di Giusella Finocchiaro e Laura Greco Sommario: 1. Premessa 2. Gli ostacoli; 2.1.…
Il pluralismo radiotelevisivo nel panorama della convergenza tecnologica: il caso della Web TV e delle Over-the-Top TV
1. Introduzione.
L’avvento della tecnologia digitale ed il parallelo processo di convergenza dei mezzi di comunicazione di massa hanno modificato in maniera indelebile il panorama del sistema radiotelevisivo così come tradizionalmente inteso. La digitalizzazione delle reti ed il processo di convergenza in atto tra diverse piattaforme diffusive hanno, infatti, consentito l’apertura di nuovi orizzonti evolutivi, ponendo fine al principio della scarsità delle risorse frequenziali che per anni ha condizionato l’attività di regolamentazione in materia. Tale trasformazione ha favorito l’emergere di un sistema concorrenziale del tutto nuovo perché in atto tra piattaforme tecnologiche differenti e tra soggetti provenienti da mercati anche profondamente distinti e concorrenti. L’affermarsi di questo nuovo scenario digitale assume significato rilevante, in quanto tali cambiamenti non solo presentano valore e significato in sé, ma concorrono in maniera integrata alla piena realizzazione del pluralismo del settore radiotelevisivo, ritenuto elemento cardine del processo democratico delle società moderne. La diffusione plurale di opinioni, idee e informazioni, infatti, è da sempre collegata indissolubilmente alla corretta evoluzione democratica delle società contemporanee, perché in grado di promuovere tra i cittadini il dibattito circa le questioni fondamentali dell’organizzazione sociale cui fanno parte, rendendoli soggetti attivi e consapevoli. D’altra parte, il benessere democratico di una società “non dipende solo dalla tutela di diritti fondamentali che l’apparato legislativo, esecutivo e giudiziario sono in grado di garantire, ma anche dalla vitalità del dibattito che si realizza nella c.d. sfera pubblica” [1]. È noto, infatti, che la garanzia del pluralismo e l’imparzialità dell’informazione costituiscono strumenti essenziali per la realizzazione di una democrazia compiuta [2]. In tale panorama, nel perseguimento dell’obiettivo di trasformare il valore del pluralismo – nella sua duplice dimensione interna ed esterna – da una mera norma di principio ad elemento concreto ed immanente del panorama informativo, un ruolo di primissimo piano negli anni è stato svolto dal mezzo televisivo. Considerata il “serbatoio prevalente della cultura della contemporaneità” [3] la televisione, forte del suo carattere pervasivo all’interno della comunità, ha influenzato fortemente la realizzabilità del fine pluralistico attraverso le caratteristiche quali-quantitative dei contenuti diffusi, del numero e delle peculiarità degli operatori del settore e dell’attività di divulgazione delle informazioni svolta in parallelo con la stampa e la radio. Tale mezzo, tuttavia, rappresenta al tempo stesso lo strumento di diffusione del pensiero che ha maggiormente risentito dell’evoluzione delle tecnologie applicate alla diffusione dei contenuti audiovisivi. Per anni, infatti, la piattaforma televisiva ha dovuto fare i conti con un panorama necessariamente limitato, in termini sia di soggetti operanti, sia di varietà dei contenuti diffusi, a causa del numerus clausus delle frequenze un tempo utilizzabili ai fini dell’erogazione di tale servizio. L’ampliamento delle possibilità di accesso determinato dalla conversione digitale del segnale analogico ha, invece, favorito per la prima volta l’affermarsi di percorsi evolutivi alternativi grazie all’avvento di nuovi soggetti operanti, di innovative modalità di diffusione dei contenuti audiovisivi e di nuove frontiere competitive. Questo ha comportato, a sua volta, un importante processo di disgregazione dell’impresa televisiva che da struttura verticalmente integrata, imperniata sull’identificazione tra operatore di rete e fornitore di contenuti, si è trasformata in un modello complesso ed articolato, imperniato sulla netta separazione tra la fase di gestione delle reti di veicolazione del segnale e l’attività di diffusione dei contenuti, con il contemporaneo emergere di figure professionali innovative, dotate di profili di competenza e di responsabilità più idonee a sfruttare le potenzialità tecnologiche emerse nel panorama digitale. In tale contesto, il settore televisivo ha abbandonato il tradizionale modello organizzativo di tipo accentrato, in cui l’emittente assolveva la duplice funzione di editore ed operatore di rete e si rivolgeva ad un utente sostanzialmente passivo, che “subiva” il proprio palinsesto, muovendovi verso un sistema stratificato e complesso, caratterizzato da un vasto panorama di soggetti operanti, di contenuti diffusi e di modalità di fruizione. Inoltre, il processo di convergenza tecnologica ha completato la trasformazione avviata dalla digitalizzazione del segnale favorendo l’affermarsi di uno scenario “multi-funzionale”, in cui “tutto è veicolabile su tutto” [4] in base alle scelte e alle esigenze dell’utente. Grazie alla sostanziale interscambiabilità tra piattaforme diverse, il servizio audiovisivo – già “slinearizzato” [5] con l’avvento del digitale – ha perso, infatti, anche la sua storica immedesimazione con la televisione, intesa come esclusivo strumento diffusivo dei contenuti audiovisivi, iniziando a “migrare” su nuovi dispositivi. La conseguenza di tale trasformazione ha inciso, inevitabilmente sulla tipologia dei contenuti audiovisivi, nonché sulle relative modalità di diffusione. L’utente televisivo passivo abituato ad un palinsesto predeterminato e all’assenza di strumenti che gli consentano un’attività interattiva, è diventato un “prosumer” [6], vale a dire un soggetto fortemente attivo nella esperienza di consumo, perché in grado di affiancare al proprio ruolo di fruitore, la funzione di editore attraverso l’aggregazione di contenuti provenienti da fornitori diversi ovvero attraverso la produzione degli stessi in prima persona. Questi, per la prima volta, ha la possibilità di partecipare direttamente al processo di creazione del contenuto diffusivo, affiancandosi ai tradizionali operatori ed introducendo contenuti, spesso innovativi, direttamente “dal basso”, vale a dire da quello che era una volta esclusivamente il mercato di destinazione del prodotto realizzato. È il fenomeno dei cosiddetti user generated contents, in cui colui che tradizionalmente rappresentava l’utente finale si trasforma in editore e fornitore di contenuti ampliando, grazie alla bidirezionalità dei mezzi trasmissivi, il ventaglio dell’offerta televisiva attraverso l’introduzione di prodotti propri, spesso di carattere non professionale. È evidente che il contributo diretto o indiretto del prosumer a sua volta consente al sistema dell’audiovisivo di evolversi verso una tipologia di produzione personalizzata e articolata in base alla molteplicità di gusti e di preferenze, lontana dalla produzione seriale di massa. Dal punto di vista dell’obiettivo pluralista l’utente si trova ad operare in uno scenario notevolmente ampliato in termini di opportunità di dibattito critico e di analisi. Egli, infatti, coniugando le possibilità offerte dalle caratteristiche della a-temporalità e della a-spazialità della Rete Internet [7] con la pervasività del mezzo televisivo, è in grado di travalicare i confini del “salotto di casa” con evidenti ricadute positive sulla diffusione plurale dei pensieri veicolati. Questa storica interconnessione tra settori tradizionalmente distinti ed operatori caratterizzati da un bagaglio di esperienze fortemente differenziato ha gettato le basi per quello che è stato definito efficacemente un “ecosistema digitale” [8], caratterizzato da nuovi modelli competitivi, nuove piattaforme diffusive e nuove modalità di utilizzo dei servizi audiovisivi. In tale innovativo coacervo, la televisione, così come tradizionalmente intesa, si spoglia del proprio ruolo di piattaforma dominante del settore degli audiovisivi iniziando a configurarsi non più come mezzo esclusivo di diffusione, ma solamente come uno dei possibili strumenti alternativi presenti in tale variegato panorama. Ne deriva un cambiamento profondo del modo di intendere e di usufruire il servizio radiotelevisivo che, svincolato dai limiti concreti del mezzo trasmissivo si arricchisce di nuove potenzialità e prospettive evolutive fermo restando il valore centrale che esso assume ai fini della corretta evoluzione della società. Al tempo stesso, però, tale trasformazione pone nuove sfide regolative dettate da modalità di diffusione talmente innovative da risultare di difficile inquadramento nell’attuale panorama normativo [9] e, parallelamente, nuove esigenze di tutela in vista dell’acuirsi dello scontro competitivo.
2. Le nuove piattaforme diffusive: il caso della Web TV.
Tra le molteplici ed innovative attività di diffusione di contenuti audiovisivi emerse nell’ultimo decennio, un esempio di particolare rilievo ai fini del pluralismo radiotelevisivo di carattere interno è rappresentato dalla Web TV. Con tale termine si fa riferimento alla “trasmissione di prodotti audiovisivi, ricevuti dagli utenti tramite terminali evoluti (PC, PDA, Pocket PC, etc.) e fruiti in modalità on-line, in modalità streaming o tramite “download” via Internet (“Big Internet” o rete not managed), e quindi con qualità di tipo non garantito o “best effort” [10]). La Web Tv è attualmente l’unica forma trasmissiva che garantisce un effettivo ampliamento delle “voci” e delle fonti di informazione a disposizione degli utenti finali, in quanto favorisce la partecipazione di una serie di soggetti che in passato erano sostanzialmente esclusi dal circuito televisivo. Se la televisione tradizionale, infatti, limita inevitabilmente l’accesso ai soli soggetti aventi disponibilità tecniche-economiche adeguate alla realizzazione dell’attività diffusiva, sottoponendoli, soprattutto, ad un puntuale regime di tipo autorizzatorio, la Web TV, sfruttando una semplice connessione alla Rete Internet, consente potenzialmente a chiunque di calarsi nel ruolo di editore e di realizzare una vera e propria televisione personale attraverso la scelta e la composizione dei contenuti che si intendono divulgare. In tale contesto, l’utente finale si trasforma in attivo della filiera produttiva attraverso l’autonoma individuazione degli spazi di diffusione del proprio pensiero, dei propri convincimenti e delle proprie opinioni, ampliando in maniera esponenziale l’ambito di esercizio dei propri diritti fondamentali. In tale prospettiva, la Web Tv potenzia notevolmente il ruolo democraticamente rilevante del mezzo televisivo ampliandone il relativo campo d’azione in termini di soggetti coinvolti e di varietà dei contenuti diffusi. La tradizionale trasmissione di programmi televisivi ad un’ampia ed eterogenea platea di generi diversi lascia il posto, infatti, ad una dimensione quasi – se non del tutto – tematica dovuta alla sostanziale tendenza della televisione sul Web di focalizzarsi su singoli generi o addirittura su singoli temi di approfondimento. In questo modo, l’omogeneizzazione dettata dalla televisione generalista subisce un ridimensionamento a favore di nuovi spazi comunicativi in Rete destinati a soggetti non professionali e di nuovi spazi di “nicchia “ per specialisti ed operatori del settore [11]. Un’altra novità di rilievo è rappresentata dalla dimensione partecipativa delle nuove piattaforme trasmissive. Molteplici, infatti, sono le Web TV che nascono con una specifica mission di denuncia o di approfondimento informativo finalizzato a rendere note od amplificare situazioni di disagio o di incuria dei luoghi di appartenenza dei fornitori di contenuti. Sotto tale profilo, per la prima volta piccoli gruppi di utenti, avvalendosi della maggiore pervasività dell’immagine collegata all’ampiezza della Rete, assumono le vesti di watchdog, divenendo controllori diretti del corretto funzionamento delle istituzioni [12]. Un controllo, questo, che viene a svilupparsi ed articolarsi lungo i variegati confini territoriali nazionali, rafforzandosi grazie al diretto collegamento esistente tra il soggetto informatore ed il contesto oggetto di analisi. È evidente che, in questo modo, la platea di oratori si allarga a dismisura rispetto alla televisione tradizionalmente intesa. Una moltitudine di cittadini di varia estrazione sociale, età e professione, decide di trasformarsi da passivo destinatario del servizio audiovisivo ad ideatore ed organizzatore dei contenuti televisivi. Le finalità ultime possono essere le più svariate, ma le motivazioni di fondo nascono dalla stessa comune possibilità: coniugare la capacità penetrativa delle immagini televisive con le enormi potenzialità della Rete Internet al fine di ampliare al massimo la sfera di realizzazione del fondamentale diritto alla manifestazione del pensiero. Un ulteriore elemento di rilievo che sottolinea la particolarità di tale piattaforma di distribuzione è rappresentato dalla possibilità offerta all’utente di interagire in maniera immediata con il fornitore dei contenuti ed, eventualmente, con gli altri utenti attraverso molteplici metodi di interazione messi a disposizione dalla piattaforma. La Web TV, infatti, permette il dialogo bidirezionale tra editore e utente grazie alla possibilità di fornire feedback attraverso il sistema dei commenti, di attivare forum, newsletter, chat on-line fino alla creazione di vere e proprie community che si fanno carico di promuovere le attività diffuse ovvero di fornire consigli e proposte in merito alle tematiche da affrontare. Sulla base delle considerazioni fatte, è evidente che la globalità della diffusione dei contenuti, l’immediatezza del momento comunicativo e la bidirezionalità della comunicazione proprie della Web Tv rendono questa piattaforma particolarmente innovativa e rilevante ai fini del pluralismo di tipo interno.
2.1. La Web TV tra rilievi critici e disciplina normativa.
Accanto alle conseguenze positivamente operanti in vista del perseguimento dell’obiettivo pluralista, l’affermarsi di forme di diffusione dei contenuti audiovisivi mediante la Rete Internet presenta anche degli aspetti critici alla luce della peculiarità di un mezzo trasmissivo che da anni si trova al centro di un delicato dibattito dottrinale e giurisprudenziale. In particolare, la Web TV tende a concentrare su di sé sia gli aspetti problematici che hanno in passato caratterizzato la disciplina radiotelevisiva nella sua affannosa ricerca di un punto di equilibrio plurale di voci e di fonti informative, sia i numerosi profili di criticità collegati alla regolazione delle attività su Web [13]. Nel processo di realizzazione di un idoneo bilanciamento tra tutela dei diritti fondamentali degli utenti e necessità di porre le nuove tecnologie al servizio della libertà di manifestazione del pensiero, il primo aspetto critico è rappresentato dalla problematica individuazione degli elementi essenziali che permettono di riconoscere il fenomeno della Web TV e di distinguerlo da altre forme di comunicazione, che, pur facendo uso di immagini ed audio, non possono essere considerate direttamente concorrenti con le emittenti radiotelevisive tradizionali. A rendere particolarmente complessa questa attività di identificazione è il carattere peculiare di tale tipologia di TV, che – come visto – si afferma come una attività di tipo trasversale, sia in termini di contenuti diffusi, sia in termini di soggetti coinvolti. A tal fine, il primo riferimento normativo in materia è ovviamente rappresentato dal Testo Unico dei servizi di media audiovisivi, tuttavia, non nella sua formulazione originaria datata 2005, bensì nel testo rinnovato ad opera del D. Lgs. n. 44 del 2010. In linea con la direttiva europea n. 65 del 2007 [14] cui ha dato attuazione, il citato decreto sottopone al campo di applicazione della disciplina in materia radiotelevisiva solo quelle forme di comunicazione in Rete caratterizzate dalla presenza congiunta di due condizioni fondamentali in capo ai soggetti soggetti aggregatori: la responsabilità editoriale – in qualsiasi modo esercitata – e la presenza di effettivo sfruttamento economico dei contenuti diffusi. Il primo elemento, a sua volta, implica la presenza di due ulteriori condizioni concorrenti: l’esercizio di un controllo effettivo sia sulla selezione dei programmi, ivi inclusi i programmi-dati, sia sulla loro organizzazione in un palinsesto cronologico, nel caso delle radiodiffusioni televisive o radiofoniche, o in un catalogo nel caso dei servizi a richiesta. In questo modo, la disciplina attuale consente di compiere una prima scrematura tra le diverse forme di comunicazione presenti in Rete, ancorando l’attività audiovisiva alla responsabilità editoriale dei fornitori di contenuti. Per individuare, invece, il sistema di obblighi gravanti sui titolari di Web TV si rende necessario integrare la normativa di rango primario con la disciplina di dettaglio, la cui adozione, ai sensi degli artt. 21-bis e 22-bis del Testo Unico, è stata affidata dal legislatore italiano all’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni Sulla base di tale competenza, l’Autorità, con delibera n. 606/10/CONS [15], ha approvato il regolamento concernente la prestazione di servizi di media audiovisivi lineari o radiofonici su altri mezzi di comunicazione elettronica (in sostanza Web TV, IPTV e mobile TV). Tale provvedimento subordina l’esercizio di tale forma di comunicazione al rilascio di un’apposita autorizzazione fondata sull’istituto del silenzio-assenso, attraverso il tacito accoglimento della domanda ai sensi dell’articolo 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Di conseguenza, i soggetti che presentano la domanda di rilascio del titolo si intendono autorizzati entro 30 giorni dalla relativa presentazione, salvo l’adozione di un motivato provvedimento di diniego in mancanza dei requisiti richiesti. Rileva sottolineare che tali autorizzazioni, con durata rinnovabile pari a 12 anni, non possono essere rilasciate a società che non abbiano per oggetto sociale l’esercizio di attività radiotelevisiva, editoriale o comunque attinente all’informazione o allo spettacolo [16]. Infine, i soggetti che hanno ottenuto l’autorizzazione per effetto del silenzio-assenso sono tenuti all’iscrizione presso il Registro degli operatori della comunicazione. Ne sono dispensati, invece, i soggetti che ai sensi del regolamento descritto non sono tenuti a richiedere l’autorizzazione. Passando all’individuazione degli obblighi e delle responsabilità a carico di tali società, il suddetto regolamento prevede un quadro regolativo con obblighi sostanzialmente identici a quanto previsto per le emittenti televisive. Tali Web TV, sia che forniscano servizi organizzati in palinsesti, sia che diffondano i propri contenuti su richiesta, sono tenute a rispettare le disposizioni in materia di garanzie degli utenti e dei diritti d’autore di cui agli articoli 32 e 32-bis del Testo unico; le disposizioni in materia di comunicazioni commerciali audiovisive, quando applicabili e le disposizioni in tema di tutela dei minori di cui all’articolo 34 del Testo unico. Inoltre, sono tenute a promuovere, gradualmente e tenuto conto delle condizioni del mercato, la produzione di opere europee e l’accesso alle stesse, secondo le modalità definite dal regolamento di cui all’articolo 44, comma 7, del Testo unico. Per i servizi di media audiovisivi di tipo lineare la delibera n. 606/10/CONS prevede, in aggiunta, il rispetto delle disposizioni di cui all’articolo 32-quinquies, comma 2, del Testo unico in materia di responsabilità e rettifica delle informazioni fornite dai telegiornali e giornali radio. Il Testo Unico ed il regolamento attuativo adottato dall’Autorità, quindi, fanno proprio il principio della sostanziale sostituibilità del mezzo trasmissivo. Il fatto che l’attività televisiva venga diffusa tramite un computer ovvero un tablet e non sul tradizionale mezzo di trasmissione non è condizione valida per eventuali esoneri di responsabilità. Tuttavia, proprio il principio della perfetta sostituibilità ha sollevato delle criticità soprattutto con riferimento a quelle tipologie di Web Tv definite “micro” perché caratterizzate da un’attività di diffusione di immagini non altamente remunerativa e spesso incentrata su uno o pochi soggetti operanti al proprio interno. Essendo contraddistinte dalla diffusione di immagini e suoni di “carattere non meramente accidentale”, dovrebbero anche esse essere soggette all’articolato quadro di obblighi e responsabilità che ricadono su una grande emittente radiotelevisiva. Tale possibilità è stata oggetto di un intenso dibattito sollevato dagli operatori della Rete a seguito della stesura della prima versione del regolamento proposto da Agcom. A tal proposito, molti hanno ritenuto iniqua l’imposizione di un carico di obblighi identico per tutti gli operatori senza alcuna differenziazione almeno per le Web TV di minori dimensioni. Si è paventato, in particolare, il rischio di un “soffocamento” del giornalismo di tipo partecipativo che proprio nelle piccole realtà aveva trovato nuovo impulso e vigore [17]. A stimolare ulteriormente tali critiche è intervenuta anche la disciplina dettata dalla già citata direttiva 2007/65/CE che fonda l’equiparazione delle nuove forme di televisione con quella tradizionale sulla capacità delle prime di entrare in concorrenza diretta con queste ultime. Nei confronti di tale previsione, è stato evidenziato che l’obiettivo economico perseguito dall’attività di diffusione può essere considerata condizione necessaria, ma non sufficiente a rendere realmente “pericolosa” una piccola Web TV di carattere regionale o addirittura locale rispetto ad una grande emittente nazionale. L’imposizione di regole e sistemi sanzionatori non sostenibili per una piccola realtà economica non avrebbe determinato un vantaggio in termini di concorrenza del sistema radiotelevisivo non essendovi di fatto i presupposti per un effettivo scontro competitivo ma, al contrario, avrebbe determinato conseguenze negative sul piano della pluralità delle fonti di informazione, spingendo alla chiusura di migliaia di micro Web TV presenti sul territorio nazionale. In seguito a tali critiche e perplessità, Agcom ha ritenuto necessario rivedere il testo proposto, circoscrivendo il campo di applicazione del regolamento ai soli professionisti effettivamente provvisti di capacità competitiva, vale a dire ai soggetti che dispongono di una soglia minima di ricavi annui derivanti da attività tipicamente radiotelevisive superiore a 100. 000 euro [18]. Questo ha permesso di tutelare tutti quegli spazi che, pur avvalendosi delle potenzialità della Rete, non assumono caratteristiche tali da poter essere paragonate ad attività informativa, ma vanno ad annoverarsi tra i nuovi ed innovativi modi in cui il pensiero del singolo viene ad esteriorizzarsi ai sensi dell’articolo 21 della Costituzione e ad alimentare il pluralismo nella sua dimensione interna.
3. Over-the-Top TV e pluralismo esterno.
L’innovazione tecnologica è intervenuta ad arricchire non solo il panorama delle voci e delle opinioni diffuse, ma anche il sistema degli attori direttamente coinvolti nella trasmissione di tale servizio, contribuendo ad ampliare in maniera determinante anche il carattere esterno del pluralismo radiotelevisivo. L’integrazione “broadcast-broadband” con la parallela nascita della televisione cosiddetta connessa – Connected TV – ha dato l’avvio, infatti, ad un panorama di servizi variegato e multiforme in cui alle trasmissioni tradizionali monodirezionali vengono ad affiancarsi servizi ad elevato valore aggiunto che fanno della connettività alla Rete e della interattività i propri punti di forza. In aggiunta, emittenti tradizionali ed operatori nativi digitali hanno iniziato per la prima volta a confrontarsi con soggetti caratterizzati da bagagli tecnico-operativi completamente diversi perché provenienti dal mondo delle reti di telecomunicazione, dall’editoria e da Internet. All’interno di questo complesso nucleo di soggetti affermatosi assumono rilievo ai fine del pluralismo di carattere esterno una particolare categoria di operatori noti come Over-the-Top. Il loro avvento sul mercato radiotelevisivo è talmente recente e così poco strutturato, anche in relazione agli strumenti utilizzati per la realizzazione della loro attività economica, da risultare difficile, oggi, darne una chiara definizione. Se si fa riferimento al mezzo attraverso il quale è possibile usufruire dei servizi erogati da questa nuova tipologia di operatori, è necessario parlare di Over-the-Top TV. Tale termine identifica un sistema di diffusione dei contenuti audiovisivi che utilizza come supporto trasmissivo il tradizionale schermo televisivo, abilitato, però, alla connessione ad Internet. In questo modo, la televisione, pur mantenendo intatte le proprie caratteristiche originarie, offre all’utenza un valore aggiunto grazie alla possibilità di connettersi alla Rete e di diffondere prodotti alternativi e spesso profondamente diversi da quelli già garantiti dal comune segnale digitale. Con riferimento, invece, ai soggetti coinvolti, la OTT TV consente ad Internet service provider come Google, Youtube e MySpace di varcare per la prima volta i confini del settore televisivo fornendo i propri prodotti ridefiniti ed adattati alla piattaforma nella sua rinnovata dimensione interattiva. Tali dispositivi, infatti, permettono l’accesso alla Rete “bypassando” concretamente il singolo access provider attraverso la predisposizione sullo schermo televisivo di apposite applicazioni software – le cosiddette “app” – che consentono agli utenti di collegarsi direttamente ai prodotti offerti da tali operatori. Questo giustifica la definizione di tali soggetti come Over-the-Top intesi come coloro che operano concretamente “al di sopra” della fascia degli ISP che normalmente forniscono i propri servizi in Rete. Alla luce di quanto brevemente descritto, è evidente che l’utilizzo di tali piattaforme solleva più di una criticità, nel caso in cui si voglia individuare il più opportuno quadro di regole e di responsabilità da riconoscere in capo ai nuovi operatori del settore. Gli Over-the-Top traslano, infatti, nel sistema radiotelevisivo “le problematiche connesse con la transnazionalità delle rete accentuate dalla ubiquità del servizio” [19] imponendo un ripensamento della disciplina in materia degli audiovisivi, che tenga conto delle caratteristiche caratteristiche e delle criticità del mondo della Rete. Il primo aspetto critico di rilievo riguarda, ancora una volta, l’individuazione di un idoneo sistema di responsabilità che consenta di identificare in maniera chiara e diretta gli autori degli illeciti che vengono compiuti in tale contesto convergente, pur non limitando a priori le potenzialità dei nuovi mezzi diffusivi. Tale attività risulta indispensabile ai fini della corretta evoluzione dell’attuale scenario degli audiovisivi, ma diviene particolarmente complessa se si considera che tra gli operatori oggetto di analisi vi sono ora anche gli Internet service provider caratterizzati a loro volta da un sistema di responsabilità civile e penale che è ancora oggi oggetto di ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale [20]. Al fine di realizzare la ricostruzione della disciplina delle responsabilità nel nuovo panorama radiotelevisivo, è necessario, quindi, far riferimento innanzitutto alla direttiva n. 2010/13/UE [21] a livello europeo e al Testo Unico in materia di media audiovisivi, D. Lgs. 177/2005, per quanto riguarda l’ordinamento italiano. Entrambi gli atti hanno esteso il quadro normativo in materia di audiovisivi – pur negli opportuni adattamenti – anche alle trasmissioni televisive su Internet (webcasting) e alle trasmissioni continue in diretta (live streaming). Tale scelta è stata compiuta all’indomani dell’affermarsi di una serie di attività, quali i servizi on demand, che, benché caratterizzate da un modello innovativo di fruizione dei contenuti, sono state considerate direttamente concorrenti con il servizio radiotelevisivo di tipo lineare e pertanto suscettibili di applicazione di un quadro regolativo sostanzialmente identico nei suoi principi fondamentali. All’ampliamento dello scenario di regolazione si è aggiunta poi la previsione di una puntuale responsabilità editoriale diretta a carico del fornitore di servizi di media audiovisivi. Tale responsabilità ai sensi dell’articolo 1, comma 1 lettera c), della citata direttiva implica “l’esercizio di un controllo effettivo sia sulla selezione dei programmi, sia sulla loro organizzazione in un palinsesto cronologico, nel caso delle radiodiffusioni televisive, o in un catalogo, nel caso dei servizi di media audiovisivi a richiesta”. Ne consegue che, indipendentemente dalla linearità o meno del servizio, se quest’ultimo presenta le medesime specificità e finalità dell’attività radiotelevisiva alla luce del valore che essa esprime per l’evoluzione in senso democratico delle società moderne, il fornitore è tenuto a rispettare il peculiare tessuto di regole e di responsabilità stringenti vigenti in materia. È evidente però che il quadro di parametri identificati dal legislatore viene a stridere se si tenta di applicarlo sic et simpliciter al particolare mondo degli operatori Over-the-Top. Come detto in precedenza, tali operatori sono in grado di bypassare i normali fornitori di servizi on line attraverso la predisposizione di particolari applicazioni software create ad hoc per l’utenza televisiva. Per il tramite degli OTT, quindi, non è l’intero mondo della Rete ad essere incanalato all’interno della piattaforma televisiva, ma solo “frammenti” dei relativi servizi e contenuti. Tale costatazione impone inevitabilmente delle riflessioni importanti ai fini dell’obiettivo del pluralismo radiotelevisivo. In primo luogo, diviene fondamentale comprendere quale siano le logiche sottese alla determinazione del numero di applicazioni e contenuti che possono essere diffusi da parte di una determinata piattaforma televisiva. È evidente che il maggiore o minore numero di “app” presenti su un dispositivo influenza direttamente l’esperienza di consumo dell’utente, definendo a priori il numero dei contenuti a cui egli ha la possibilità di accedere. In secondo luogo, emerge l’esigenza di inquadrare i nuovi operatori in un sistema di responsabilità e libertà di agire che sia coerente con il ruolo che il sistema radiotelevisivo da sempre assume all’interno delle società democraticamente avanzate. Con riferimento al primo quesito, si rende necessario prendere in considerazione una categoria di operatori che in passato non è mai stata considerata ai fini della determinazione delle regole di disciplina dei contenuti audiovisivi. Si tratta, infatti, dei produttori degli apparati televisivi connessi e dei decoder che nell’attuale panorama convergente vengono ad influenzare per la prima volta direttamente le modalità di diffusione del servizio radiotelevisivo. Sono proprio tali soggetti a determinare il numero e la qualità delle finestre che consentono l’accesso alla Rete Internet mediante la determinazione di accordi contrattuali con gli OTT [22]. Ne consegue che il livello quali-quantitativo dei contenuti diffusi, al di là delle prestazioni tecniche delle nuove piattaforme, risulta influenzato da una doppia attività di selezione dei contenuti da offrire realizzata a partire da valutazioni preminentemente di carattere economico. È prevedibile supporre, quindi, che in questa fase nessuna attenzione venga, invece, prestata al carattere qualitativo dei programmi diffusi in vista soprattutto della tutela degli utenti. Ne consegue che anche le dinamiche che sottendono la commercializzazione di tali piattaforme televisive assumono oggi rilevanza ai fini della realizzazione dell’obiettivo pluralista, richiedendo l’introduzione di tale categoria di produttori nella griglia dei competitors cui il legislatore dovrà fare riferimento in vista di una adeguata evoluzione della disciplina in materia. Con riferimento al secondo quesito avente ad oggetto la definizione di un idoneo sistema di responsabilità che tenga conto delle peculiarità dei nuovi operatori OTT e delle modalità di diffusione delle proprie attività, la previsione dell’esercizio di un controllo effettivo sia sulla selezione dei programmi, sia sulla loro organizzazione dettata dal citato art. 1, comma 1 lettera c), della Direttiva sui servizi di media audiovisivi pone inevitabili problemi applicativi. Come è ampiamente noto, ai sensi della direttiva n. 31/2000/CE, recepita in Italia con D. Lgs. n. 70 del 2003, i fornitori di servizi della società dell’informazione e della comunicazione, indipendentemente dal fatto che svolgano attività di mere conduit, caching o di hosting, non sono assoggettati ad un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmettono o memorizzano, né ad un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite. L’assenza di tale peculiare obbligo viene ad integrarsi con la previsione secondo cui qualsiasi ulteriore attività svolta dal provider, che ecceda il fine naturale dell’attività cui egli stesso è preposto, alterando, di conseguenza, il profilo di neutralità e di indifferenza rispetto al contenuto diffuso, integra una responsabilità di tipo extracontrattuale. In altri termini, partendo da una sostanziale situazione di irresponsabilità del mero fornitore dell’accesso alla Rete, il legislatore ha provveduto a tipizzare i casi in cui l’attività svolta perda quel quid di neutralità necessaria a renderlo estraneo agli illeciti compiuti dai propri utenti. È solo il mancato rispetto dei limiti stabiliti a poter giustificare il sorgere di un’obbligazione risarcitoria in capo al provider nei confronti di quanti abbiano subito un danno ingiusto da un’illecita attività realizzata per il tramite dei propri servizi. deriva che la disciplina in materia di internet service provider è attualmente basata su una sostanziale non responsabilità del fornitore di servizi “a condizione che il suo ruolo sia circoscritto alla mera intermediazione tecnica e che non vi sia una partecipazione attiva alla commissione dell’illecito” [23]. Inquadrato all’interno della disciplina dei media audiovisivi, questo sistema di responsabilità comporta la sostanziale impossibilità di riconoscere in capo agli operatori Over-the-Top una precipua responsabilità per i contenuti diffusi. Una situazione questa che viene, in realtà, a porsi in diretta antitesi con il reticolare sistema di obblighi posti a carico dei fornitori di servizi media audiovisivi stabiliti a tutela degli utenti e dell’evoluzione democratica del settore.
4. Verso la piena convergenza tra il settore radiotelevisivo e la Rete Internet: la direttiva 2010/13/UE.
L’analisi di piattaforme innovative come la Web Tv e la Over the Top TV evidenzia l’esistenza di un panorama televisivo particolarmente favorevole ai fini del pluralismo, ma al tempo stesso intriso di una serie di criticità dalla connotazione polivante, a fronte delle quali, ad oggi, non esiste un sistema di regole adeguate, che sia in grado di coniugare le precipue caratteristiche di due settori distinti, sviluppatisi nel corso degli anni su binari diversi in termini di regolamentazione e di finalità perseguite. Ne deriva l’esigenza di un confronto costruttivo tra la disciplina classica televisiva e quella relativa ai sistemi delle comunicazioni elettroniche, che permetta di individuare i punti di convergenza su cui costruire un nuovo modello regolatorio che sia comprensivo anche dei servizi offerti dal variegato mondo della Rete, cercando di preservare al tempo stesso quella sfera di forme di comunicazione che sono strettamente connesse all’estrinsecazione delle personalità degli internauti. Solo in questo modo sarà possibile delineare un nuovo e necessario equilibrio tra il nucleo di principi fondamentali – il pluralismo, l’ampiezza delle voci diffuse, la tutela dei minori, la non discriminazione – che ormai sono considerati elementi imprescindibili del servizio radiotelevisivo e la tutela delle libertà fondamentali che ruotano intorno alla Rete Internet. Sotto tale profilo, un primo passo è già stato compiuto ad opera della già citata direttiva 2010/13/UE, 10 marzo 2010 ed in Italia con il D. Lgs. n. 44 del 2010, che hanno esteso il raggio d’azione della disciplina anche ai fornitori di servizi on demand data la loro diretta concorrenza con il servizio radiotelevisivo. Il carattere innovativo del nuovo quadro normativo venuto a delinearsi ad opera di questi interventi si afferma in maniera evidente a partire dalla denominazione stessa della direttiva in questione e dell’oggetto di disciplina. La direttiva 2010/13/UE, infatti, non fa più uso del termine “trasmissioni televisive”, né tanto meno si riferisce esclusivamente agli strumenti di veicolazione tradizionali, nello specifico il cavo, l’etere, o il satellite, che per anni hanno rappresentato i parametri di riferimento fondamentali dell’impianto della precedenti direttive in materia di audiovisivi [24] Al contrario, la direttiva del 2010 adotta un termine del tutto nuovo – i “servizi di media audiovisivi” – aprendo per la prima volta il quadro normativo alle trasformazioni determinate dal processo di convergenza tecnologica e affermandosi, di conseguenza, come prima norma convergente in materia. Con tale termine si intende, infatti, un servizio, “quale definito agli articoli 49 e 50 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, che è sotto la responsabilità editoriale di un fornitore di servizi di media e il cui obiettivo principale è la fornitura di programmi al fine di informare, intrattenere o istruire il grande pubblico, attraverso reti di comunicazioni elettroniche” [25]. Nessuna indicazione specifica, quindi, del singolo strumento dedicato alla trasmissione, ma un unico parametro di riferimento rappresentato dalle reti di comunicazione elettronica, in grado di veicolare qualsiasi tipo di contenuto digitale indipendentemente dalla piattaforma di destinazione. In questo modo i più innovativi servizi di broadband divengono oggetto di disciplina affiancandosi alle tradizionali attività di broadcast nell’obiettivo di individuare un quadro comune di regole in cui vi sia un adeguato punto di equilibrio tra le potenzialità dei nuovi mezzi e la tutela dei diritti fondamentali degli utenti. Con riferimento all’analisi del contenuto della disciplina dettata in materia, il legislatore europeo ha delineato un quadro articolato caratterizzato da un complesso di regole di base valido per tutti i servizi di media audiovisivi cui si affianca un quadro di regole più incisive e dettagliate dedicato ai soli servizi di media audiovisivi di tipo lineare. Tale distinzione assume rilievo ai fini dell’evoluzione del sistema degli audiovisivi e trova la propria chiave interpretativa nella definizione tracciata dalla direttiva 2010/13/UE in materia relativamente ai profili di responsabilità connessi ai servizi a richiesta. Nel Considerando (42), infatti, il legislatore europeo afferma che i servizi di media audiovisivi a richiesta si differenziano dalle emissioni televisive tradizionali per la maggiore possibilità di scelta e di controllo che l’utente può esercitare, nonché in relazione all’impatto che essi hanno sull’evoluzione democratica della società. Infatti, la maggiore flessibilità garantita dai contenuti audiovisivi on demand, soprattutto in termini di modalità e di tempi di utilizzo del servizio, consente all’utente di poter meglio tutelarsi, e, soprattutto, in maniera autonoma, dalla visione di contenuti lesivi o potenzialmente dannosi. Dinanzi a questa maggiore libertà di composizione della programmazione televisiva non trova giustificazione l’imposizione della fitta rete di limiti regolativi a suo tempo stabiliti per i servizi lineari che, al contrario, data la loro sostanziale “immobilità” all’interno del palinsesto definito dall’editore, hanno più possibilità di veicolare contenuti dannosi per l’utente finale. Sulla base di tale interpretazione viene a giustificarsi un doppio binario di regolazione: “più leggera” [26] e meno restrittiva per i servizi di media audiovisivi a richiesta; maggiormente vincolante, invece, per i servizi tradizionali di tipo lineare. A tali norme si aggiunge, infine, la cornice di principi e valori fondamentali a cui l’intero sistema radiotelevisivo deve necessariamente ispirarsi senza distinzioni di sorta dettati dalle modalità di diffusione dei contenuti e recepiti nel Testo Unico. Tra l’insieme di norme estese a tutti i servizi di media audiovisivi, assume particolare importanza il Capo III della direttiva n. 13 del 2010 che pone a carico di tutti gli Stati membri l’obbligo di assicurare che i relativi contenuti non contengano alcun incitamento all’odio basato su razza, sesso, religione o nazionalità; garantiscano parità d’accesso a tali servizi anche a persone affette da disabilità e in età avanzata ed, infine, favoriscano una più facile fruizione delle informazioni relative al fornitore dei servizi di media. Quest’ultima previsione assume particolare rilievo poiché si pone a simbolo del processo di convergenza broadcast-broadband in atto riprendendo una delle regole fondamentali dell’impianto normativo dedicato al commercio elettronico. Si fa riferimento agli obblighi di informazione per il riconoscimento dei soggetti preposti alla vendita di servizi e prodotti sulle reti di comunicazione elettronica. Infatti, partendo dalla constatazione che l’utente vive comunque un “disagio tecnologico” derivante dall’impenetrabilità delle dinamiche di funzionamento della piattaforma [27], dalle difficoltà di comprendere chi sia il proprio fornitore e le caratteristiche quali-quantitative della merce che ha intenzione di acquistare, la direttiva n. 2000/31/CE pone al centro della propria disciplina un vasto decalogo di obblighi informativi al fine di ridurre il gap esistente tra il cyber consumatore, evidentemente parte debole del contratto, ed il professionista [28].
5. Criticità e problematiche del nuovo scenario delle piattaforme diffusive.
Come evidenziato nel corso dell’analisi, l’innovazione e la convergenza tecnologica trasferiscono le criticità specifiche del mondo del Web, relative alla riconoscibilità della controparte e all’individuazione delle rispettive responsabilità, nonché agli strumenti di tutela degli utenti, all’interno del panorama degli audiovisivi, richiedendo un’estensione del quadro dei destinatari degli obblighi dettati in materia. L’ampliamento del quadro di applicazione della disciplina, tuttavia, non risolve le problematiche che l’avvento delle nuove piattaforme contribuisce a far emergere giorno dopo giorno. L’affermarsi delle TV connessa, infatti, pone il legislatore dinanzi alla delicata scelta di confermare il quadro di regolazione esistente ovvero di procedere ad una sua articolazione su diversi livelli di regolamentazione a seguito della diffusione di contenuti provenienti dal Web, a loro volta sottoposti ad un sistema di discipline fortemente frammentato e non armonico. In particolare, se si prende in considerazione il fenomeno delle Over the Top TV è possibile affermare che alcune regole, strutturate sulla base del particolare consumo televisivo di tipo lineare, rischiano di perdere significato se applicate sic et simpliciter alle nuove piattaforme televisive. Si pensi, ad esempio, ad alcune norme di dettaglio in materia di limiti pubblicitari che non possono trovare più giustificazione nella loro originaria versione in un contesto in cui il contenuto audiovisivo viene estrapolato dal palinsesto di riferimento ed utilizzato per una visualizzazione unica e decontestualizzata dalla relativa programmazione [29]. Al tempo stesso, alcune regole imposte nello scenario “non connesso” richiedono necessariamente di essere rafforzate. È il caso, ad esempio, delle norme a tutela dei minori che assumono un rilievo di primo piano in un panorama in cui le piattaforme connesse consentono un accesso a qualsiasi tipo di contenuto supportato dall’apparecchio con limitate modalità di filtraggio a tutela di tali utenti. Appare effettivamente difficile, ad esempio, applicare le fasce di protezione oraria su contenuti che risultano permanentemente accessibili in Rete e, tramite le finestre di connessione, anche sui nuovi televisori. Èevidente la necessità di definire un sistema di regole e di responsabilità che tenga conto del rinnovato modo di intendere il servizio radiotelevisivo, con particolare riferimento a quelle categorie di soggetti che non dispongono degli strumenti idonei per tutelarsi da una visione inconsapevole di contenuti non graditi. Questo anche alla luce della presenza di operatori tradizionali, concessionari del servizio pubblico ed imprenditori privati, che a differenza dei soggetti nativi in Rete, sono sottoposti ad un dettagliato regime di regole e di sanzioni a tutela dell’utenza. Un’asimmetria regolativa che attualmente non appare più sostenibile se, come ormai accade, l’attività in Rete viene ad operare in diretta concorrenza con il servizio radiotelevisivo tradizionalmente inteso. Il rischio che si prospetta è che uno stesso dispositivo possa trovarsi in futuro prossimo ad accogliere filosofie regolative antitetiche, perché basate, l’una su un dettagliato quadro di obblighi e responsabilità a carico dei fornitori di servizi audiovisivi lineari e non lineari, l’altra su una sostanziale frammentazione regolativa destinata agli operatori Over-the-Top, pur essendo diretta a soddisfare le esigenze del medesimo utente. Un secondo aspetto critico, collegato alla dimensione interna dell’obiettivo del pluralismo, è rappresentato dal tema della net neutrality. Come è noto, con tale termine si intende “l’insieme delle condizioni tecniche, giuridiche e commerciali in virtù delle quali si garantisce parità di trattamento dei dati veicolati in rete e la facoltà degli utenti di accedere liberamente a contenuti, servizi e applicazioni di propria scelta” [30]. Tale concetto, in altri termini, esplicita l’obiettivo degli utenti della Rete affinché essa si preservi aperta e sostanzialmente libera, garantendo una diffusione dei contenuti in maniera paritaria senza distinzioni in base all’oggetto veicolato. Tuttavia, con l’evoluzione in senso convergente e l’affermarsi di un “ecosistema digitale” caratterizzato da un vasto panorama di operatori concorrenti, provenienti da settori tradizionalmente distinti, di utenti connessi e dalla moltiplicazione dei servizi realizzati, il carattere neutrale della Rete risulta inevitabilmente messo in discussione. Lo straordinario aumento di volume dei contenuti diffusi ha fatto emergere la consapevolezza che anche tale risorsa non possa più essere considera rata ad uso indeterminato, favorendo la convinzione che sia necessario introdurre forme di traffic management [31]. Trattasi di regole di gestione del traffico di dati in Rete destinate ad introdurre forme di intervento puntuale e differenziato sulla trasmissione dei dati, in modo tale che questi ultimi siano diffusi in base alla specificità del contenuto veicolato e non in maniera indeterminata. La possibilità di “dirigere il traffico della Rete” a seconda dell’oggetto di diffusione, tuttavia, pone inevitabilmente dei problemi di rilievo soprattutto in relazione alla tutela della libertà di manifestazione del pensiero che nella Rete ha individuato il mezzo diffusivo di maggiore rilevanza. Se è evidente che la televisione, pur mantenendo la propria funzione centrale all’interno del processo evolutivo della società, tende a migrare sempre più su piattaforme interattive, il problema della net neutrality tende a trasformarsi, in un immediato futuro, in un problema di accessibilità ai contenuti audiovisivi. L’effettiva possibilità per l’utente finale di usufruire del servizio di Web Tv ovvero di accedere alla programmazione fornita da una IPTV sarà inevitabilmente connessa al livello di congestione della Rete. In presenza di una banda larga non in grado di sostenere il carico dei contenuti diffusi o di una qualità trasmissiva non eccellente, si presume che la piena fruibilità dei servizi radiotelevisivi verrà compromessa con conseguente limitazione del diritto fondamentale del cittadino ad una informazione plurale e variegata. Questo particolare tecnico assume rilievo con riferimento alla emittente concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo. Poiché il servizio erogato da quest’ultima è considerato di interesse generale per la collettività e strettamente collegato alle esigenze democratiche della società è inevitabile chiedersi se sia necessario prevedere in un futuro non troppo lontano forme di diffusione prioritaria di siffatti contenuti [32] rispetto a dati che non sono rivestiti di tale rilevante funzione. È evidente che si tratta di un discorso particolarmente delicato perché impone un’attenta azione di bilanciamento tra il nucleo di diritti fondamentali connessi alla diffusione del servizio radiotelevisivo ed il complesso delle nuove libertà che ruotano intorno all’utilizzo di Internet. Prevedere canali preferenziali per i contenuti audiovisivi potrebbe comportare, infatti, in assenza di adeguati e trasparenti criteri di differenziazione dei contenuti, una inaccettabile compressione degli spazi di comunicazione offerti dalla Rete. Qualsiasi forma di limitazione o intervento sul traffico dati dovrebbe quindi risultare necessario, proporzionato, e appropriato visto l’elevato ruolo riconosciuto ad Internet di “strumento essenziale per l’istruzione e l’esercizio pratico della libertà di espressione e l’accesso all’informazione” [33]. Con riferimento, invece, al pluralismo di tipo interno, si evidenzia su più fronti in dottrina [34] la necessità di adottare nuove e specifiche misure all’interno di un rinnovato quadro di disciplina antitrust “ispirato non tanto e non solo a criteri di tipo strettamente economico, ma soprattutto al pluralismo” [35]. Dinanzi a tale situazione, si rileva la necessità di introdurre, a carico degli operatori dominanti, obblighi di must carry e must offer più dettagliati e maggiormente in linea con lo scenario evolutivo. Come è noto, tali obblighi si sostanziano, nel primo caso, nel divieto di operare discriminazioni non giustificate nei confronti dei nuovi entranti. In particolare, si richiede ai soggetti verticalmente integrati di consentire la fornitura dei contenuti provenienti da operatori esterni alla propria filiera produttiva attraverso la messa a disposizione di idonei spazi di diffusione. Gli obblighi di must offer, invece, si riferiscono ai fornitori di contenuti e si concretizzano nell’obbligo di distribuire, senza operare discriminazioni di sorta, i propri prodotti alle piattaforme di telecomunicazione che ne facciano richiesta. L’esigenza di un rinnovato quadro di misure di must carry e must offer risulta particolarmente rilevante in Italia, dove la transizione alla tecnica digitale non ha consentito gli effetti sperati in termini di ampliamento dei livelli di pluralismo. La regolamentazione dell’obbligo di must carry, infatti, deriva dal combinato disposto del Codice delle Comunicazioni elettroniche ex D. Lgs. n. 259/2003 e del Testo Unico di cui al D. Lgs. n. 177/2005. In particolare, ai sensi dell’art. 5 comma 1, lettera e) di quest’ultimo, gli operatori di rete sono tenuti a “non effettuare discriminazioni nello stabilire gli opportuni accordi tecnici in materia di qualità trasmissiva e condizioni di accesso alla rete“ – soprattutto in relazione ai fornitori a loro non riconducibili (fornitori indipendenti) – e di procedere alla cessione della propria capacità trasmissiva a condizioni di mercato nel rispetto dei principi e dei criteri fissati dal regolamento relativo alla radiodiffusione terrestre in tecnica digitale, di cui alla delibera dell’Autorità del 15 novembre 2001, n. 435/01/CONS così come integrato dalla delibera n. 663/06/CONS. Tuttavia, come è stato evidenziato [36], l’obbligo di cessione del 40% della capacità trasmissiva da parte degli operatori di rete previsto da tali delibere non ha sortito gli effetti desiderati, in quanto è stata interpretato come limitato al periodo di sperimentazione della tecnica digitale con l’effetto che una volta terminato lo switch off gli operatori di rete si sono ritenuti “liberi” dall’offrire tali spazi. Passando all’analisi dell’obbligo di must offer, invece, è necessario far riferimento all’articolo 5 comma 1, lettera f) del Testo Unico. Tale articolo prescrive l’“obbligo per i fornitori di contenuti, in caso di cessione dei diritti di sfruttamento degli stessi, di osservare pratiche non discriminatorie tra le diverse piattaforme distributive, alle condizioni di mercato, fermi restando il rispetto dei diritti di esclusiva, le norme in tema di diritto d’autore e la libera negoziazione tra le parti”. Il contenuto di tale norma è stato ritenuto da alcuni autori [37] non all’altezza del compito che è stato “assegnato” al legislatore, vale a dire la definizione di una cornice regolativa in grado di garantire un adeguato sostegno all’emersione di quelle piattaforme che ancora oggi risentono fortemente della pressione competitiva proveniente dalle tecnologie trasmissive tradizionali, in primis dalla televisione. La debolezza della regola è riscontrabile attraverso una semplice analisi dello scenario vigente. Attualmente la possibilità concreta di usufruire del medesimo contenuto su più piattaforme differenti risulta fortemente limitata a causa della presenza di notevoli ostacoli rappresentati dall’elevato numero di clausole di esclusività relative alla singola piattaforma diffusiva e alla tutela delle opere dell’ingegno con particolare riferimento al tema dell’equo compenso. Premettendo che questa non è la sede adatta per affrontare l’annoso dibattito nazionale ed internazionale relativo alla commercializzazione dei diritti audiovisivi ed in particolar modo alla disciplina della tutela del diritto d’autore per le opere diffuse in Rete [38], preme sottolineare l’importanza che queste tematiche hanno ai fini dell’obiettivo pluralista. Sulla base del panorama delineato la dottrina ha evidenziato la necessità di un sistema di misure che sia in grado di favorire gli operatori emergenti consentendo loro di affrontare ad armi pari gli incumbents durante lo scontro competitivo. In particolare, è stata evidenziata l’esigenza di incoraggiare la commercializzazione dei diritti dei contenuti audiovisivi soprattutto a favore degli operatori emergenti attraverso la previsione di licenze collettive estese e possibilmente multi-territoriali in modo tale da favorire l’adozione di meccanismi di valorizzazione dei contenuti anche in base alla relativa tipologia ed evitare i problemi di acquisto del singolo diritto [39]. A rendere ancora più complesso e delicato lo scenario affermatosi vi è la constatazione che le televisioni connesse traslano nel mondo degli audiovisivi il problema della a-territorialità della Rete e, quindi, del carattere transfrontaliero dei servizi erogati con tutte le implicazioni problematiche di tipo regolatorio che ne derivano. Questa caratteristica tipica del mondo del Web, d’altra parte, viene a scontrarsi con il principio del “paese d’origine” sancito dalla direttiva 2010/13/UE che limita l’applicabilità del quadro di disposizioni legislative, regolamentari e amministrative concernenti la fornitura e la circolazione dei servizi di media audiovisivi allo Stato membro in cui il fornitore ha la sede principale e quello in cui le decisioni editoriali sui servizi di media audiovisivi sono adottate. È evidente che nel caso degli OTT il problema dell’applicabilità dei sistemi regolativi nazionali assume grande rilievo in quanto nella maggioranza dei casi essi afferiscono a società che hanno sede in paesi non appartenenti all’Unione Europea. In tale scenario, rileva sottolineare che le clausole derogatorie alla libera circolazione dei servizi previste per specifici motivi di interesse generale nulla possono nei confronti di servizi non erogati da società appartenenti a Stati Membri [40]. Appurato che nella maggior parte dei casi le società che forniscono tali servizi hanno sede in paesi non appartenenti all’Unione Europea [41] si rileva la necessità di aprire un tavolo di dibattito tra i vari legislatori europei in modo tale da definire l’ampiezza dei mercati del nuovo scenario competitivo, vale a dire comprendere se l’attenzione debba focalizzarsi sul prodotto nazionale ovvero su quello europeo ed individuare gli strumenti regolativi più idonei in grado di coniugare la tutela delle opere audiovisive europee con i caratteri propri della Rete Internet. L’identificazione del “prodotto da tutelare” emerge in maniera evidente se si tiene conto che la disciplina in materia radiotelevisiva a livello europeo ha lasciato sostanzialmente ai singoli Stati membri il compito di definire le regole di dettaglio, relativamente ai contenuti radiotelevisivi “per promuovere la diversità culturale e linguistica e per assicurare la difesa del pluralismo dei mezzi di informazione” [42]. Tale separazione è stata ritenuta necessaria per preservare le specificità e la varietà culturale dei singoli Paesi membri e si è strutturata nel tempo alla luce delle tradizioni costituzionali e dei progressi democratici delle singole società coinvolte. Ora che invece il prodotto televisivo travalica non solo i confini nazionali, ma addirittura i confini europei, favorendo l’avvento di una molteplicità di contenuti realizzati a partire da radici costituzionali, culturali e storiche potenzialmente diverse, se non addirittura divergenti, diviene naturale domandarsi se sia necessario assumere una visione paneuropeista che sia in grado di tutelare l’utente europeo medio sulla base della convinzione dell’esistenza di un bagaglio comune di esperienze costituzionali e di principi fondamentali condivisi secondo un principio di unità nella differenza [43].
6. Riflessioni conclusive.
I processi di digitalizzazione e di convergenza tecnologica in atto hanno delineato uno scenario peculiare in cui i tradizionali modelli trasmissivi basati sulla diffusione lineare dei contenuti come il satellite, il cavo e la televisione su frequenza terrestre, vengono, da un lato, ad integrarsi ed arricchirsi con le specificità della tecnologia digitale, ma dall’altro risultano “minacciati” dai nuovi modelli distributivi originati sul web. In questo modo, opportunità e sfide vengono ad emergere in maniera simultanea modificando i parametri del confronto concorrenziale e rendendo il settore estremamente complesso in vista della tutela degli utenti e del pluralismo Molteplici sono le sfide regolative che vengono oggi ad emergere data la varietà degli attori coinvolti e, soprattutto, caratterizzate da particolare delicatezza, poiché impongono un agire trasversale che sia in grado di superare la limitatezza settoriale e consentire la composizione di interessi tendenzialmente contrastanti. L’importanza di tale opera di bilanciamento sembra suggerire un agire concertato su più livelli di intervento alla luce della necessità di garantire la composizione di una molteplicità di interessi di natura variegata e multiforme. In primo luogo, si impone un ripensamento della disciplina generale, attualmente costruita su un sistema di norme non più in grado di operare in maniera adeguata ed efficiente in un panorama così evoluto. La direttiva sui servizi di media audiovisivi, come modificata nel 2010, e conseguentemente il D. Lgs. n. 44/2010 hanno strutturato, come evidenziato nel corso dell’analisi, il nuovo quadro di regole sul concetto di responsabilità editoriale e sulla distinzione tra servizi lineari e non lineari, destinando a tali categorie regole differenziate. Tuttavia, l’ulteriore evoluzione delle tecnologie di diffusione caratterizzate da un livello di ibridazione con la Rete Internet ancora più avanzata rischia di rendere questa distinzione non più efficace in seguito, soprattutto, all’avvento degli operatori Over-the-Top. La disciplina in materia di media audiovisivi, infatti, non contempla in maniera esplicita e diretta il fenomeno della diffusione dei contenuti da parte delle grandi imprese provenienti dallo scenario del Web. Ne deriva un contesto in cui paradossalmente contenuti simili risultano potenzialmente sottoposti a sistemi di disciplina differenti a seconda della loro fonte di diffusione, ma indipendentemente dalla piattaforma utilizzata. Nello specifico, si assiste all’imposizione di regole dettagliate nel caso dei contenuti audiovisivi di tipo lineare, ad una disciplina meno invasiva per i contenuti on demand ed infine ad una “zona grigia” dai confini normativi indeterminati nel caso degli operatori Over the Top. In tale scenario, è evidente la necessità di un intervento del legislatore che sia in grado di trasformare in dato normativo l’evoluzione tecnologica in atto, valutando, tra l’altro, anche l’effettiva opportunità di confermare una regolamentazione differenziata ovvero strutturarla differentemente alla luce del nuovo scacchiere competitivo. Data la complessità delle attuali sfide regolative ed il complesso di interessi da bilanciare, l’intervento regolatorio evidenziato richiede inoltre misure ulteriori di coregolamentazione e autoregolamentazione a completamento ed integrazione del primo. Accanto al ruolo indiscutibile del legislatore nella definizione della cornice dei principi fondamentali cui si deve ispirare l’intero sistema radiotelevisivo, anche alla luce di una forte e consolidata esperienza dottrinale e giurisprudenziale di orientamento democratico, la pluralità degli interessi in gioco impone, infatti, il pieno coinvolgimento dei vari soggetti interessati da tale epocale trasformazione in modo tale da pervenire a soluzioni normative maggiormente flessibili a seconda del particolare fenomeno analizzato. D’altra parte, sono proprio i soggetti che agiscono direttamente sul campo e che concorrono tra loro ad essere i migliori portavoce dell’esigenze di disciplina e di tutela emergenti all’interno di un mercato dal forte dinamismo dei meccanismi di evoluzione. Tale coinvolgimento diretto potrebbe rendere gli strumenti di attuazione delle disposizioni dettate a livello generale estremamente efficaci perché derivati dall’analisi congiunta di valutazioni e di rilievi critici emersi secondo un’ottica di sussidiarietà di tipo verticale in campo degli audiovisivi. A ben vedere, come è stato evidenziato, codici di condotta e codici di autoregolamentazione sono già ampiamente utilizzati nel settore degli audiovisivi “dove l’autonomia collettiva presiede la regolazione della disciplina televisiva a tutela dei minori, regola e sorveglia l’inserimento dei prodotti nei programmi o definisce addirittura le modalità di confezionamento di questi ultimi” [44]. A ciò si aggiunge la constatazione che strumenti di coregolamentazione ed autoregolamentazione sono particolarmente diffusi per la realizzazione degli obiettivi di armonizzazione posti dalla direttive dell’Unione Europea. Sulla base di tale considerazione si evidenzia la necessità di un adeguamento da più parti concertato della disciplina attuale che, fermo restando le innovazioni introdotte con il D. Lgs. 44 del 2010, tenga conto dell’imminente affermazione delle forme di diffusione di contenuti audiovisive ed in primis della Connected TV. A tal proposito rileva sottolineare che con riferimento al concetto di responsabilità editoriale su cui si incentra l’attuale disciplina in materia di contenuti, anche sul versante della Rete Internet ed in particolar modo in materia di responsabilità degli Internet service provider l’evoluzione delle tecnologie ha imposto una riflessione sulla necessità di una cambiamento della disciplina in materia. Si fa riferimento all’affermazione sul piano giurisprudenziale della nozione di “hosting attivo” con la quale è stato individuato un nucleo di fornitori di servizi di hosting, i quali necessariamente si distaccano dalla figura individuata nella normativa europea. In particolare, è stato evidenziato che gli ISP che intervengono ad “arricchire e completare la fruizione” del contenuto immesso da terzi non possano beneficiare del “safe harbour” delineato dal legislatore europeo in quanto la loro attività “si pone ben al di là della mera fornitura di uno spazio di memorizzazione di contenuti e di un software di comunicazione che ne consenta la visualizzazione a terzi” [45]. Il riconoscimento giurisdizionale della figura di hosting attivo ha evidentemente rilevanti conseguenze in vista di un ripensamento della disciplina normativa in materia di audiovisivi. Allontanando, infatti, il principio dell’aprioristica irresponsabilità del provider – non più rispondente alla realtà della Rete – e ammettendo, invece, una evoluzione in senso partecipativo della figura in questione, è possibile gettare le basi per un’estensione del quadro di responsabilità e di obblighi su cui si impernia la disciplina radiotelevisiva anche alle grandi web company rafforzando il sistema di tutele riconosciute agli utenti. Solo riconoscendo un sistema di responsabilità che sia inclusivo anche dei nuovi operatori provenienti dalla Rete sarà possibile parlare di un quadro regolatorio realmente convergente che faccia della garanzia della libertà e del pluralismo dei mezzi di comunicazione radiotelevisiva, della tutela della libertà di espressione di ogni individuo e dell’apertura alle diverse opinioni e tendenze politiche, sociali, culturali e religiose i propri pilastri fondamentali. È evidente che il lavoro regolativo di tipo multilivello sarà fondamentale ai fini della realizzazione del principio pluralistico. Come detto, il pluralismo nella sua duplice dimensione, interna ed esterna, vive oggi un momento fondamentale del suo percorso di realizzazione. Si tratta di una fase ricca di potenzialità e di opportunità per la realizzazione di un panorama variegato di voci e di opinioni che al tempo stesso però richiede un’adeguata opera di indirizzamento da parte del legislatore che sia in grado di incanalare il valore aggiunto apportato dalle nuove piattaforme al servizio di un panorama in cui pluralismo e tutela dei diritti fondamentali costituiscano principi riconosciuti e garantiti. In tal senso l’adozione di una regolazione articolata su più livello di intervento risulta essere ad oggi la scelta maggiormente in linea con il significato intrinseco di tale principio [46]. Rappresentando esso stesso un concetto poliedrico e plurale che trascende il singolo settore di regolazione e si afferma come valore super partes, il pluralismo, infatti, si nutrirà dell’agire coordinato tra i diversi soggetti operanti nel rinnovato scenario e del complesso di regole comuni e trasversali che il legislatore sarà in grado di individuare. In altri termini, la regolazione su più livelli in un’ottica di tipo convergente ed in vista della realizzazione dell’obiettivo pluralista rappresenta oggi la vera chiave di volta dell’evoluzione dell’attuale disciplina in materia radiotelevisiva verso un sistema plurale delle fonti e degli operatori che si ponga finalmente al servizio della corretta evoluzione in senso democratico della società moderna. Note: [*] Il presente contributo è stato preventivamente sottoposto a referaggio anonimo affidato ad un componente del Comitato di Referee secondo il Regolamento adottato da questa Rivista. [1] G. Gardini, L’attività radiotelevisiva come servizio di interesse generale: ruolo del regolatore e inadeguatezza del mercato, in Ist. fed., suppl. n. 1/2006, p. 137. Lo stretto collegamento esistente tra il principio del pluralismo ampiamente inteso e lo sviluppo in senso democratico di una società moderna è stato evidenziato a più riprese da dottrina e giurisprudenza. In particolar modo, è stata più volte sottolineata l’intima correlazione esistente tra i diritti inviolabili del singolo e i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale consacrati dall’art. 2 della Costituzione. Proprio su tale rapporto si fondano le caratteristiche distintive dello Stato democratico pluralista, che trova la propria realizzazione nel rispetto delle regole della partecipazione inclusiva e nel principio di eguaglianza “anzitutto tra i singoli, poi tra questi e i gruppi, ed infine tra i gruppi”. In tal senso, l’idea pluralistica basata sul concorso di idee e concezioni diviene elemento fondativo di un modello di democrazia caratterizzato dalla ricerca di una dimensione identitaria comune costruita attraverso la realizzazione di una unità nella diversità di cui si permea il tessuto sociale. Affinché il singolo abbia a disposizione le chiavi di interpretazione della realtà che lo circonda è necessario che egli possa usufruire del più ampio numero possibile di fonti di informazione, di idee e di opinioni che gli consentano di attivare ed alimentare quel necessario percorso di analisi, confronto e critica attraverso cui verrà a concretizzarsi la propria dimensione partecipativa. In tal senso, il riconoscimento di una libertà di informazione garantita e tutelata sotto l’egida dell’art. 21 ed in particolar modo di un diritto costituzionalmente garantito ad essere informati conduce verso l’individuazione di un altro valore intrinsecamente collegato al libero dispiegarsi del vivere democratico: il principio del pluralismo. Il diritto ad essere informati, infatti, richiama immediatamente l’ampiezza e la diffusione delle informazioni, nonché la loro accessibilità. In altri termini il diritto ad essere informati assume significato e sostanza soltanto in presenza di una molteplicità e varietà di opportunità di conoscenza in grado di allontanare il rischio di imposizione di una visione del mondo univoca e di ampliare parallelamente la capacità del singolo a saper cogliere tutte le sfaccettature della società di cui è componente. Senza pretesa di esaustività Cfr. P. Barile, Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Il Mulino, Bologna, 1984; P. 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In tali pronunce, inoltre, la tutela del pluralismo viene ad imporsi come “imperativo costituzionale”, indispensabile alla corretta realizzazione del diritto di informazione garantito dall’art. 21 della Costituzione a sua volta “qualificato e caratterizzato, tra l’altro, sia dal pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie – così da porre il cittadino in condizione di compiere le proprie valutazioni avendo presenti punti di vista e orientamenti culturali e politici differenti – sia dall’obiettività e dall’imparzialità dei dati forniti, sia infine dalla completezza, dalla correttezza e dalla continuità dell’attività di informazione erogata”. In questo modo il pluralismo diviene a pieno diritto parte integrante di quella nutrita schiera di principi fondamentali che vengono a caratterizzare il sistema radiotelevisivo sulla base della condivisa convinzione che “non c’è democrazia senza pluralismo ed imparzialità dell’informazione” – Sentenza n. 420 del 1994. [2] Cfr. C.A. Ciampi, Messaggio alle Camere in materia di pluralismo ed imparzialità dell’informazione, Roma, 23 luglio 2002. [3] M. Livolsi (a cura di), voce “Televisione” in Enciclopedia del Novecento Treccani, III supplemento, anno 2004. [4] Così G.M. Roberti, V. Zeno-Zencovich, Le linee-guida del decreto di recepimento della direttiva 65/07 in V. Zeno-Zencovich (a cura di), La nuova televisione europea, commento al “Decreto Romani”, Maggioli Editore, Rimini, 2010, p. 9. [5] Per “slinearizzazione” dei palinsesti televisivi si intende la trasformazione dei contenuti diffusi dalle emittenti televisivi in “prodotti singoli” suscettibili di diffusione su richiesta dell’utente nei tempi e nei modi che egli ritiene più in linea con le proprie esigenze. Cfr. Agcom, Libro bianco sui contenuti del 21 gennaio 2011. [6] L’espressione “prosumer”, che deriva dalla fusione dei termini producer e consumer, è stata coniata da Toffler A. nel libro The third wave (1980). L’A. ha utilizzato tale definizione per indicare la necessaria evoluzione del consumatore verso una figura ibrida che è contemporaneamente consumatore e produttore ovvero che contribuisce alla produzione dell’atto stesso che consuma. Tale neologismo è emerso nuovamente con tutta la sua forza con il processo di convergenza tecnologica sorretto dalla bidirezionalità dei nuovi mezzi di comunicazione elettronica. Cfr. Voce “Prosumer” in Treccani, Enciclopedia della Scienza e della Tecnica, edizione 2008. [7] L’a-temporalità e l’a-territorialità, insieme alla “bidirezionalità” del momento comunicativo, possono essere considerate le caratteristiche chiavi della Rete Internet in vista della realizzazione del principio della libera manifestazione del pensiero, di cui all’art. 21 della Cost. Con la prima si fa riferimento alla possibilità di immettere in maniera immediata messaggi in Rete a cui corrisponde una parallela immediatezza nella diffusione e divulgazione degli stessi per lo più in uno scenario caratterizzato da una utenza estesa e multiforme. L’istantaneità della comunicazione inevitabilmente favorisce il dibattito ed il contraddittorio tra le parti, consentendo all’utente di rivestire contemporaneamente la veste del comunicatore e dell’ascoltatore. L’a-territorialità si riferisce, invece, alla capacità della Rete di superare le barriere dettate dalla distanza e dai confini tra Stati, consentendo all’utente di dialogare e confrontarsi con persone fisicamente distanti nel mondo e al tempo stesso di usufruire dei contenuti immessi da una molteplicità di soggetti aventi bagagli culturali, ideologici o sociali anche profondamente diversi, indipendentemente dal ruolo che essi esercitano all’interno delle loro comunità. Per un approfondimento, cfr. A. Papa, Espressione e diffusione del pensiero in Internet. Tutela dei diritti e progresso tecnologico, Giappichelli, Torino, 2009., p. 125 ss. [8] Il termine “ecosistema digitale” è stato coniato dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni nell’ambito della Relazione annuale sull’attività svolta e sui programmi di lavoro relativa all’anno 2012. [9] Esemplificativa delle difficoltà legate al riconoscimento dei nuovi mezzi di comunicazione e delle loro implicazioni da un punto di vista dello scenario regolativo è la vicenda che ha visto coinvolti durante le ultime consultazioni elettorali del 2013 l’Autorità per le garanzie delle comunicazioni e la SWG, una società che produce sondaggi di natura politica diffusi mediante un’apposita app sugli smartphones (c.d. PoliticApp). In un primo momento, l’Agcom aveva consentito la realizzazione di tale attività anche durante il periodo elettorale nonostante il divieto di diffusione dei risultati di sondaggi demoscopici sull’esito delle elezioni e sugli orientamenti politici e di voto nei quindici giorni precedenti la data delle votazioni ai sensi dell’art. 8, comma 1, della legge n. 28 del 2000. Alla base di tale decisione, la convinzione che “la disciplina dei sondaggi relativi ad indicazioni di voto si riferisce unicamente a quelli diffusi su mezzi di comunicazione di massa e si ritiene che non possa definirsi tale un’applicazione per smartphone: essa [l’applicazione in questione] altro non è che un software per cellulari accessibile esclusivamente da quanti, in base ad una scelta volontaria, abbiano deciso di scaricarla sul proprio telefonino”. Trascorso poco meno di un mese, in data 6 febbraio 2013 il Consiglio dell’Agcom ha deciso, però, di rivedere la propria posizione vietando espressamente la diffusione dell’applicazione, in quanto la PoliticApp “nei termini in cui viene pubblicizzata, rende accessibile previo il pagamento di un prezzo contenuto – il risultato dei sondaggi ad un pubblico potenzialmente molto vasto, con inevitabili effetti di diffusione incontrollata dell’informazione”. L’ampiezza del bacino di destinazione, quindi, rende l’applicazione mezzo di comunicazione di massa giustificando l’attuazione delle regole in materia di par condicio. Dal canto suo, la società che, nel frattempo, aveva proseguito con la vendita del proprio prodotto, ha deciso di agire contro l’Agcom a causa degli ingenti danni economico-patrimoniali e d’immagine subiti. Tra gli altri Cfr. Corriere delle comunicazioni Swg denuncia l’Agcom per stop a PoliticApp in http://www. corrierecomunicazioni. it/elezioni-2013/19636_swg-denuncia-l-agcom-per-stop-a-politicapp. htm; Repubblica, Stop all’applicazione Swg sui sondaggi. L’AgCom: “Viola la par condicio “http://www.repubblica.it/politica/2013/02/06/news/stop_all_applicazione_swg_sui_sondaggi_l_agcom_viola_la_par_condicio-52102787/Corriere della Sera, L’Agcom boccia la app che rivela i sondaggi -http://www.corriere.it/politica/speciali/2013/elezioni/notizie/agcom-blocca-app-sondaggi_632b009a-7091-11e2-8bc74a766e29b99e.shtml. [10] Questa è la definizione di Web TV tracciata dall’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni all’interno del documento intitolato Agcom, Libro bianco sui contenuti, op. cit.. Ulteriori approfondimenti sulle diverse modalità di fruizione dei contenuti audiovisivi mediante la rete Internet in Relazione annuale sull’attività svolta e sui programmi di lavoro 2012 sempre redatta dall’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni. [11] Ne sono esempio le Web TV create da alcune Università italiane, che uniscono contenuti prettamente accademici con approfondimenti culturali e sociali dando al contempo voce direttamente agli studenti. O ancora le molteplici esperienze di TV tematiche dedicate alle attività sportive, alla cucina, ai libri, al teatro e via discorrendo, che hanno la possibilità di incentrare completamente la propria programmazione sul relativo “core business” fornendo un’ampiezza di approfondimento che la televisione di carattere generalista solitamente, per motivi tecnico-economici, non è in grado di offrire. [12] A tal proposito, il rapporto Netizen 2012 dedicato agli “Internet Citizen” – i cittadini digitalizzati video maker – evidenzia come questi canali svolgano ormai “un ruolo di presidio territoriale sempre più permanente, sostituendo o integrando in modo sinergico l’informazione locale fino a qualche tempo fa a stretto appannaggio delle TV locali”. La quinta edizione di tale lavoro dedicata all’anno 2012 è consultabile sul sito http://www.altratv.tv/news/watchdog-2012-la-nuova-fotografia. [13] Rileva sottolineare che tali criticità di taglio interpretativo e regolativo hanno già investito, pochi anni orsono, la stampa, che, come è noto, rappresenta nell’ordinamento italiano lo strumento per eccellenza di diffusione di informazioni e alla quale per di più è destinata una puntuale tutela da parte dalla Carta Costituzionale. In seguito all’avvento delle tecnologie diffusive via Internet, anche tale mezzo di comunicazione è stato al centro di un intenso dibattito dottrinale e giurisprudenziale circa l’estensibilità del quadro di disciplina della stampa tradizionale ad un ambito dell’informazione erogata tramite il Web, che risultava caratterizzato da confini particolarmente fumosi ed indeterminati. Le difficoltà interpretative riscontrate nel corso di questi anni in tale operazione di identificazione sono giustificabili alla luce delle caratteristiche tecniche delle nuove piattaforme tecnologiche che mal si conciliano con la definizione originaria di stampa. Ai sensi, infatti, dell’art. 1 della legge n. 47 del 1948, rientrano nella nozione di stampa “tutte quelle riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione”. In assenza di una concreta fisicità legata a tale tipo di attività, la stampa on line ha sollevato molteplici rilievi critici connessi all’impossibilità di procedere ad una integrale applicazione delle norme dettate in materia dal legislatore del 1948 a servizi erogati mediante piattaforme tecnologicamente avanzate che fanno proprio dell’assenza di prodotti fisici uno degli elementi caratterizzanti. La previsione di obblighi quali l’indicazione dello stampatore ovvero del luogo di stampa di cui all’art. 5 della legge n. 47/1948, o ancora il sequestro dello stampato in caso di reato di stampa clandestina sono tutte categorie che presentano inevitabili difficoltà applicative se calibrate all’attività di informazione esercitata in Rete. Dinanzi a tale scenario così profondamente innovato rispetto ad un seppur recente passato, dottrina e giurisprudenza si sono trovati ad interrogarsi sul delicato rapporto esistente tra stampa tradizionale e stampa on line cercando di individuare i possibili punti di contatto tra due peculiari modalità di realizzazione di un’attività così rilevante per lo sviluppo democratico della società. Ovviamente tale “ricerca” non è stata di agevole realizzo anche alla luce del fatto che l’individuazione dei parametri discriminatori dell’attività di informazione di tipo professionale è strettamente connessa alla determinazione del regime sanzionatorio da applicare in caso di illeciti a mezzo stampa. Una volta superato – per il momento – il problema dell’identificazione e separazione dell’attività di informazione on line di tipo professionale dalla libera espressione e diffusione delle opinioni degli utenti della Rete grazie all’identificazione dei tre parametri fondamentali – periodicità regolare, testata ed oggetto – il dibattito sulla stampa on line prosegue, infatti, lungo i binari dell’identificazione dei soggetti responsabili dell’attività informativa in Rete al fine di approntare il giusto sistema di garanzie destinate agli utenti. Come è noto, l’evoluzione giurisprudenziale e dottrinale è stata caratterizzata da un andamento altalenante. Basti pensare alle sentenze del Tribunale di Aosta (26 maggio 2006, n. 553) e del Tribunale di Modica (8 maggio 2008), con le quali i giudici sono giunti a riconoscere, nel primo caso, la sostanziale equiparazione della posizione del gestore di un blog alla figura del direttore responsabile prevedendo di conseguenze l’applicazione del regime sanzionatorio di quest’ultimo per ipotesi di reato; nel secondo caso la sostanziale coincidenza tra blog informativo e stampa. Diverso, invece, l’orientamento della Suprema Corte (V sez. pen.) emerso con sentenza n. 35511 nel 2010. In quest’ultima pronuncia, la Corte è giunta ad affermare la non assoggettabilità del direttore di un giornale on line al regime di responsabilità previsto dalla legge sulla stampa ed in particolare alla fattispecie di responsabilità per omesso controllo disciplinata dall’art. 57 del c. p. È evidente la difficoltà di trovare un filone interpretativo unico dinanzi ad uno scenario così profondamente dinamico. Ne deriva un quadro normativo complesso e ancora ricco di rilievi critici. Per un approfondimento cfr. A. Papa, Espressione e diffusione del pensiero in Internet. Tutela dei diritti e progresso tecnologico, op. cit., pp. 477-496; G. Cassano, I. P. Cimino (a cura di), Diritto dell’internet e delle nuove tecnologie telematiche, Cedam, Padova, 2009.; M. Cuniberti, Disciplina della stampa e dell’informazione in Rete, in M. Cuniberti (a cura di), Nuove tecnologie e libertà della comunicazione: profili costituzionali e pubblicistici Giuffrè, Milano, 2008; V. Zeno-Zencovich, La pretesa estensione alla telematica del regime della stampa: note critiche in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 1998. [14] Il contenuto della direttiva 2007/65/CE, è stato recepita dal legislatore italiano con D. Lgs. n. 44 del 2010 noto come Decreto Romani che ha integrato e modificato il Testo unico in materia di servizi di media audiovisivi adottato nel 2005. [15] Delibera 606/10/CONS – Regolamento concernente la prestazione di servizi di media audiovisivi lineari o radiofonici su altri mezzi di comunicazione elettronica ai sensi dell’art. 21, comma 1-bis, del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici. Per i servizi on demand, invece, l’Autorità ha adottato la delibera 607/10/CONS che subordina l’esercizio di tale attività alla previa presentazione di una segnalazione certificata di inizio attività (c.d. SCIA) ai sensi dell’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni. [16] L’art. 3, comma 4, della Delibera 606/10/CONS recita, infatti, quanto segue: “fatto salvo quanto previsto per la società concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo, le amministrazioni pubbliche, gli enti pubblici, anche economici, le società a prevalente partecipazione pubblica, e le aziende e gli istituti di credito non possono, né direttamente né indirettamente, essere titolari di autorizzazioni per la fornitura di servizi di media audiovisivi lineari o radiofonici su altri mezzi di comunicazione elettronica”. [17] Molteplici e di varia origine le critiche mosse alla prima versione dei Regolamenti dell’Agcom. Tra gli altri G. Scorza, Presidente dell’Istituto per le Politiche dell’Innovazione, affermava “Un ciclone di costi e di burocrazia sta per abbattersi sul mondo delle micro Web TV italiane e la sensazione è che solo poche potranno sopravvivere” in Il Decreto Romani, la fine delle micro Web-TV e la lettera al Presidente di Agcom, consultabile su http://www.scambioetico.org/?p=6683. La Femi – Federazione delle micro Web TV – a sua volta affermava di guardare “con molta preoccupazione i tentativi di regolamentare e tassare in modo arbitrario e pretestuoso il sistema informativo digitale rappresentato dal giornalismo partecipativo dal basso e non esclude di passare a forme di mobilitazione ‘a rete unificata’. Questi micro canali creati da cittadini videomaker per passione rappresentano nella loro unicità il tessuto informativo iperlocalizzato italiano e svolgono un ruolo di primaria importanza e un servizio di pubblica utilità, colmando un vuoto informativo. Il rischio che questo schema di regolamento pone è la chiusura, in un terreno come quello del Web dove la democrazia partecipativa informativa dovrebbe essere tutelata”. Sullo stesso profilo cfr. A rischio le micro Web TV italiane http://giampaolocolletti.nova100.ilsole24ore.com/2010/07/a-rischio-le-micro-web-tv-italiane.html Femi denuncia: ‘nuovi regolamenti e tasse mettono a rischio micro Web TV’ http://www.key4biz.it/News/2010/07/23/Policy/Agcom_Guido_Scorza_modalita_streaming_modalita_on_demand_Femi_Giampaolo_Colletti_web_Tv_198306.html. [18] Dai regolamenti 606/10/CONS e 607/10/CONS adottati dall’Agcom si legge che i ricavi a cui fare riferimento sono quelli derivanti da c. d. attività tipiche, ovvero pubblicità, televendite, sponsorizzazioni, contratti e convenzioni con soggetti pubblici e privati, provvidenze pubbliche e da offerte televisive a pagamento. Da tali ricavi vanno naturalmente esclusi quelli derivanti da servizi diversi da quelli televisivi quali, ad esempio, quelli di hosting, che dunque non vanno computati ai fini della determinazione della soglia di esenzione. [19] Cosi V. Zeno-Zencovich in occasione del seminario di studi promosso dall’Istituto per lo studio dell’innovazione nei media e per la multimedialità intitolato “ La Over-the-Top Television”, tenutosi a Roma l’8 giugno 2012. [20] Direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno (“Direttiva sul commercio elettronico”). La direttiva n. 31/2000/CE per la prima volta ha tracciato contenuti e limiti della responsabilità degli Internet service provider (ISP) a seconda che essi svolgano attività di mere conduit, di caching e hosting di contenuti digitali (art. 12, 13, 14). A tal proposito, la direttiva muove dal sostanziale principio di non responsabilità degli Internet provider per gli eventuali atti illeciti compiuti dai propri utenti. Si desume in tale atto un peculiare favor ad essi rivolto da parte del legislatore europeo, giustificato soprattutto dalla natura tecnica di un’attività che non trova eguali nel mondo reale. Costituendo una fattispecie atipica, l’attività dei provider non sopporta di essere oggetto di una mera opera di analogia, che si limita ad attingere a norme già esistenti e spesso non rispondenti alle peculiarità dei mezzi, degli attori e dei destinatari coinvolti. In questo modo, l’interpretazione analogica del ruolo del provider, in termini di culpa in vigilando, fatta propria dalla giurisprudenza di inizio anni ‘90 (si pensi all’equiparazione di un sito Internet ad un organo di stampa compiuta dal Tribunale di Napoli con sentenza 8 agosto 1996 e del riconoscimento di una responsabilità analoga a quella prevista dall’art. 57 c. p. a carico dei direttori responsabili compiuta dal Tribunale di Teramo con ordinanza del 11-12-1997cede il passo ad una impostazione più realistica del sistema delle responsabilità delle attività in Rete, che allontana la semplicistica equiparazione provider – editore di testata giornalistica. Sembra prevalere la considerazione che la Rete, intesa come struttura aperta, globale e fortemente decentralizzata renda tecnicamente impossibile realizzare un’attività di controllo relativamente ai contenuti immessi da soggetti terzi. Da ciò deriva la convinzione che fornire semplicemente l’accesso alle nuove reti di comunicazione non possa comportare una responsabilità di tipo oggettivo sui dati immessi dai propri utenti: il provider che eroga un servizio di mere conduit opera sullo stesso piano di un gestore telefonico che di norma non risponde del contenuto illecito del traffico voce dei propri abbonati. Profili di responsabilità, invece, possono evidenziarsi nel caso di provider che offrano servizi aggiuntivi, come l’attività di caching e di hosting, ma solo nel caso in cui assumano un ruolo di diretto coinvolgimento nel compimento dell’illecito ovvero siano effettivamente informati dell’esistenza di un contenuto illecito o illecitamente memorizzato. A rafforzare tale interpretazione, vi è anche la previsione dell’art. 15 che prevede l’assenza di un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmettono o memorizzano cui si associa l’assenza di un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite. A contemperare tale sostanziale irresponsabilità opera l’obbligo di informare senza indugio la pubblica autorità competente di presunte attività o informazioni illecite dei destinatari dei loro servizi o a comunicare alle autorità competenti, a loro richiesta, informazioni che consentano l’identificazione dei destinatari dei loro servizi con cui hanno accordi di memorizzazione dei dati. Il sistema di responsabilità dei provider, quindi, si dimostra essere particolareggiato, articolandosi in base al concreto servizio da essi erogato, configurando l’esistenza di una responsabilità soggettiva. Quest’ultima assume carattere colposo nel caso in cui il provider pur essendo consapevole del materiale illecito presente sul proprio sito si astiene ad accertarne l’illiceità e, quindi, a rimuoverlo. Assume, invece, carattere doloso nel caso in cui il fornitore pur avendo conoscenza dell’antigiuridicità della condotta dell’agente, non provvede ad intervenire. Pertanto tutti i soggetti considerati, ove resi edotti della violazione commessa possono essere destinatari di notifica di un organo giurisdizionale o di un’autorità amministrativa intesa ad evitare che la violazione persista, e se del caso di sanzioni nel caso di inottemperanza dell’ordine ricevuto. Una disposizione di particolare rilievo perché introduce un principio cardine per la giusta evoluzione dei servizi della società dell’informazione consistente nella necessità di una particolare rapporto di collaborazione tra i diversi attori che operano nella Rete per reprimere e combattere l’utilizzo illecito. Per un approfondimento G. Cassano, I. P. Cimino (a cura di), Diritto dell’internet e delle nuove tecnologie telematiche, op. cit.; G. Cassano, A. Contaldo, La natura giuridica e la responsabilità civile degli Internet Service Providers (ISP): il punto sulla giurisprudenza in www. info-legal. it; G. Corrias Lucente, La pretesa della responsabilità penale degli intermediari di contenuti su Internet in www. dejure. giuffre. it; E. De Marco (a cura di), Accesso alla Rete e uguaglianza digitale, Giuffrè, Milano, 2008; C. Gattei, Considerazioni sulla responsabilità dell’internet provider in www.altalex.it; M. Orofino, Profili costituzionali delle comunicazioni elettroniche nell’ordinamento multilivello, op. cit. Giuffrè, Milano, 2008. [21] Direttiva 2010/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 marzo 2010, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi – c. d. Direttiva sui servizi di media audiovisivi. [22] Un esempio di particolare rilievo è dato dalla c.d. Google TV. Quest’ultima è una piattaforma per smart TV, di proprietà della società americana Google, basata sulla piena convergenza fra la tradizionale trasmissione in diretta video digitale, i contenuti diffusi via internet, i file media locali e ed i molteplici servizi offerti dal Web. Tramite tale dispositivo, infatti, l’utente dispone di un terminale sempre connesso che gli consente di usufruire dei servizi televisivi tradizionali e al contempo, mediante un approccio cosiddetto di “open sea”, dei servizi tipici della rete Internet come l’accesso ai social network, alla posta elettronica e alle altre applicazioni Web in modo semplice e veloce. Tutto questo utilizzando un unico mezzo di trasmissione ed un solo telecomando. La peculiarità di tale piattaforma, dal punto di vista dell’accessibilità dei contenuti diffusi e, quindi, parallelamente del contributo offerto dai nuovi mezzi di comunicazione alla causa del pluralismo radiotelevisivo, sta nel fatto che il progetto “Google Tv” ha richiesto necessariamente una preventiva fase di contrattazione tra la società in questione ed i maggiori produttori di dispositivi televisivi. Nella fattispecie, Google, ponendosi come semplice intermediario dei contenuti diffusi, prima di poter lanciare il proprio prodotto sul mercato americano nel 2010 e successivamente su quello europeo, ha dovuto stringere accordi commerciali con le principali società costruttrici di televisori, quali la giapponese Sony e la svizzera Logitech, ma anche altre società come Toshiba, LG Electronics e Sharp per consentire la realizzazione di dispositivi che supportassero la connessione alla Rete. Nonostante la piena realizzazione di tali accordi, la diffusione di tale tipo di televisione ha subito un forte rallentamento a causa della mancata adesione alla piattaforma delle più importanti emittenti radiotelevisive americane. Questo ha ridimensionato fortemente la consistenza del bouquet dei programmi offerti dalla piattaforma con un prevedibile calo delle vendite stimate. Lo stesso problema si è riproposto sul mercato francese dove i maggiori broadcaster hanno firmato una carta di intenti finalizzata ad imporre rilevanti limitazioni alla diffusione dei contenuti attraverso la Web Tv del gruppo di Mountain View. Alla base di tale atteggiamento, vi è una modalità di diffusione di tipo integrato con i servizi offerti dal Web – si pensi ad esempio alla possibilità di commentare in diretta il programma che si sta guardando tramite Twitter o Facebook – che è fortemente temuta dalle tradizionali emittenti televisive. In particolare, tali emittenti temono che questo modo alternativo di usufruire dei servizi televisivi sia in grado di “cannibalizzare” il loro mercato dei ricavi e determinare una rilevante perdita di controllo del bacino di utenza ormai non più interessata ai servizi offerti in maniera tradizionale. Per un approfondimento cfr. Industry Leaders Announce Open Platform to Bring Web to TV, http://googlepress.blogspot.it/2010/05/industry-leaders-announce-open-platform.html, 20 Maggio 2010; Big Networks Block Web Shows From Google TV, New York Times. http://bits.blogs.nytimes.com/2010/10/21/big-networks-block-web-shows-from-google-tv/, 21 Ottobre 2010; Google Tv: dopo il Regno Unito, arriva anche in Francia sulle smart Tv di Sony http://www.key4biz.it/News/2012/09/12/Tecnologie/Google_tv_sony_France_connected_tv_chrome_catchup_tv_212556.html, 12 settembre 2012; Google TV arrivera en France en 2012; http://www.numerama.com/magazine/17907-google-tv-arrivera-en-france-en-2012. html. [23] Maietta A., Il sistema delle responsabilità delle comunicazioni via Internet, in G. Cassano, I.P. Cimino (a cura di), Diritto dell’internet e delle nuove tecnologie telematiche, op. cit., p. 517 ss. [24] L’art. 1 lettera a) della direttiva 89/552/CEE, infatti, definiva la trasmissione televisiva come la trasmissione, via cavo o via etere, nonché la trasmissione via satellite, in forma non codificata o codificata, di programmi televisivi destinati al pubblico. In tale definizione, traspare in maniera evidente la forte identificazione una volta esistente tra il mezzo utilizzato (l’etere, il cavo ovvero il satellite) e l’attività radiotelevisiva, emblema di un mondo analogico fondato sulla stretta correlazione esistente tra strumento di diffusione e servizio diffuso e che viene completamente a tramontare con la disciplina in analisi. [25] Art. 1 della direttiva 2007/65/CE confluito nell’art. 1 co. 1 l. a) della direttiva 2010/13/UE. [26] Questa è la definizione presente nel Considerando (58) della stessa direttiva 2010/13/UE. Rileva sottolineare che, con riferimento all’attuale presenza di una regolazione differenziata e non interamente rispondente alle emergenti esigenze degli utenti, M. Cuniberti sostiene che tentando di ricondurre ad un quadro unitario le varie manifestazioni del sistema televisivo si possa, tuttavia, correre il rischio di creare un sistema “a due velocità”, con un divario sempre più accentuato tra l’utente consumatore (che paga e quindi è protetto) e l’utente generico (che non paga e le cui protezioni sono più simboliche che altro)”. M. Cuniberti, La tutela degli utenti, in F. Bassan, E. Tosi, Diritto degli audiovisivi, commento al nuovo Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi e Radiofonici come modificato dal D. Lgs. 15 marzo 2010, n. 44, Giuffrè, Milano, 2012, p. 346. [27] La definizione di “disagio tecnologico” è di G. Scorza, ne Il contratto del commercio elettronico in G. Cassano, I.P. Cimino, Diritto dell’Internet e delle nuove tecnologie telematiche, op. cit., p. 145. In tale ottica, l’A. afferma che il cyber consumatore soffre di una debolezza originaria nei rapporti di consumo del commercio elettronico a causa dell’impenetrabilità delle dinamiche di funzionamento dell’applicativo software attraverso il quale il fornitore commercializza i propri beni o servizi, nell’estrema difficoltà con cui esso può precostituirsi una prova utilizzabile per valere giudizialmente un proprio diritto”. [28] La Direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2000 relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno (“Direttiva sul commercio elettronico”) ha previsto a carico del prestatore l’obbligo di fornire al consumatore una serie di informazioni specifiche e dettagliate volte a garantire la propria identificazione e a consentire alla controparte di contattarlo in maniera immediata. In particolare, tale direttiva stabilisce all’articolo 5 che oltre agli obblighi di informazione previsti dal diritto comunitario, gli Stati membri debbano provvedere “affinché il prestatore renda facilmente accessibili in modo diretto e permanente ai destinatari del servizio e alle competenti autorità almeno le seguenti informazioni:a) il nome del prestatore; b) l’indirizzo geografico dove il prestatore è stabilito; c) gli estremi che permettono di contattare rapidamente il prestatore e di comunicare direttamente ed efficacemente con lui, compreso l’indirizzo di posta elettronica; d) qualora il prestato sia iscritto in un registro di commercio o analogo pubblico registro, il registro presso il quale è iscritto ed il relativo numero di immatricolazione o mezzo equivalente di identificazione contemplato nel detto registro; e) qualora un’attività si soggetta ad autorizzazione, gli estremi della competente autorità di controllo; f) per quanto riguarda le professioni regolamentate:- l’ordine professionale o istituzione analoga, presso cui il fornitore è iscritto; – il titolo professionale e lo Stato membro in cui è stato rilasciato; – un riferimento alle norme professionali vigenti nello Stato membro di stabilimento nonché le modalità di accesso alle medesime; g) se il prestatore esercita un’attività soggetta ad IVA, il numero di identificazione di cui all’articolo 22, paragrafo 1, della direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile interne”. [29] Si pensi ad esempio ai fenomeni di catch up TV basati sulla diffusione on line di spezzoni di programmi provenienti dai palinsesti già trasmessi sulla piattaforma televisiva tradizionale. [30] Questa è la definizione data dall’Agcom nell’Allegato A alla delibera n. 714/11/CONS intitolato: “La neutralità della rete: le risultanze della consultazione pubblica” di cui alla delibera n. 40/11/CONS. [31] Con riferimento al concetto di traffic management, A. Marino in Accesso in Internet e net neutrality in A. Papa (a cura di), Comunicazione e nuove tecnologie – New media e tutela dei diritti, Aracne, Roma, 2011, p. 79, afferma che “esso teoricamente consta di una obbligazione generale ed ex ante di non discriminazione da parte degli operatori di rete per l’accesso dei fornitori di servizi, al fine di impedire loro di porre in essere partiche di esclusione come ad esempio bloccare l’accesso a determinati tipi di contenuti ovvero di dare priorità ad altri, degradare la qualità della trasmissione o imporre restrizioni irragionevoli all’accesso”. [32] Un esempio di rilievo è rappresentato dalle critiche che sono state sollevate nel Regno Unito in merito al al servizio catch-up TV fornito dall’emittente pubblica britannica. Divenuta una delle piattaforme online più utilizzate dagli utenti inglesi, BBC IPlayer è stata oggetto negli ultimi anni di un intenso dibattito circa la sostenibilità di tale servizio da parte della Rete. Lo straordinario successo conseguito dalla diffusione al di fuori dei confini della televisione tradizionale della programmazione dell’emittente pubblica ha sollevato critiche accese da parte degli Internet Service Provider costretti a sostenere costi elevatissimi per garantire la veicolazione di tali contenuti in alta definizione visto che l’emittente non è tenuta ad investire nel miglioramento della prestazione delle reti di diffusione. A questo si aggiunge il rischio di una consistente sottrazione di capacità della banda a danno di altri fornitori di contenuti caratterizzati da una minore attrattività nei confronti del pubblico televisivo. Per un approfondimento cifr. ISPs warn BBC over new iPlayer service, http://www.ft.com/cms/s/0/f3428cd4-48fb-11dc-b326-0000779fd2ac.html#axzz2OTdih1qf; iPlayer Brings Net Neutrality Debate to Europe http://gigaom.com/2008/02/22/iplayer-brings-net-neutrality-debate-to-europe/; Preta A., Network neutrality. Teoria economica e ruolo della regolamentazione: il modello USA, in Astrid-online.it. [33] Direttiva n. 2009/140/CE recante modifica delle direttive 2002/21/CE che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica, 2002/19/CE relativa all’accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate, e all’interconnessione delle medesime e 2002/20/CE relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica. [34] Molteplici sono gli autori che hanno evidenziato la necessità di nuove misure di tipo pro concorrenziale soprattutto in Italia dove il mercato dell’audiovisivo risulta ancora essere compresso nella morsa degli incumbents tradizionali. A tal proposito cfr, tra gli altri: Agcom, Libro bianco sui contenuti, op. cit. Così G. Aranguena De La Paz, Barriere allo sviluppo dell’offerta televisiva IP based ed accesso ai contenuti: rimedi pro concorrenziali, Medialaws – Law and Policy of the Media in a Comparative Perspective, Maggio 2011; M. Clarich, Regolazione e concorrenza nelle comunicazioni elettroniche in Perez R. (a cura di), Il nuovo ordinamento delle comunicazioni elettroniche, Giuffrè, Milano, 2004; V. Zeno-Zencovich (a cura di), La nuova televisione europea: Commento al “Decreto Romani”, Maggioli Editore, Rimini, 2010; M. Feintuck,M. Varney, Media regulation, Public interest and the Law, Edinburgh University Press, 2007. [35] Così G. Aranguena De La Paz, Barriere allo sviluppo dell’offerta televisiva IP based ed accesso ai contenuti: rimedi pro concorrenziali, op. cit., p. 8. [36] Sulle criticità della disciplina dedicata al passaggio al digitale terrestre, Cfr. tra gli altri Gardini G., L’attività radiotelevisiva come interesse generale. Ruolo del regolatore e inadeguatezza del mercato in Le Istituzioni del Federalismo, suppl. n. 1/2006; R. Zaccaria, A. Valastro, E. Albanesi, E. Brogi (con la collaborazione di), Diritto dell’informazione e della comunicazione, Cedam, Padova, 2010; V. Zeno-Zencovich, Motivi ed obiettivi della disciplina della televisione digitale in A. Frignani, E. Poddighe, V. Zeno–Zencovich, La televisione digitale. Temi e problemi. Commentario al D. Lgs. 177/05 (T.U. della Radiotelevisione), Giuffrè, Milano, 2006; G. Aranguena De La Paz, Barriere allo sviluppo dell’offerta televisiva IP based ed accesso ai contenuti: rimedi pro concorrenziali, op. cit., p. 10. [37] Cfr., fra gli altri, G. Aranguena De La Paz, Barriere allo sviluppo dell’offerta televisiva IP based ed accesso ai contenuti: rimedi pro concorrenziali, op. cit., p. 10. [38] Per un approfondimento sul problema del diritto d’autore in Rete cfr. tra gli altri A. M. Gambino, A. Stazi, Diritto dell’informatica e della comunicazione, Giappichelli, Torino, 2009; G. Cassano, G. Vaciago, G. Scorza, Diritto dell’internet. Manuale operativo – casi, legislazione, giurisprudenza, Cedam, Padova, 2012; D. Memmo, S. Miconi, Broadcasting regulation: market entry and licensing, Giuffrè, Milano, 2006. [39] Esponente di tale visione V. Zeno-Zencovich che ha espresso il proprio punto di vista in occasione del seminario di studi promosso dall’istituto per lo studio dell’innovazione nei media e per la multimedialità intitolato “ La Over-the-Top Television”, tenutosi a Roma l’8 giugno 2012. Dello stesso avviso, G. Aranguena De La Paz, Barriere allo sviluppo dell’offerta televisiva IP based ed accesso ai contenuti: rimedi pro concorrenziali, op. cit., in cui suggerisce inoltre “l’imposizione normativa di obblighi di “spacchettamento” dei diritti per piattaforma, ovvero di divieti per un operatore di una determinata piattaforma di acquistare i diritti anche per le piattaforme che non gestisce per non sottrarre la possibilità per altri soggetti di trasmette gli stessi contenuti”. [40] La direttiva n. 2010/13/UE ai sensi dell’art. 3 pone a carico degli Stati Membri l’obbligo di garantire la libertà di ricezione e di non ostacolare la ritrasmissione sul proprio territorio di servizi di media audiovisivi provenienti da altri Stati membri. Tuttavia, lascia loro la possibilità di derogare al principio del paese d’origine per specifici motivi di interesse generale seguendo un’apposita procedura di notifica. Una peculiare disciplina è prevista per i servizi media audiovisivi a richiesta all’art. 3 comma 4 l. a). La direttiva, infatti, stabilisce che gli Stati membri possono adottare interventi in deroga al principio di libertà di ricezione per motivi di ordine pubblico, in particolare per l’opera di prevenzione, investigazione, individuazione e perseguimento di reati, anche in vista della tutela dei minori e della lotta contro l’incitamento all’odio basato su razza, sesso, religione o nazionalità, nonché contro violazioni della dignità umana dei singoli individui, tutela della sanità pubblica, pubblica sicurezza, compresa la salvaguardia della sicurezza e della difesa nazionale, tutela dei consumatori, ivi compresi gli investitori. [41] Si pensi ai casi di Google, Facebook, Apple ed Amazon per citarne solo alcuni. [42] La direttiva 200/21/CE che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica chiarisce esplicitamente al Considerando 5 che “è necessario separare la disciplina dei mezzi di trasmissione dalla disciplina dei contenuti. Di conseguenza, il presente quadro normativo non si applica ai contenuti dei servizi forniti mediante reti di comunicazione elettronica che utilizzano servizi di comunicazione elettronica, come i contenuti delle emissioni radiotelevisive, i servizi finanziari e taluni servizi della società dell’informazione e lascia quindi impregiudicate le misure adottate a livello comunitario o nazionale riguardo a tali servizi in ottemperanza alla normativa comunitaria, per promuovere la diversità culturale e linguistica e per assicurare la difesa del pluralismo dei mezzi di informazione”. [43] Il concetto di “unità nella differenza” è intrinsecamente connesso all’evoluzione storica, politica, culturale ed economica dell’Unione Europea. Esso parte dalla constatazione che l’Europa si compone di molteplici popoli dai diversi percorsi storici – culturali che “uniti da un comune destino favoriscono la creazione di una “cultura delle differenze”. La necessaria fusione non porta ad un appiattimento culturale ed un abbandono delle tradizioni nazionali, ma al contrario porta alla realizzazione di un ulteriore livello culturale che trova valore aggiunto proprio nell’incontro tra le diversità. A tal proposito, l’art. 151 TCE stabilisce che “La Comunità contribuisce al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali, evidenziando nel contempo il retaggio culturale comune”. Proseguendo, lo stesso articolo cita: “L’azione della Comunità è intesa ad incoraggiare la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, ad appoggiare e ad integrare l’azione di questi ultimi nei seguenti settori: miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura e della storia dei popoli europei, conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale di importanza europea […]”. Ne deriva che “l’Unione[…] non si sostituisce agli Stati Membri, ma si affianca ad essi, al fine di incoraggiare la cooperazione culturale in un quadro rispettoso del comune patrimonio, ma anche della differenziazione”. Così P. Bilancia, F. G. Pizzetti, Aspetti e problemi del costituzionalismo multilivello, Giuffrè, Milano, 2004, p. 44. [44] S. Venturini, Autoregolamentazione e coregolamentazione nell’audiovisivo in F. Bassan, E. Tosi, Diritto degli audiovisivi, commento al nuovo Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi e Radiofonici come modificato dal D. Lgs. 15 marzo 2010, n. 44, op. cit., p. 351. L’autrice asserisce che i codici di condotta e codici di autoregolamentazione costituiscono il “precipitato del fenomeno, ormai noto e studiato, della formazione negoziale del diritto, nella quale l’autonomia privata, non più solo individuale, diventa collettiva e svolge una funzione a volte di esecuzione, altre di integrazione della norma”. [45] Il termine hosting attivo è stato coniato dal Tribunale di Milano che si è pronunciato con la sentenza n. 7680 del 2011 in merito alla causa RTI e IOL, instauratasi tra Reti Televisive Italiane spa e Italia Online srl. In tale occasione, RTI lamentava l’illecita presenza sulla piattaforma di proprietà di IOL di numerosi filmati di sua proprietà, peraltro associati a molteplici messaggi pubblicitari e ad un articolato sistema di organizzazione dei video immessi dagli utenti. Accogliendo l’istanza del ricorrente, il Tribunale di Milano ha ritenuto che effettivamente le modalità di prestazione del servizio offerto eccedessero i parametri individuati dalla direttiva 2000/31/CE in materia di responsabilità dei fornitori di servizi. Al contrario, “con il servizio Libero Video, IOL, non si limitava a fornire spazio di memoria agli utenti per memorizzare dei contenuti audiovisivi, ma li organizzava, li rendeva accessibili mediante un motore di ricerca, ne suggeriva la visione mediante il servizio “videocorrelati” arricchendone, quindi, la fruizione. Sulla base di tale constatazione, quindi, il Tribunale ha ritenuto che IOL non si caratterizzasse per un atteggiamento neutro e passivo rispetto all’organizzazione e la gestione dei contenuti immessi, ma al contrario integrasse una condotta “invadente” tale da trasformarlo in un hosting, appunto, attivo. Da qui, il riconoscimento della violazione degli artt. 78-ter e 79 della legge n. 633/1941, con la conseguente inibizione dell’ulteriore diffusione di tali contenuti ed una sanzione pecuniaria. Tale interpretazione è stata ripresa dalla Corte di Giustizia con la sentenza L’Oreal v. eBAy del 12 Luglio 2011 (Causa C. 324/09) con la quale la Corte ha ribadito il venir meno dell’obbligo dell’esonero di responsabilità nel caso in cui il provider abbia svolto un ruolo attivo che gli permette di avere conoscenza o controllo circa i dati memorizzati. Nella fattispecie, non poteva riconoscersi ad eBay tale esonero in quanto detto gestore svolgeva un’assistenza che consisteva, in particolare, nella ottimizzazione della presentazione delle offerte relative ai prodotti della ricorrente. Sull’argomento cfr. A. Papa, La complessa realtà della Rete tra “creatività” dei fornitori di servizi Internet ed esigenze regolatorie pubbliche: la sottile linea di demarcazione tra provider di servizi “content” e di “hosting attivo”, Economia e Diritto del Terziario, 2, 2012. [46] A tal proposito occorre rilevare che l’ordinamento italiano sembra aver fatta proprio questo percorso normativo. Si fa riferimento all’avvio, nel Febbraio 2013, di un’indagine conoscitiva sulla Televisione 2.0 promossa dall’Autorità garante per le comunicazioni. Con delibera n. 93/13/CONS l’Agcom, infatti, ha deciso di sottoporre ai vari stakeholders operanti nel settore degli audiovisivi una serie di quesiti di rilievo in materia collegati alle principali tematiche di interesse dell’Autorità sulla base della consapevolezza che tale tipo di televisione “avrà conseguenze sul controllo della pubblicità e dei contenuti, sull’efficacia delle misure di promozione delle opere europee, questioni di diritti di proprietà intellettuali, la protezione dei minori, la protezione dei dati e l’alfabetizzazione mediatica dei gruppi più vulnerabili”. I risultati di tale indagine oltre a dare il polso di una situazione in continua evoluzione, probabilmente costituiranno un importante punto di partenza per un intervento regolatorio mirato e destinato ad un fenomeno che riveste un ruolo cruciale ai fini dell’adeguato sviluppo in senso democratico del settore radiotelevisivo. Tale indagine è stata promossa dall’Autorità garante a seguito dell’adozione della delibera n. 93/13/CONS dal titolo avvio di un’indagine conoscitiva in vista della redazione di un Libro bianco sulla “Televisione 2.0 nell’era della convergenza”. L’Autorità ha sottolineato nella stessa delibera che alla base dell’avvio dell’indagine vi è ”l’esigenza di approfondire, attraverso apposita indagine conoscitiva, tutti gli aspetti propri delle molteplici fasi del processo di innovazione dei contenuti diffusi su reti di comunicazione elettronica, nonché gli impatti sul mercato del settore proprio di riferimento e le previsioni in termini di sviluppo culturale, economico e sociale derivanti da tale processo al fine di addivenire alla redazione di un Libro Bianco sulla “Televisione 2.0 nell’era della convergenza”. Scarica il contributo [Pdf] Scarica il quaderno Anno III – Numero 4 – Ottobre/Dicembre 2013 [pdf]