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2004-2014: cosa resta della legge n.40?

di Michele Sesta, Professore ordinario di diritto civile nell’Università di Bologna [*] Per rispondere al quesito posto dal titolo della relazione occorre richiamare la situazione precedente all’entrata in vigore della legge numero 40 2004. Come tutti ricorderanno, l’ordinamento non prevedeva alcuna regolamentazione, tanto che si parlava a proposito delle tecniche di procreazione medicalmente assistita di vero e proprio far west, per indicare una situazione priva di leggi. In un simile contesto, la legge numero 40 si presentò quantomai restrittiva nel disciplinare la materia, nel dichiarato intento di limitare il ricorso alle tecniche che venne consentito solo in favore di coppie sterili qualora non vi fossero altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità. I limiti trovavano la loro giustificazione nella volontà del legislatore di assicurare i diritti di tutti i soggetti coinvolti nel procedimento procreativo, compreso il concepito, che venne per la prima volta espressamente elevato al rango di soggetto, in favore del quale furono espressamente dettate specifiche misure di tutela. Il legislatore statuì dunque che l’embrione, in quanto vita umana, meriti la tutela della propria dignità ancorché detta tutela in linea di principio non debba necessariamente assumere le forme riservate alla persona vivente. Da questo presupposto discendono e trovano giustificazione le singole disposizioni della legge, i limiti e i divieti, che sono volti a definire una sfera di intangibilità dell’embrione. La storia della legge è nota: è la storia dell’erosione progressivamente attuatasi in forza di interventi di varia natura e provenienza. In primo luogo occorre ricordare che la legge venne sottoposta a quesiti referendari. Ancorché poi i referendum non abbiano sortito effetti, è rilevante ricordare che la Corte costituzionale non ammise quello relativo alla completa abrogazione della legge stessa, mentre aveva invece ammesso quelli relativi all’abrogazione di norme ritenute dai proponenti particolarmente restrittive, quali il divieto di fecondazione eterologa e il divieto di diagnosi preimpianto, nonché le norme che limitano l’accesso alle tecniche ai soli casi di infertilità o sterilità. A ben vedere, già tale ammissione faceva presagire gli sviluppi futuri. Infatti nel corso del tempo molti di questi divieti sono caduti. Al riguardo occorre ricordare la problematica delle indagini preimpianto, che oggi si ritengono ammesse e che sono state consentire in giurisprudenza anche con riferimento a coppie non sterili. Deve ancora ricordarsi l’intervento della corte costituzionale del 2009, che dichiarò l’illegittimità dell’articolo 14 comma due della legge 40 limitatamente alle parole riferite alla necessità di un unico e contemporaneo impianto di embrioni, comunque non superiore a tre. Come noto questa sentenza ha di molto attenuato anche il divieto di crioconservazione degli embrioni. Ma il vero colpo alla legge è stato dato dalla recente sentenza della Corte costituzionale che ha abrogato il divieto di fecondazione eterologa. In assenza della motivazione, si possono fare solo congetture: quello che è chiaro è che la Corte non ha ritenuto evidentemente meritevole di copertura costituzionale la ratio sottostante il divieto, che a mio parere era stato posto legittimamente dal legislatore. Occorre, infatti, ricordare che la peculiarità della fecondazione eterologa è quella di dar vita ad una scissione tra identità sociale e identità biologica del nato, il quale acquisisce il medesimo status che competerebbe ad un figlio concepito naturalmente e vede così negato il proprio legame con colui che lo ha generato. Sotto altro riguardo, occorre considerare che il cosiddetto donatore non assume alcun legame con il figlio ed anche questo poteva ritenersi in contrasto con gli obblighi genitoriali previsti incondizionatamente dalla costituzione. Allo stato, quindi, della legge 40 residuano operanti i seguenti profili: a) la soggettività dell’embrione, quale motivo di fondo della legge e quale dato normativo acquisito al sistema; b) il divieto di accesso alle tecniche da parte di persone non sterili, di coppie dello stesso sesso, nonché di fecondazione della donna single; c) il divieto della fecondazione post mortem; d) il divieto della maternità surrogata; e) tutti gli altri divieti previsti dagli artt. 12,13 e 14 della legge, ovviamente nei limiti in cui non confliggano con i successivi interventi. La recente sentenza della Corte sembra porre questioni relative allo status del nato, che, invero, a me paiono in gran parte già risolte dalla normativa in vigore. [*] L’intervento è parte degli Atti del Convegno “Quale diritto per i figli dell’eterologa?” che ha avuto luogo nel pomeriggio di martedì 3 giugno 2014 presso la Sala della Regina della Camera dei Deputati. 10 giugno 2014

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