skip to Main Content

Una possibilità di sviluppo per le “vite” sospese

di Alberto M. Gambino

Il tema del congelamento degli embrioni e della loro prospettiva di nascita merita un ulteriore approfondimento a seguito della sentenza della Corte costituzionale n.151del 2009, che ha introdotto una deroga al divieto legale di crioconservazione. In particolare, con la declaratoria di incostituzionalità delle parole “ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre” (art. 14, comma 2, legge 40), la sentenza della Corte (che ha forza di legge) giustifica il differimento dell’impianto rispetto alla produzione dell’embrione, ove in particolare ciò consegua a scelta medica. Significativa è l’affermazione con cui si rileva nella finalità della legge “un affievolimento della tutela dell’embrione al fine di assicurare concrete aspettative di gravidanza” cosicché “la tutela dell’embrione non è comunque assoluta, ma limitata dalla necessità di individuare un giusto bilanciamento con la tutela delle esigenze di procreazione”.
Intanto è da osservare – e in pochi lo hanno fatto – come la Corte non si sia preoccupata di valutare la correttezza costituzionale dell’asserito “affievolimento” del diritto alla vita dell’embrione in punto di conformità ai diritti inviolabili della Carta: infatti altro è il bilanciamento tra la lesione alla salute psico-fisica della donna con il diritto all’integrità del feto, su cui invece si è pronunciata la Corte con riferimento alla legge 194, altro è il confronto tra il diritto all’integrità dell’embrione e il desiderio di avere figli, che nella legge 40 assume il rango giuridico di diritto all’acceso delle tecniche fecondative artificiali.
Aldilà di questa “omissione”, sono però state avanzate alcune letture che creano confusione, tra cui quella di un declassamento dell’embrione che ne farebbe considerare lecita una produzione pressoché arbitraria nel numero.
Come si è ricordato, la Corte costituzionale, pur dichiarando illegittima la fissazione per legge di un numero massimo di embrioni da produrre, ha avvalorato la regola secondo cui le tecniche non devono produrre un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario allo scopo procreativo.
Tuttavia è giocoforza osservare che mentre prima della declaratoria di incostituzionalità, l’ipotesi della crioconservazione era del tutto residuale, stante l’obbligo di contestuale produzione e impianto dell’embrione, ora, dopo la sentenza della Corte, si registrano sempre più di frequente vicende di embrioni crioconservati. Se, dunque, il problema bioetico della sorte degli embrioni congelati si poneva – prima della decisione della Corte – solo con riferimento a quelli generati prima dell’entrata in vigore della legge 40, ora il più largo utilizzo della tecnica di crioconservazione cambia lo scenario. E per non pochi dei nuovi embrioni congelati la crioconservazione finisce per diventare irreversibile, vuoi per motivi di ordine medico, vuoi per il rifiuto della donna, che nel frattempo abbia conseguito una gravidanza a seguito dell’impianto di uno degli altri embrioni. E’ noto che in ordine al destino degli embrioni crioconservati, senza aspettativa di impianto nell’utero della madre, si registrano alcune tesi che, facendo leva su una paventata irrispettosità verso la dignità umana di una conservazione sine die (per quanto in questo senso appaia in realtà non rispettoso proprio il suo fatto scatenante e cioè la produzione in provetta di esseri umani), propendono per l’intenzionale e programmata distruzione dell’embrione a scadenze temporali predeterminate oppure per l’ipotesi apparentemente umanitaria di destinare questi embrioni alla ricerca scientifica. Ora è chiaro che nessuno di tali esiti appare coerente con la natura umana dell’embrione, ma resta evidente che nell’attuale intemperie culturale, distante dal cogliere il mistero di una vita congelata, sia “soltanto” il dettato della legge a rappresentare un valido presidio. Il divieto generale di soppressione degli embrioni, previsto dalla legge 40, comprende anche quelli non impiantabili, specie se si osserva che la stessa legge, con riguardo alla sorte degli embrioni eccezionalmente soprannumerari, ha già optato per la loro conservazione, con ciò cristallizzando normativamente una ratio preferenziale verso una loro tenuta in vita, anche quando fosse incerto il loro destino.
Attualmente, dunque, la crioconservazione degli embrioni “abbandonati” potrà essere interrotta soltanto ove ne venga accertata la morte, che tuttavia neanche il decorso del tempo segna con certezza. Tale verifica, allo stato della tecnica, può così attuarsi solo con lo scongelamento dell’embrione, che tuttavia – non potendosi operare il ricongelamento – diverrebbe in molti casi proprio la causa della morte. Di qui la prospettiva della scelta odierna di conservare a tempo indeterminato gli embrioni congelati.
Davanti a questa realtà, mutata per dimensione e causalità (il congelamento non è più eccezione ma regola giuridificata dalla Corte costituzionale italiana, con un esponenziale incremento di embrioni abbandonati e dormienti in azoto liquido) appare opportuno prendere maggiore coscienza del problema. Anche rivalutando se, a fronte di diffuse spinte utilitaristiche e la difficile comprensione del senso di un numero crescente di vite “sospese”, non sia preferibile una possibilità di sviluppo con la messa a disposizione dell’embrione ad altre coppie intenzionate ad assicurarne il trasferimento e la nascita.
Back To Top