenza riguardante il fenomeno delle cosiddette A.T.I. “sovrabbondanti” e della loro potenziale funzione anticoncorrenziale durante lo svolgimento di procedure selettive per l’affidamento di servizi pubblici.

La vicenda, infatti, trae origine proprio in seguito ad un provvedimento sanzionatorio [1] dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, con il quale la stessa accertava, ai sensi dell’art. 2 della l. 287/1990, un accordo restrittivo della concorrenza tenuto da due società durante una gara indetta dal Comune di Casalmaggiore ed altri sette Comuni della provincia di Cremona per il nuovo affidamento della concessione per il servizio di distribuzione del gas naturale.

In particolare, l’Autorità contestava alle società E.On Rete S.p.a. e Linea Distribuzione S.r.l., gestori uscenti nei territori comunali in cui il servizio di distribuzione era oggetto di gara, l’esistenza di un accordo anticoncorrenziale finalizzato alla ripartizione del mercato e quindi volto a limitarne la concorrenza.

Invero, alla luce delle risultanze istruttorie poste a base del provvedimento sanzionatorio, alle due società era contestato l’utilizzo che le stesse avevano fatto dello strumento dell’associazione temporanea di imprese. Secondo l’Autorità, infatti, l’illiceità dell’accordo si sostanziava nel fatto che le due concorrenti, pur essendo singolarmente ed autonomamente in possesso dei requisiti di partecipazione alla gara, preferivano costituire un’associazione temporanea di imprese con il chiaro intento di ripartirsi le concessioni oggetto del bando secondo uno schema che consentisse loro di rimanere gestori autonomi per i bacini di utenza precedentemente serviti.

Avverso tale provvedimento le società ricorrevano innanzi al TAR Lazio, il quale, con sentenza n. 4478/2013, accoglieva le relative istanze.

Nello specifico, il giudice di prime cure aveva ritenuto che nel caso di specie non potevano reputarsi integrati gli elementi propri di un’intesa anticoncorrenziale, ex art. 2 l. 287/1990, in grado di restringere in misura significativa la concorrenza nell’ordine di due considerazioni principali. Innanzitutto, per il TAR Lazio non era condivisibile la definizione di mercato rilevante accolta dall’Autorità ai fini della valutazione della sussistenza dell’accordo restrittivo della concorrenza. In secondo luogo, la circostanza valorizzata dalla stessa Autorità, ovverossia che le due società avrebbero potuto partecipare individualmente alla gara e che nessuna ragione di efficienza o razionalizzazione del servizio avrebbe giustificato il raggruppamento in ATI dalle stesse operato, non integrava un accordo anticoncorrenziale attesa la mancata previsione da parte dell’art. 34 comma 1 del d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 di alcun limite in merito.

Su tali considerazioni veniva successivamente chiamato a pronunciarsi il Consiglio di Stato su ricorso della stessa Autorità della concorrenza e del mercato. I giudici di Palazzo Spada, nell’accogliere le istanze dell’Autorità ricorrente, affrontano così con particolare considerazione le questioni più rilevanti emerse durante il corso del giudizio di primo grado.

2.Mercato rilevante e tutela della concorrenza.

Innanzitutto, l’attenzione dei giudici si è rivolta con riferimento alla dibattuta questione inerente all’identificazione del cosiddetto mercato rilevante, alla luce della particolare natura giuridico – economica che caratterizza il servizio di distribuzione del gas e dei recentissimi interventi legislativi che ne hanno ridefinito l’assetto normativo.

Come noto, infatti, l’attuale struttura istituzionale dell’attività di distribuzione del gas è frutto di un processo di liberalizzazione avviato in sede comunitaria [2] ed attuato in Italia a partire dal d.lgs. 23 maggio 2000 n. 164 (decreto Letta).

Obiettivo principale della riforma era quello di favorire un miglioramento dell’efficienza e della qualità del servizio attraverso l’introduzione di elementi normativi che potessero fungere da incentivo per dotare l’intero settore energetico di un funzionale assetto concorrenziale [3].

L’apertura del mercato del settore energetico si è quindi caratterizzata per un’opera riformatrice del legislatore rivolta soprattutto verso quei particolari ambiti del mercato, come quelli di distribuzione e trasporto, dove le condizioni di monopolio naturale che li caratterizzavano avevano reso necessari degli interventi pro-concorrenziali [4] rispetto ad altri contesti (vendita ed approvvigionamento) in cui le condizioni di esercizio garantivano naturalmente situazioni di competitività tra le imprese ivi operanti.

Proprio in questo senso il ricorso alla cosiddetta concorrenza “per il mercato” [5], nella forma di gare pubbliche [6] per l’assegnazione del servizio, voleva fungere da strumento ottimale per far fronte ad intrinseche deficienze concorrenziali che caratterizzavano il settore dell’energia.

I meccanismi che regolano lo svolgimento delle gare sono stati poi oggetto di regolamentazione da parte del Ministero dello Sviluppo Economico che, a partire dal 2011, ha emanato una serie di decreti [7] volti a favorire lo sviluppo efficiente del servizio, ridurne i costi a favore dei clienti finali, nonché a rimuovere le barriere che potessero rivelarsi da ostacolo per un ottimale sistema concorrenziale [8].

In attuazione dei predetti interventi è stata ampliata anche l’area di gestione del servizio di pubblica utilità ed è stata prevista una disciplina uniforme per lo svolgimento delle gare di affidamento delle concessioni. Inoltre, il territorio nazionale è stato suddiviso per Ambiti Territoriali Minimi (ATEM) [9], ciascuno dei quali comprende una pluralità di Comuni obbligati a  procedere all’affidamento del servizio all’interno dei propri territori tramite gara unica, ex art. 14 del d.lgs. 164/2000.

Sulla base di tale quadro normativo di riferimento si sono mossi sia l’Autorità garante della concorrenza e del mercato che i giudici del TAR Lazio e Consiglio di Stato con il chiaro intento di individuare la “parte rilevante” di mercato in cui l’intesa conclusa tra le società E.On Rete S.p.a. e Linea Distribuzione S.r.l., e le rispettive capogruppo, aveva operato la propria efficacia anticoncorrenziale.

In verità, l’individuazione del “mercato rilevante” rappresenta una delle operazioni maggiormente delicate in tema di applicazione del diritto antitrust in quanto essa svolge il ruolo di strumento utile al fine di definire ed identificare lo scenario nel quale occorre valutare la sussistenza di un eventuale illecito anticoncorrenziale ed il relativo grado di offensività.

Tale grado di offensività è solito essere identificato nella posizione di preminenza economica esercitata da un’impresa che si dimostri capace di ostacolare la persistenza di una concorrenza effettiva sul mercato. Nel linguaggio economico, tale nozione viene solitamente tradotta in termini di potere di mercato, ovverossia nella capacità dell’impresa di applicare in maniera redditizia prezzi superiori rispetto a quelli che prevarrebbero in un sistema concorrenzialmente efficiente [10].

Per comprendere l’utilità di tale definizione occorre ricordare come essa sia da ritenersi il criterio più idoneo ai fini della definizione ed individuazione del cosiddetto “mercato rilevante”. L’analisi del grado di potere di mercato, infatti, permette di valutare se in un determinato contesto (in termini di scambio di prodotti ovvero di aree geografiche), tenute presenti anche le eventuali ipotesi di sostituibilità sul versante della domanda e dell’offerta, possa verificarsi o meno, da un punto di vista economico, una significativa sostituibilità dei prodotti e conseguentemente valutare l’eventuale sussistenza di una restrizione della concorrenza [11].

Pertanto, la valutazione del potere di mercato assume un ruolo essenziale nei procedimenti di accertamento antitrust in quanto si rivela essere un utile parametro d’indagine riguardo a tutte quelle ipotesi in cui l’eventuale dominanza di un’impresa sul mercato possa effettivamente integrare una forma di abuso concorrenziale ex artt. 2 e 3 della legge 287/1990. È bene precisare sul punto come l’attuazione di tale modello vari a seconda del tipo di illecito che sarà oggetto di esame.

Infatti, ai sensi dell’art. 2 l. 287/1990, l’analisi di eventuali intese restrittive della concorrenza determina che la delimitazione del cosiddetto mercato rilevante sia successiva all’individuazione dell’intesa stessa. Invero, una volta accertata la sussistenza dell’accordo anticoncorrenziale, l’interprete, valutando gli effetti dell’esercizio del potere di mercato, riuscirà a delimitare ed identificare i margini del mercato entro i quali il coordinamento degli operatori abbia determinato effetti distorsivi per il libero gioco della concorrenza.

Del pari, nell’ipotesi in cui tale criterio fungesse da strumento di indagine ai fini dell’accertamento di un eventuale abuso di posizione dominante, l’esercizio di un potere di mercato si rivelerebbe essere idoneo per l’analisi ai fini della perimetrazione del contesto operativo in cui l’impresa operi in condizioni di netta superiorità rispetto alla concorrenza. In questi termini, la figura di mercato rilevante integra un elemento strutturale della condotta ascritta ad illecito concorrenziale [12].

Tale è stato quindi l’approccio seguito dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato nel procedimento sanzionatorio che vedeva come destinatari le due società E.On Rete S.p.a. e Linea Distribuzione S.r.l..

Nel caso specifico, infatti, l’Autorità aveva ritenuto che ai fini della individuazione del mercato rilevante all’epoca dei comportamenti contestati alle due imprese si dovessero valorizzare sia il profilo del prodotto oggetto di concessione che la dimensione geografica  dell’attività di distribuzione.

Con riferimento al prodotto oggetto di concessione, ovverossia la distribuzione del gas, è stato rilevato che quest’ultima è caratterizzata da condizioni di monopolio naturale ed è svolta in monopolio legale dalle società di distribuzione. Sul punto, pertanto, l’Autorità constatava come in realtà l’unica forma di concorrenza possibile in questi casi potesse essere quella relativa alla partecipazione alle gare per l’affidamento delle concessioni scadute, secondo il  noto principio della concorrenza per il mercato.

Per quanto riguarda il profilo geografico, invece, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato rilevava come il mercato della distribuzione del gas, per l’assetto che lo contraddistingue, possa individuarsi in un mercato avente una dimensione geografica che coincide con i singoli ambiti territoriali in cui il servizio oggetto di concessione è svolto. Seguendo tale ragionamento, il mercato rilevante andrebbe individuato nella singola gara poichè in tale contesto assumerebbe rilevanza l’illecito anticoncorrenziale tenuto dalle imprese partecipanti.

Tuttavia, tale ricostruzione non è stata condivisa dal giudice di primo grado. Il TAR Lazio infatti aveva ritenuto che il ragionamento operato dall’Autorità non era esente da vizi di logicità nell’ordine di due considerazioni.

In primo luogo, i giudici di primo grado sul punto evidenziavano il fatto che un mercato rilevante geograficamente localizzato presupponesse pur sempre la necessità di una caratterizzazione dell’incontro tra domanda ed offerta in condizioni di autonomia rispetto ad altri ambiti contigui.

Seguendo tale impostazione, quindi, il Collegio riteneva che la mera sussistenza di un monopolio naturale dal lato dell’offerta non poteva in alcun modo caratterizzare l’ambito territoriale oggetto della concessione in quanto non presentava elementi che lo potessero distinguere rispetto agli altri ambiti territoriali.

In secondo luogo, per il TAR Lazio la possibilità di identificare la singola gara in termini di mercato rilevante non era condivisibile a fronte di un orientamento giurisprudenziale [13] secondo cui la singola gara di appalto può costituire una porzione rilevante di mercato solamente nel caso in cui la stessa assuma una dimensione nazionale ovvero riguardi comunque una parte rilevante del territorio nazionale. In questi termini, quindi, la fattispecie oggetto del provvedimento sanzionatorio dell’Autorità garante delle concorrenza e del mercato non poteva ritenersi basata sul presupposto della rilevanza del mercato in considerazione del fatto che la concessione oggetto di gara riguardava un bacino di utenza minimale il cui rilievo percentile rispetto all’intero ambito nazionale o ad una sua rilevante parte era da ritenersi assolutamente non considerevole.

La questione è stata infine risolta dall’intervento del Consiglio di Stato, il quale, nell’accogliere le istanze presentate in sede di appello dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, ha ricordato come il concetto di mercato rilevante ben può essere desunto all’esito di un’operazione di analisi della singola e specifica fattispecie di cui si sospetti la portata anticoncorrenziale.

Dando così rilievo al suo carattere funzionale, i giudici di Palazzo Spada sono arrivati a ritenere che la definizione di mercato rilevante non deve essere connotata in senso meramente geografico o spaziale ma piuttosto deve riferirsi al contesto in cui l’illecito riveli la propria negativa incidenza sulla corretta dinamica concorrenziale. Come a più riprese è stato chiarito dalla giurisprudenza amministrativa, in queste ipotesi l’individuazione e la definizione del mercato rilevante è successiva rispetto alla individuazione dell’intesa nei suoi elementi oggettivi, proprio in considerazione del fatto che essa stessa funge da strumento di ricostruzione e delimitazione dell’ambito di mercato in cui è opportuno valutare il grado di offensività dell’illecito anticoncorrenziale.

In questi termini, quindi, il Consiglio di Stato critica le conclusioni a cui era pervenuto il TAR Lazio con la sentenza di primo grado in quanto queste ultime farebbero riferimento a considerazioni preventive ed aprioristiche e non avrebbero tenuto conto del fatto che il settore della distribuzione del gas non prevede gare di dimensione nazionale ma solamente gare la cui concessione riguarda territori comunali rientranti in ambiti definiti dal Regolamento Ambiti del 2011.

3.A.T.I. “sovrabbondanti”: profili anticoncorrenziali e limiti di ammissibilità.

Ed invero, proprio con riferimento alla valutazione della sussistenza di una intesa anticoncorrenziale, il Consiglio di Stato è tornato a pronunciarsi su un’annosa questione che vede come protagonista il fenomeno delle cosiddette ATI “sovrabbondanti” e degli eventuali limiti alla loro ammissibilità in considerazione della potenziale ricaduta anticoncorrenziale che tale strumento associativo potrebbe avere in tema di intese ex art. 2 legge 287/1990.

Le associazioni temporanee di imprese, ex art. 37 d.lgs.163/2006, sono formule negoziali attraverso le quali si realizza una forma di collaborazione temporanea ed occasionale tra operatori economici, finalizzata alla partecipazione congiunta alle gare per l’affidamento di appalti e servizi.

Tale forma aggregativa può nascere dalla necessità giuridica o dall’interesse economico delle imprese contraenti a collaborare tra loro al fine di raggiungere i requisiti minimi richiesti dal bando di gara per prendere parte alla procedura ovvero per ripartire gli oneri di esecuzione delle commesse pubbliche ed ottenere conseguentemente un risparmio sui costi grazie alla condivisione degli investimenti [14].

Sul punto è bene chiarire come la costituzione dell’ATI, pur permettendo alle imprese associate di formulare un’offerta congiunta che determina una responsabilità solidale nei confronti dell’Amministrazione per la realizzazione congiunta delle attività oggetto di gara, non da vita ad un autonomo centro di imputazione di situazioni giuridiche soggettive atteso che ciascuna impresa conserva la propria autonomia ai fini della gestione degli adempimenti fiscali e previdenziali.

Lo strumento tecnico utilizzato per dare luogo a tale forma di associazione è quello del mandato con rappresentanza, anche processuale, ad una società capogruppo che rappresenta l’aggregazione in tutti i rapporti necessari per lo svolgimento dell’attività, fino all’estinzione di ogni rapporto.

Proprio tale particolare natura giuridica che contraddistingue i raggruppamenti temporanei ha fatto si che essi rappresentino una delle materie maggiormente oggetto di contrasti interpretativi in tema di applicazione delle relative discipline normative.

La giurisprudenza amministrativa sul punto ha infatti evidenziato più volte come la materia dei raggruppamenti temporanei si caratterizzi per una forte tensione tra principi ed assetti normativi di natura diversa ed operanti su livelli distinti [15].

Infatti, se dal lato del diritto antitrust è possibile rinvenire una formale avversione riguardo alle formule di associazionismo tra imprese che possano potenzialmente avere effetti distorsivi per la concorrenza, dall’altro lato è possibile individuare nella disciplina dettata dal legislatore italiano in materia di contratti pubblici un vero e proprio favor per la costituzione di associazioni temporanee di imprese, per le quali non è stato previsto in sede legislativa alcun divieto di utilizzo.

In verità è bene ricordare come il Codice dei contratti pubblici abbia accolto gli innumerevoli impulsi pro-concorrenziali provenienti dal diritto comunitario che si sono tradotti  in formule di incentivo all’apertura dei mercati grazie alla funzione antimonopolistica propria dei raggruppamenti temporanei di imprese, i quali, difatti, hanno permesso di garantire una piena applicazione del principio di libera concorrenza assicurando l’ingresso anche ad operatori di minori dimensioni che presentassero comunque requisiti di specializzazione per quei particolari settori produttivi.

Tale funzione concorrenziale è stata a più riprese evidenziata dalla stessa giurisprudenza amministrativa, la quale, anche recentemente, ha precisato come «la disciplina dei raggruppamenti d’impresa in materia di contratti pubblici sia finalizzata a consentire, attraverso il principio del cumulo dei requisiti, la partecipazione congiunta di una pluralità di operatori economici anche di ridotte dimensioni a gare di appalti di notevole entità e, al contempo, a consentire la realizzazione dell’appalto nell’interesse della stazione appaltante attraverso la valorizzazione dell’unione delle risorse e delle capacità tecnico organizzative ed economico-finanziarie di più imprese, con ampliamento delle garanzie per la stessa stazione appaltante» [16].

A fronte di siffatta capacità positiva dell’istituto, ovverossia quella di realizzare una maggiore apertura dei mercati fungendo da mezzo di ampliamento per la concorrenza, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha nel corso degli anni rilevato come, in alcuni casi, il ricorso a tale strumento possa non incrementare ma piuttosto ridurre il numero delle imprese partecipanti alla gara, svelando così una potenziale funzione anticoncorrenziale [17].

Secondo l’Authority, infatti, il raggruppamento temporaneo di imprese troverebbe piena giustificazione soltanto quando sia costituito da imprese che non presentino singolarmente i requisiti richiesti per la partecipazione alla singola gara. Nell’ipotesi in cui, invece, non sussista tale evidente finalità di incentivo alla concorrenza, essendo ciascuna delle imprese già singolarmente qualificata ai fini della partecipazione, il raggruppamento temporaneo potrebbe concretizzarsi in uno strumento capace di escludere dal mercato quegli operatori i cui minori requisiti tecnico finanziari non sarebbero sufficienti a renderli validi concorrenti.

Questa formale impostazione non è stata però condivisa dalla giurisprudenza amministrativa, la quale era prevalentemente concorde nel ritenere che la vigente disciplina degli appalti pubblici in realtà non vieterebbe alle imprese già selezionate nella fase di prequalificazione, e quindi in possesso dei requisiti tecnico finanziari di partecipazione, di potersi associare temporaneamente in vista della gara, con la conseguenza che le cosiddette ATI “sovradimensionate” non costituirebbero di per sé illeciti anticoncorrenziali.

Per i giudici amministrativi [18], al pari di quanto già sostenuto da attenta scuola di pensiero, l’utilizzo del regime legale dell’associazione temporanea basata sulle regole del mandato con rappresentanza, anche nelle ipotesi di raggruppamento sovradimensionato, non costituirebbe illecito a danno del corretto confronto concorrenziale in sede di espletamento della gara in considerazione del fatto che l’accordo associativo di per sé è un rapporto tra privati ed in quanto tale ha natura neutrale, soggiacendo così alle ordinarie regole sulla liceità e meritevolezza della causa [19].

In questi termini, il sovradimensionamento del raggruppamento temporaneo non rappresenterebbe di per sé un illecito anticoncorrenziale tutte quelle volte in cui la causa concreta dell’operazione giuridica sottesa alla sua costituzione non si riveli essere illecita in quanto volta a contrassegnare un assetto contrario alla disciplina antitrust.

A sostegno di tale conclusione, del resto, si può evidenziare come l’apertura dei mercati possa essere garantita non solo assicurando la possibilità di poter cumulare i requisiti tecnico finanziari richiesti ma anche attraverso la possibilità di poter ripartire i rischi d’impresa e di concentrare le risorse ai fini di una stabile ed efficiente esecuzione delle prestazioni oggetto di gara. Pertanto, in questi casi le ATI “sovradimensionate” possono pacificamente rappresentare una valida ed efficiente soluzione concorrenziale visto che la finalità sinergica volta al miglioramento dell’offerta determinerebbe come conseguenza diretta la possibilità per la stazione appaltante di poter scegliere tra le varie concorrenti soggetti in grado di garantire una stabilità finanziaria tale da assicurare una ottimale esecuzione della prestazione oggetto di gara.

Proprio con riferimento a tale questione si è incentrata la decisione del Consiglio di Stato n. 5423/2014 con riguardo all’utilizzo dell’aggregazione sovrabbondante predeterminata dalle due società E.On Rete S.p.a. e Linea Distribuzione S.r.l.

Sul punto, infatti, secondo il TAR Lazio il raggruppamento temporaneo di imprese costituito dalle due società non poteva integrare un accordo anticoncorrenziale in quanto costituiva una strategia di razionalizzazione del portafoglio di concessioni che, secondo una valida policy di impresa, poteva essere tesa alla creazione di utili sinergie operative che avrebbero comportato conseguenti benefici per l’efficacia e l’economicità della gestione del servizio.

Tali valutazioni muovevano proprio in considerazione di quelle che sono le peculiarità che caratterizzano il mercato del gas. A seguito della determinazione dei cosiddetti ATEM, l’ampliamento dell’area di gestione, con relativo innalzamento della barriera finanziaria che grava sugli operatori del settore energetico del gas, ha reso necessaria la possibilità per alcuni operatori di potersi dotare di risorse sufficienti per affrontare i costi delle gare per la concessione del servizio e per la relativa gestione. In questi termini, quindi, lo strumento delle ATI può rilevarsi idoneo e non determinare una forma di intesa anticoncorrenziale ex art. 2 l. 287/1990.

Tuttavia, queste conclusioni non sono state confermate dal Consiglio di Stato, il quale ha ritenuto che il comportamento tenuto dalle due imprese era stato oggetto di attenta valutazione da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato e che la reciproca interazione tra le due imprese evidenziasse in realtà la sussistenza di indizi gravi, precisi e concordanti tali da far ritenere che la costituzione dell’associazione temporanea sovradimensionata tra loro incorsa integrasse una forma di alterazione della concorrenza.

I giudici di Palazzo Spada hanno dato rilievo all’analisi di indagine svolta dall’Autorità che, nel valorizzare la causa concreta perseguita dall’operazione giuridica di aggregazione in forma di associazione temporanea posta in essere dalle due società concorrenti, era giunta a ritenere che l’utilizzo dello strumento di raggruppamento temporaneo non era diretto ai fini della partecipazione alla gara di affidamento del servizio ma al contrario era finalizzato a garantire alle due società la ripartizione del bacino di azione oggetto della commessa.

In particolare, tali conclusioni erano avvalorate alla luce di vari elementi probatori [20], riguardanti comportamenti sinergici ed attività di non belligeranza tenuti dalle due società, che lasciavano chiaramente intendere l’illiceità dell’accordo. Anche a prescindere da tali evidenze, ai fini della pronuncia ha assunto valore dirimente la circostanza secondo cui le due imprese prevedevano espressamente nell’atto di costituzione del raggruppamento, stipulato dopo l’aggiudicazione della gara, di non dar seguito all’obbligo di cui all’art. 10 comma 7 del Regolamento Criteri [21] e continuare a gestire in forma separata ed autonoma il servizio di distribuzione del gas nei medesimi Comuni nei quali avevano in precedenza la concessione [22].

4.Conclusioni.

Come si è avuto modo di evidenziare nel corso della trattazione, la sentenza oggetto di commento rappresenta la conferma del principio generale di diritto antitrust secondo cui molti istituti contrattuali, tra cui le stesse associazioni temporanee “sovradimensionate”, nonostante si distinguano per un’astratta neutralità, ben possono essere utilizzati in maniera distorta e strumentale per il perseguimento di scopi anticoncorrenziali non coincidenti con i fini riconosciuti dallo stesso ordinamento.

In particolare, il Consiglio di Stato ha ritenuto fondato e legittimo l’accertamento condotto dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato con la decisione del 12 agosto 2012 a mezzo della quale l’Autorità non ha contestato la costituzione dell’associazione temporanea ma l’utilizzo strumentale che le imprese partecipanti avevano operato al fine di eliminare qualsiasi forma di concorrenza in gara.

Infatti, per i giudici di Palazzo Spada l’assenza di una qualunque giustificazione oggettiva del raggruppamento temporaneo, in termini di risparmio sui costi grazie alla condivisione degli investimenti, lasciava chiaramente intendere che il fine dell’accordo tra le società contraenti sarebbe stato quello di ridurre l’incertezza sull’esito dell’aggiudicazione e conseguentemente assicurarsi la continuità della gestione in via autonoma e separata del servizio di distribuzione del gas nei bacini di utenza da loro precedentemente serviti.

In effetti, le giustificazioni addotte dalle due imprese coinvolte nell’associazione temporanea sia durante il procedimento di accertamento che nelle fasi del giudizio dinanzi ai giudici amministrativi si sono rilevate inadeguate in quanto incapaci di dimostrare che l’asserita non remunerazione del servizio in via autonoma potesse essere dimostrazione di una ragione industriale, economica o tecnica a giustificazione della scelta di partecipare al raggruppamento.

In questi termini, quindi, il Consiglio di Stato aderisce all’ormai consolidato orientamento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato secondo cui nelle ipotesi di ATI “sovradimensionate” opererebbe una presunzione di anticoncorrenzialità nei casi in cui le imprese contraenti perseguano fini non coerenti con l’ampliamento della platea dei soggetti partecipanti ai meccanismi di gara ma volti all’attuazione di una strategia escludente, tesa ad impedire la partecipazione di altre imprese alla procedura ed ottenere di conseguenza la spartizione del mercato ovvero della singola commessa oggetto del bando.

Tale orientamento, infatti, pone a fondamento dell’eventuale accertamento delle potenziali distorsioni concorrenziali frutto della costituzione di ATI “sovradimensionate” il principio di proporzionalità, riconoscendo la possibilità di sanzionare il raggruppamento qualora, a seguito di un’analisi che tenga conto della struttura e delle dinamiche caratterizzanti il mercato interessato e qualsiasi altro elemento da cui possa desumersi una precisa volontà anticoncorrenziale delle imprese coinvolte, si renda necessaria l’esigenza di tutelare gli acquisti pubblici da manifeste inefficienze anticoncorrenziali ex artt. 101 TFUE e l. 287/1990 [23].

Tanto premesso, appare evidente che l’attività di accertamento a cui saranno chiamati sia l’Autorità garante della concorrenza e del mercato che gli stessi giudici amministrativi dovrà garantire un effettivo bilanciamento tra il diritto degli operatori di mercato a poter utilizzare strumenti contrattuali leciti volti ad incentivare in chiave concorrenziale la loro operatività, da un lato, e la piena applicazione dei principi imposti a tutela della libera concorrenza in tutti i settori economici, dall’altro. L’effettiva adesione ai predetti principi, pertanto, porterà a dover ritenere legittimi quegli accertamenti relativi a raggruppamenti temporanei che si presentino come potenziali anomalie della concorrenza in considerazione del contesto in cui gli stessi operano, nonché alla luce della sussistenza di tipiche sintomatologie che ne lasciano presupporre l’anticoncorrenzialità [24].

Consiglio di Stato, VI sezione, 4 novembre 2014 n. 5423

Concorrenza (disciplina della) – Definizione di mercato rilevante – Individuazione del mercato rilevante rispetto all’identificazione dell’intesa nei suoi elementi oggettivi – intesa anticoncorrenziale e ripartizione del mercato – grado di offensività della condotta – Raggruppamento di imprese e associazione temporanea – portata anticoncorrenziale delle ATI sovrabbondanti – Abuso del diritto.

“La nozione di mercato rilevante utilizzabile ai fini della valutazione di un’operazione di concentrazione non è connotata in senso meramente geografico o spaziale, ma può essere individuata anche con riferimento al contesto nel quale l’intento anticoncorrenziale delle parti ha o avrebbe in futuro capacità di incidere e attitudine allo stravolgimento delle corrette dinamiche competitive, sicchè, nelle ipotesi di intese restrittive della concorrenza, la definizione del mercato rilevante è direttamente correlata al contesto in cui si inquadra il comportamento collusivo tra le imprese coinvolte. Pertanto, è legittimo, in quanto congruamente e logicamente motivato, il provvedimento con cui l’Autorità garante della concorrenza e del mercato vieta l’esecuzione di un’operazione di concentrazione finalizzata alla partecipazione in associazione temporanea di imprese alla gara per l’affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale in un determinato ambito territoriale minimo, ritenendo che la reale finalità perseguita dalle società contraenti sia quella di ripartirsi il mercato e azzerare la concorrenza tra loro per il tramite di un veicolo associativo comune”.

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE SESTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4884 del 2013, proposto da:

Autorità garante della concorrenza e del mercato – Antitrust in persona del presidente in carica, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via (…);

contro

Li. s.r.l. in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Fr.Sc., Fa.To., Cl.Sa., con domicilio eletto presso il primo in Roma, via (…) ed altri (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE I n. 4478/2013, resa tra le parti, concernente irrogazione di sanzione pecuniaria per intesa restrittiva della concorrenza.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle società intimate;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 ottobre 2014 il consigliere Roberta Vigotti e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Pa. ed altri (…);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato (d’ora in avanti: Autorità) chiede la riforma della sentenza, in epigrafe indicata, con la quale il Tribunale amministrativo del Lazio ha accolto quattro distinti ricorsi proposti dalle società odierne resistenti, attive nel settore della distribuzione del gas naturale, avverso gli atti del procedimento relativo all’accertamento e alla sanzione di un comportamento restrittivo della concorrenza, in violazione dell’art. 2 della legge 10 ottobre 1990, n. 287 .

I) L’intervento dell’Autorità ha tratto origine dalla segnalazione del Comune di Casalmaggiore, che in data 24 giugno 2010 aveva deliberato, in qualità di capofila, l’indizione di una gara per l’affidamento del servizio di distribuzione del gas per sé e per altri sette comuni limitrofi, ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs. 23 maggio 2000, n. 164 e dell’art. 30 del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 .

In particolare, il Comune lamentava il comportamento del gestore uscente (E., poi 2i., fusa per incorporazione in En. s.p.a., concessionaria per Casalmaggiore e altri quattro Comuni, d’ora in poi, comunque, E.), il quale aveva negato l’accesso al proprio impianto ai soggetti invitati alla procedura di gara. A seguito di una serie di accertamenti preistruttori, il procedimento è stato avviato dall’Autorità per una presunta intesa restrittiva della concorrenza tra E. s.p.a. e Li. s.r.l. (controllata da Li. s.r.l.), volta a partecipare alla gara in associazione temporanea di imprese con l’intento di ripartirsi il mercato, rimanendo gestori autonomi per i bacini precedentemente serviti: le due società, infatti, che possedevano autonomamente i requisiti per partecipare alla gara, erano i gestori uscenti nei territori comunali il cui servizio di distribuzione ne era oggetto (cinque Comuni E.On e tre Linea Distribuzione).

La gara è stata aggiudicata, con determinazione del 31 dicembre 2010, all’ATI tra E. e Li. e il relativo contratto con i Comuni interessati è stato stipulato il 3 novembre 2011.

Con deliberazione assunta nell’adunanza del 2 agosto 2012 l’Autorità ha contestato alle società ricorrenti in primo grado l’esistenza dell’accordo finalizzato alla spartizione territoriale e a ottenere l’aggiudicazione alle condizioni minime previste dal bando, ha irrogato a E.On Italia, in solido con 2iGas la sanzione di 1.205.308 euro e a Linea Distribuzione, in solido con Linea Group Holding la sanzione di 129.675 euro.

II) Il provvedimento dell’Autorità ha individuato, quali indici rivelatori del comportamento anticoncorrenziale, in particolare, l’imminente apertura alla concorrenza per effetto della definizione, prevista entro il 31 dicembre 2012 e poi avvenuta con decreto del Ministero per lo sviluppo economico dell’1 aprile 2011, degli ambiti territoriali minimi (ATEM) per la distribuzione del gas, corrispondenti in buona parte con i territori provinciali, e il conseguente superamento degli assetti precedenti; la prassi di operatori medio piccoli di difendere, nelle gare nel frattempo bandite con le vecchie regole, le proprie preesistenti posizioni nell’attesa della nuova disciplina; il fatto che sia E., sia Linea Distribuzione fanno parte di gruppi imprenditoriali in possesso ampiamente e singolarmente dei requisiti necessari per la partecipazione alla gara; il non aver l’ATI nessuna giustificazione in termini di efficienza gestionale e/o industriale, dal momento che ciascuna società sarebbe rimasta gestore individuale, con piena autonomia, nei Comuni nei quali già esercitava il servizio; la ridotta remuneratività della gara, la cui partecipazione, per le due società, era necessaria in ragione della conflittualità che si era creata con l’ente locale, e l’improbabilità della presentazione di altre offerte, oltre a quella dell’ATI; il livello minino dell’offerta presentata, giustificabile solo alla luce della ragionevole certezza di essere i soli a partecipare.

III) La sentenza impugnata ha accolto i ricorsi proposti dalle società sanzionate, avendo ritenuto che:

1) gli accordi restrittivi della concorrenza, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 287 del 1990 , vanno valutati alla luce del mercato rilevante; sotto l’aspetto geografico, anche una porzione ristretta del territorio nazionale può essere definita “mercato rilevante”, laddove in essa abbia luogo l’incontro di domanda ed offerta in condizioni di autonomia rispetto ad altri ambiti anche contigui e, quindi, esista una concorrenza suscettibile di essere alterata. Sotto il profilo dell’estensione dell’intesa, anche le singole gare di pubblici appalti possono costituire un mercato a sé stante, in quanto la definizione varia in funzione delle diverse situazioni di fatto; nel caso di specie, è tuttavia errata la definizione accolta dall’Autorità, che ha fatto coincidere il mercato rilevante con il territorio dei Comuni ai quali si riferisce la concessione messa a gara e nel quale erano in precedenza concessionari E. (Casalmaggiore, Rivarolo del Re, San Martino del Lago, Solarolo Rainerio, Spineda) e Li..

Invero, la mera sussistenza di una situazione di monopolio dal lato dell’offerta non può caratterizzare l’ambito territoriale preso in esame, che non assume alcuna peculiarità rispetto agli altri mercati locali, aventi le medesime caratteristiche; inoltre, l’identificazione del mercato rilevante con la singola gara presuppone la dimostrazione che l’intesa restrittiva abbia avuto ad oggetto una parte rilevante del mercato di riferimento, mentre la gara in esame riguardava solo il 5% degli utenti della provincia di Cremona e meno dell’1% degli utenti a livello nazionale;

2) mancano le caratteristiche proprie dell’intesa concorrenziale, che vanno desunte da comportamenti di più imprese ripetuti e non episodici, uniformi e paralleli, attuati mediante scambi di informazioni e altre condotte non altrimenti giustificabili, comunque tali da poter incidere sensibilmente sul mercato in maniera non sporadica né occasionale. La circostanza valorizzata dall’Autorità, sulla scorta della considerazione che le partecipanti avrebbero potuto partecipare individualmente e che nessuna ragione di efficienza o razionalizzazione del servizio sosteneva il raggruppamento in ATI non necessaria, non tiene conto che l’art. 34, comma 1, lettera d) del D.Lgs. 12 aprile 2006, n.16 (codice dei contratti pubblici) non pone limiti all’utilizzo di raggruppamenti anche tra soggetti operanti nella stessa fase della filiera produttiva. La legge della gara in esame favorisce la creazione di ATI orizzontali tra soggetti individualmente in possesso dei requisiti, laddove ne prevede il cumulo in capo al raggruppamento. Nessuno dei rilievi valorizzati dall’Autorità consente quindi di argomentare in merito alla preordinazione funzionale dell’ATI tra Li. e E. al perseguimento dell’illecita finalità, in quanto l’intento di preservare il proprio bacino di affidamento e di razionalizzare il portafoglio di concessioni si inserisce in un’utile strategia di impresa.

IV) L’appello proposto dall’Autorità censura la sentenza sotto tutti gli aspetti sopra ricordati; e sotto tutti gli aspetti è fondato.

IV.1) Una prima considerazione si impone con riguardo alla definizione del concetto di “mercato rilevante”.

Come ampiamente rilevato dalla giurisprudenza, l’ambito di tale concetto (che spetta all’Autorità definire concretamente, essendo frutto di una valutazione non censurabile nel merito da parte del giudice amministrativo, se non per vizi di illogicità estrinseca), ben può essere desunto all’esito dell’esame della singola e specifica condotta della quale sia sospettata la portata anticoncorrenziale; inoltre, e correlativamente, il mercato rilevante può coincidere con la singola gara nella quale tale condotta venga ad incidere.

La definizione di mercato rilevante non è, perciò, connotata in senso meramente geografico o spaziale, ma è relativa anche e soprattutto all’ambito nel quale l’intento anticoncorrenziale ha, o avrebbe, capacità di incidere e attitudine allo stravolgimento della corretta dinamica concorrenziale, sicché, nelle ipotesi di intese restrittive della concorrenza, la definizione del mercato rilevante è direttamente correlata al contesto in cui si inquadra il comportamento collusivo tra le imprese coinvolte (per tutte, Cons. Stato, sez. VI; 3 giugno 2014, n. 2837). Come a più riprese è stato chiarito dalla giurisprudenza amministrativa, infatti, in tali ipotesi l’individuazione e la definizione del mercato rilevante è successiva rispetto all’individuazione dell’intesa nei suoi elementi oggettivi, in quanto sono l’ampiezza e l’oggetto dell’intesa a circoscrivere il mercato su cui l’abuso è commesso.

Se, quindi, l’individuazione del mercato rilevante, nel caso di intesa restrittiva della concorrenza vietata dall’art. 2 della legge n. 287, del 1990  è funzionale alla delimitazione dell’ambito nel quale l’intesa può restringere o falsare il meccanismo concorrenziale, non è dubbio che le conclusioni alle quali è giunta la sentenza impugnata si menifestano, sul punto, erronee. Tali conclusioni sono, in effetti, collegate a una considerazione preventiva e aprioristica, meramente geografica e percentuale dell’ambito di riferimento, laddove, come si è detto, la rilevante peculiarità che contraddistingue l’individuazione del mercato rilevante nel caso delle intese vietate presuppone il preventivo accertamento del grado di offensività della condotta (per tutte, Cons. Stato, sez. VI, 8 febbraio 2008, n. 424).

Nella fattispecie in esame l’Autorità ha definito il mercato rilevante prendendo le mosse dal servizio oggetto della concessione messa in gara per un ambito di dimensione geografica locale, nel quale “l’unica forma di concorrenza possibile è quella relativa alla partecipazione alle gare per l’affidamento delle concessioni venute a scadenza (c.d. concorrenza per il mercato)”, e ha considerato, quindi, coincidente il mercato rilevante con la singola gara, poiché è in tale ambito che il comportamento dei concorrenti assume rilevanza. Non condivisibile, come si è detto, è la ricostruzione operata dal Tribunale amministrativo, il quale non ha tenuto conto del fatto che, nell’ambito del servizio di cui trattasi, non ci sono, né sono prevedibili, gare di dimensione nazionale, ma solo gare per singoli ambiti.

IV.2) Il comportamento delle società ricorrenti in primo grado è stato correttamente esaminato dall’Autorità non atomisticamente, ma nella sue componenti oggettive e soggettive, la cui reciproca interazione ha evidenziato, nel mercato coincidente con la gara di Casalmaggiore, indizi gravi, precisi e concordanti tali da rendere palese l’esistenza di una consistente intesa anticoncorrenziale, preordinata a produrre effetti non occasionali mediante la ripartizione del mercato, effetti destinati a durare per tutto il periodo (dodici anni) dell’affidamento derivante dall’aggiudicazione.

Sotto il primo aspetto, oggettivo, l’Autorità ha dato conto, nel provvedimento finale, delle ampie evidenze documentali attestanti la strategia di alleanze, non belligeranza e sinergia territoriale posta in essere dalle società esaminate, oltre che del comportamento ostativo al sopralluogo preliminare alla presentazione delle offerte, posto in essere da E.On Rete, nel negare l’accesso ai propri impianti (comportamento segnalato dal Comune di Casalmaggiore nella nota da cui ha tratto origine il procedimento).

Anche a prescindere da tali evidenze, assume peraltro preminente e dirimente rilievo la circostanza che le due società raggruppate erano i precedenti gestori, in esclusiva, del servizio per i Comuni destinati a confluire nel medesimo, più ampio, ambito territoriale, e che l’ATI, non necessaria per la partecipazione alla gara, assicurava il mantenimento della medesima ripartizione del bacino di azione. Come si legge nel provvedimento oggetto del ricorso di primo grado, ciò è confermato dall’atto di costituzione del raggruppamento, stipulato dopo l’aggiudicazione della gara, laddove si prevede espressamente che ognuna delle due società avrebbe continuato a gestire in maniera autonoma il servizio di distribuzione del gas esattamente nei Comuni nei quali aveva in precedenza la concessione.

Sotto il secondo profilo, soggettivo, è perciò del tutto condivisibile l’individuazione dello scopo del raggruppamento nell’intenzione di ripartirsi il mercato e in quelle ulteriori strategie, collegate ai contenziosi in atto, evidenziate dall’Autorità.

Se, infatti, è vero che l’ordinamento in generale, e la regola della specifica gara, non vietano la cosiddetta ATI sovrabbondante, vale a dire il raggruppamento di più soggetti individualmente già in possesso dei requisiti per partecipare alla selezione (a questo proposito, l’affermazione di Linea Distribuzione, ribadita anche l’odierna udienza, di non poter presentare offerta da sola rimane indimostrata, ed è in contrasto con l’ammissione di possedere i requisiti tecnico-economici di ammissibilità, di cui agli atti di causa), è anche vero che l’uso di strumenti consentiti in via generale non è di per sé neutro, ben potendo esserne apprezzato il concreto esito, anche e soprattutto alla luce del principio della tutela della concorrenza.

La questione qui rilevante non è quella della legittimità o meno di una specifica condotta, ma della portata anticoncorrenziale di una serie di atti, anche, in tesi, in sé legittimi. Come è già stato osservato da questo Consiglio di Stato (sez. VI, 12 febbraio 2014, n. 693), i comportamenti lesivi della concorrenza ben possono essere posti in essere attraverso un uso di facoltà e/o diritti riconosciuti dall’ordinamento, dei quale si faccia un uso strumentale, non coerente con il fine per il quale sono attribuiti: fine che, nel caso di specie, si è concretizzato nella restrizione della concorrenza per la partecipazione alla gara.

Legittimamente e condivisibilmente, quindi, l’Autorità ha ritenuto che, attraverso le intese così realizzate, le società sanzionate abbiano avuto lo scopo di ripartirsi il mercato, integrando così l’infrazione prevista dall’art. 2 lettera c) della legge n. 287 del 1990 , mediante l’azzeramento della competizione, quantomeno tra di esse e tra le società dei rispettivi gruppi: e trattasi, quest’ultima, di considerazione di per sé sufficiente a evidenziare la lesività del comportamento.

Infine, va anche rimarcato che, se al fine della sussistenza dell’abuso è sufficiente l’oggetto e non anche l’effetto anticoncorrenziale, il cui verificarsi rileva in termini di gravità della condotta e, di conseguenza, sulla quantificazione della sanzione pecuniaria, nel caso di specie tale effetto è stato pienamente raggiunto, dato che la gara è stata aggiudicata alle società odierne resistenti, alle condizioni minime previste dal bando.

V) Quanto, appunto, alla quantificazione della sanzione e all’ambito dei soggetti coinvolti, vale ricordare che l’infrazione è stata accertata come avente inizio al 4 agosto 2010 (data in cui si sono incontrati i rappresentanti delle due società per esplorare “sinergie territoriali”) e conclusione al 21 agosto 2010, data di presentazione delle offerte, con effetti perduranti. L’Autorità ha poi considerato da sanzionare anche i gruppi Li. e E., holding di riferimento delle due società che hanno partecipato alla gara, in quanto perfettamente in grado di conoscere l’evidente carattere di illecito dell’accordo posto in essere.

Sia con riferimento alla considerazione della gravità dell’infrazione, e della conseguente quantificazione della sanzione, sia quanto ai soggetti sanzionati, la determinazione dell’Autorità è immune dalle censure svolte, mediante la riproposizione dei motivi assorbiti in primo grado, dalle società appellate. La particolare callidità dell’accordo spartitorio posto in essere dalle società, e la portata protratta nel tempo dei risultati dello stesso, rendono evidente che il giudizio di gravità espresso dall’Autorità ai sensi dell’art. 15 della medesima legge n. 287 del 1990  nell’applicazione della sanzione, è immune dai pretesi vizi: correttamente, nella quantificazione della stessa, è stato tenuto conto del volume annuale del fatturato relativo alle concessioni di cui trattasi, moltiplicato per gli anni di durata della nuova concessione. Del resto, l’Autorità dispone di ampio potere discrezionale sia in sede di determinazione dei criteri in base ai quali determinare gli importi delle ammende, sia in sede di sussunzione al caso specifico dei criteri determinativi in tal modo prefissati: e, nel caso in esame, tale ampia discrezionalità non appare irrispettosa dei generali principi della ragionevolezza e della proporzionalità, né sotto altri profili indagabili in giudizio.

Quanto all’ambito soggettivo della sanzione, in particolare contestato da Linea Group Holding s.r.l. che già nel corso del procedimento amministrativo aveva negato il proprio coinvolgimento (a differenza di E.On Italia), vale osservare che l’Autorità, nel provvedimento oggetto del giudizio, ha ricordato gli elementi (messaggio di posta elettronica del 21 febbraio 2010, verbale del consiglio di amministrazione del 29 aprile 2011, altri riscontri documentali) dai quali emerge la sistematica informativa resa dalla società controllata alla controllante e il coinvolgimento di questa nella specifica strategia, rivendicata come di propria competenza: anche sotto questo aspetto, pertanto, la conclusione cui è giunta l’Autorità appare non illogica, né frutto di travisamento dei fatti o di errore nell’applicazione o interpretazione della legge, ma anzi suffragata da un iter procedimentale particolarmente accurato, e come tale sottratta al sindacato di legittimità del giudice.

VI) In conclusione, l’appello è fondato e deve essere accolto, con conseguente riforma della sentenza impugnata e reiezione dei ricorsi di primo grado.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Sesta – definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata respinge i ricorsi di primo grado.

Condanna le società resistenti a rifondere all’Amministrazione appellante le spese del doppio grado del giudizio, nella misura di 3.000 (tremila) euro per ognuna di esse.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 ottobre 2014 con l’intervento dei magistrati:

Sergio De Felice – Presidente FF

Claudio Contessa – Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg – Consigliere

Roberta Vigotti – Consigliere, Estensore

Bernhard Lageder – Consigliere

Depositata in Segreteria il 4 novembre 2014.

Note

[*] Il presente contributo è stato preventivamente sottoposto a referaggio anonimo affidato ad un componente del Comitato di Referee secondo il Regolamento adottato da questa Rivista.

[1] Cfr. Provvedimento Autorità garante della concorrenza e del mercato n. 23794 del 2 agosto 2012.

[2] Cfr. dir. 98/30/CE e dir. 2003/55/CE.

[3] Cfr. D. Iacovone, I servizi di pubblica utilità tra Stato, mercato, regolatore e consumatore, Bologna, 2014, pp. 269 ss.

[4] Cfr. S. Giacomelli, La distribuzione di gas naturale in Italia: l’attuazione della riforma e i suoi effetti, in Questioni di economia e finanza (Occasional papers) n. 21 a cura della Banca d’Italia, 2008, pp. 4-5.

[5] Cfr. Corte cost., sent. del 20 luglio 2012 n. 200, in Giurisprudenza italiana, 2013, p. 674, con nota di G. Corso, La liberalizzazione dell’attività economica non piace alle Regioni. Nota alla sentenza della Corte Cost. 200/2012.  Con tale pronuncia i giudici costituzionali, nel confermare che il principio di liberalizzazione delle attività economiche andasse inquadrato nell’ambito della competenza statale, definirono i tratti essenziali del concetto di “tutela della concorrenza”. Secondo la Corte Costituzionale, infatti, la concorrenza è un concetto complesso in quanto ricomprende non solo l’insieme delle misure antiturst ma anche azioni di liberalizzazione che mirano ad assicurare e promuovere la concorrenza “nel mercato” e “per il mercato”, secondo sviluppi  ormai consolidati nell’ordinamento europeo ed internazionale.

[6] Cfr. art. 15 d.lgs. 164/2000. Ai sensi del comma 1 del citato decreto il servizio di distribuzione del gas viene affidato dagli enti locali in concessione esclusiva tramite gara per un periodo non superiore ai dodici anni. Gli enti locali che affidano il servizio, inoltre, svolgono attività di indirizzo, vigilanza, programmazione e controllo sulle attività di distribuzione, ed i loro rapporti con il gestore del servizio sono regolati da appositi contratti di servizio.

[7] Cfr. D.M. del 19 gennaio 2011( Decreto Ambiti); D.M. 12 novembre 2011 n. 226 (Regolamento criteri); D.M. 21 aprile 2011(Decreto tutela).

[8] L’intervento riformatore muoveva dall’esigenza di far fronte alla eccessiva frammentazione dal lato dell’offerta che si era venuta a creare a seguito della liberalizzazione del settore di distribuzione del gas per mezzo del d.lgs. 164/2000. Sulla base di diversi studi, tra cui spiccava il documento dell’Autorità per l’energia ed il gas “Considerazioni finali relative alle proposte in materia di individuazione di bacini ottimali di utenza” del 30 gennaio 2009, si era rilevato come l’ampliamento dell’area di gestione del servizio di distribuzione del gas rispetto alle relative concessioni, avrebbe favorito lo sviluppo efficiente del servizio medesimo, riducendone i costi a favore anche dei clienti finali, nonché avrebbe contribuito alla rimozione delle barriere di ostacolo allo sviluppo della concorrenza nel settore della vendita di gas naturale.

[9] Si riporta il testo dell’art. 1 del Decreto Ministeriale del 19 gennaio 2011 (c.d. Decreto Ambiti): «1. Gli ambiti territoriali minimi per lo svolgimento delle gare e l’affidamento del servizio di distribuzione del gas sono determinati in numero di 177, ciascuno inserito nell’allegato 1 facente parte integrante del presente provvedimento. 2. Con successivo decreto del Ministro dello sviluppo economico, di con il Ministro per i rapporti con le Regioni e la Coesione territoriale, da comunicare alla Conferenza Unificata, sono indicati i Comuni appartenenti a ciascun ambito territoriale».

[10] Cfr. G. Bruzzone, L’individuazione del mercato rilevante nella tutela della concorrenza, in Temi e Problemi a cura dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato,1995, pp. 11 ss.

[11] Cfr. Comunicazione n. 372 del 9 dicembre 1997 della Commissione Europea sulla definizione di mercato rilevante ai fini dell’applicazione del diritto comunitario in materia di concorrenza.

[12] Cfr. G. Bruzzone, L’abuso di posizione dominante, in Pace (a cura di) Dizionario sistematico del diritto della concorrenza, Napoli, 2013, pp. 96-98.

[13] Cfr. Cons. St., sez. VI., sen.  del 24 settembre del 2012 n. 5067, in Gazzetta Amministrativa della Repubblica italiana, 2012, p. 130.

[14] Si distinguono raggruppamenti temporanei di tipo: i) verticale: un’impresa (ordinariamente capace per la prestazione prevalente), si associa ad altre imprese provviste della capacità per le prestazioni scorporabili. In questo secondo caso, il presupposto è che si tratti di appalto complesso, costituito da prestazioni che richiedono diverse specializzazioni, in relazione alle quali dovrà essere il bando di gara a indicare quali assumono carattere prevalente e quali sono scorporabili; ii) orizzontale: ciascuna delle imprese riunite è in possesso di una identica specializzazione e fra di esse vi è una suddivisione meramente quantitativa delle prestazioni oggetto del contratto d’appalto; iii) misto: parte delle prestazioni è eseguita da una o più imprese con la medesima specializzazione, mentre la restante parte è eseguita da imprese aventi specializzazioni diverse.

[15] Cfr. Cons. St., sez. VI, sent. del 20 febbraio 2008 n. 588.

[16] Cfr. Cons. St., Ad. Plen., 18 giugno 2012 n. 22.

[17] Cfr. Segnalazioni dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato n. 187 del 28 settembre 1999, n. 251 del 30 gennaio 2003, n. 880 del 28 settembre 2011; Autorità garante della concorrenza e del mercato delibera del 18 settembre 2013 “Vademecum per le stazioni appaltanti. Individuazione criticità concorrenziali nel settore degli appalti pubblici” e Comunicazione del 23 dicembre 2014 “Comunicazione avente ad oggetto l’esclusione dei raggruppamenti temporanei di imprese”sovrabbondanti” dalle gare pubbliche”.

[18] Cfr. TAR Bari, sent. del 8 gennaio 2015 n. 14.

[19] Cfr. Cons. St., Sez. VI. sent. del 11 novembre 2012 n. 3402.

[20] Cfr. Provvedimento Autorità garante della concorrenza e del mercato n. 23794 del 2 agosto 2012, pagg. 17 e ss.

[21] L’art. 10, comma 7, del Regolamento Criteri recita che: “per i raggruppamenti temporanei di impresa e per i consorzi ordinari si applicano le disposizioni di cui all’articolo 37 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. I singoli partecipanti al raggruppamento devono possedere individualmente i requisiti di cui ai commi 1, 2, 3, 4, alle lettere a), c) e d) del comma 6. I requisiti di cui al comma 5 e alla lettera b) del comma 6 devono essere posseduti cumulativamente dalle imprese partecipanti al raggruppamento temporaneo o al consorzio, con l’obbligo per l’impresa mandataria di possedere tali requisiti in misura minima del 40%. Nel caso di partecipazione di una nuova società di capitali costituita dalla partecipazione di differenti imprese, questa può far valere i requisiti di cui al comma 5 e alla lettera b) del comma 6 posseduti cumulativamente dalle imprese partecipanti alla medesima società”.

[22] Le risultanze istruttorie del Provvedimento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato hanno consentito di accertare che tale strategia di impresa (c.d. stronghold strategy) aveva caratterizzato l’intero settore energetico del gas naturale. Infatti, nel contesto di incertezza e di imminente cambiamento che caratterizzava l’ambito della distribuzione del gas nel corso del 2010, le società di distribuzione tendevano a voler mantenere le concessioni in essere o, comunque, a partecipare a gare indette in territori limitrofi a quelli in cui già operavano.

[23] Cfr. Segnalazione Autorità garante della concorrenza e del mercato AS880 del 28 settembre 2011.

[24] Si riporta il testo della delibera del 18 settembre 2013 dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, “Vademecum per le stazioni appaltanti. Individuazione criticità concorrenziali nel settore degli appalti pubblici”, relativo alle ATI: « I subappalti e le Associazioni Temporanee di Imprese (ATI) permettono di ampliare la platea dei soggetti che possono partecipare a meccanismi di gara, dando spazio anche alle imprese più piccole. In alcuni casi possono però essere utilizzati dai partecipanti alla gara per spartirsi il mercato o addirittura della singola commessa. Possibili indizi sono: 1) imprese, singolarmente in grado di partecipare a una gara, che invece si astengono in vista di un successivo subappalto o optano per la costituzione di un’ATI; 2) la costituzione di ATI o subappalto perfezionati da imprese accomunate dalla stessa attività prevalente; 3) il ritiro dell’offerta da parte di un’impresa che decide inizialmente di partecipare a una gara, che risulta poi beneficiaria di un subappalto relativo alla medesima gara; 4) nei casi di aggiudicazione basata sull’offerta economicamente più vantaggiosa, l’ATI (tra i maggiori operatori) può essere il frutto di una strategia escludente, tesa ad impedire a imprese minori di raggiungere il necessario punteggio qualitativo».

4 settembre 2015

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