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L’istituto della negoziazione assistita nel quadro delle “alternative dispute resolution”: profili di interconnessione con il procedimento di risoluzione delle controversie tra utenti ed operatori innanzi all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni

 

Il presente contributo si propone, muovendo da un’analisi dell’istituto della negoziazione assistita alla luce del recentissimo intervento del Legislatore, di analizzare il panorama degli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie alla luce di rilevanti impulsi deflativi del contenzioso. In particolare la riflessione si è appuntata sui profili di interconnessione del nuovo istituto con la procedura di risoluzione delle controversie tra utenti ed operatori nel settore delle comunicazioni elettroniche innanzi all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, onde verificarne affinità ed alcuni specifici tratti comuni. Sommario: 1. Premessa. – 2.  La disciplina normativa della negoziazione assistita. – 3. Finalità e “ratio” dell’istituto. – 4. Il procedimento di risoluzione delle controversie tra utenti ed operatori nel settore delle comunicazione elettroniche. – 5. Profili di interconnessione tra gli istituti in esame. 1.Premessa. L’istituto della negoziazione assistita, recentemente introdotto nell’ordinamento giuridico,  concorre ad arricchire la gamma degli interventi normativi che si collocano a fianco delle tradizionali tutele giurisdizionali dei diritti, sia con riferimento al plesso normativo allocato nel Libro VI del codice civile, sia con riguardo all’intero codice di rito che, oltre all’intero impianto normativo dedicato alle procedure contenziose innanzi al giudice, conosce e disciplina anche l’istituto dell’arbitrato (artt. 806 e ss.) e dedica norme di settore all’arbitrato irrituale (artt. 412 e ss.), sia pure con i suoi limiti (art. 147 disp. att. c.p.c.). La nuova figura della negoziazione assistita si colloca, pur con caratteri propri, anche accanto ad altri istituti: si pensi alla conciliazione, nella più generale disciplina civilistica, o di settore, come nel rito del lavoro o in quello agrario, allo stesso istituto della mediazione civile di natura obbligatoria disciplinata dal decreto legge n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni, nella Legge n. 98 del 2013, nonché pur con le dovute differenze, alla stessa transazione stragiudiziale. Su diverso piano – quello tributario – ma egualmente afferente alla tutela di diritti soggettivi, si collocano poi gli istituti dell’interpello (ordinario o generalizzato), del ravvedimento, dell’autotutela, dell’accertamento con adesione, dell’ acquiescenza, tutti finalizzati ad alleggerire il contenzioso tributario [1]. Fatta questa breve ma generale premessa di inquadramento sistematico, si tratterà della disciplina positiva del nuovo istituto, dei caratteri peculiari che la distinguono, da un canto, e la accomunano, dall’altro, alle principali figure di alternative dispute resolution (d’ora in avanti ADR) dedicando, poi, una riflessione più approfondita al procedimento di risoluzione delle controversie tra utenti ed operatori innanzi all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, cogliendone alcuni tratti comuni. 2.La disciplina normativa della negoziazione assistita. Come è noto, l’istituto della negoziazione assistita è stato introdotto nell’ordinamento giuridico con decreto legge  12 Settembre 2014, n. 132 (“Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile”), convertito con modificazioni in Legge 10 Novembre 2014, n. 162. L’intervento normativo in questione, tra le varie altre finalità deflative [2], intende promuovere in sede stragiudiziale una serie di procedure alternative alla ordinaria risoluzione delle controversie nel processo. Tale finalità, in particolare, viene favorita dall’introduzione nel nostro ordinamento di un nuovo istituto: la procedura di negoziazione assistita da un avvocato. Alla regolazione del nuovo istituto è dedicato l’intero capo II del decreto legge in commento, rubricato “procedura di negoziazione assistita da un avvocato”[3]. Il procedimento disegnato dal Legislatore  si articola in due fasi tra loro connesse ed interdipendenti. In primo luogo, ciascun avvocato, all’atto del conferimento dell’incarico, deve procedere all’informativa, rendendo edotto il proprio cliente circa la possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita (art. 2, comma 7). A seguito dell’informativa, il legale della parte che intenda aderire alla procedura in questione, formula alla controparte un invito [4] a stipulare una convenzione di negoziazione. Esso deve spiegare l’oggetto della controversia e deve avvisare la controparte sulle conseguenze negative in caso di mancato accordo (aggravio di spese e condanna al risarcimento del danno nel successivo eventuale giudizio). Dal momento della comunicazione dell’invito, ovvero della sottoscrizione della convenzione, si producono sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale [5]. Dalla stessa data è impedita, per una sola volta, la decadenza, ma se l’invito è rifiutato o non è accettato entro trenta giorni [6], la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza decorrente dal rifiuto, dalla mancata accettazione nel termine ovvero dalla dichiarazione di mancato accordo certificata dagli avvocati. Una volta espletata la procedura ut supra indicata, viene stipulata una convenzione di negoziazione con cui le parti convengono di “cooperare in buona fede e con lealtà” per risolvere in via amichevole la controversia tramite l’assistenza di avvocati. Il richiamo alla buona fede e lealtà non può che richiamare alla mente la buona fede (oggettiva) nell’esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.) e nelle stesse trattative (art. 1337 c.c.), sottolineandosi così la natura pattizia della procedura, onde la possibile applicazione di altre norme sul contratto in generale, naturalmente tutte da esplorare “funditus” a causa della presenza mediatrice degli avvocati; ma non par dubbio che la negoziazione assistita abbia una propria causa, come conferma il richiamo normativo alla conformità alle norme imperative e di ordine pubblico che delimitano comunque il campo dell’autonomia negoziale. In relazione alle modalità di  redazione della convenzione di negoziazione occorre precisare che, ai sensi dell’art. 2, essa “deve indicare il termine concordato dalle parti per l’espletamento della procedura, in ogni caso non inferiore a un mese; deve altresì indicare l’oggetto della controversia in cui i difensori non possono essere nominati arbitri (art 810 c.p.c.) nelle controversie aventi il medesimo oggetto o connesse. Inoltre essa va redatta in forma scritta a pena di nullità e va sottoscritta dalle parti e dagli avvocati, i quali certificano l’autografia delle sottoscrizioni. Sul punto, va sottolineato come l’assistenza degli avvocati sia, quindi, obbligatoria con particolare riferimento all’efficacia esecutiva dell’accordo, nonché alla disciplina della negoziazione assistita obbligatoria di cui all’art. 3 e, d’altronde, tale requisito costituisce – già alla luce del nomen iuris normativamente adottato –  uno degli elementi essenziali e caratterizzanti lo strumento di ADR in questione. Agli avvocati e alle parti è fatto obbligo di tenere riservate le informazioni ricevute: in particolare, le dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel corso del procedimento non possono essere utilizzate nel giudizio avente in tutto o in parte il medesimo oggetto; i difensori delle parti e coloro che partecipano al procedimento non possono essere tenuti a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite. Lo svolgimento della negoziazione può portare ad un risultato positivo o negativo. In caso di mancato accordo [7] viene redatta la relativa conforme dichiarazione che gli avvocati designati certificano. In caso di raggiunto accordo, deve essere conforme alle norme imperative e all’ordine pubblico [8]; va sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono, costituendo così titolo esecutivo e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale. 3.Finalità e “ratio” dell’istituto.  La finalità della predetta negoziazione assistita attiene alla “risoluzione in via amichevole” di una controversia civile: si tratta quindi a tutti gli effetti di uno strumento di ADR [9] , volto a derogare all’ordinario regime di trattazione delle controversie in sede giurisdizionale, a favore di un procedimento stragiudiziale snello ed idoneo a conseguire un effetto deflativo del contenzioso. Tale strumento, come già rilevato, si aggiunge ad una serie già ampia di mezzi di risoluzione alternativa delle controversie, intesi quali procedure finalizzate alla “trattazione” delle liti fra privati (sembra doversi escludere l’applicabilità dell’istituto alla P.A. ove prevale l’interesse pubblico, come tale non negoziabile, ma solo in alcuni casi transigibile nelle liti pendenti) in un ambito diverso da quello della tradizionale sede giurisdizionale. Nonostante l’eterogeneità di tali forme, la predetta “trattazione” individua due diverse modalità di regolazione delle controversie, da cui deriva l’esistenza di due modelli di ADR che, a loro volta, comprendono al loro interno svariate procedure di risoluzione che, in virtù dello specifico approccio al conflitto che le caratterizza, appartengono all’uno o all’altro genere. I due modelli in questione si differenziano in quanto, nell’uno, la trattazione del conflitto è intesa come gestione dello stesso mentre, nell’altro, la trattazione è da intendersi come definizione del conflitto. In particolare, infatti, della prima categoria fanno parte tutti quei metodi di risoluzione che esprimono forme di negoziazione fra le parti, a prescindere, quindi, dagli effetti dalla medesima determinati. Alla seconda categoria, invece, si riconducono tutti quei metodi in cui la risoluzione del conflitto si determina in virtù dell’aggiudicazione totale o parziale del bene della vita oggetto del contendere ad una delle parti coinvolte. In sostanza, dunque, i metodi ADR solitamente si distinguono tra negoziali ed aggiudicativi e la distinzione tra gli stessi è ricavabile anche dal diverso approccio che i due modelli adottano rispetto alla controversia. Pertanto, nei primi il conflitto può intendersi come naturale espressione della molteplicità di interessi che convivono all’interno della società, a prescindere da una loro classificazione in termini  di giustizia ed equità e, quindi, in definitiva, di meritevolezza di protezione [10]. In tal senso, pertanto, nei metodi negoziali l’attenzione è principalmente rivolta alle modalità con le quali il conflitto si manifesta e alle sue conseguenze, che, impedendo lo svolgimento dei rapporti intersoggettivi, devono essere gestite. Per tale gestione, peraltro, nei metodi negoziali sono ampiamente valorizzate la responsabilità e la capacità decisionale delle parti coinvolte nel conflitto, che così partecipano alla integrazione dei legami sociali che si creano  nella trattazione e composizione del conflitto [11]. Nei metodi ADR aggiudicativi, al contrario, la riflessione si appunta in particolare sulle cause e i motivi del conflitto, che devono essere eliminati o risolti. In tali ipotesi, infatti,  il conflitto si atteggia in modo netto, come disputa tra posizioni giuridiche contrapposte, secondo gli archetipi tradizionali del diritto. Di conseguenza, tali ultimi metodi sono caratterizzati da una maggiore rigidità delle procedure e, soprattutto, nel corso dello svolgimento della relativa procedura, il potere decisionale delle parti cede il passo alla applicazione eterodeterminata di principi e norme ricavati dall’ordinamento giuridico nel suo complesso [12]. In quest’ultimo senso, peraltro, un’ulteriore distinzione è stata fatta tra i mezzi di risoluzione delle controversie cd. “autonomi” (quelli negoziali) e quelli “eteronomi” (giudizio o arbitrato), sottolineandone sostanzialmente l’equivalenza soggetti interessati che ne assumono l’iniziativa [13]. La summenzionata distinzione non comporta che i metodi ADR aggiudicativi siano da considerarsi meno significativi rispetto a quelli negoziali poiché troppo simili ai metodi di risoluzione giurisdizionale delle liti dei quali, per contro, dovrebbero costituire un’alternativa. Può discutersi su come la procedura di negoziazione assistita si atteggi rispetto alle altre forme di ADR oppure se ne distingua sotto il profilo della alternatività ai rimedi giurisdizionali classici dove campeggia la figura del giudice. Nei metodi ADR cosiddetti aggiudicativi la similitudine con le tutele giurisdizionali è più spiccata; essi sono sì alternativi a questi ultimi nel senso che le procedure sono diverse tra i soggetti partecipanti e non è prevista la figura del giudice, ma la similitudine sembra prevalere sui caratteri differenziali, perché la composizione della lite avviene seguendo le norme regolatrici delle fattispecie e si conclude con il riconoscimento o attribuzione di un diritto. Nella procedura di negoziazione assistita, invece, la risoluzione è affidata ad un incontro consensuale delle parti che intendono comporre e regolare i loro interessi, escludendo di sottoporre la lite stessa alla “cognitio” di un terzo. In quest’ultimo senso la stragiudizialità della negoziazione assistita è davvero “alternativa” poiché la consensualità è l’essenza stessa che domina tutta la procedura anche se gli effetti finali (titolo esecutivo) aprono poi la strada ad ulteriori forme di tutela giurisdizionale come avviene per le altre forme di ADR. Se vuole cogliersi qualche aspetto differenziale con altri istituti, può osservarsi che la transazione stragiudiziale per prevenire l’insorgenza di una lite (art. 1965 c.c.) e la mediazione civile condividono con la negoziazione assistita la funzione di pervenire ad un accordo prima di intraprendere il giudizio, mentre la transazione giudiziale e la conciliazione giudiziale avvengono nel corso di un giudizio che, pertanto, si estingue; infine, la procedura arbitrale è prevista dalla clausola compromissoria ed esclude l’intervento del giudice, ma non del tutto a causa della stessa impugnabilità del lodo nelle forme previste dagli artt. 827 e ss. c.p.c.. Vanno invece tenuti per fermi alcuni aspetti comuni: l’esclusione dall’area delle negoziabilità dei diritti indisponibili (diritti della personalità, diritti dei prestatori di lavoro etc.), come del resto avviene nella transazione, e l’equivalenza degli effetti vincolanti degli esiti delle procedure stesse con gli strumenti di tutela tradizionali (sentenze, lodi, verbali di conciliazione o di mediazione, transazioni), spiccando però, quale tratto peculiare della negoziazione assistita, il ruolo dell’avvocato che per la prima volta assume una funzione determinante nella regolazione di interessi altrui. Può, pertanto, ritenersi che la procedura di negoziazione assistita in rassegna può sussumersi nella prima macrocategoria di ADR negoziali in cui viene valorizzata la gestione del conflitto ed in cui le parti  hanno funzioni di responsabilità e  capacità decisionale, partecipando alla integrazione dei legami sociali che si creano  nella trattazione e composizione del conflitto. 4.Il procedimento di risoluzione delle controversie tra utenti ed operatori nel settore delle comunicazioni elettroniche. Una volta delineati i tratti caratterizzanti dell’istituto della negoziazione assistita ed opportunamente valutati i profili di connessione con le procedure di ADR summenzionate, occorre tracciare un’analisi delle convergenze con i procedimenti di risoluzione delle controversie tra utenti ed operatori nel settore delle comunicazioni elettroniche innanzi all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (d’ora in poi AGCOM). In primo luogo, rileva sottolineare che la procedura de qua rappresenta un sistema di ADR collaudato e ben sperimentato che permette una facile e rapida risoluzione delle controversie tra utenti ed operatori dei servizi di comunicazione elettronica [14]. Si tratta peraltro di un sistema che – affiancandosi, ma non sovrapponendosi, a quello attivo, ancora sotto l’egida AGCOM, per la risoluzione delle controversie tra operatori – è specificamente delineato a livello procedurale per rispondere alle esigenze di soggetti contrattuali che si trovano in posizione tipicamente “debole” e tra i quali insorgono liti di valore generalmente contenuto. Basti pensare, al riguardo, alla possibilità di accedere al sistema ADR anche in maniera diffusa sul territorio, in applicazione di un principio di sussidiarietà voluto dall’Autorità a tutela degli utenti e realizzato grazie al conferimento di apposite deleghe ai Comitati regionali per le comunicazioni (Corecom) [15], organi funzionali dell’Autorità stessa incardinati nelle Amministrazioni Consiliari Regionali, ovvero alla possibilità di accedere all’ADR anche per il tramite delle Associazioni di consumatori, generalmente organizzate in sedi territoriali, le quali possono istituire con le singole Aziende le cosiddette commissioni di “conciliazione paritetica” che, in base al regolamento di procedura, sono equiparate a quelle istituite presso i citati Comitati regionali [16]. Prima di analizzare i profili di connessione tra il procedimento di negoziazione assistita e quello di risoluzione delle controversie tra utenti ed operatori nel settore delle comunicazioni elettroniche, è utile brevemente ricostruire l’iter procedimentale di quest’ultimo. La procedura in rassegna è, infatti, disciplinata dal Regolamento approvato con delibera 173/07/CONS e dalle “Linee Guida in Materia di Risoluzione delle controversie tra utenti ed operatori nel settore delle comunicazioni elettroniche”, approvate con delibera n. 267/13/CONS. Formalmente, il procedimento di risoluzione della lite innanzi all’AGCOM viene instaurato solo se sia stato preventivamente esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione dinanzi al CoReCom competente per territorio munito di delega a svolgere la funzione conciliativa [17], ovvero dinanzi agli organismi di risoluzione extragiudiziale delle controversie di cui all’articolo 13 del Regolamento approvato con Delibera 173/07/CONS. Qualora il tentativo di conciliazione abbia avuto esito negativo, ai sensi dell’articolo 8, comma 3 e 12, commi 3 e 4, o per i punti ancora controversi nel caso di conciliazione parziale, le parti congiuntamente, o anche il solo utente, possono chiedere all’Autorità di definire la controversia. Una volta esperito il tentativo di conciliazione innanzi ai CoReCom competenti,  il procedimento di risoluzione della lite innanzi all’AGCOM si ha nel momento in cui il responsabile del procedimento,  verificata l’ammissibilità dell’istanza ed entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della stessa, comunica alle parti (a mezzo fax o per via telematica) l’avvio del procedimento almeno quindici giorni prima dell’udienza [18]. Il termine per la conclusione del procedimento è di centottanta giorni dalla data di deposito dell’istanza. Le parti hanno facoltà di presentare memorie e depositare documenti, a pena di irricevibilità, entro quindici giorni prima dell’udienza; tali documenti depositati sono integralmente accessibili dalle parti in causa, ad eccezione dei dati sensibili e giudiziari. Il responsabile del procedimento ai fini dell’istruzione della controversia, ovvero su espressa richiesta di una delle parti, convoca le parti interessate per una udienza di discussione. Una volta sentite le ragioni delle parti interessate, può disporre la riunione di più procedimenti pendenti aventi ad oggetto controversie omogenee. Le parti convocate compaiono personalmente ovvero, in caso di persone giuridiche, in persona del legale rappresentante [19]. L’udienza si svolge nel contraddittorio delle parti: queste, infatti, sono ammesse ad illustrare oralmente le rispettive posizioni e hanno la facoltà di farsi assistere da consulenti o rappresentanti delle associazioni di consumatori non per forza rappresentative a livello nazionale. Qualora una parte non si presenti in udienza ovvero non esponga le proprie ragioni non si può procedere dando un significato a tali comportamenti (nel senso di accettazione di quanto sostenuto dalla controparte o come rinuncia all’istanza); si procede pertanto definendo ugualmente la controversia, ma alla luce delle sole risultanze acquisite agli atti e in considerazione delle difese scritte e svolte dalle parti. Ulteriore attività istruttoria è svolta in caso di necessità, se nel corso del procedimento si deve assicurare la partecipazione al procedimento di altri soggetti interessati: in tali ipotesi, il responsabile del procedimento provvede a convocarli in udienza ovvero a rivolgere loro apposite richieste istruttorie. Nei casi in cui il responsabile del procedimento, oltre a garantire la partecipazione a fini istruttori di altri soggetti, procede all’acquisizione di documenti, perizie o altri elementi conoscitivi, ne è data comunicazione alle parti e il termine per la definizione della controversia è sospeso per il tempo necessario dell’attività istruttoria da esperire, ma ad ogni modo non superiore a sessanta giorni. Va precisato che gli oneri economici necessari per il compimento delle perizie sono anticipati dalla parte che ne ha fatto richiesta ovvero, se disposte d’ufficio, provvisoriamente ripartiti secondo equità. La documentazione acquisita è sempre ed integralmente accessibile per le parti, a seguito della richiesta al responsabile del procedimento di prenderne visione, anche per le vie brevi. Le parti possono nominare, dandone comunicazione all’Autorità entro cinque giorni dalla comunicazione di cui all’art. 18 comma 2, un proprio consulente tecnico, al fine di assistere a tutte le operazioni svolte dal consulente nominato dall’Autorità e presentare relazioni e documenti. Conclusasi l’attività di difesa delle parti e l’attività istruttoria, il Direttore della Direzione Tutela dei consumatori trasmette all’organo collegiale [20], competente ad adottare il provvedimento finale (o al Comitato in caso di legittimazione a definire la controversia), la relazione redatta dal responsabile del procedimento e una proposta di decisione. Se l’Organo collegiale ritiene necessario convocare le parti per un’udienza di discussione dinanzi a sé il termine di conclusione del procedimento è prorogato di trenta giorni. La decisione adottata dall’Autorità, che costituisce un ordine dell’AGCOM ai sensi dell’art. 98, c. 11, D.Lgs. 259/2003, deve essere prontamente comunicata alle parti e pubblicata nel Bollettino ufficiale e sul sito web dell’Autorità. L’AGCOM, con il provvedimento che definisce la controversia, nei casi in cui riscontri la fondatezza dell’istanza, può condannare l’operatore ad effettuare rimborsi di somme risultate non dovute o al pagamento di indennizzi di cui alla Delibera n. 73/11/CONS [21]. Nel caso in cui la controversia sia di modico valore (non eccedente i 500,00 euro alla data in cui l’Autorità riceve la domanda) la definizione della controversia è delegata al Direttore, senza bisogno di demandarla all’organo collegiale, sempreché non abbia una straordinaria rilevanza regolamentare, giuridica o tecnica. In tali casi la motivazione della decisione sarà succinta e relativa all’oggetto principale della controversia. E’ opportuno ricordare in tale sede, che ai sensi dell’art. 9 del D. Lgs. 259/2003, il provvedimento decisorio dell’Autorità può essere impugnato innanzi al TAR Lazio in sede di giurisdizione esclusiva (art. 133, comma 1, lett. L del c.p.a.). E’ altresì previsto all’art. 19, comma 6, che “Nel provvedimento decisorio l’Autorità, nel determinare rimborsi ed indennizzi, tiene conto del grado di partecipazione e del comportamento assunto dalle parti anche in pendenza del tentativo di conciliazione e può riconoscere anche il rimborso delle spese necessarie e giustificate per l’espletamento della procedura, liquidate secondo criteri di equità e proporzionalità”. Quando l’operatore non partecipi all’udienza fissata per la conciliazione senza addurre giustificati motivi, e pur avendo reso la dichiarazione di cui all’art. 8 comma 3, vanno comunque rimborsate all’utente, se presente all’udienza ed indipendentemente dall’esito della controversia di cui agli art. 14 e ss., le spese sostenute per l’esperimento del tentativo di conciliazione.” Invece, se nel corso del procedimento la parte che aveva richiesto l’intervento dell’Autorità rinuncia alla propria istanza, ovvero risulti che la richiesta dell’utente sia stata pienamente soddisfatta, il Direttore dispone l’archiviazione del procedimento. Nel caso di archiviazione [22], che comunque è comunicato alle parti, le spese di procedura restano a carico delle parti che le hanno sostenute, ad eccezione di quelle peritali che dovranno essere ripartite secondo criteri equitativi. 5.Profili di interconnessione tra gli istituti in esame. Chiariti i principali passaggi dell’iter procedimentale dei procedimenti oggetto della presente trattazione, è possibile analizzarne taluni profili di congiunzione. Un tratto comune può rilevarsi tra la negoziazione assistita obbligatoria prevista dall’articolo 3 del Decreto Legge convertito in commento con il tentativo obbligatorio di conciliazione innanzi ai CoReCom. Va, innanzitutto, rilevato in termini generali che gli esiti positivi (cioè il raggiungimento di un accordo) sia in sede di negoziazione assistita che di AGCOM, precludono poi il ricorso alle ordinarie tutele giurisdizionali essendosi eliminate consensualmente le ragioni del contendere. In particolare, poi, il Legislatore ha previsto un’ipotesi di negoziazione assistita obbligatoria, sulla scorta di quanto già previsto in tema di mediazione obbligatoria, replicando sostanzialmente parte delle disposizioni ivi previste. A tal uopo, sussiste l’obbligo di invitare, tramite l’avvocato, l’altra parte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita per chi intenda: a) esercitare in giudizio un’azione in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti; b) proporre in giudizio una domanda di pagamento a qualsiasi titolo di somme non eccedenti 50.000 €, ad eccezione delle controversie assoggettate alla disciplina della c.d. mediazione obbligatoria [23]. In tali casi, l’esperimento del procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice, quando rileva che la negoziazione assistita è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine previsto dalle parti nella convenzione stessa per la durata della procedura di negoziazione. Come detto, infatti, a norma dell’art. 2, comma 3, la convenzione di negoziazione va conclusa per un periodo di tempo determinato dalle parti nella convenzione stessa, fermo restando il termine di cui al comma 2, lett. a), secondo cui il termine concordato dalle parti per l’espletamento della procedura non può essere inferiore a un mese. Se invece la negoziazione non è stata esperita, il giudice assegna alle parti il termine di quindici giorni per la comunicazione dell’invito a stipulare la convenzione e, contestualmente, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine previsto dalle parti nella convenzione stessa. La condizione di procedibilità si considera avverata se l’invito non è seguito da adesione o è seguito da rifiuto entro trenta giorni dalla sua ricezione ovvero quando è decorso il periodo di tempo previsto dalle parti nella convenzione per la durata della procedura di negoziazione. Inoltre, l’obbligatorietà dell’esperimento del procedimento di negoziazione assistita “non preclude la concessione di provvedimenti urgenti e cautelari, né la trascrizione della domanda giudiziale”. Data l’obbligatorietà dell’assistenza del legale, sarà a carico delle parti il compenso per la prestazione professionale fornita dall’avvocato; tuttavia, in caso di negoziazione assistita obbligatoria, all’avvocato non è dovuto il compenso dalla parte che si trova nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Parimenti, nei procedimenti di risoluzione delle controversie tra utenti ed operatori, come indicato espressamente dall’articolo 3 del Regolamento adottato con Delibera 173/07/CONS, nonché dalle Linee Guida in Materia di Risoluzione delle controversie tra utenti ed operatori nel settore delle comunicazioni elettroniche, approvate con Delibera n. 267/13/CONS, requisito essenziale per poter adire l’Autorità è il previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione presso i CoReCom competenti. Pertanto, mentre i casi in cui la negoziazione assistita è condizione di procedibilità sono previsti tassativamente, nella procedura presso l’AGCOM il previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione presso i CoReCom competenti è condizione generale di improcedibilità. Ulteriori profili di congiunzione possono rinvenirsi nell’ elencazione degli obblighi formali previsti da entrambe le procedure. Sul punto, ai sensi dell’art. 7 del Regolamento approvato con Delibera 173/07/CONS, la Direzione tutela dei consumatori dell’Agcom riceve l’istanza che deve essere sottoscritta, a pena di inammissibilità, dall’utente o, per le persone giuridiche, dal rappresentante legale, ovvero da un rappresentante munito di procura speciale, conferita con atto pubblico o con scrittura privata autenticata. Il responsabile del procedimento, verificata l’ammissibilità dell’istanza ed entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della stessa comunica alle parti (a mezzo fax o per via telematica) l’avvio del procedimento che deve pervenire alle parti almeno quindici giorni prima dell’udienza. In tale avviso sono contenute le indicazioni necessarie al caso; sono indicati infatti la data di deposito dell’istanza, l’oggetto della procedura, la data e il luogo fissati per l’udienza, nei casi di cui all’articolo 16, comma 4, l’ufficio in cui si può prendere visione degli atti, il responsabile del procedimento e i termini entro cui produrre memorie e documentazione, nonché per integrazioni e repliche alle produzioni avversarie, ed il termine di conclusione del procedimento. Analogamente, l’articolo 2 del Decreto convertito in Legge in commento prevede che la convenzione debba essere redatta in forma scritta a pena di nullità e sottoscritta dalle parti e dagli avvocati che certifichino l’autografia delle sottoscrizioni. Inoltre, essa deve indicare: il termine concordato dalle parti per l’espletamento della procedura, in ogni caso non inferiore a un mese e, come aggiunto in sede di conversione, non superiore a tre mesi, prorogabile per ulteriori trenta giorni su accordo tra le parti; l’oggetto della controversia. Quanto all’esito della negoziazione, in entrambe le procedure la conclusione positiva della stessa costituisce titolo esecutivo per i sottoscrittori che sono quindi legittimati ad agire con i mezzi e le forme dell’esecuzione forzata per ottenere l’adempimento di doveri ed obblighi non spontaneamente adempiuti. Concludendo, può dunque affermarsi che la comune “ratio” ispiratrice di entrambi i procedimenti è la medesima e va  ravvisata nell’esigenza di deflazionare il contenzioso in un settore in cui il proliferare di contratti asimmetrici tra professionisti e consumatori e l’esigenza di tutelare gli utenti da innumerevoli disservizi, hanno indotto a privilegiare il deferimento di tali contenziosi innanzi ad Organismi Indipendenti di regolazione (nel caso di specie l’Agcom) o a procedure di negoziazione assistita come previsto dal Decreto legge convertito in commento. Si può, quindi, pervenire a configurare entrambe le procedure come forme di “Alternative Dispute Resolution”, anche se è doveroso segnalare che se la convenzione di negoziazione assistita costituisce uno strumento di ADR negoziale, come innanzi si è andato argomentando, la procedura dell’Agcom è costituita da un cosiddetto “sistema ADR misto e sequenziale”, trattandosi di un sistema strutturato per “fasi”, disciplinate dal medesimo Regolamento. Resta da chiarire – in carenza, almeno al momento, di orientamenti dottrinari al riguardo e di giurisprudenza di riferimento, che certamente andrà progressivamente formandosi sul punto – se sia ammissibile una cumulabilità di procedure per le controversie tra utenti ed operatori innanzi all’Autorità oppure se la specifica disciplina AGCOM escluda una tale possibilità. La questione non può risolversi senza previamente distinguere la rilevanza delle fonti normative. Mentre la procedura innanzi all’AGCOM è disciplinata da una fonte regolamentare, sia pure dotata di particolare valenza, la negoziazione assistita è oggetto di una disposizione legislativa che, pertanto, ha una più generale portata sotto il profilo degli effetti erga omnes. Attesa, quindi, l’inconfigurabilità di un’efficacia preclusiva derivante da un ricorso presso l’Autorità, rispetto alla proponibilità della procedura di negoziazione assistita, restano da stabilire i possibili rapporti tra i due istituti. In particolare, in caso di esito negativo della procedura di negoziazione assistita, nulla sembra ostare alla proposizione di un procedimento innanzi all’AGCOM, ivi inclusa la fase preliminare da effettuarsi presso i CoReCom competenti; ciò, in omaggio, alla ratio legis deflativa del contenzioso. Per converso, in caso di esito positivo dell’uno o dell’altro procedimento, si verificherà un effetto preclusivo per quello non attivato in quanto, essendosi già prodotto un titolo esecutivo ad ogni effetto di legge, risulterebbe ultronea ed anche non sostenuta dal relativo interesse, il ricorso ad altra procedura. Note: [*] Il presente contributo è stato preventivamente sottoposto a referaggio anonimo affidato ad un componente del Comitato di Referee secondo il Regolamento adottato da questa Rivista. [1]  Al fine di deflazionare il contenzioso tributario e, contemporaneamente, agevolare o anticipare la riscossione dei tributi, sono stati introdotti degli strumenti volti, in alcuni casi, a prevenire l’insorgere delle liti e, in altri, a definire in maniera agevolata o abbreviata le richieste avanzate dall’Amministrazione Finanziaria. In particolare gli strumenti di prevenzione vengono attivati da una delle parti prima che si producano gli effetti che potrebbero portare ad una controversia: l’interpello è attivato su istanza del contribuente per avere un parere dell’Amministrazione su un comportamento economico ancora da porre in essere; il ravvedimento consente al contribuente di rimediare spontaneamente a propri errori od omissioni, prima che questi siano conosciuti all’amministrazione, con notevole riduzione delle sanzioni; infine l’autotutela consente alla stessa amministrazione di annullare o revocare propri atti riconosciuti illegittimi o infondati. Gli strumenti di definizione, invece, appartengono ad una fase successiva, in quanto sono volti a definire in maniera stragiudiziale le pretese dell’Amministrazione: in particolare, attraverso l’accertamento con adesione e l’acquiescenza (ordinaria o limitata alle sole sanzioni), si perviene alla definizione di un atto formale emesso dall’amministrazione. [2] In particolare, il Legislatore ha introdotto, altresì, la possibilità del trasferimento in sede arbitrale di procedimenti già pendenti dinanzi all’autorità giudiziaria. Si tratta di una nuova forma di arbitrato, che vede protagonisti gli avvocati, categoria cui è riservata la composizione dei collegi: si può parlare, quindi, di arbitrato forense. [3] Sul punto, occorre sottolineare la differenza con l’arbitrato forense: mentre quest’ultimo agisce sulle cause pendenti, la negoziazione assistita si occupa delle liti non ancora formalizzate in un’azione giudiziaria e conferisce un valore ufficiale agli accordi tra le parti. [4] L’invito a stipulare una convenzione che l’avvocato di una parte rivolge all’altra dovrà contenere, oltre all’indicazione dell’oggetto della controversia, lo specifico avvertimento che la mancata risposta all’invito entro trenta giorni dalla ricezione o il suo rifiuto può essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli artt. 96 e 642, primo comma, del codice di procedura civile. Si tratta di norma finalizzata con evidenza a favorire la serietà del tentativo di conclusione dell’accordo. [5] vedi art. 2943 c.c. sulla interruzione della prescrizione. [6] A tal riguardo, l’articolo 4, comma 1, prevede espressamente che l’invito a stipulare la convenzione deve indicare l’oggetto della controversia e contenere l’avvertimento che la mancata risposta all’invito entro trenta giorni dalla ricezione o il suo rifiuto  può essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli articoli 96 e 642, primo comma, del codice di procedura civile. [7] Sul punto, si veda l’articolo 5 rubricato “Esecutività dell’accordo raggiunto a seguito della convenzione e trascrizione”, in ciò potendosi intravedere un riferimento all’istituto della transazione di cui agli artt. 1965 e ss. c.c., caratterizzata dalla volontà delle parti di comporre una lite, già esistente o solo potenziale, a mezzo di reciproche concessioni, prescindendo dall’accertamento della situazione come realmente preesistente. [8]  L’art. 5 precisa infatti che gli avvocati certificano l’autografia delle firme e la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico; è inoltre disposto che, se con l’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall’articolo 2643 del codice civile, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale di accordo deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato. Si segnala inoltre che l’art. 11 prevede anche che i difensori che sottoscrivono l’accordo raggiunto dalle parti a seguito della convenzione sono tenuti a trasmetterne copia al Consiglio dell’ordine circondariale del luogo ove l’accordo è stato raggiunto, ovvero al Consiglio dell’ordine presso cui è iscritto uno degli avvocati. Al CNF, poi, è dato incarico di provvedere, con cadenza annuale, al monitoraggio delle procedure di negoziazione assistita, trasmettendone poi i dati al Ministero della giustizia. [9] Si veda, al riguardo, MARICONDA, C., “ADR tra mediazione e diritti, Edizioni Scientifiche italiane”, Napoli, 2008, p. 9, che descrive il predetto fenomeno, originato negli Stati Uniti: “una tendenza recentissima ha cambiato l’indicazione della prima lettera dell’acronimo, da alternative, che sta appunto ad indicare un’alternativa rispetto al ricorso alle “courts”, in  “appropriate” che sta invece a significare la maggiore rispondenza agli interessi concreti delle parti di questo tipo di soluzioni”. [10] Sul punto,  si segnala la spiegazione della forma ADR della “mediazione”, rientrante – appunto – nei metodi negoziativi, fornita da COSI, G.  – “Invece di giudicare. Scritti sulla mediazione” – , Giuffré,  Milano, 2007, p. 2, laddove l’Autore precisa che nella mediazione “non si tratta soltanto di fare reciproche  concessioni per raggiungere un accordo, ma di prospettare possibilità e inventare alternative per  una “vittoria comune”. Tanto meno è giudizio: non si tratta di decidere, di “tagliare” con la  spada della giustizia per separare una ragione da un torto, un’ innocenza da una colpevolezza, al  fine di attribuire responsabilità. Mentre il giudizio guarda al passato per raccogliere gli elementi  su cui fondare la sua “verità”, la mediazione è rivolta al futuro per generare opportunità. La sua  logica non è quella escludente dell’ “aut aut” e del “tertium non datur”, ma quella inclusiva dell’ et-et.  In questo senso, soprattutto, è radicalmente alternativa al modello giudiziario standard di  risoluzione dei conflitti”. [11]  TROISI, C.,  “Autonomia privata e gestione dei conflitti. La mediazione come tecnica di risoluzione alternativa delle controversie”. Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 2007, p. 49 e ss.. L’Autrice così illustra l’atteggiarsi della mediazione: “La mediazione non si riduce ad una semplice alternativa alla giustizia, ma rappresenta una modalità di regolazione sociale che si affianca al diritto nella gestione delle situazioni conflittuali e se ne differenzia sul piano dei principi e dell’ atteggiamento verso il conflitto: mentre il diritto tende ad accaparrarsi gli spazi riducendo la capacità decisionale dei singoli, la mediazione tende a restituire la capacità decisionale e la responsabilità nella gestione dei conflitti alle persone coinvolte nel conflitto. Tale differenza ha la funzione di delimitare le sfere di competenza per ottenere una più efficace integrazione dei sistemi, dal momento che la mediazione, strumentale alla gestione dei legami sociali, necessita dell’ apporto delle garanzie tipiche del diritto”. [12] Si veda BARTOLOMUCCI, P., in “Codice del consumo, Commentario”, a cura di Guido Alpa e Liliana Rossi Carleo, Edizioni Scientifiche italiane, Napoli, 2005, 848 e ss., articolo 141, Composizione extragiudiziale delle controversie.  L’Autore spiega che si rinvengono comunque dei tratti fondamentali comuni (scopo, informalità, elasticità dei metodi, riservatezza, tempi brevi, costi ridotti) fornendo una illustrazione di ognuno degli elementi comuni: “a) Lo scopo: tutte le procedure alternative di risoluzione delle controversie tendono al raggiungimento di un accordo che ponga fine ad una controversia precedentemente insorta tra le parti. Anche l’accordo ha delle caratteristiche sue proprie, in quanto esso non si basa necessariamente sulla distribuzione di torti e ragioni; si tratta, invece, di un accordo che tutte le parti ritengono soddisfacente. Il grado di soddisfazione viene spesso valutato sulla reale e concreta possibilità per le parti di proseguire un rapporto commerciale e/o contrattuale già tra loro intercorso; b) L’informalità: tale caratteristica va letta in due accezioni. Per un verso essa consiste nell’assenza di procedure rigide ed immodificabili, definite per legge; per altro verso, in ragione dell’attenuazione degli schemi procedurali, essa consente alle parti ampi spazi di gestione, che meglio si adattano alle esigenze e alle circostanze del caso; c) L’elasticità dei metodi: per raggiungere un accordo le parti sono libere di scegliere diverse metodologie, che vanno dalla negoziazione diretta tra le parti (o loro rappresentanti) sino a quelle che prevedono sempre la presenza di un terzo, che però può avere di volta in volta ruoli diversi, ora come semplice facilitatore (che avvicina le posizioni delle parti e favorisce il dialogo), ora come valutatore (chiamato a esprimere un proprio parere e ad avanzare proposte di soluzione);  d) La riservatezza: non vi sono vere procedure di ADR se non vi è il divieto assoluto per le parti, il terzo è per tutti coloro che a vario titolo partecipano ad esse, di riferire quanto è avvenuto durante gli incontri, ovvero di produrre altrove documenti che siano stati elaborati nell’ambito di tali incontri. Tale riservatezza deve essere assoluta nel senso che essa vale sia nel caso di un eventuale giudizio ordinario successivo (in esito al fallimento del tentativo), sia in altre circostanze in cui l’utilizzo di informazioni e/o materiali della procedura possa comportare una violazione di quest’obbligo (si pensi ad esempio al caso del terzo – facilitatore o valutatore – che successivamente sia chiamato ad assumere le vesti di consulente per una delle parti della procedura e, in tale posizione, possa rivelare scelte e strategie della controparte concorrente, delle quali sia venuto a conoscenza durante la procedura); e) I tempi generalmente brevi; f) I costi generalmente ridotti”. [13] LUISO, F.P., La conciliazione nel quadro della tutela dei diritti, in www.judicium.it. L’Autore, in particolare, sottolinea che “Gli strumenti eteronomi si caratterizzano per il fatto che è un terzo a porre tali regole, con un atto ovviamente vincolante per le parti. Il terzo a sua volta può essere un soggetto che ha il potere di vincolare le parti in virtù della sua posizione istituzionale (il giudice); oppure un soggetto che ha il potere di vincolare le parti in virtù della volontà delle parti stesse (l’arbitro)”. Fatte queste premesse, l’Autore spiega efficacemente che dal punto di vista della funzione si tratta di metodi assolutamente analoghi per l’utilizzatore: “Ebbene, tutti questi strumenti sono del tutto equivalenti e fra di loro fungibili in ordine ai risultati. L’efficacia vincolante di una sentenza, di un lodo, di una transazione (o di un qualunque altro contratto che ha come causa la risoluzione della controversia) sono perfettamente equivalenti. Del resto, se così non fosse – e cioè se potesse istituirsi una graduatoria di efficacia fra sentenza, lodo e contratto –questi ultimi due non realizzerebbero una risoluzione alternativa della controversia: che, per essere alternativa, deve appunto essere equivalente”. [14]  Si precisa altresì che il sistema ADR stabilito dall’AGCOM tratta circa 70.000 istanze di conciliazione ogni anno (più del 50% del totale delle ADR in Italia, ad oggi), con tassi di successo che vanno dal 70 (nel caso dei CoReCom) al 95% (nel caso delle commissioni di conciliazione paritetica). [15] Sull’argomento, si vedano anche MINERVINI, E., “La conciliazione stragiudiziale delle controversie, il ruolo delle Camere di Commercio”, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2003; COTUGNO, E.M., ZANFRAMUNDO, E., “Conciliazione e definizione delle controversie tra operatori e utenti”, Dir. econ. mezzi comunic., 2007, 432; COTUGNO, E.M., ZANFRAMUNDO, E., “Conciliazione e definizione delle controversie tra operatori ed utenti di servizi di telecomunicazioni. Risultati e prospettive dell’attività dell’Agcom”, in Dir. econ. mezzi comunic., 2005, 219. [16] In generale, si vedano OROFINO, M., “Profili costituzionali delle comunicazioni elettroniche nell’ordinamento multilivello”, Giuffré, Milano, 2008; NAPOLITANO, G., “Servizi pubblici e rapporti di utenza”, Cedam, Padova, 2001; PARODI, C., PRESTI, L., “La nuova disciplina del settore telefonico”, Giappichelli, Torino, 2004, SBRESCIA, V.M., “L’Europa delle comunicazioni elettroniche. Regolazione e concorrenza nel nuovo assetto della “governance” economica europea”. Jovene Editore, Napoli, 2011. In quest’ultimo testo, ci si riferisce al fatto che l’Autorità, su impulso e finanziamento comunitario, partecipa a varie attività di “gemellaggio” con altre Autorità del bacino Mediterraneo (da ultimo, con l’Autorità egiziana e con quella giordana), nell’ambito delle quali rende informazioni sulla propria esperienza affinché le predette Autorità straniere possano sviluppare i relativi settori; nel corso di dette attività, particolare interesse è sempre stato suscitato dal regolamento in materia di risoluzione delle controversie, del quale, in sostanza, in questa maniera si esporta il “modello”. [17] Le strutture dell’Autorità competenti nelle materie delegate, infatti, si adoperano (in base al principio di “leale collaborazione” che deve permeare, secondo quanto previsto nell’Accordo quadro, il rapporto fra l’Autorità stessa e i Co.re.com delegati) affinché i Comitati acquisiscano l’ “expertise” necessaria allo svolgimento delle deleghe. Conseguentemente, i responsabili delle strutture, per il tramite dell’Ufficio di gabinetto dell’Autorità, intrattengono una continua interlocuzione con i responsabili dei Comitati, fornendo chiarimenti anche informali, organizzando riunioni o seminari di approfondimento ovvero garantendo il supporto – all’occorrenza anche di risorse umane – di volta in volta richiesto [18] In tale avviso sono contenute le indicazioni necessarie al caso; sono indicati infatti la data di deposito dell’istanza, l’oggetto della procedura, la data e il luogo fissati per l’udienza, nei casi di cui all’articolo 16, comma 4, l’ufficio in cui si può prendere visione degli atti, il responsabile del procedimento e i termini entro cui produrre memorie e documentazione, nonché per integrazioni e repliche alle produzioni avversarie, ed il termine di conclusione del procedimento. [19] Possono tuttavia farsi rappresentare da soggetti muniti di procura generale o speciale purché idonea a conciliare o transigere la controversia, conferita con atto pubblico o con scrittura privata autenticata ovvero con scrittura privata corredata della fotocopia di un documento di identità del delegante (il rappresentato). [20]  Nel caso in cui la controversia sia di valore non eccedente i 500,00 euro alla data in cui l’Autorità riceve la domanda, la definizione della controversia è delegata al Direttore, senza bisogno di demandarla all’organo collegiale, sempreché non abbia una straordinaria rilevanza regolamentare, giuridica o tecnica. In tali casi la motivazione della decisione sarà succinta e relativa all’oggetto principale della controversia. [21] Occorre chiarire che la liquidazione del danno esula dalle competenze dell’ Autorità, la quale, in sede di definizione delle controversie di cui alla delibera n. 173/07/CONS, è chiamata a verificare solo la sussistenza del fatto obiettivo dell’inadempimento, come previsto espressamente dall’articolo 19, comma 4, della citata delibera: “L’Autorità, con il provvedimento che definisce la controversia, ove riscontri la fondatezza dell’istanza, può condannare l’operatore ad effettuare rimborsi di somme risultate non dovute o al pagamento di indennizzi nei casi previsti dal contratto, dalle carte dei servizi, nonché nei casi individuati dalle disposizioni normative o da delibere dell’ Autorità. [22] Si ha altresì archiviazione nelle ipotesi di inammissibilità ed improcedibilità dell’istanza. [23] Per un’analisi dell’istituto della mediazione civile, istituto riformato ad opera del d.l. n. 69 del 2013, convertito in l. n. 98 del 2013, si rimanda a Falco –  Spina (a cura di), La nuova mediazione. Regole e tecniche dopo le modifiche introdotte dal “Decreto del fare” (d.l. 69/2013, conv. con mod., in l. 98/2013),  Giuffrè, 2014. In argomento si segnala come il Legislatore  abbia precisato, all’art. 3, comma 5, che, in tema di negoziazione assistita c.d. obbligatoria, “restano ferme le disposizioni che prevedono speciali procedimenti obbligatori di conciliazione e mediazione, comunque denominati”. 5 marzo 2015

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