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Polizze ”linked” e obblighi di informazione

di Monica La Pietra   Abstract: Le sentenze in commento affrontano la questione relativa alla natura delle polizze index-linked e unit-linked e l’applicabilità della disciplina prevista per gli strumenti finanziari anche ai contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della legge n. 262 del 2005 e del d.lgs. n. 303 del 2006. I contratti index-linked e unit-linked sono contratti di assicurazione sulla vita in cui la prestazione a carico dell’assicuratore non è prefissata all’atto della stipulazione, ma dipende da un parametro costituito dal fondo di investimento in cui confluisce il pagamento del premio.   Nota a Corte di Cassazione, sez. III civile, sentenza 18 aprile 2012, n. 6061, Tribunale Mantova, 26 giugno 2012, e Tribunale Gela, 2 marzo 2013.   Sommario: 1. Le polizze index-linked e unit-linked: prodotti assicurativi o prodotti finanziari? – 2. L’orientamento dei giudici di merito. – 3. Gli obblighi informativi.     1. Le polizze index-linked e unit-linked: prodotti assicurativi o prodotti finanziari?   Le sentenze in commento affrontano la questione relativa alla natura delle polizze index-linked e unit-linked e l’applicabilità della disciplina prevista per gli strumenti finanziari anche ai contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della legge n. 262 del 2005 e del d.lgs. n. 303 del 2006. I contratti index-linked e unit-linked sono contratti di assicurazione sulla vita in cui la prestazione a carico dell’assicuratore non è prefissata all’atto della stipulazione, ma dipende da un parametro costituito dal fondo di investimento in cui confluisce il pagamento del premio. In alcuni casi viene assicurata una prestazione minima, o garantito il rimborso, in altri non viene garantito alcun rimborso in caso di perdita totale o parziale del capitale versato. Con la sentenza n. 6061 del 18 aprile 2012 la Suprema Corte afferma che per i contratti di assicurazione sulla vita stipulati prima dell’entrata in vigore della legge n. 262 del 2005 e del d.lgs. n. 303 del 2006, nel caso in cui sia stabilito che le somme corrisposte dall’assicurato a titolo di premio vengano versate in fondi di investimento interni o esterni all’assicuratore e che alla scadenza del contratto o al verificarsi dell’evento in esso dedotto l’assicuratore sarà tenuto a corrispondere all’assicurato una somma pari al valore delle quote del fondo mobiliare al momento stesso (polizze unit linked), è necessario verificare se il contratto, al di là del nomen iuris attribuitogli, sia da identificare effettivamente come polizza assicurativa sulla vita, in cui il rischio avente ad oggetto un evento dell’esistenza dell’assicurato è assunto dall’assicuratore, oppure si concreti nell’investimento in uno strumento finanziario. Il Collegio si dichiara consapevole dell’ampio dibattito svoltosi in dottrina e nella giurisprudenza di merito circa la natura, la caratteristica e gli effetti di queste polizze[1] e ritiene imprescindibile per la soluzione del problema l’analisi dell’elemento “rischio” contenuto sia nel contratto di assicurazione, sia in quello di investimento. I Giudici di legittimità osservano che nel contratto di assicurazione vita il rischio è assunto dall’assicuratore, il cui margine di profitto è direttamente proporzionale alla frazione di tempo intercorrente tra la stipula del contratto e l’evento della vita in esso dedotto, mentre nello strumento finanziario esso è a carico dell’investitore e non dipende dal fattore tempo, bensì dalle dinamiche dei mercati mobiliari, dal rendimento del titolo e dalla solvibilità dell’emittente[2]. Il rischio incide sulla causa del contratto di assicurazione; nel contratto di investimento, invece, esso è estraneo alla causa e rientra nella normale alea contrattuale. Pertanto il giudice, per stabilire se la polizza vada assimilata ad un prodotto assicurativo oppure ad uno finanziario, con i conseguenti obblighi di comportamento che ne derivano a carico dell’emittente, dell’intermediario e del promotore nella fase antecedente alla stipula, deve esaminare la collocazione del rischio a carico dell’una e dell’altra parte e la sua rilevanza causale. Nel caso sottoposto all’esame della Suprema Corte dall’analisi della polizza emerge che il pagamento del premio avveniva in unica soluzione al momento della stipula; la prestazione a carico della compagnia era legata all’andamento di un fondo interno, scelto dal contraente tra quelli appositamente costituiti dalla stessa compagnia; il premio destinato all’investimento era pari a quello netto, decurtato del costo della copertura per il caso di morte ed era destinato all’acquisto delle quote del fondo; in caso di morte dell’assicurato era garantito il pagamento di una somma pari al controvalore delle quote del fondo associato alla polizza, presenti al verificarsi dell’evento. Pertanto, il contratto non presentava alcuna assunzione di rischio da parte dell’assicuratore; al beneficiario non erano garantiti né un rendimento minimo, né la restituzione del valore nominale del capitale versato: il rischio era posto a carico dell’assicurato come conseguenza della maggiore o minore redditività delle quote del fondo. Da tali caratteristiche il Collegio ricava la qualificazione della polizza quale «prodotto chiaramente del tipo unit linked, per essere la prestazione a carico della società di assicurazioni collegata al valore del fondo interno prescelto dal contraente e come tale assimilabile ad un fondo comune di investimento, senza alcuna garanzia di esito non negativo della gestione e connotato da un livello di rischiosità dipendente dal tipo di fondo scelto dal contraente tra quelli appositamente costituiti dalla stessa compagnia di assicurazioni». Il contratto, quindi, al di là del nomen iuris, è chiaramente in base al suo contenuto oggettivo, un vero e proprio prodotto finanziario[3].     2. L’orientamento dei giudici di merito   A conclusioni analoghe a quelle della Suprema Corte giunge il Tribunale di Mantova con la sentenza del 26 giugno 2012. Anche secondo questa decisione nel contratto assicurativo sulla vita l’obbligazione dell’assicuratore deve essere collegata ad un evento attinente alla vita umana, per cui quando l’evento riguardante la vita incide in misura insignificante sul quantum, il contratto è estraneo al genus dei contratti assicurativi sulla vita. La causa del contratto non è di assicurazione, atteso che gli unici rischi, relativi all’andamento del mercato borsistico, sono assunti dall’assicurato. Questo orientamento è da ultimo confermato dal Tribunale di Gela, che con pronuncia del 2 marzo 2013 ha affermato la natura finanziaria di un contratto di assicurazione sulla vita in cui la prestazione a carico della società di assicurazioni è collegata al valore di un fondo azionario interno, senza alcuna garanzia di esito positivo della gestione.     3. Gli obblighi informativi   A conferma di questa ricostruzione si osserva che l’assimilazione dei contratti unit linked agli strumenti finanziari costituisce oggi un esito normativo acquisito. La legge n. 262 del 2005 è intervenuta sul t.u.f. abrogando l’art. 100, comma 1, lett. f), che escludeva i prodotti assicurativi emessi da imprese di assicurazione dall’ambito applicativo della disciplina sulla sollecitazione all’investimento ed inserendo l’art. 25 bis, che ha esteso parte della disciplina dei servizi di investimento alla sottoscrizione e al collocamento dei prodotti finanziari emessi dalle banche nonché, in quanto compatibili, dalle imprese di assicurazione. Inoltre il d.lgs. n. 303 del 2006 ha aggiunto al primo comma dell’art. 1 del t.u.f. la lett. w) bis, in base alla quale per prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione si intendono le polizze e le operazioni «le cui prestazioni principali sono direttamente collegate al valore di quote di organismi di investimento collettivo del risparmio o di fondi interni ovvero a indici o altri valori di riferimento». Per le decisioni in commento le sopravvenute disposizioni normative nascono proprio dalla ricognizione di dati economici preesistenti e dall’osservazione della funzione economico-giuridica dei contratti in esame; ne deriva la conclusione che tali contratti anche prima delle modifiche legislative non potevano essere considerati alla stregua di normali prodotti assicurativi, ma piuttosto come forme di investimento. La conseguenza è l’applicazione della normativa all’epoca vigente per gli ordinari prodotti finanziari ed, in particolare, degli artt. 21 e 23 del t.u.f., nonché degli artt. 27 ss. del Regolamento Consob n. 11522 del 1998. Tale disciplina è ispirata all’esigenza di porre rimedio all’asimmetria informativa esistente tra intermediari e risparmiatori e di garantire l’instaurarsi di un rapporto che possa assicurare una scelta informata e consapevole[4] e richiede, pertanto, che l’investitore già nella fase precontrattuale sia informato in modo completo ed esaustivo di tutti gli elementi concernenti l’operazione negoziale[5]. Le informazioni fornite dall’intermediario devono essere chiare e tali da far comprendere al cliente la natura del servizio di investimento e degli strumenti finanziari ed i rischi ad essi connessi. Dall’art. 21 t.u.f. deriva per i soggetti abilitati il dovere, nella prestazione dei servizi di investimento e accessori, di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza nell’interesse dei clienti e per l’integrità dei mercati; di acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati; di svolgere una gestione indipendente, sana e prudente e di adottare misure idonee a salvaguardare i diritti dei clienti sui beni affidati. I criteri generali dell’art. 21 t.u.f. hanno trovato poi attuazione nel Regolamento Consob n. 11522 del 1998, che ha previsto una disciplina particolareggiata del contenuto delle informazioni e delle caratteristiche che queste ultime devono avere per potersi considerare corrette, chiare e non fuorvianti[6]. Le decisioni in commento richiamano la sentenza della Suprema Corte a sezioni unite n. 26724 del 19 dicembre 2007, che ha chiarito come la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguente obbligo di risarcimento dei danni, ove tali violazioni avvengano nella fase precedente o coincidente con la stipulazione del contratto o a responsabilità contrattuale, ed eventualmente comportare la risoluzione del contratto, quando si tratti di violazioni riguardanti le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto di intermediazione finanziaria[7]. Queste conclusioni sono state poi ribadite dalla sentenza n. 3773 del 17 febbraio 2009[8], con la quale la Corte di Cassazione ha confermato che la violazione delle regole di comportamento da parte degli intermediari finanziari può dar luogo a risarcimento dei danni e risoluzione del contratto, ma non può comportare la nullità dello stesso. Con le citate pronunce la Suprema Corte ha configurato la responsabilità dell’intermediario, che nella fase precontrattuale viola le norme di legge e regolamentari in materia di obblighi di informazione come ipotesi di responsabilità per culpa in contrahendo, confermando la compatibilità tra contratto validamente concluso e responsabilità precontrattuale[9]. Ai fini della quantificazione del danno viene, pertanto, proposto il criterio del risarcimento ragguagliato al minor vantaggio o al maggior aggravio economico determinato dal comportamento sleale della parte. Infatti, quando il contratto è stato validamente concluso, sia pure a condizioni diverse da quelle alle quali esso sarebbe stato stipulato senza l’interferenza del comportamento non conforme a buona fede, il danno non può essere determinato con riferimento all’interesse a non essere coinvolti in trattative inutili, quanto piuttosto all’interesse ad essere ristorati del pregiudizio subito per effetto della conclusione di un contratto “sgradito”[10].   —————— Note: [*] Il presente saggio è stato preventivamente sottoposto a referaggio anonimo affidato ad un componente del Comitato di Referee secondo il Regolamento adottato da questa Rivista. [1] G. Carriero, Il controllo sull’attività assicurativa: istituzioni, obiettivi e strumenti, in Le Società, 2009, 7, p. 813; V.V. Chionna, Strumenti finanziari e prodotti finanziari nel diritto italiano, in Banca, borsa, titoli di credito, 2011, 1; M. Gagliardi, Tendenze e prospettive nel moderno diritto del contratto di assicurazione, in Danno e resp., 2010, 7, p. 653; A. Gambino, Mercato finanziario, attività assicurativa e risparmio previdenziale, in Giur. comm., 1989, I, p. 13; Idem, La responsabilità e le azioni privatistiche nella distribuzione dei prodotti finanziari di matrice assicurativa e bancaria, in Ass., 2007, p. 191; Idem, Linee di frontiera tra operazioni di assicurazioni e bancarie e nuove forme tecniche dell’assicurazione mista sulla vita a premio unico, in Ass., 1993, I, p. 157; Idem, La prevenzione nelle assicurazioni sulla vita e nei nuovi prodotti assicurativo-finanziari, in Ass., 1990, I, p. 28; Idem, Finalità e tendenze attuali delle assicurazioni sulla vita (Le polizze vita come prodotti finanziari), in Riv. dir. comm., 1985, I, p. 104; Idem, Note critiche sulla bozza del codice delle assicurazioni private, in Giur. comm., 2004, 5; A. Guaccero, Investimento finanziario e attività assicurativa nella prospettiva dell’informazione del risparmiatore, in Giur. comm., 2003, 1; F. Parrella, La ripartizione del rischio finanziario nelle polizze index linked: un caso Lehman Brothers, in Società, 2010, 4, p. 455; N. Salanitro, Prodotti finanziari assicurativi collegati ad obbligazioni Lehman Brothers, in Banca, borsa, titoli di credito, 2009, p. 5; V. Sangiovanni, Informativa precontrattuale e norme di comportamento degli intermediari assicurativi, in Contratti, 2009, 5, p. 510; Idem, Le norme di comportamento di imprese e intermediari assicurativi, in Danno e resp., 2010, 1, p. 93; Idem, Le polizze linked come prodotti finanziari e la forma scritta del contratto, in Contratti, 2012, 5, p. 357; D. Scarpa, Natura della polizza finanziaria index linked e tutela dell’assicurato, in Contratti, 2010, 6, p. 578. [2] Cfr. A. Gambino, Mercato finanziario, attività assicurativa e risparmio previdenziale, cit., p. 13: «allorché il capitale o la rendita siano integralmente collegati con il reddito o il valore di beni (interni o esterni al patrimonio dell’assicuratore), con il rischio quindi dell’investimento a totale carico del risparmiatore, l’assenza di garanzia assicurativa significa che si è al di fuori del prodotto assicurativo e si è in presenza di un esclusivo prodotto finanziario di secondo grado a carattere previdenziale, solo rappresentato dal documento contrattuale tipico delle compagnie di assicurazione (polizza). Qui si pone in pieno il problema della tutela dell’informazione nei confronti del pubblico dei risparmiatori, con il controllo Consob». Idem, Note critiche sulla bozza del codice delle assicurazioni private, cit.: «Si è inciso sul contratto di assicurazione sulla vita mutandone le caratteristiche e la natura, facendo sì che situazioni eccezionali al limite del contratto di assicurazione vengano considerate come caratteristiche tipiche dell’assicurazione. Si pensi a linked life policies, che restino solo teoricamente collegate nella durata ad un evento della vita umana, ma che pongano totalmente il rischio dell’investimento a carico del risparmiatore sino a ridurre potenzialmente a zero il capitale atteso. L’esigenza di sicurezza concernente bisogni essenziali legati alla durata della vita umana è stata così trasformata nell’esigenza del consumatore alla trasparenza del prodotto assicurativo ed alla informazione sulle sue caratteristiche: sulla base del proclama, proprio del mercato di rischio, per il quale si possono vendere anche mele marce, purché si dica che sono marce. Non è questa la logica dell’assicurazione sulla vita, nella quale è essenziale la natura di risparmio assicurativo per rischi attinenti alla vita umana e cioè per il rischio demografico. Dalla presenza fondamentale di tale rischio dipende il forte regime di garanzie tecniche assicurative, fondate sulla tecnica attuariale, che regge il sistema delle riserve matematiche e che ne sottolinea la profonda differenza dai prodotti finanziari. Infatti il contratto di assicurazione sulla vita ha una ben diversa funzione giuridica di risparmio previdenziale, sulla base del meccanismo tecnico di omogeneizzazione e compensazione dei rischi temporali attinenti alla vita umana». Per G. Volpe Putzolu, Le polizze unit linket e index linked, in Ass., 2000, p. 241, il rischio demografico non è connaturato al tipo assicurativo vita, per cui anche le polizze linked in cui la prestazione dell’assicuratore è svincolata da tale rischio restano a pieno titolo nell’alveo del contratto assicurativo disciplinato dal codice civile. In giurisprudenza cfr. Trib. Parma, 10.08.2010, in Dir. assicuraz., 2011, p. 710, con nota di F. Schettino, Impignorabilità delle polizze “index linked”: la funzione previdenziale delle polizze di assicurazione sulla vita, e in Società, 2011, 1, p. 55, con nota di E. Guffanti, La funzione previdenziale dei contratti assicurativo-finanziari. Per il Trib. Parma «non può definirsi quale polizza vita il contratto che preveda un investimento finanziario che non sia finalizzato a soddisfare principalmente bisogni di carattere previdenziale, la cui redditività sia esclusivamente legata a fenomeni di tipo finanziario, quali indici azionari o rendimenti dei fondi di investimento, e che non assicuri la restituzione alla scadenza del capitale versato». Trib. Venezia, 24.06.2010, in www.ilcaso.it, «Ove, nell’ambito di una polizza index linked, la prestazione della compagnia di assicurazione non sia legata ad un evento attinente alla vita umana, bensì al valore di strumenti finanziari, la causa del contratto deve ritenersi completamente estranea a quella tipica del contratto di assicurazione e diviene del tutto irrilevante il nomen juris adottato dalle parti, con la conseguenza che alla fattispecie dovranno essere applicate le norme dell’intermediazione mobiliare, con particolare riferimento a quelle relative alle operazioni inadeguate, qualora l’investitore abbia impegnato in detto contratto tutto o buona parte del suo patrimonio mobiliare». Cfr. altresì Trib. Milano, 21.12.2009, in Foro it., 2010, p. 1627 e Trib. Milano 12.02.2010, in Società, 2010, 8, p. 971, con nota di E. Guffanti, Le limitazioni di responsabilità nei contratti assicurativo-finanziari. [3] A. Gambino, La responsabilità e le azioni privatistiche nella distribuzione dei prodotti finanziari di matrice assicurativa e bancaria, cit., p. 194, osserva che «la qualificazione come prodotti finanziari è la conseguenza di una evoluzione dei caratteri di queste polizze, che presentano contenuto standardizzato, prescindono dalla rilevanza delle dichiarazioni precontrattuali del contraente sulle condizioni di salute, sono di durata normalmente di cinque anni, sono sostanzialmente carenti di copertura del rischio demografico e si caratterizzano per la sola restituzione dei premi in collegamento con fondi comuni o con indici di riferimento del mercato di borsa. (…) Per tali rami anche le caratteristiche della distribuzione sono fortemente alterate rispetto alla distribuzione assicurativa effettuata con lo strumento tradizionale dell’agente e del contratto di agenzia, affiancato dal broker. Così, in relazione ai caratteri propri di queste polizze, la banca si è affermata come strumento distributivo di questi prodotti anche attraverso accordi con le imprese di assicurazioni e con la creazione di imprese comuni banca-assicurazione». [4] E. Graziuso, Le conseguenze risarcitoria della violazione dell’obbligo di informare adeguatamente il risparmiatore, in Resp. civ. prev., 2009, 6, p. 1352. [5] S. Panzini, Violazione dei doveri d’informazione da parte degli intermediari finanziari tra culpa in contrahendo e responsabilità professionale, in Contratto e impresa, 2007, 4-5, p. 983. Cfr. V. Scalisi, Dovere di informazione e attività di intermediazione mobiliare, in Riv. dir. civ., 1994, p. 171, il quale sottolinea che al fine di una corretta informazione del risparmiatore tanto nella fase precontrattuale quanto nella fase di esecuzione del contratto ciascun obbligo informativo è funzionalmente preordinato e collegato a quello successivo. [6] Con l’emanazione della direttiva 2004/39/CE (c.d. Mifid, Markets in Financial Instruments Directive), il d.lgs. di recepimento n.164/2007 ed i regolamenti Consob n. 19690 e 19691 del 2007 sono state apportate rilevanti modifiche al t.u.f. ed è stata introdotta una differenziazione delle regole di condotta in relazione ai diversi servizi prestati ed alla tipologia di clienti coinvolti. Cfr. F. Bruno-A. Rozzi, Il destino dell’operatore qualificato alla luce della Mifid, in Società, 2007, p. 277 ss.; A. Perrone, Obblighi di informazione, suitability e conflitti di interesse, in A. Perrone (a cura di), I soldi degli altri, Milano, 2008, p. 1 ss.; A.A. Rinaldi, Il decreto Mifid e i regolamenti attuativi: principali cambiamenti, in Società, 2008, 12; L. Frumento, La valutazione di adeguatezza e di appropriatezza delle operazioni di investimento nella Direttiva Mifid, in Contratti, 2007, p. 583; V. Sangiovanni, Operazione inadeguata dell’intermediario finanziario far nullità del contratto e risarcimento del danno alla luce della direttiva Mifid, in Contratti, 2007, 243; F. Annunziata, Recepita in Italia la Direttiva Mifid, in Riv. soc., 2007, p. 1479; F. Greco, L’informazione nella disciplina MiFID, in F. Del Bene (a cura di), Strumenti finanziari e regole MIFID, Milano, 2009, p. 170. [7] Cass. sez. un., 19.12.2007, n. 26724, in Giur. comm., 2008, 3, II, p. 604. Cfr. A. Albanese, Regole di condotta e regole di validità nell’attività di intermediazione finanziaria: quale tutela per gli investitori delusi?, in Corriere giur., 2008, p. 107; G. Alpa, Gli obblighi informativi precontrattuali nei contratti di investimento finanziario. Per l’armonizzazione dei modelli regolatori e per l’uniformazione delle regole di diritto comune, in Contratto e impresa, 2008, fasc. 4-5, p. 889; A. Bove, Le violazioni delle regole di condotta degli intermediari finanziari al vaglio delle Sezioni unite, in Banca, borsa, titoli di credito, 2009, 2; F. Bruno-A. Rozzi, Le Sezioni Unite sciolgono i dubbi sugli effetti della violazione degli obblighi di informazione, in Giur. comm., 2008, II, p. 612; G. Cottino, La responsabilità degli intermediari finanziari e il verdetto delle Sezioni unite: chiose, considerazioni, e un elogio dei giudici, in Giur. it., 2008, 2, p. 353; T. Febbrajo, Violazione delle regole di comportamento nell’intermediazione finanziaria e nullità del contratto: la decisione delle sezioni unite, in Giust. civ., 2008, 12, p. 2785; F. Galgano, Il contratto di intermediazione finanziaria davanti alle Sezioni Unite della Cassazione, in Contratto e impresa, 2008, 1, p. 1; A. Gentili, Disinformazione e invalidità: i contratti di intermediazione dopo le Sezioni Unite, in Contratti, 2008, 4, p. 393; D. Maffeis, Discipline preventive nei servizi di investimento: le Sezioni Unite e la notte (degli investitori) in cui tutte le vacche sono nere, in Contratti, 2008, 4, p. 403; V. Mariconda, L’insegnamento delle Sezioni Unite sulla rilevanza della distinzione tra norme di comportamento e norme di validità, in Corriere giur., 2008, p. 230 ss.; F. Prosperi, Violazione degli obblighi di informazione nei servizi di investimento e rimedi contrattuali, in Contratto e impresa, 2008, 4-5, p. 936; U. Salanitro, Violazione della disciplina dell’intermediazione finanziaria e conseguenze civilistiche: ratio decidendi e obiter dicta delle sezioni unite, in Nuova giur. civ. comm., 2008, p. 445 ss.; V. Sangiovanni, Inosservanza delle norme di comportamento: la Cassazione esclude la nullità, in Contratti, 2008, 3, p. 231. [8] Cass., 17.02.2009, n. 3773, in Giust. civ., 2010, 7-8, I, p. 1756. [9] Cass., 29.09.2005, n. 19024, in Giust. civ., 2006, 7-8, I, 1526. La decisione ha configurato per la prima volta la responsabilità dell’intermediario, che abbia violato le norme di legge e regolamentari in materia, come ipotesi di responsabilità per culpa in contrahendo, ammettendo esplicitamente la compatibilità tra contratto validamente concluso e responsabilità precontrattuale. L’impugnazione della sentenza di merito, fondata sul rilievo che la violazione dei doveri di condotta sanciti dalla normativa sui contratti finanziari dovrebbe comportare la nullità del contratto concluso e che, in caso contrario, l’illecito sarebbe non sanzionabile, dato che la responsabilità in contrahendo non è ammissibile in presenza di contratto validamente concluso, viene respinta dalla Corte in base al rilievo che non è corretto affermare che in caso di violazione delle norme che impongono alle parti di comportarsi secondo buona fede nel corso delle trattative e nella formazione del contratto, la parte danneggiata non ha alcuna possibilità di ottenere il risarcimento dei danni subiti se il contratto sia stato validamente concluso. Cfr. G. Meruzzi, La responsabilità precontrattuale tra regola di validità e regola di condotta, in Contratto e impresa, 2006, 4-5, p. 944; V. Scognamiglio, Regole di validità e regole di comportamento: i principi e i rimedi, in Europa e diritto privato, 2008, p. 621, osserva che «l’area della responsabilità precontrattuale, in quanto assoggettata in pieno alla regola di buona fede, non poteva che restare coinvolta in quel ribollire giurisprudenziale di applicazioni della clausola generale di buona fede che ha, negli ultimi anni, trovato manifestazioni sempre più univoche: dalla sentenza n. 5273/07 in tema di exceptio doli generalis, alla sentenza n. 15669/2007 in materia di obbligazioni che, ex fide bona, sopravvivono alla cessazione del vincolo contrattuale, fino alla sentenza delle Sezioni Unite n. 23726 sul divieto di frammentazione in plurime, distinte domande dell’azione giudiziaria per l’adempimento di un’obbligazione pecuniaria». [10] G. Grisi, L’obbligo precontrattuale di informazione, Napoli, 1990, p. 348. Cfr. Cass., 29.03.1999, n. 2956, in Giur. it., 2000, p. 1192, con nota di T. Dalla Massara, Dolo incidente: quantum risarcitorio e natura della responsabilità, in Giust. civ., 2000, I, p. 3303. C. Miriello, La buona fede oltre l’autonomia contrattuale: verso un nuovo concetto di nullità?, in Contratto e impresa, 2008, 2, p. 293, afferma che «l’estensione della responsabilità precontrattuale all’ipotesi di contratto valido ed efficace produce conseguenze sulla quantificazione del danno che non sarà più il danno negativo, cioè l’interesse a non perdere tempo in trattative inutili, ma sul modello tedesco della Erfullungsinteresse il danno positivo differenziale collegato alla violazione dell’interesse a non subire imposizioni ingiuste sul piano del contenuto del contratto, pari alla differenza tra i vantaggi e le conseguenze economiche che il contratto stipulato produce e quelli che il contratto avrebbe prodotto se fosse stato stipulato se non vi fosse stato il comportamento scorretto». Cfr. V. Scognamiglio, Regole di validità e regole di comportamento: i principi e i rimedi, cit., p. 621, il quale osserva che l’applicazione della responsabilità precontrattuale anche all’ipotesi del contratto valido ma sconveniente può «determinare una generalizzata prospettazione di pretese risarcitoria intese ad accreditare, a posteriori, una sorta di regola, di evidente portata eversiva sul piano sistematico, di equivalenza oggettiva delle prestazioni; ed infatti la parte, che lamentasse di avere concluso un contratto sconveniente, potrebbe tentare di sostenere sub specie di obbligo risarcitoria da violazione della regola di buona fede, di avere diritto ad una somma di danaro tale da riequilibrare i termini dello scambio fino alla soglia della propria convenienza (…) Su questa premessa, soltanto nell’ipotesi normativamente disciplinata del dolo incidente (art. 1440 c.c.), qualificata, a sua volta, dall’esistenza non di una semplice violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nelle trattative, ma da veri e propri raggiri, la prestazione risarcitoria potrà commisurarsi alla differenza tra l’assetto economico dello scambio in effetti raggiunto dalle parti e quello che, in assenza dei raggiri, si sarebbe conseguito, assumendo, invece, in ogni altro caso la responsabilità precontrattuale la funzione di riallocazione dei costi strumentali alla stipulazione che la condotta contraria a buona fede abbia cagionato». Per G. Afferni, Il quantum del danno nella responsabilità precontrattuale,Torino, 2008, p. 221 s., nel caso in cui la vittima non avrebbe concluso alcun contratto «può chiedere che il prezzo sia ridotto sino al valore reale del bene, oppure in generale può chiedere il risarcimento della differenza tra il valore della propria prestazione ed il valore della controprestazione. In questo modo, essa pretende di essere messa in una posizione equivalente a quella in cui si sarebbe trovata se non avesse concluso il contratto. È chiaro quindi che essa pretende la tutela del proprio interesse negativo, anche se mediante l’esecuzione del contratto».

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