Diritto Mercato e Tecnologia Numero speciale 2024 Tutela del corpo e normativa sui trapianti…
Embrione: qualcosa o qualcuno? La Corte Costituzionale di fronte alla logica stringente della fecondazione in vitro
La produzione degli embrioni con l’uso delle tecniche di fecondazione in vitro porta a ritenerli oggetti, che possono essere destinati alla ricerca scientifica se non servono a determinare una gravidanza. La Corte Costituzionale, nel giudicare della legittimità del divieto, dovrebbe ribadire il diritto alla vita degli embrioni. Esistono però decisioni opposte a livello internazionale, tra cui quella della Corte Interamericana dei Diritti Umani contro il Costa Rica. Emergono anche possibili contrasti con la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. La decisione potrebbe avere influenza su altri temi, come l’eutanasia.
Sommario: 1. L’ordinanza del Tribunale di Firenze di promozione del giudizio di legittimità costituzionale; 2. Come il Tribunale di Firenze considera l’embrione umano; 3. La vera natura della questione di costituzionalità; 4. La sentenza della Corte Interamericana dei Diritti Umani contro il Costa Rica; 5. I contrasti tra le Corti sopranazionali e le Corti Costituzionali; 6. Una Corte Costituzionale coerente e coraggiosa? 7. L’importanza della decisione
1. L’ordinanza del Tribunale di Firenze.
La Corte Costituzionale è chiamata a valutare la questione di costituzionalità degli articoli 6 e 13 della legge 40 del 2004 sollevata dal Tribunale di Firenze con ordinanza del 7/12/2012 con riferimento al divieto assoluto di qualsiasi ricerca clinica o sperimentale sull’embrione che non risulti finalizzata alla tutela dello stesso e al divieto assoluto di revoca del consenso alla PMA dopo l’avvenuta fecondazione dell’ovulo [1].
Molteplici sono le censure da muovere all’ordinanza di rimessione: non sembra, ad esempio, che compito del Giudice sia quello di favorire cause pilota, soprattutto quando tale natura è evidente; mentre non si dovrebbe dimenticare che il principio secondo cui ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizione di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale (art. 111 Costituzione), vale anche per il processo civile: tale contraddittorio non sembra certo garantito dalla citazione del Centro di fecondazione assistita [2], mentre gli effettivi controinteressati – i nove embrioni già prodotti dalla coppia e crioconservati, destinati, secondo i desideri dei loro genitori, ad essere sottoposti a esperimenti e poi ad essere soppressi – benché riconosciuti “soggetti di diritto” dalla stessa l. n. 40 del 2004, non risultano in alcun modo tutelati [3].
Il Giudice, inoltre, non sembra affatto turbato dalla condotta della coppia ricorrente: benché la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 151 del 2009 [4] avesse esplicitamente ribadito che le tecniche di produzione non devono creare un numero di embrioni strettamente superiore a quello strettamente necessario [5], la coppia aveva prodotto il numero massimo di embrioni tecnicamente possibile (ben 10), salvo poi la donna rifiutare sic et simpliciter il trasferimento di nove di essi e chiedere di essere sottoposta ad un nuovo ciclo per la produzione di altri embrioni! Si tratta di condotta che dimostra la contestuale violazione e strumentalizzazione della pronuncia della Consulta, applicata con una logica del tutto differente da quella che aveva mosso i giudici costituzionali: la discrezionalità del medico nel decidere il numero di embrioni da produrre interpretata come libertà assoluta, l’obbligo di trasferimento degli embrioni, seppure non contestuale, dimenticato e negato; i problemi di salute della donna, derivanti dalla ripetizione di cicli con conseguenti stimolazione ovariche, svaniti miracolosamente …
Ma, appunto, il Giudice di Firenze non pare interessato a quanto avvenuto; anzi, tanto esso aderisce alla posizione degli attori, da ritenere sussistente il pericolo legittimante il ricorso d’urgenza ai sensi dell’art. 700 c.p.c.; ma si tratta di pericolo che viene fatto dipendere dal rischio di deterioramento degli embrioni, che la Corte riteneva dovessero essere trasferiti in utero e che gli attori vogliono destinare alla ricerca [6]. Quindi, una situazione di urgenza determinata dalla violazione delle regole vigenti sul numero di embrioni da produrre e di quella dell’obbligo di trasferirli in utero, accompagnata dalla pretesa di vedere soddisfatto il mero desiderio di destinare gli embrioni alla ricerca [7].
Il Giudice di Firenze non viene nemmeno sfiorato dal dubbio che quegli embrioni siano stati prodotti «a fini di ricerca e sperimentazione», in violazione dell’art. 13, comma 3, lettera a) della l. 40 [8], né che anche i prossimi embrioni che la coppia intende produrre siano ugualmente destinati alla ricerca, visto che la donna già esprime la previa volontà di non consentire il trasferimento di quelli affetti da esostosi o non biopsabili e di destinarli alla ricerca scientifica [9].
2. Come il Tribunale di Firenze considera l’embrione umano.
Un pregio, tuttavia, deve essere riconosciuto all’ordinanza: essa esprime con chiarezza la considerazione che le parti – e il giudice – hanno dell’embrione umano prodotto dalla fecondazione in vitro e quindi, si dovrebbe aggiungere, di quei nove embrioni già prodotti e congelati.
L’embrione è “qualcosa”; appunto una cosa, priva di qualunque valore [10].
Tre passaggi dell’ordinanza dimostrano ampiamente questa affermazione.
In un primo passaggio il giudice recepisce il dubbio espresso dai ricorrenti sul concetto di “embrione”: «Va inoltre osservato che la definizione di embrione, estranea alla scienza giuridica e propria di quella biologica, individua un’entità organica al terzo giorno dalla fecondazione dell’ovocita; dunque, ovulo fecondato e concepito non corrisponderebbero a embrione inteso come unità multicellulare, con patrimonio genetico ormai distinto e autonomo da quello dei progenitori.
Sia sotto il profilo della ricerca scientifica (art. 13), che sotto quello delle tutele normative apprestate (art. 1, comma 2; art. 6, comma 3 u.c.; art. 6, comma 1; capo III), la qualificazione dell’oggetto di tutela come embrione ovvero come entità in fase precedente (ovulo fecondato e/o concepito e/o nascituro), comporta conseguenze estremamente rilevanti in termini di disciplina applicabile, con riferimento al bilanciamento di interessi operato de jure condito dalla legge, ponendo nello stesso tempo problemi di coerenza logica e sistematica delle varie disposizioni. Se i divieti assoluti di ricerca clinica e sperimentale di cui all’art. 13 devono intendersi riferiti all’embrione, si dovrebbe infatti ritenere che nel tempo intercorrente tra concepimento, formazione della blastocisti, morula ed embrione (3 gg. circa), tali previsioni non dovrebbero applicarsi, con ogni effetto consequenziale».
Da questo passaggio si comprende: a) che il Giudice rifiuta di interpretare la l. 40 del 2004 globalmente, ignorando la norma che considera il “concepito” come soggetto di diritto (art. 1, comma 1) e la portata della stessa norma della cui costituzionalità dubita (art. 6, comma 3), che vieta la revoca del consenso «dopo la fecondazione dell’ovulo»: cosicché è evidente che il legislatore non ha affatto voluto distinguere tra tutela del concepito nei primi due giorni e tutela dello stesso concepito nei giorni successivi; b) che questa artificiosa distinzione fa leva su un’affermazione clamorosamente errata, che cioè, solo dal terzo giorno dal concepimento il patrimonio genetico dell’embrione «è distinto e autonomo da quello dei progenitori», quando è noto che fin dal momento del concepimento [11] il nuovo organismo esiste, è autonomo, ha in sé ed esegue un preciso processo di sviluppo e di differenziazione; c) che, quindi, il Giudice ritiene che le parole possano tradire la realtà sottostante e che ciò sia possibile con l’uso della tecnica di interpretazione normativa letterale, prescindendo del tutto dalla volontà del legislatore.
In un secondo passaggio il Giudice definisce l’embrione «materiale genetico» [12]; espressione che rimarca il rifiuto di vedere l’embrione come qualcosa di autonomo e vivo.
In un terzo passaggio, davvero significativo, il Tribunale distingue tra due “categorie” di embrioni. Ricordiamo che, nel caso di specie, la diagnosi genetica preimpianto ha dimostrato che 5 dei 9 embrioni residui sono affetti da esostosi; gli altri quattro, invece, per ragioni tecniche non sono biopsabili (cioè non possono essere sottoposti a diagnosi genetica preimpianto) e, quindi, si ignora se anch’essi sono affetti dalla medesima patologia.
Ebbene: il Giudice ritiene [13] che, in linea di principio, il legislatore possa ragionevolmente stabilire che la tutela dell’embrione non malato prevalga sul diritto di autodeterminazione della donna.
Diversa è la considerazione per gli embrioni malati o non biopsabili [14]: «A parere del giudicante, invece, diversamente si prospetta, stante l’assetto dei valori e dei principi costituzionali, il divieto di utilizzare gli embrioni residuati da procedimenti di PMA – cioè gli embrioni malati, ovvero ancora non biopsabili, dunque sicuramente non più impiegabili per fini procreativi e destinati perciò all’autodistruzione certa nel giro di qualche anno -, per impieghi alternativi e sicuramente meritevoli di tutela alla luce della Carta costituzionale quale, ad esempio, l’impiego per la ricerca scientifica in ambito medico e terapeutico».
Nel prosieguo, nel passo in cui nega che una pronuncia di incostituzionalità determinerebbe un vuoto normativo, il Tribunale è – se possibile – ancora più esplicito: «per superare l’evidente problema di ragionevolezza della disposizione sarebbe sufficiente prevedere che l’assolutezza della tutela, che si traduce nell’inderogabilità della stessa (e quindi dell’impossibilità di destinare l’embrione a fini diversi dalla sua propria cura), debba essere valutata «tenendo conto dell’impiego programmato o ragionevolmente prevedibile cui l’embrione è destinato», con la conseguenza che ove il medesimo fosse non più impiegabile a fini procreativi e quindi destinato a naturale e rapida «estinzione», esso potrebbe essere utilizzato, previo parere dei generanti, per altri impieghi «costituzionalmente rilevanti», come la ricerca scientifica bio-medica».
Si possono avanzare due ipotesi: a) il Giudice ritiene che gli embrioni appartengono alla specie umana e sono vivi: ebbene, in questo caso, ha affermato nel provvedimento che gli uomini possano essere divisi in categorie e che il loro stato di malattia e l’impossibilità di un loro utilizzo programmato rendano lecita la negazione di ogni loro diritto, tenuto conto che essi possono servire a qualche altra finalità “buona” [15]. Potremmo, quindi, adattare l’argomentazione a situazioni diverse, sempre riguardanti esseri umani vivi, ad esempio applicandola al divieto di utilizzare anziani malati di Alzheimer – sicuramente non più impiegabili per fini procreativi (o produttivi, o sociali) e destinati a distruzione certa nel giro di qualche anno – per impieghi alternativi quale, ad esempio, l’impiego per la ricerca scientifica in ambito medico e terapeutico …
b) La seconda ipotesi – che, per quello che si dirà nel prosieguo, appare più verosimile – è che, invece, il Tribunale non consideri affatto gli embrioni umani come esseri umani vivi, ma piuttosto ritenga che siano “cose”, prive di ogni valore.
3. La vera natura della questione di costituzionalità.
Ecco che emerge il vero quesito cui dovrà rispondere la Corte Costituzionale: gli embrioni creati con la fecondazione in vitro hanno la stessa natura e possiedono gli stessi diritti degli altri embrioni umani, cioè di quelli concepiti naturalmente a seguito di un rapporto sessuale?
La Corte Costituzionale applicherà anche agli embrioni prodotti in vitro le forti affermazioni contenute nella sent. n. 35 del 1997: «Basilare resta fra tutte la sentenza n. 27 del 1975 , con la quale la Corte, nel dichiarare la illegittimità costituzionale parziale dell’art. 546 del codice penale del 1930, ebbe modo di affermare i principî di ordine costituzionale in materia. Disse la Corte che ha fondamento costituzionale la tutela del concepito, la cui situazione giuridica si colloca, sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie, tra i diritti inviolabili dell’uomo riconosciuti e garantiti dall’articolo 2 della Costituzione, denominando tale diritto come diritto alla vita, oggetto di specifica salvaguardia costituzionale (…) Questo principio ha conseguito nel corso degli anni sempre maggiore riconoscimento, anche sul piano internazionale e mondiale. Va in particolare ricordata, a questo riguardo, la Dichiarazione sui diritti del fanciullo approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1959 a New York, nel cui preambolo è scritto che “il fanciullo, a causa della sua mancanza di maturità fisica ed intellettuale, necessita di una protezione e di cure particolari, ivi compresa una protezione legale appropriata, sia prima che dopo la nascita”. Così pure si è rafforzata la concezione, insita nella Costituzione italiana, in particolare nell’art. 2, secondo la quale il diritto alla vita, inteso nella sua estensione più lata, sia da iscriversi tra i diritti inviolabili, e cioè tra quei diritti che occupano nell’ordinamento una posizione, per dir così, privilegiata, in quanto appartengono – per usare l’espressione della sentenza n. 1146 del 1988 – all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana» [16]?
Il quesito non è banale e la risposta non è scontata.
Abbandonando per un attimo l’impostazione strettamente giuridica del presente scritto, è opportuno richiamare la logica della fecondazione artificiale, in particolare delle tecniche in vitro, nelle quali la fecondazione dell’oocita avviene al di fuori del corpo della donna.
L’embrione è un “prodotto”: nel significato letterale del termine, poiché esso viene, appunto, prodotto; non a caso, la legge n. 40 del 2004 utilizza i termini “produzione” o “prodotto”, con riferimento agli embrioni, in alternativa ai termini “creazione” o “creato” [17].
Non basta: la tecnica di fecondazione in vitro più diffusa, l’I.C.S.I. (in italiano: Microiniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo), permette la produzione di un singolo determinato embrione: con tale tecnica, infatti, viene preventivamente selezionato un solo spermatozoo che viene iniettato in uno specifico oocita da cui è stato rimosso il complesso cumulo-corona [18]; in altre parole, oocita e spermatozoo sono previamente individuati e selezionati.
Infine: l’embrione viene prodotto perché serve ad uno scopo, è utile rispetto ad un obiettivo; le tecniche di fecondazione artificiale hanno un senso solo con riferimento allo scopo che, di volta in volta, esse perseguono [19].
La natura di prodotto si riflette inevitabilmente sulla considerazione che dell’embrione ha l’autore della produzione: la sua esistenza dipende dalla volontà e dall’azione di chi lo produce; le sue caratteristiche dipendono dalle scelte degli adulti [20]; esso viene prodotto quando è necessario; può essere prodotto “in serie” [21]; e, poiché serve ad uno scopo, deve superare il “controllo di qualità” tipico di quelle produzioni: non essere, quindi, malato, imperfetto, poco vitale.
Il controllo di qualità si persegue con la Diagnosi genetica preimpianto, ma anche con la diagnosi osservazionale degli embrioni; la tecnica I.C.S.I. può avere la medesima finalità, perseguita preventivamente mediante selezione dell’oocita e dello spermatozoo “più adatti”.
È utile confrontare il quadro fin qui tratteggiato con la “visione” che si ha, nell’esperienza comune, degli embrioni concepiti naturalmente a seguito di rapporto sessuale: essi si impongono agli adulti, perché un rapporto sessuale non determina necessariamente un concepimento e, quindi, l’uomo e la donna non sanno se vi sarà un concepimento e quando avverrà; non solo: la donna [22] non si avvede del concepimento nel momento in cui esso avviene – come accade nella fecondazione in vitro con l’esame della provetta in cui sono stati posti oocita e spermatozoi – ma successivamente, quando l’embrione esiste già.
Per completare il confronto con la tecnica I.C.S.I., non solo i due adulti non sanno se e quando avverrà il concepimento, ma ignorano chi sarà il concepito, attesa la grande quantità di spermatozoi che tenteranno di penetrare nell’oocita e, quindi, l’impossibilità di predeterminare quale di essi contribuirà al concepimento.
Ecco che l’embrione concepito naturalmente non fatica ad imporsi – prima alla donna, poi agli altri adulti – come “altro”, soggetto che, pur nel corpo della madre, esiste autonomamente, perché ha iniziato la sua esistenza in un momento sconosciuto e non percepito, lo ha fatto a prescindere dalla volontà di chi l’ha generato (mentre una volontà diretta alla sua creazione non sempre produce l’effetto voluto); soggetto diverso da madre e padre e che ha un proprio progetto (che, non a caso, talvolta collide con i progetti e la volontà degli adulti).
La giurisprudenza costituzionale sull’interruzione volontaria di gravidanza – formatasi quando (almeno in Italia) le tecniche di fecondazione artificiale non erano comparse – si caratterizza, come è noto, per il bilanciamento degli interessi tra il diritto alla vita del concepito e quello alla vita e alla salute della madre; ma, appunto, tale bilanciamento presuppone un essere a se stante, indipendente, centro autonomo di diritti.
Ha ancora senso un bilanciamento di questo tipo per l’embrione in vitro, che dipende in tutto e per tutto (il “se” e il “quando” della fecondazione; le caratteristiche; le finalità che gli sono state assegnate) da coloro che l’hanno prodotto?
I tecnici della fecondazione in vitro rispondono in maniera convinta di no: nessun bilanciamento, gli embrioni possono essere prodotti nel numero voluto, selezionati, sottoposti a diagnosi invasive, scartati, soppressi, destinati ad esperimenti scientifici.
Occorre, allora, verificare quale sia la risposta a livello del diritto e, soprattutto, del diritto costituzionale.
4. La sentenza della Corte Interamericana dei Diritti Umani contro il Costa Rica.
Appare opportuno, a questo punto, dare atto di una pronuncia giurisdizionale che, sebbene lontana nello spazio, appare davvero significativa per la tematica che stiamo affrontando.
Si tratta della decisione della Corte interamericana dei diritti dell’uomo del 28 novembre 2012 [23], che ha condannato il Costa Rica per il divieto di fecondazione in vitro, che avrebbe violato i diritti alla vita privata, all’integrità e all’autodeterminazione personale nonché il diritto a formare una famiglia riconosciuti dalla Convenzione americana dei diritti dell’Uomo. La pronuncia è importante anche per la situazione italiana, quanto meno perché i riferimenti alla situazione europea e italiana sono numerosi.
Qui interessa sottolineare il passaggio fondamentale che ha portato alla decisione della Corte Interamericana: l’interpretazione dell’articolo 4, comma 1, della Convenzione Americana dei Diritti Umani, che stabilisce: «Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita. Tale diritto è protetto dalla legge e, in generale, dal momento del concepimento. Nessuno sarà arbitrariamente privato della vita.» [24]
Ebbene, la Corte Interamericana giunge ad affermare che «l’embrione non può essere trattato come persona ai fini dell’articolo 4.1 della Convenzione americana» [25] e ha concluso che «si ha concezione (o concepimento), ai sensi dell’articolo 4.1, nel momento dell’impianto dell’embrione nell’utero, cosicché prima di questo evento non trova applicazione l’articolo 4 della Convenzione» [26].
Ancora, secondo la Corte, «la protezione del diritto alla vita ai sensi di tale disposizione non è assoluta, ma è graduale e progressiva secondo il suo sviluppo, cosicché non si tratta di un dovere assoluto e incondizionato, comportando possibili eccezioni alla regola generale» [27].
In sostanza, la Corte ridefinisce il termine “concepimento”, statuendo che «concepimento è l’annidamento» [28].
Le conseguenze di questa decisione, con riferimento alla fecondazione in vitro, sono intuitive: se, prima dell’annidamento in utero, non esiste nemmeno un “concepimento”, l’embrione in provetta non è persona, non è uomo e qualsiasi azione nei suoi confronti è lecita.
Richiamando le considerazioni del paragrafo precedente, non sembra casuale che la Corte sottolinei, all’inizio della motivazione, che questo mutamento di prospettiva costituisce diretta conseguenza dell’introduzione delle tecniche di fecondazione in vitro [29].
La palese debolezza dell’argomentazione dimostra che la Corte ha compiuto una scelta di fondo politica, e non giuridica. Cosa pensare, infatti, dell’affermazione secondo cui le tecniche di fecondazione in vitro avrebbero “rivelato” l’esistenza di un lasso di tempo tra unione di oocita e spermatozoo e l’annidamento nel corpo della donna [30], quasi che, in precedenza, tale circostanza fosse ignota? E di quella secondo cui il termine “concepimento” non può essere inteso come un momento o un processo che esclude il corpo della donna, perché un embrione non ha alcuna possibilità di sopravvivere se l’impianto non avviene [31] (affermazione che, tra l’altro, ignora le ricerche e le sperimentazioni sull’ectogenesi, cioè sull’utero artificiale, dirette proprio a sganciare lo sviluppo dell’embrione dal corpo materno [32])?
E di quella – contraddittoria in sé – secondo cui, stabilire se vi sia o meno una gravidanza è possibile soltanto una volta che l’ovulo fecondato si è annidato in utero [33]: affermazione che – appunto – si riferisce all’avvenuto annidamento (e non al concepimento) e che, per di più, cancella – si suppone per ignoranza – il cross-talk tra corpo della madre e embrione non ancora annidato, fenomeno che ha inizio pochi istanti dopo l’avvenuto concepimento?
Resta da segnalare in che modo la Corte Interamericana applichi la clausola della Convenzione secondo cui il diritto alla vita «è protetto dalla legge e, in generale, dal momento del concepimento».
La Corte ritiene che la finalità dell’inciso «in generale» sia di consentire eccezioni alla tutela del diritto alla vita dal concepimento, in presenza di un conflitto tra diritti [34]. Parrebbe una posizione analoga a quella espressa dalla Corte Costituzionale italiana con la sentenza n. 27 del 1975; invece, la Corte interamericana utilizza l’inciso come argomento per “spostare in avanti” il momento del concepimento, così negando in toto qualsiasi diritto del concepito prima dell’annidamento e aprendo la strada alla deregolamentazione della fecondazione artificiale: le tecniche, infatti, non hanno più a che fare con “concepiti”, ma con oggetti, la cui natura la Corte interamericana si guarda bene dal definire.
La sentenza appena commentata fornisce una risposta implicita al quesito che abbiamo posto all’inizio del paragrafo precedente: come interagiscono i principi affermati in relazione alla tutela degli embrioni concepiti naturalmente con le tecniche di fecondazione artificiale?
Sembra emergere, in tale interazione, la prevalenza della logica della fecondazione in vitro, cosicché la tutela di tutti i concepiti tende a ridursi [35]: ad esempio, la pronuncia spazza via tutte le questioni sulla natura abortiva dei preparati potenzialmente antinidatori [36]; ma anche il principio affermato di una tutela graduale e progressiva in relazione al grado di sviluppo del feto, con la possibilità di eccezioni alla regola generale, lascia ampio spazio alla liberalizzazione dell’aborto dichiaratamente eugenetico.
Comprendiamo, quindi, la rilevanza di questa pronuncia: al pari della Corte Interamericana, che ha ridefinito i termini “concepimento” ed “embrione”, escludendo l’intera fase precedente all’annidamento in utero, il Tribunale di Firenze si è esercitato in un’interpretazione letterale della norma che vorrebbe escludere dal concetto di “embrione” i primi due giorni di vita successivi al concepimento, traendone le ovvie conseguenze.
Non è una novità: la storia della fecondazione in vitro presenta molti tentativi di ridefinire l’embrione, al fine di escludere da ogni tutela una parte, più o meno rilevante, della sua vita: già nel 1984 in Gran Bretagna, la Commissione Warnock, pur ammettendo esplicitamente che «una volta che il processo dello sviluppo è iniziato, non c’è stadio particolare dello stesso che sia più importante di un altro; tutti sono parte di un processo continuo (…) da un punto di vista biologico non si può identificare un singolo stadio nello sviluppo dell’embrione, prima del quale l’embrione in vitro non sia da mantenere in vita», concludeva: «Tuttavia si è convenuto che questa era un’area nella quale si doveva prendere una precisa decisione al fine di tranquillizzare la pubblica ansietà», raccomandando: «la legislazione dovrebbe disporre che la ricerca possa essere condotta su ogni embrione risultante dalla fertilizzazione in vitro, qualunque ne sia la provenienza, fino al termine del quattordicesimo giorno dalla fecondazione» [37]; limpido esempio del consapevole sganciamento del legislatore dalla realtà scientifica in conseguenza della scelta politica di non tutelare gli embrioni umani fino ad un certo momento della loro esistenza.
Dal preembrione creato dalla Commissione Warnock, le operazioni semantiche di questo tipo sono state numerose [38], ultima quella relativa agli ootidi (ovuli fecondati nella fase precedente alla fusione dei pronuclei): “entità” utile a permettere il congelamento degli embrioni.
In effetti, queste operazioni si caratterizzano per la loro utilità ad uno scopo predeterminato, coerentemente con la logica delle tecniche di fecondazione in vitro, strettamente collegate ad una finalità, mai assoluta – come invece è assoluta la dignità dell’uomo in sé – ma sempre relativa.
5. I contrasti tra le Corti sopranazionali e le Corti Costituzionali.
La sentenza della Corte Interamericana dei Diritti Umani nei confronti del Costa Rica assume particolare interesse anche sotto un altro profilo, assai rilevante per la decisione che la Corte Costituzionale italiana dovrà adottare prossimamente.
Si deve ricordare in che modo il Costa Rica era giunto a proibire le tecniche di fecondazione artificiale [39]: autorizzate con Decreto del Ministro della Salute, la Corte Suprema di Giustizia del Costa Rica aveva dichiarato la illegittimità costituzionale del decreto con sentenza n. 2306 del 15/3/2000, sotto due profili: la lesione del principio della riserva di legge, perché «solo con una legge formale promulgata dal legislatore in rispetto della procedura stabilita dalla Costituzione, è possibile regolare e, se necessario, limitare i diritti e le libertà fondamentali»; e il contrasto con il diritto alla vita, dovendo l’embrione essere considerato persona ai sensi dell’art. 4 della Convenzione americana dei diritti umani.
La Corte Suprema di giustizia agganciava la propria valutazione al dato scientifico: «quando lo spermatozoo fertilizza l’oocita, quella entità diventa uno zigote e poi un embrione. La più importante caratteristica di questa cellula è che tutto ciò che gli permetterà di evolvere in un individuo è già al suo interno; tutte le informazioni necessarie e sufficienti per determinare le caratteristiche di un nuovo essere umano appaiono contestualmente alla unione dei 23 cromosomi dello spermatozoo e dei 23 cromosomi dell’oocita. Nel descrivere le divisioni cellulari che avvengono immediatamente dopo la fertilizzazione, emerge chiaramente che allo stadio di tre cellule un minuscolo essere umano esiste e da quello stadio ogni individuo è unico, rigorosamente diverso da ogni altro. In sintesi, dal momento del concepimento una persona è una persona e noi siamo di fronte ad un essere vivente, con il diritto ad essere protetto legalmente» [40].
La conclusione della Corte era fondata sull’art. 21 della Costituzione del Costa Rica e sull’art. 4 della Convenzione Americana dei diritti umani, già menzionato: «L’embrione umano è una persona dal momento del concepimento; non può quindi essere trattato come un oggetto per gli scopi di ricerca, sottoposto a processi di selezione, crioconservato e – aspetto essenziale per la Corte – non è legittimo costituzionalmente esporlo ad un rischio sproporzionato di morte. L’applicazione delle tecniche prevede un’alta perdita di embrioni, che non può essere giustificata con il fatto che si intendeva creare un nuovo essere umano, fornendo un bambino ad una coppia che altrimenti non potrebbe averne uno. L’aspetto centrale è che gli embrioni la cui vita è prima cercata e poi violata sono esseri umani e la Costituzione non permette alcuna distinzione tra di loro.» [41]
Emerge, quindi, il contrasto – quasi un braccio di ferro – tra Corte Costituzionale nazionale e Corte sopranazionale: e risulta davvero superfluo ricordare che, proprio su questo tema, il disinvolto ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo da parte dei giudici di merito oppure il richiamo alla sua giurisprudenza, scelta accuratamente nella parte in cui sostiene una certa tesi, costituisce una evidente – ed esplicita – pressione sulla Corte Costituzionale italiana.
Come è noto, nel caso in esame il pericolo di un potenziale contrasto tra una pronuncia della Corte EDU e una sentenza della Corte Costituzionale italiana è stato disinnescato dal provvedimento del Presidente della seconda di rinvio dell’esame della questione di legittimità costituzionale in attesa della decisione della prima sul ricorso n. 46470/11 di Parrillo c. Italia: decisione in più passi apprezzata esplicitamente dalla Corte EDU, che ha preso occasione di ribadire i ruoli delle due Corti e di confermare la validità delle sentenze nn. 348 e 349 del 2007 [42].
Benché la Corte di Strasburgo abbia respinto il ricorso della Parrillo – che chiede di destinare alla ricerca scientifica gli embrioni prodotti prima della morte del compagno – basato su motivazioni identiche a quelle esposte nell’ordinanza del Tribunale di Firenze, l’influenza della decisione su quella che la Corte Costituzionale dovrà adottare nel marzo 2016 è prevedibile.
Ad esempio, la Corte EDU ha ritenuto che la scelta «consapevole e meditata» dei genitori sul destino degli embrioni «concerne un aspetto intimo della (loro) vita personale e riguarda conseguentemente il (loro) diritto all’autodeterminazione. Nel caso di specie è pertanto applicabile l’articolo 8 della Convenzione, dal punto di vista del diritto al rispetto della vita privata»; non solo: ha sostenuto che, in conseguenza della sentenza della Corte Costituzionale n. 162 del 2014, «l’ordinamento giuridico italiano attribuisce importanza anche alla libertà di scelta delle parti della fecondazione in vitro riguardo al destino degli embrioni non destinati all’impianto» [43], e che «la sentenza … con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del divieto di fecondazione eterologa (…) dovrebbe adesso permettere l’adozione per la nascita, prassi consistente nell’adozione di embrioni soprannumerari da parte di una coppia o di una donna al fine dell’impianto ed è stata prevista dal Comitato nazionale per la bioetica nel 2005».
La Corte EDU si è ritratta di fronte all’interpretazione dell’art. 8, comma 2, della Convenzione, che permette l’interferenza dell’autorità pubblica nella vita privata se necessaria «per la protezione dei diritti e delle libertà degli altri», sostenendo di non avere mai affermato (né di volerlo fare) che tra questi “altri” rientrino gli embrioni [44].
Anche in tema di violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione (protezione della proprietà) la Corte ha mostrato la medesima ritrosia, forse ancora più esplicita: di fronte alla posizione del Governo italiano che aveva dedotto che «l’embrione umano non poteva essere considerato una “cosa” e che era in ogni caso inaccettabile attribuirgli un valore economico», sottolineando che «nell’ordinamento giuridico italiano l’embrione umano era considerato un soggetto di diritto titolare del diritto al rispetto dovuto alla dignità umana», la Corte ha rilevato che «le parti hanno opinioni diametralmente opposte in questa materia, specialmente riguardo allo status dell’embrione umano in vitro» e ha risolto negativamente il quesito se gli embrioni possono essere considerati “beni” ai sensi della disposizione, rimarcando la propria volontà di non rispondere all’interrogativo sulla “natura” dell’embrione: «(La Corte) ritiene che non sia necessario esaminare qui la delicata e controversa questione del momento in cui inizia la vita umana, in quanto nel caso di specie non è in gioco l’articolo 2 della Convenzione».
Infine, deve essere sottolineato che, nella consueta ricognizione dei testi normativi rilevanti per la decisione, la Corte EDU, nel menzionare al par. 22 i “pertinenti” articoli della Costituzione italiana, ricorda l’art. 9 (ricerca scientifica), l’art. 32 (tutela della salute) e l’art. 117 (potestà legislativa), ma non l’art. 2 (riconoscimento e garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo): quell’art. 2 che, fin dal 1975, la Corte Costituzionale ha posto a fondamento della tutela dell’embrione. [45]
6. Una Corte Costituzionale coerente e coraggiosa?
Le “sentenze gemelle” del 2007 non dovrebbero, per la verità lasciare dubbi: se le norme della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo si posizionano ad un livello sub-costituzionale, è necessario che esse siano conformi a Costituzione; non solo: lo scrutinio di costituzionalità non può limitarsi alla possibile lesione dei diritti e dei principi fondamentali, ma deve estendersi ad ogni profilo di contrasto con le norme costituzionali.
L’esigenza che le norme della Convenzione siano conformi alla Costituzione è «assoluta e inderogabile» e, nell’ipotesi in cui una norma risulti in contrasto con una norma costituzionale, la Corte ha il dovere di espungerla dall’ordinamento giuridico italiano: tale verifica riguarda la norma della Convenzione come prodotto dell’interpretazione ad essa data dalla Corte di Strasburgo.
Di conseguenza, quali che siano i principi che possano trarsi dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la Corte Costituzionale italiana appare vincolata dalla propria giurisprudenza sul tema dei diritti dell’embrione umano, che è fondata sui diritti inviolabili dell’uomo, quei diritti che appartengono «all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana».
La scelta di fondo per la Corte Costituzionale, nel decidere la questione sollevata dal Tribunale di Firenze, sarà quindi se ritenersi o meno vincolata dalle proprie precedenti statuizioni in ordine alla natura dell’embrione umano e al suo status.
In effetti, la Corte non ha mai differenziato i diritti dell’embrione prodotto con la fecondazione extracorporea da quelli dell’embrione concepito naturalmente, traendo la necessità di tutela del primo dalle decisioni adottate in materia di interruzione volontaria di gravidanza, pratica che riguarda il secondo.
Tale posizione è stata confermata esplicitamente con la recente sentenza della Corte n. 229 del 2015 che ha sì, legittimato la selezione degli embrioni «nei casi in cui questa sia esclusivamente finalizzata ad evitare l’impianto nell’utero della donna di embrioni affetti da malattie genetiche trasmissibili», ma ha confermato il divieto di soppressione degli embrioni scartati e crioconservati.
Secondo la Corte, «deve escludersi che risulti (…) censurabile la scelta del legislatore del 2004 di vietare e sanzionare penalmente la condotta di «soppressione di embrioni», ove pur riferita (…) agli embrioni che, in esito a diagnosi preimpianto, risultino affetti da grave malattia genetica. Anche con riguardo a detti embrioni, la cui malformazione non ne giustifica, sol per questo, un trattamento deteriore rispetto a quello degli embrioni sani (…), si prospetta, infatti, l’esigenza di tutelare la dignità dell’embrione, alla quale non può parimenti darsi, allo stato, altra risposta che quella della procedura di crioconservazione. L’embrione, infatti, quale che ne sia il, più o meno ampio, riconoscibile grado di soggettività correlato alla genesi della vita, non è certamente riducibile a mero materiale biologico. Con la sentenza n. 151 del 2009, questa Corte ha già, del resto, riconosciuto il fondamento costituzionale della tutela dell’embrione, riconducibile al precetto generale dell’art. 2 Cost.; e l’ha bensì ritenuta suscettibile di “affievolimento” (al pari della tutela del concepito: sentenza n. 27 del 1975), ma solo in caso di conflitto con altri interessi di pari rilievo costituzionale (come il diritto alla salute della donna) che, in temine di bilanciamento, risultino, in date situazioni, prevalenti. Nella fattispecie in esame, il vulnus alla tutela della dignità dell’embrione (ancorché) malato, quale deriverebbe dalla sua soppressione tamquam res, non trova però giustificazione, in termini di contrappeso, nella tutela di altro interesse antagonista» [46].
Tuttavia, la decisione sulla questione sollevata dal Tribunale di Firenze interviene in una fase di progressivo smantellamento e ricostruzione della normativa in materia di fecondazione in vitro, circostanza che induce timori sull’esito del giudizio.
Attualmente, a seguito delle varie decisioni della Corte, il quadro normativo permette una sovrapproduzione di embrioni rispetto alle esigenze immediate di trasferimento nel corpo della donna [47], la loro sottoposizione alla diagnosi genetica preimpianto, la selezione di quelli destinati al trasferimento e all’impianto e di quelli non “adatti” a ciò, il congelamento a tempo indeterminato di questi ultimi, il venir meno dell’obbligo di trasferirli.
Ecco che viene a crearsi [48] quella riserva di embrioni crioconservati non utili per l’instaurazione di gravidanze, su cui si concentrano [49] gli interessi di molti laboratori e ricercatori e la cui portata economica notevolissima non può certo essere negata; il numero degli embrioni crioconservati, ovviamente, aumenterà nel corso degli anni.
L’esistenza di questo “problema” – che, in verità, il legislatore del 2004 già conosceva e aveva tentato di affrontare [50] – costituisce una forte spinta verso una decisione che, in qualche modo lo risolva.
Quali conseguenze comporta «l’esigenza di tutelare la dignità dell’embrione, alla quale non può parimenti darsi, allo stato, altra risposta che quella della procedura di crioconservazione»?
Si noti che l’affermazione incidentale che la Corte Costituzionale ha fatto nella sentenza n. 229 del 2015 ha un fondamento scientifico: in effetti, è pacifico che l’embrione prodotto in vitro, se non viene trasferito tempestivamente nell’utero della madre, muore se non viene congelato, tanto che già la legge 40 del 2004 consentiva in via eccezionale la crioconservazione degli embrioni in caso di impossibilità del trasferimento in utero per causa di forza maggiore (art. 14, comma 3).
Gli embrioni congelati, quindi, sono embrioni vivi, della cui dignità la Corte si preoccupa.
Occorre inoltre avere presente un ulteriore dato scientifico: finché gli embrioni sono in stato di crioconservazione, non se può accertare la morte che, invece, può essere constatata dopo lo scongelamento [51]; con la conseguenza fotografata dalla Relazione finale della Commissione di studio sugli embrioni istituita dal Ministero della Salute: «Allo stato attuale delle conoscenze, per accertare la perdurante vitalità dell’embrione è necessario però scongelarlo, il che ci pone di fronte ad un paradosso, dato che una volta scongelato l’embrione non può essere congelato una seconda volta e se non si provvede ad un suo immediato impianto in utero, se ne causa inevitabilmente la morte. Di qui la prospettiva tuzioristica di una possibile conservazione a tempo indeterminato degli embrioni congelati».
Ciò premesso, la risposta al quesito sopra enunciato potrebbe prendere l’avvio da una domanda provocatoria: perché l’esistenza di migliaia di embrioni crioconservati costituisce un “problema”? E, ancora, per chi è un problema?
Senza dubbio esiste una questione economica: il mantenimento degli embrioni crioconservati è costoso ed è legittimo chiedersi chi ne debba sostenere il peso; la legge 40 del 2004 e i provvedimenti successivi avevano stabilito che il costo per il mantenimento degli embrioni “abbandonati” fosse a carico della collettività, ma la previsione riguardava un numero assai limitato di embrioni, la maggior parte dei quali prodotti prima della legge; attualmente – come si è visto – le coppie e i tecnici cui le stesse si rivolgono producono intenzionalmente un numero di embrioni nettamente superiore a quelli che saranno trasferiti, cosicché è difficile non considerarli responsabili del mantenimento di quelli scartati [52].
In ogni caso, si deve escludere che considerazioni di questa natura possano essere dirimenti rispetto ad una decisione – quella che permetterebbe la consegna degli embrioni congelati alla ricerca scientifica – che concerne la loro morte volontariamente procurata.
A ben vedere, non esistono ulteriori interessi degli adulti coinvolti di portata tale da prevalere sul diritto alla vita e alla dignità degli embrioni crioconservati, tutelati ai sensi dell’art. 2 della Costituzione.
Davanti alla Corte EDU, Adelina Parrillo aveva sostenuto che «lo Stato esigeva che ella assistesse alla distruzione dei suoi embrioni piuttosto che permetterle di donarli alla ricerca, fatto che avrebbe perseguito una nobile causa e sarebbe stata fonte di conforto per lei dopo i dolorosi avvenimenti accaduti nella sua vita»; frase che sottolineava l’evento della morte “naturale” degli embrioni ma taceva di quella procurata dalle ricerche scientifiche che su di essi, ancora vivi, sarebbero state eseguite, indicando genericamente la nobiltà di una causa e la necessità di avere un conforto per la tragica perdita del compagno.
Le considerazioni relative alla denunciata violazione dell’art. 1 del Protocollo 1 alla Convenzione erano assai meno evocative di alti principi: negando la natura di “persone” agli embrioni non impiantati, la ricorrente aveva concluso che, dal punto di vista giuridico, essi erano dei “beni”, su cui ella aveva la proprietà, senza che lo Stato potesse porre restrizioni del suo diritto.
Anche i ricorrenti nella causa davanti al Tribunale di Firenze che ha dato luogo alla questione di legittimità costituzionale avanzano considerazioni analoghe: per di più – contrariamente alla Parrillo, che non poteva pretendere l’impianto degli embrioni per essere il padre degli stessi defunto [53] – essi indicano che «per loro espressa decisione (gli embrioni) non verranno mai utilizzati nel processo procreativo, configurandosi come embrioni soprannumerari destinati all’autodistruzione».
Piuttosto, la “nobile causa” della ricerca scientifica indicata dalla Parrillo viene trasformata nella pretesa della prevalenza dell’interesse alla ricerca scientifica sul diritto alla vita degli embrioni, «in particolar modo per quanto riguarda gli embrioni abbandonati, malati, ovvero ancora non biopsabili, dunque sicuramente non più impiegabili per fini procreativi e destinati perciò all’autodistruzione certa nel giro di qualche anno», lamentandosi, in definitiva, che «l’interesse allo sviluppo della ricerca scientifica (sia) del tutto recessivo rispetto all’aspettativa di vita del singolo embrione».
Queste argomentazioni possono essere efficaci per far ritenere la normativa illegittima costituzionalmente? Sembra davvero paradossale dovere argomentare in senso negativo!
Un essere umano vivo, il cui diritto alla vita è tutelato in base all’art. 2 della Costituzione come diritto inviolabile, può essere ritenuto di “proprietà” dei suoi genitori? Essi lo possono vendere o regalare a terzi? La sofferenza derivante dalla certezza della morte futura degli embrioni (incerta quanto all’epoca) può rendere legittima la scelta di destinarli ad una morte certa e prossima? Il diritto alla vita può essere meno solido se il soggetto che ne è titolare è malato oppure non è utile ad un determinato scopo? La libertà di ricerca scientifica può trasformarsi nell’obbligo per determinati soggetti di sottoporsi a ricerca scientifica distruttiva?
In definitiva, l’esistenza di un alto numero di embrioni crioconservati a tempo indeterminato integra, sì, un “problema”, ma solo dal punto di vista degli embrioni, la dignità dei quali può ritenersi violata dalla loro condizione.
Ma, sotto questo profilo, si tratta di un problema senza soluzioni, atteso che, come si è visto, tale condizione permette loro di non morire; un problema conseguente all’ingiustizia della loro produzione extracorporea in misura sovrabbondante e alla decisione della madre di non accettarne il trasferimento in utero, che darebbe loro qualche chanche di sopravvivenza in caso di gravidanza e parto.
L’inutilizzabilità del singolo embrione – originaria o sopravvenuta – rispetto ad una possibile gravidanza, però, non ne modifica la dignità intrinseca: l’essere umano non è mai qualificato dalla sua utilità ad uno scopo e la sua dignità (con i conseguenti diritti) consegue alla sua stessa esistenza.
In definitiva, sarebbe errata una decisione adottata alla luce della necessità di trovare una soluzione al “problema” degli embrioni congelati: essa rischierebbe di utilizzare criteri di valutazione proposti dagli adulti coinvolti, prescindendo dall’unico criterio ammissibile, la difesa della dignità degli embrioni. [54]
Se, quindi, il rigetto della questione di costituzionalità appare doveroso, notevoli sono i rischi di un accoglimento parziale che – come in precedenti occasioni – potrebbe trasformarsi in accoglimento totale.
Per non discostarsi dai propri insegnamenti, in primo luogo la Corte dovrà respingere posizioni antiscientifiche come quelle espresse dal Tribunale di Firenze in ordine alle caratteristiche dell’embrione nei primi giorni di vita [55], ribadendo che la tutela concerne l’embrione umano fin dal momento del concepimento [56]; allo stesso modo dovrà rifiutare soluzioni nominalistiche, quale quella adottata dalla Corte Interamericana dei Diritti Umani, che negano la tutela mutando il nome delle cose.
Dovrà essere inoltre respinta ogni soluzione che discriminasse alcune “categorie” all’interno della totalità degli embrioni crioconservati: essa rischierebbe di consegnarli alla scelta arbitraria degli adulti in mancanza di una valida giustificazione.
Si è già accennato alla inaccettabilità di una distinzione tra embrioni ancora impiantabili ed embrioni non più impiantabili: a ben vedere, se essa richiama il dato scientifico che dimostrerebbe che alcuni embrioni non sono più trasferibili con successo per l’eccessivo lasso di tempo trascorso dal momento della loro produzione [57], in realtà finisce per rivendicare – come fanno i ricorrenti davanti al Tribunale di Firenze – una non trasferibilità dipendente dalla malattia o dai difetti dell’embrione o, molto più semplicemente, dalla volontà degli adulti di non utilizzarlo [58].
Assai insidiosa, inoltre, è la distinzione tra embrioni vitali e embrioni non vitali [59].
Poiché si parla di diritto alla vita degli embrioni, il giudice costituzionale non può che rifiutare una distinzione che – disinvoltamente – proponga un tertium genus tra embrione “vivo” ed embrione “morto” e pretenda di negare ogni diritto agli embrioni “sostanzialmente morti”: una soluzione, ancora una volta, di carattere chiaramente nominalistico.
Si deve notare che l’insistenza sulla morte degli embrioni è presente sia nel ricorso proposto al Tribunale di Firenze, sia in quello di Parrillo alla Corte EDU: si parla addirittura di “autodistruzione” per indicare un evento naturale, la morte dell’embrione; ma – ancora una volta – il fatto che un essere umano vivo sia destinato, prima o poi, a morire non ne muta affatto la natura e non ne diminuisce la dignità.
7. L’importanza della decisione
Si potrebbe obiettare che l’insistenza nel difendere il diritto alla vita degli embrioni congelati è rivolta verso un problema inesistente ed è frutto di quella che molti ritengono una vera e propria fissazione di una parte culturale e religiosa.
Non è questo il luogo per argomentare su questa tematica; tuttavia si può rimarcare un aspetto, che rende importante la decisione della Corte Costituzionale anche con riferimento ad interessi diversi da quelli degli embrioni.
L’articolo dei due ricercatori italiani Alberto Giubilini e Francesca Minerva [60] sull’aborto post-nascita ha dimostrato, nel suo ingenuo cinismo, la fragilità di una netta distinzione tra giustificazioni per la legalizzazione dell’aborto e per quella dell’infanticidio, facendo comprendere che i programmi diretti alla soppressione dei neonati in gravi condizioni di salute, come il Protocollo di Gröningen, trovano la loro reale motivazione in criteri già adottati dalle leggi di legalizzazione dell’aborto.
Il dato non è irrilevante per l’ambito della procreazione medicalmente assistita: non a caso, le precedenti sentenze della Corte Costituzionale (ma anche la sentenza Costa – Pavan della Corte EDU) hanno spesso richiamato il bilanciamento di interessi tra madre e figlio posto a base della legge 194 del 1978, ritenendo illogico non anticiparne l’applicazione alla fase di produzione extracorporea degli embrioni.
Non è difficile comprendere che l’influenza culturale e giuridica tra procreazione medicalmente assistita, interruzione volontaria di gravidanza e infanticidio può svolgersi in entrambe le direzioni: così come le regole dell’aborto legale possono incidere su quelle della fecondazione in vitro, allo stesso modo possono estendersi al trattamento dei bambini dopo la nascita [61]; e così, anche le argomentazioni esposte per autorizzare o meno la destinazione alla ricerca scientifica degli embrioni umani non potranno non avere riflesso in altri ambiti. Non è un caso, del resto, che Giubilini e Minerva siano attenti a chiarire di non avanzare «nessuna richiesta sul limite entro cui l’aborto post-natale non debba più essere permesso» e menzionino espressamente la condizione giuridica degli embrioni congelati [62].
Il legame con la tematica dell’eutanasia non consensuale, quindi, è evidente [63]: se gli embrioni sono esseri umani vivi, le argomentazioni adottate per autorizzarne la soppressione mediante consegna ai ricercatori avranno inevitabilmente riflesso sul destino di altri esseri umani vivi.
La Corte, pertanto, nel decidere se gli embrioni malati, difettosi o non più utili a nessuno scopo possono essere sottoposti a sperimentazioni scientifiche o alla soppressione, dovrà tenere conto di altri esseri umani malati, difettosi e non più utili; se riterrà un criterio distintivo la vicinanza di alcuni embrioni alla morte naturale, dovrà ricordare altri uomini per malattia o età vicini alla morte; nel valutare se il costo di mantenimento degli embrioni congelati è insostenibile per la collettività o per le coppie, dovrà tenere conto se il costo per il mantenimento in vita di altre persone bisognose di assistenza medica e di cure sia eccessivo o insostenibile; nel ritenere alcuni embrioni “sostanzialmente morti”, dovrà valutare se anche altre persone in stato di incoscienza possano essere considerate tali.
Note:
[*] Il presente contributo è stato preventivamente sottoposto a referaggio anonimo affidato ad un componente del Comitato di Referee secondo il Regolamento adottato da questa Rivista.
[1] Ord. Trib. Firenze del 7/12/2012, in causa C.S.A. e P.G. c. Centro di fecondazione assistita Demetra s.r.l. e Presidenza del Consiglio dei Ministri, reg. ord. n. 166 del 2013 pubbl. su G.U. del 17/7/2013 n. 29; reperibile nel sito della Corte Costituzionale: http://www.cortecostituzionale.it/schedaOrdinanze.do?anno=2013&numero=166&numero_parte=1 . I ricorrenti avevano già promosso altra causa nel corso della quale era stata sollevata questione di costituzionalità decisa insieme ad altre dalla sentenza della Corte Cost. n. 151 del 2009.
[2] che, ovviamente, si è associato alla richiesta di sollevare questione di costituzionalità della normativa negli stessi termini dei ricorrenti.
[3] I Giuristi per la Vita hanno chiesto al Presidente della Corte Costituzionale la nomina di un curatore speciale per gli embrioni prodotti, al fine di garantire, almeno davanti alla Corte, un reale contraddittorio rispetto alle domande proposte.
[4] che, come sottolineato, era stata emessa nell’ambito di una causa promossa dagli stessi odierni attori.
[5] Corte Cost. sent. n. 151 del 2009: «Deve, pertanto, dichiararsi la illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 2, della legge 40 del 2004, limitatamente alle parole ‘ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre’. L’intervento demolitorio mantiene, così, salvo il principio secondo cui le tecniche di produzione non devono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario, secondo accertamenti demandati, nella fattispecie concreta, al medico, ma esclude la previsione dell’obbligo di un unico e contemporaneo impianto e del numero massimo di embrioni da impiantare, con ciò eliminando sia la irragionevolezza di un trattamento identico di fattispecie diversa, sia la necessità, per la donna, di sottoporsi eventualmente ad altra stimolazione ovarica, con possibile lesione del suo diritto alla salute».
[6] Ord. Trib. Firenze del 7/12/2012: «È evidente, poi, che il trascorrere del tempo determinerebbe una perdita di qualità indispensabili per poter effettuare l’attività di ricerca per cui gli attori intendono destinare gli embrioni non biopsabili».
[7] Ord. Trib. Firenze del 7/12/2012: «Tale questione risulta, dunque, rilevante per il soddisfacimento degli interessi azionati nel caso de quo, atteso che gli attori hanno crioconservato (presso il Centro Demetra) 9 embrioni (di cui la metà malati e l’altra metà non sottoponibili a biopsia), che per loro espressa decisione non verranno mai utilizzati nel processo procreativo, configurandosi come embrioni soprannumerari destinati all’autodistruzione».
[8] La violazione della norma è sanzionata dal quarto comma dello stesso articolo con la pena della reclusione da due a sei anni e con la multa da 50.000 a 150.000 euro, con ulteriore aumento per l’aggravante da esso prevista. La Convenzione di Oviedo sui Diritti dell’uomo e sulla biomedicina del 4/4/1997, di cui è stata autorizzata la ratifica con l. 28 marzo 2001, n. 145, vieta la produzione di embrioni umani a fini di ricerca (art. 18, comma 2).
[9] O meglio: il Tribunale mostra di essersi posto il problema, risolvendolo con una motivazione che nulla dice: «È invece evidente il ben diverso atteggiarsi del divieto di ogni forma di selezione a scopo eugenetico di gameti ed embrioni, ovvero di produrre embrioni esclusivamente finalizzati alla ricerca ed alla sperimentazione, o ancora ad essere utilizzati in trattamenti finalizzati alla predeterminazione di caratteristiche genetiche o alla donazione, rispetto al divieto volto ad impedire, sempre e comunque, la crioconservazione del materiale prodotto, la selezione fra embrioni portatori della specifica patologia e non finalizzati al trasferimento nell’utero della donna, nonché la possibilità per la gestante, acquisite le informazioni inerenti lo stato di salute dell’embrione, di rifiutare il trasferimento ovvero di revocare il consenso all’attuazione dello stesso (a maggior ragione quando questo risultasse affetto dalla specifica grave patologia che l’intervento era chiamato a scongiurare ovvero determinasse seri rischi per la salute della stessa gestante), correlato al divieto assoluto, per i generanti, di destinare gli embrioni residuati alla ricerca medica, anziché condannarli all’autodistruzione per estinzione». Che sia davvero “evidente” questa differenza è assai discutibile: il Giudice esclude che la volontà della coppia sia stata e sia quella di produrre il numero massimo di embrioni per destinarli alla ricerca scientifica? E come si giustifica la volontà di destinare alla ricerca anche gli embrioni non biopsabili, quelli per i quali la coppia non sa nemmeno se sono o meno malati?
[10] Se non di valore economico. In effetti, l’ordinanza non chiarisce affatto se la destinazione alla ricerca scientifica degli embrioni prodotti avverrebbe gratuitamente. Il difensore dei ricorrenti, in un comunicato stampa emesso a seguito del ricorso al Presidente della Corte Costituzionale dei Giuristi per la Vita di cui si è già fatto cenno supra, nota 3, ha pubblicamente sostenuto che i nove embrioni sono “proprietà” della coppia che li ha generati. Si tratta della posizione assunta da Parrillo nella causa Parrillo c. Italia davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, su cui infra, par. 5: la ricorrente sosteneva che «gli embrioni concepiti mediante fecondazione in vitro non potevano essere considerati “persone” in quanto se non erano impiantati non erano destinati a svilupparsi in feti e a nascere. Ha concluso che, dal punto di vista giuridico, essi erano dei “beni”. Date le circostanze ella ha ritenuto di aver diritto alla proprietà dei suoi embrioni e che lo Stato avesse imposto restrizioni di tale diritto non giustificate da alcuna causa di pubblica utilità.» (CEDU, sent. Parrillo c. Italia, 27/8/2015, parr. 202 e 203).
[11] esattamente dalla fusione del citoplasma dello spermatozoo con il citoplasma dell’oocita.
[12] Ord. Trib. Firenze del 7/12/2012: «Nessun rilievo viene attribuito alla specifica condizione in cui il materiale genetico si trova; e ciò vale, soprattutto, per gli embrioni soprannumerari o residuati al trattamento di PMA»
[13] Si tratta di affermazione provvisoria: nel prosieguo il Giudice solleva anche la questione di costituzionalità dell’art. 6, comma 3, legge 40 e, quindi, sostiene l’illegittimità del divieto di revoca del consenso dopo la fecondazione dell’ovulo; la questione, quindi, travolge la distinzione di cui si parla, perché si sostiene che il rifiuto al trasferimento in utero, previa revoca del consenso da parte della donna, sia possibile anche per gli embrioni di cui non è stata accertata alcuna malattia.
[14] quindi per tutti quelli prodotti dalla coppia ricorrente.
[15] Un richiamo implicito alla «funzione sociale» della proprietà privata (art. 42 Cost.)?
[16] Questi principi sono stati ribaditi recentemente dalla Corte Costituzionale con l’ord. n. 234 del 2013. La Corte ha dichiarato legittima la previsione della legge n. 194 del 1978 che prevede la procedibilità d’ufficio (e non a querela) del reato di aborto colposo, osservando che «in seguito alla riforma attuata con la legge n. 194 del 1978, non può utilmente proporsi una comparazione tra l’aborto colposo e le lesioni personali colpose, perché l’aborto colposo è configurato come un reato autonomo, rispetto al quale vengono in rilievo, oltre all’integrità psico-fisica della donna, altri interessi costituzionalmente garantiti, quali quelli relativi alla protezione della maternità (art. 31, secondo comma, Cost.), e alla tutela del concepito, desumibile dall’art. 2 Cost. (sentenze n. 35 del 1997 e n. 27 del 1975)». Un fuggevole riferimento all’esigenza della tutela dell’embrione limitata solo dalla necessità di individuare un giusto bilanciamento con la tutela delle esigenze di procreazione è contenuto nella Sent. della Corte Cost. n. 162 del 2014 sul divieto di fecondazione eterologa. Sulle affermazioni presenti nella sentenza della Corte Cost. n. 229 del 2015, infra nel testo, par. 6.
[17] Art. 13, comma 3, lett. a): «Sono comunque, vietati … la produzione di embrioni umani …»; Art. 14, comma 2: «Le tecniche di produzione degli embrioni …»; art. 14, comma 5: «I soggetti … sono informati … sullo stato di salute degli embrioni prodotti …»
[18] La descrizione della tecnica è effettuata nel paragrafo III delle Linee Guida.
[19] Nell’uso veterinario, lo scopo è esplicitamente eugenetico (miglioramento della razza dell’animale); nell’uso umano le tecniche possono essere utilizzate «al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o infertilità umana», come indica l’art. 1 della legge 40; ovvero allo scopo di selezionare ed eliminare gli embrioni malati; ovvero, ancora, per ottenere “materiale” per le ricerche scientifiche di vario tipo.
[20] Basti richiamare l’esperienza delle banche del seme assai diffuse in altri paesi (e vietate dall’art. 12, comma 6, della legge 40) nelle quali i gameti maschili e femminili sono catalogati sulla base delle caratteristiche fisiche del donatore.
[21] come si è visto, nel caso di specie sono stati prodotti dieci embrioni in un solo ciclo.
[22] ma anche gli strumenti per la diagnosi di gravidanza.
[23] Corte interamericana dei diritti dell’uomo, Artavia Murillo y otros (“Fecundación in vitro”) c. Costa Rica, del 28 novembre 2012, serie C., n. 257, reperibile in http://joomla.corteidh.or.cr:8080/joomla/es/jurisprudencia-oc-avanzado/38-jurisprudencia/1950-corte-idh-caso-artavia-murillo-y-otros-fertilizacion-in-vitro-vs-costa-rica-excepciones-preliminares-fondo-reparaciones-y-costas-sentencia-de-28-noviembre-de-2012-serie-c-no-257; la pronuncia è menzionata dalla sentenza della Corte EDU Parrillo c. Italia, cit., al par. 68.
[24] Article 4. Right to Life «Every person has the right to have his life respected. This right shall be protected by law and, in general, from the moment of conception. No one shall be arbitrarily deprived of his life.». I testi in lingua straniera sono tradotti dall’A. e riportati nella lingua originale in nota.
[25] Corte Interamericana dei diritti umani, sent. cit.: «the embryo cannot be understood to be a person for the purposes of Article 4(1) of the American Convention»
[26] Corte Interamericana dei diritti umani, sent. cit.: «the Court has concluded that “conception” in the sense of Article 4(1) occurs at the moment when the embryo becomes implanted in the uterus, which explains why, before this event, Article 4 of the Convention would not be applicable»
[27] Corte Interamericana dei diritti umani, sent. cit: «the protection of the right to life under this provision is not absolute, but rather gradual and incremental according to its development, since it is not an absolute and unconditional obligation, but entails understanding that exceptions to the general rule are admissible.»
[28] Osserva Stefano Fontana (S. Fontana, La crisi giuridica ovvero l’ingiustizia legale, in Crepaldi, Fontana (a cura di) Quinto Rapporto sulla dottrina sociale della Chiesa nel mondo, Siena, 2013, p. 16): «si constata una giurisprudenza delle Corti di giustizia internazionali che si arroga il diritto di formulare delle definizioni metafisiche e non solo di individuazione delle fattispecie giuridiche, fino a definire in proprio – ma non si capisce con quale autorità – quanto in precedenza era definito dalla religione, dal senso comune, dalla legge naturale, dalla politica. Le Corti di giustizia, nel momento in cui si concedono questo diritto di ridefinizione metafisica della natura umana – espressione di un dogmatismo pragmatico indifferente al principio ontologico della persona – nel momento cioè della massima loro forza, dimostrano anche e conseguentemente la crisi giuridica, dando luogo all’ingiustizia legale. La Corte Interamericana per i Diritti Umani ha giuridicamente imposto al Costa Rica una ingiustizia. Maggiore crisi giuridica non ci potrebbe essere».
[29] Corte Interamericana dei diritti umani, sent. cit: «The Court underlines that the evidence in the case file shows that IVF has transformed the discussion on how the phenomenon of “conception” is understood. Indeed, IVF has revealed that some time may elapse between the fusion of the egg and the spermatozoid and implantation. Therefore, the definition of “conception” accepted by the authors of the American Convention has changed. Prior to IVF, the possibility of fertilization occurring outside a woman’s body was not contemplated scientifically.»
[30] Corte Interamericana dei diritti umani, sent. cit: «Indeed, IVF has revealed that some time may elapse between the fusion of the egg and the spermatozoid and implantation.»
[31] Corte Interamericana dei diritti umani, sent. cit: «Thus, the Court considers that the term “conception” cannot be understood as a moment or process exclusive of a woman’s body, given that an embryo has no chance of survival if implantation does not occur.»
[32] Ricerche effettivamente in corso e aventi una qualche consistenza, tanto da essere esplicitamente vietate dall’art. 13, comma 3, lett. c) legge 40 del 2004.
[33] Corte Interamericana dei diritti umani, sent. cit: «Proof of this is that it is only possible to establish whether or not pregnancy has occurred once the fertilized egg has been implanted in the uterus, when the hormone known as “chorionic gonadotropin” is produced, which can only be detected in a woman who has an embryo implanted in her.»
[34] Corte Interamericana dei diritti umani, sent. cit: «The precedents examined so far allow it to be inferred that the purpose of Article 4(1) of the Convention is to safeguard the right to life, without this entailing the denial of other rights protected by the Convention. Thus, the object and purpose of the expression “in general” is to permit, should a conflict between rights arise, the possibility of invoking exceptions to the protection of the right to life from the moment of conception. In other words, the object and purpose of Article 4(1) of the Convention is that the right to life should not be understood as an absolute right, the alleged protection of which can justify the total negation of other rights.»
[35] Ci riferiamo alla tutela affermata nelle pronunce delle Corte Costituzionali, cui non sempre corrispondono le norme adottate dal legislatore ordinario.
[36] Il riferimento è alla pillola “del giorno dopo” e alla più recente pillola “dei cinque giorni dopo”.
[37] Department of Health and Social Security, Report of the Committee of inquiry into Human Fertilization and Embriology, London, Her Majesty’s Stationary Office, 1984, pag. 65. La traduzione in italiano è quella contenuta in A. Serra, L’uomo-embrione, Siena, 2003, p. 45.
[38] Sono tutte rammentate nella sentenza della Corte interamericana.
[39] Le notizie sono ricavate da Miranda Haider, La Corte Interamericana condanna il Costa Rica per il divieto di fecondazione in vitro, in DPCE online, 2013 – 2, reperibile alla pagina http://www.dpce.it/online/index.php/archivio/numero-2-2013/134-note-a-sentenza/302-la-corte-interamericana-condanna-il-costa-rica-per-il-divieto-di-fecondazione-in-vitro
[40] Corte Suprema del Costa Rica, sent. cit.: «Cuando el espermatozoide fecunda al óvulo esa entidad se convierte en un cigoto y por ende en un embrión. La más importante característica de esta célula es que todo lo que le permitirá evolucionar hacia el individuo ya se encuentra en su lugar; toda la información necesaria y suficiente para definir las características de un nuevo ser humano aparecen reunidas en el encuentro de los veintitrés cromosomas del espermatozoide y los veintitrés cromosomas del ovocito. […] Al describir la segmentación de las células que se produce inmediatamente después de la fecundación, se indica que en el estadio de tres células existe un minúsculo ser humano y a partir de esa fase todo individuo es único, rigurosamente diferente de cualquier otro. En resumen, en cuanto ha sido concebida, una persona es una persona y estamos ante un ser vivo, con derecho a ser protegido por el ordenamiento jurídico»
[41] Corte Suprema del Costa Rica, sent. cit.: «El embrión humano es persona desde el momento de la concepción, por lo que no puede ser tratado como objeto, para fines de investigación, ser sometido a procesos de selección, conservado en congelación, y lo que es fundamental para la Sala, no es legítimo constitucionalmente que sea expuesto a un riesgo desproporcionado de muerte. […] La objeción principal de la sala es que la aplicación de la técnica importa una elevada pérdida de embriones, que no puede justificarse en el hecho de que el objetivo de ésta es lograr un ser humano, dotar de un hijo a una pareja que de otra forma no podría tenerlo. Lo esencial es que los embriones cuya vida se procura primero y luego se frustra son seres humanos y el ordenamiento constitucional no admite ninguna distinción entre ellos.»
[42] CEDU, sent. Parrillo c. Italia, 27/8/2015, cit.: «Le sentenze nn. 348 e 349 stesse chiariscono la differenza tra i ruoli che hanno rispettivamente la Corte di Strasburgo e la Corte costituzionale, concludendo che la prima ha il compito di interpretare la Convenzione mentre l’ultima deve determinare se vi sia un conflitto tra una particolare disposizione interna e i diritti garantiti dalla Convenzione, inter alia alla luce dell’interpretazione fornita dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (…) I principi stabiliti nelle sentenze nn. 348 e 349 del 24 ottobre 2007 devono essere accolti favorevolmente, in particolare per quanto concerne la posizione attribuita alla Convenzione nell’ordinamento giuridico interno e l’incoraggiamento dato alle autorità giudiziarie nazionali a interpretare le norme interne e la Costituzione alla luce della Convenzione europea sui diritti dell’uomo e della giurisprudenza della Corte.»
[43] Si tratta di interpretazione infondata: la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 162 del 2014 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del divieto di fecondazione di tipo eterologo, non ha in alcun modo preso in considerazione – e nemmeno menzionato – il destino degli embrioni non destinati all’impianto.
[44] CEDU, sent. Parrillo c. Italia, 27/8/2015, cit.: «La Corte riconosce che la “tutela del potenziale di vita dell’embrione” può essere collegata al fine della protezione della morale e dei diritti e delle libertà altrui, nei termini in cui il Governo intende tale concetto (si veda altresì Costa e Pavan, sopra citata, §§ 45 e 59). Ciò non comporta tuttavia che la Corte abbia valutato se il termine “altri” si estenda agli embrioni umani (si veda A, B e C c. Irlanda, sopra citata, § 228)».
[45] Corte Cost. sent. n. 27 del 1975: «Ritiene la Corte che la tutela del concepito – che già viene in rilievo nel diritto civile (artt. 320, 339, 687 c.c.) – abbia fondamento costituzionale. L’art. 31, secondo comma, della Costituzione impone espressamente la “protezione della maternità” e, più in generale, l’art. 2 Cost. riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, fra i quali non può non collocarsi, sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie, la situazione giuridica del concepito.»
[46] La Corte ha anche escluso che il divieto di soppressione contrasti «con l’asserito “diritto di autodeterminazione” o, per interposizione, con il richiamato parametro europeo, per l’assorbente ragione che il divieto di soppressione dell’embrione malformato non ne comporta, per quanto detto, l’impianto coattivo nell’utero della gestante, come il rimettente presuppone e, in relazione ai suddetti parametri, appunto censura».
[47] Si ricordino le osservazioni sulla condotta adottata dalla coppia ricorrente, così come emerge dall’ordinanza di rimessione del Tribunale di Firenze, supra, par. 1.
[48] Le statistiche ministeriali dimostrano che, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 151 del 2009, i tecnici della fecondazione in vitro avevano immediatamente iniziato a fare ciò che, negli anni successivi, è stato dichiarato legittimo (nel 2009 erano stati congelati oltre 7.000 embrioni, mentre l’anno precedente il numero di embrioni congelati era di 763): di conseguenza il numero degli embrioni crioconservati destinati a non essere mai trasferiti nel corpo delle loro madri genetiche è già alto. Secondo l’ultima Relazione del Ministero della Salute sull’attuazione della legge 40, concernente i dati del 2013, in quell’anno sono stati congelati oltre 22.000 embrioni. Il numero complessivo degli embrioni crioconservati, tuttavia, dipende anche da quelli scongelati al fine di trasferimento in utero; nel 2013 sono stati scongelati oltre 14.000 embrioni: in definitiva, in quell’anno, il numero complessivo di embrioni in stato di crioconservazione è aumentato di circa 8.000 embrioni. La Relazione è reperibile sia sul sito del Ministero della Salute (http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2379_allegato.pdf ) che su quello del Parlamento.
[49] Come è sempre avvenuto: il fatto che fin dal 1986 l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa avesse raccomandato il divieto di produzione di embrioni umani ai fini di ricerca, poi vietata esplicitamente dalla Convenzione di Oviedo nel 1997, dimostra che i tecnici della fecondazione in vitro e alcuni ricercatori, fin dal nascere delle tecniche, hanno considerato gli embrioni umani mero “materiale da ricerca”.
[50] L’art. 17 comma 3 della legge 40 del 2004 prevedeva una ricognizione degli embrioni già crioconservati alla data di entrata in vigore della legge e l’adozione di un decreto del Ministro della Salute concernente «le modalità e i termini di conservazione» degli stessi; le Linee Guida, nel paragrafo dedicato alla «Crioconservazione degli embrioni: modalità e termini», individuava e definiva la categoria degli embrioni «in stato di abbandono», vale a dire non in attesa di un futuro trasferimento in utero, disponendo che, nel futuro, essi sarebbero stati crioconservati in maniera centralizzata con oneri a carico dello Stato; il Ministro della Salute emanava il Decreto del 4/8/2004, con il quale si prevedeva il trasferimento degli embrioni in stato di abbandono alla Biobanca Nazionale presso l’Ospedale Maggiore di Milano, previsione mai realizzata; il Ministero della Salute ha creato una Commissione di studio sugli embrioni crioconservati nei centri di P.M.A., il cui orientamento è citato nella sentenza CEDU Parrillo c. Italia cit. Il parere della Commissione è reperibile in http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_minpag_658_documenti_documento_1_fileAllegatoDoc.pdf
[51] In effetti, molti embrioni muoiono dopo lo scongelamento. Nella Relazione Ministeriale del 2015 cit. emerge che, degli oltre 14.000 embrioni scongelati menzionati supra nella nota 48, non tutti sono stati trasferiti in utero (su 7.428 cicli iniziati, solo 6.818 hanno visto il trasferimento in utero di uno o più embrioni).
[52] Cosicché si intravede nella richiesta di destinare gli embrioni scartati alla ricerca scientifica una motivazione di carattere economico: se essa fosse lecita verrebbe meno il costo del mantenimento e, probabilmente, sarebbe ipotizzabile anche un guadagno in caso di cessione onerosa ai laboratori di ricerca.
[53] Sul punto, peraltro, si riscontra un’ordinanza del Tribunale di Bologna del 16/1/2015 che ha autorizzato il trasferimento degli embrioni nell’utero della madre in un caso simile (reperibile in http://www.biodiritto.org/index.php/item/613-tribunale-di-bologna-ordinanza-16012015-%E2%80%93-autorizzazione-all%E2%80%99impianto-di-embrioni-congelati-nel-1996)
[54] L’ottica della necessità di “risolvere il problema” emerge anche nella decisione della Corte EDU Parrillo c. Italia cit., nella quale si sottolinea la possibilità sopravvenuta – dopo la caduta del divieto di fecondazione eterologa – di procedere alla cd. Adozione per la Nascita, di cui il Comitato per la bioetica aveva già trattato nel parere del 18/11/2005. Non si tratta, comunque, di tematica che la Corte Costituzionale dovrà affrontare.
[55] Supra, par. 2.
[56] CGUE (Grande Sezione), 18/10/2011, Oliver Brüstle c. Greenpeace: «costituisce un embrione umano qualunque ovulo umano fin dalla fecondazione …». «Il contesto e lo scopo della direttiva rivelano pertanto che il legislatore dell’Unione ha inteso escludere qualsiasi possibilità di ottenere un brevetto quando il rispetto dovuto alla dignità umana può esserne pregiudicato. Da ciò risulta che la nozione di “embrione umano”, ai sensi dell’art. 6, n. 2, lett. c) della Direttiva deve essere inteso in senso ampio. In tal senso, sin dalla fase della sua fecondazione qualsiasi ovulo umano deve essere considerato come un embrione umano … dal momento che la fecondazione è tale da dare avvio al processo di sviluppo di un essere umano». I principi sono stati confermati nella decisione della Corte di Giustizia (Grande Sezione) del 18/12/2014 nella causa C364/13, nel procedimento International Stem Cell Corporation contro Comptroller General of Patents, Designs and Trade Marks.
[57] Dato in verità del tutto incerto sotto il profilo scientifico. Si ha notizia di gravidanze avviate e portate a termine mediante il trasferimento di embrioni prodotti decenni prima. L’ordinanza del Tribunale di Bologna menzionata supra, nota 53 ha autorizzato il trasferimento di embrioni prodotti 19 anni prima. L’argomentazione basata sulla “anzianità” degli embrioni tace un altro dato, assolutamente pacifico e in Italia verificabile dalla lettura della Relazione del Ministro della Salute sull’attuazione della legge 40: la probabilità per un embrione scongelato di sopravvivere allo scongelamento, al trasferimento in utero e alla gravidanza è in ogni caso assai bassa (nel 2013, a fronte di oltre 14.000 embrioni scongelati si è registrato il 23,7% di gravidanze e i parti registrati sono stati 1.169, di cui lo 0,4% di bambini nati morti; in definitiva, solo il 9% degli embrioni scongelati è divenuto “bambino in braccio”, mentre 12.800 embrioni sono morti nelle varie fasi della procedura), cosicché la minore probabilità di sopravvivere per gli embrioni “anziani” non li differenzia in maniera significativa dagli altri.
[58] Ovviamente la sovrapproduzione degli embrioni applicata sistematicamente dai tecnici della fecondazione in vitro comporta la difficoltà di trasferirli tutti, anche se sani e privi di difetti.
[59] La Commissione di studio sugli embrioni crioconservati nei centri di P.M.A. propone questa argomentazione: «Ad avviso di questa Commissione è equivalente diagnosticare a carico degli embrioni la morte (intesa come fine della vitalità di tutte le cellule di cui sono composti) o la perdita di vitalità come organismi (intesa come l’irreversibile incapacità dell’embrione, considerato non come la somma di un determinato numero di cellule, ma come un organismo le cui cellule funzionano secondo una dinamica biologica unitaria di svilupparsi). Le motivazioni scientifiche e bioetiche di questa equivalenza non possono evidentemente essere esposte in modo adeguato in questa sede, ma risulterà a tutti evidente l’analogia (peraltro molto imperfetta) tra la perdita di vitalità dell’embrione, intesa come assenza della dinamica biologica di sviluppo unitario dell’organismo, e la morte accertabile secondo criteri che non richiedono la verifica della perdita di vitalità di tutte le cellule di cui è composto un corpo, ma solo il realizzarsi di un evento che impedisce a quel corpo (rectius a quel cadavere), di funzionare come una singola unità biologica, nonostante alcune cellule ed alcune funzioni possano temporaneamente mantenere una disaggregata vitalità»; la Commissione, tuttavia, conferma che anche per accertare la “perdita di vitalità” dell’embrione congelato occorre scongelarlo, con le conseguenze già trattate nel testo.
[60] A. Giubilini, F. Minerva, After-birth abortion: why should the baby live?, in Journal of Medical Ethics, J Med Ethics 2013; 39:5 261-263 Published Online First: 23 February 2012
[61] Il tema ha un’applicazione concreta: poiché l’art. 7, comma 3, della legge 194 del 1978 prevede una forte limitazione dell’aborto tardivo «quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto», numerosi sono i tentativi di stabilire in via generale quale sia l’età gestazionale in cui ciò si verifica; ma i criteri sono gli stessi che riguardano il trattamento nei confronti dei neonati prematuri, atteso che sia nei confronti dei feti abortiti tardivamente che dei neonati prematuri vengono posti in essere i medesimi trattamenti; anche per i neonati prematuri sono stati posti in essere alcuni tentativi (uno dei quali formalizzato a livello ministeriale) di stabilire in linea generale che, sotto un certo sviluppo della gestazione, ogni trattamento di rianimazione nei confronti del neonato è inutile e non deve essere attivato.
[62] Giubilini, Minerva, cit.: «L’essere semplicemente un essere umano non è una ragione di per sé sufficiente per attribuire a qualcuno il diritto alla vita: pensiamo agli embrioni in sovrannumero, laddove la ricerca sugli embrioni è permessa, ai feti, laddove l’aborto è permesso, ai criminali laddove la pena di morte è legale.»
[63] Giubilini e Minerva, infatti, propongono proprio la distinzione tra aborto post-natale e eutanasia: «(…) chiediamo che uccidere un neonato sia eticamente accettabile in tutti i casi in cui lo è l’aborto. Questi casi includono quelli in cui i neonati siano potenzialmente in grado di vivere (per lo meno) una vita accettabile, ma il benessere della famiglia sia a repentaglio. (…) la seconda precisazione terminologica è sulla scelta di chiamare la pratica “aborto post-natale”, piuttosto che “eutanasia”. Questa è legata al fatto che l’interesse di chi muore non è necessariamente il primo criterio di scelta, al contrario di come avviene nei casi di eutanasia.»
16 febbraio 2016