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La responsabilità dei provider

Internet Provider

di Ferdinando Tozzi

Internet providerAppare ormai inconfutabile come il diritto di autore, nel nuovo contesto tecnologico, deve, sempre di più, essere una norma regolatrice per un corretto accesso ai contenuti creativi . Allo stesso tempo l’efficacia e l’utilità del suo ruolo è inversamente proporzionale agli spazi normativi indeterminati e dunque all’arbitrio del singolo. Il diritto d’autore, insomma, deve continuare ad operare con continuità sistematica, in armonia con le evoluzioni tecnologiche : va infatti compreso che utilizzare abusivamente un’opera dell’ingegno, in qualsiasi ambito, equivale ad utilizzare abusivamente un qualsivoglia bene di proprietà altrui. Solo così si potrà ottenere una  corretta accessibilità alle opere dell’ingegno nel web ed avere un diritto di autore che – pur mantenendo intatta la sua funzione di tutela dei diritti – non sia di ostacolo , ma di incentivo ad un equilibrato sviluppo della cultura e dell’innovazione, garantendo un necessario, doveroso riconoscimento dei diritti degli autori e titolari sulle proprie opere e prodotti. Proprio la sfida portata dalle nuove tecnologie al diritto di autore fa sì che detta normativa debba perseguire, ad avviso di chi scrive, un duplice, fondamentale, mbt schuhe günstig compito: garantire e preservare il corretto accesso alla conoscenza ed al contempo salvaguardare i diritti e la remunerazione delle attività creative, con piena coscienza che ogni opera è frutto di lavoro e professionalità ed è dunque doveroso salvaguardare il bene intellettuale che genera  proventi economici. Proventi che rappresentano non solo  la retribuzione dell’ingegno degli autori  ma, soprattutto, l’incentivo alla futura creatività ed alla ulteriore produzione culturale del nostro Paese.  E’ perciò necessario che, soprattutto, nell’on line venga fatta chiarezza su ciò che è vietato e ciò che conseguentemente è lecito e che se ne dia informazione al mercato in modo che tutti gli operatori abbiano piena consapevolezza del discrimen tra uso lecito ed illecito di contenuti creativi, evitando opzioni di “congelamento” della normativa. Il più delle volte la violazione dei diritti sulle opere dell’ingegno avviene attraverso la loro immissione in un sistema di reti telematiche, perciò è necessaria un’applicazione più aderente alle esigenze di tutela del diritto di autore della normativa vigente a disciplina della responsabilità del provider (il c.d. prestatore di servizi). Si tratta di valorizzare le possibilità offerte dagli strumenti attuali e dunque, nell’attesa di eventuali interventi normativi ad hoc, cui pure si sta lavorando, ragionare al presente in punto di diritto positivo. Il Decreto Legislativo del 9 aprile 2003 n° 70 emanato in attuazione della Direttiva UE n° 31 del 2000, contiene una serie di elementi che devono necessariamente essere valorizzati attraverso una interpretazione ed applicazione orientata proprio a sopperire allo stato di asimmetria funzionale e di squilibrio attuali. Uno squilibrio che, con l’avvento delle nuove tecnologie, si è venuto a cristallizzare nel “sistema” del diritto di autore. Come noto, in relazione al criterio di imputazione della responsabilità civile del prestatore,  si possono configurare tre principali ipotesi: a) il caso in cui il prestatore è autore dell’illecito; b) il caso in cui ha una responsabilità concorrente; c) il caso in cui è responsabile per negligenza. Nel caso a), è lo stesso prestatore ad essere autore dell’illecito e quindi si tratta della responsabilità da illecito extracontrattuale, senza particolari problematiche dovute al contesto in rete. Nell’ipotesi b), per aversi responsabilità del prestatore occorre la conoscenza del fatto illecito compiuto da un terzo attraverso la propria infrastruttura tecnologica e la fornitura consapevole dell’accesso ai dati illeciti.   L’ipotesi c) ricalca un caso di responsabilità indiretta: il provider non vigila o non adotta le misure di sicurezza necessarie a garanzia della liceità dei contenuti immessi dall’esterno sul server da lui gestito, con l’inquadramento alternativo di una responsabilità oggettiva per difetti di sicurezza del servizio prestato oppure nella fattispecie dell’articolo 2050 c.c. sulla responsabilità per l’esercizio di attività pericolose. In generale può sostenersi che non ci sono responsabilità sui contenuti, a meno che non vi siano modifiche degli  stessi ad opera del provider. L’esenzione da responsabilità è infatti condizionata al fatto che il prestatore: non dia origine alla trasmissione; non selezioni il destinatario della trasmissione; non selezioni né modifichi le informazioni trasmesse.  La normativa pone dunque una limitazione generale di responsabilità, in quanto statuisce che nel prestare i servizi di mere conduit, caching ed hosting, il prestatore non è assoggettato ad un obbligo di sorveglianza sulle informazioni che trasmette o memorizza, né ad un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite. Però il legislatore aggiunge che il prestatore è comunque tenuto a: “informare senza indugio l’Autorità, qualora sia a conoscenza di illeciti riguardanti un suo destinatario” nonché a “fornire, sempre senza indugio, a richiesta dell’Autorità competente le informazioni in suo possesso che consentano di individuare il suo destinatario, ai fini di una attività preventiva degli illeciti”. La Direttiva prevede dunque che i fornitori dei servizi web rispondano quando siano consapevoli della illiceità delle attività del destinatario del servizio o dell’informazione da esso fornita ovvero di fatti e di circostanze che rendano manifesta l’illiceità. Inoltre, la Direttiva consente ai singoli Stati membri cui è diretta di prevedere possibili azioni inibitorie che possano imporre ai provider di “porre fine a una violazione o impedirla, anche con la rimozione dell’informazione illecita o la disabilitazione dell’accesso alla medesima” (si pensi al metodo c.d. del notice and take down). Ancora, è da precisare come laddove il provider non presti meri servizi ancillari, ma collabori alla commissione di illeciti oppure presti servizi ulteriori a quelli previsti dalla Direttiva o anche che non adempia al dovere di diligenza, non può godere delle esenzioni previste dalla citata normativa. Proprio in tale direzione, valorizzando principi cardine del nostro ordinamento giuridico, pare allora possibile leggere una recente ordinanza del Tribunale di Roma (del 15 dicembre 2009 e confermata in sede di reclamo l’11 gennaio 2010) in cui è stata riconosciuta la responsabilità del provider (nello specifico “YouTube”) con una innovativa applicazione del dettato normativo che, per inciso, ad avviso di chi scrive, da un punto di vista strettamente giuridico ha poco di innovativo perché segue uno dei brocardi del nostro ordinamento, cioè il dovere di correttezza e di buona fede nell’agire (dunque innovativa la pronuncia lo è solo in relazione a quello che era il pregresso approccio sul tema medesimo). La Corte capitolina ha motivato la condanna del provider in quanto, nonostante numerose diffide, si è avuta una reiterazione di atti illeciti in rete e dunque il provider obiettivamente a conoscenza di una grave situazione illecita nulla ha fatto. Per di più il medesimo soggetto, pur avendo un potere di monitoraggio sulla attività degli utenti non si è mai premurato di escludere la pubblicazione dei file illeciti; per meglio comprendere la decisione è utile riportare un estratto del  provvedimento del Tribunale di Roma, in particolare ove si deduce che: “[…] a fronte di una condotta così palesemente e reiteratamente lesiva dei diritti non è sostenibile la tesi delle resistenti su una presunta assoluta irresponsabilità del provider […vi è una] valutazione caso per caso della responsabilità del provider che seppur non è riconducibile ad un generale obbligo di sorveglianza rispetto al contenuto non ritenendosi in grado di operare una verifica di tutti i dati trasmessi che si risolverebbe in una inaccettabile responsabilità oggettiva, tuttavia assoggetta il provider a responsabilità quando non si limiti a fornire la connessione alla rete ma eroghi servizi aggiuntivi (p. es. caching o hosting) e/o predisponga un controllo delle informazioni e, soprattutto quando, consapevole della presenza di materiale sospetto si astenga dall’accertare la illiceità e dal rimuoverlo o se consapevole della antigiuridicità ometta di intervenire […]” aggiungendo a margine che “non possono valere le eccezioni e limitazioni di cui all’art. 65 lda relative all’esercizio del diritto di cronaca o dell’art. 70 lda della utilizzazione di brani o di parti di opera ad uso di critica e discussione in quanto è evidente il fine puramente commerciale […]”. Dunque è l’informazione, la conoscenza, ad apparire il vero discrimen tra la responsabilità e la non responsabilità dei provider. Secondo un parallelo con le teorie economiche dei giochi (in particolare del c.d. moral hazard) si può sostenere che l’agente che, conoscendo o dovendo conoscere l’illiceità dei contenuti immessi in rete, e, perciò, trovandosi in stato di simmetria informativa, abusa di tale informazione (insomma, non agisce per rimuovere tali contenuti), tiene una condotta opportunistica non meritevole di tutela, per cui è responsabile. L’agente, che invece non conosce e non può conoscere con la diligenza richiesta, lo stato di illiceità (trovandosi dunque in condizione di asimmetria informativa) è tutelato e dunque, secondo i citati articoli del D.Lgs 70/2003 non sarà responsabile. Certo è che non intelligere quod omnes intelligunt significa violare un dovere di informazione riflessiva a carico di ogni agente del mercato e della rete. Deve dunque applicarsi il principio di responsabilità per combattere così l’abuso di informazione e le condotte opportunistiche, salvaguardando solo chi in buona fede ha svolto una attività che altrimenti, con la sussistenza del presupposto della conoscenza, determinerebbe punibilità. Le brevi considerazioni fin qui esposte permettono così di sostenere come attraverso una attenta esecuzione della normativa vigente, si potrebbe ugualmente garantire una tendenzialmente piena tutela al diritto di autore nell’on line con un equilibrato contemperamento degli (apparentemente) opposti interessi in gioco: diritto alla  diffusione della cultura e dell’informazione e diritto a vedere garantita la proprietà intellettuale. Poiché le nuove sfide tecnologiche al diritto di autore sono state poste proprio dalla convergenza tra informatica e telecomunicazioni – che consente la riproduzione digitale delle opere ed il trasferimento dei dati in maniera capillare ed a costi sempre decrescenti, permettendo così a chiunque di “impadronirsi” delle opere altrui – appare chiaro come bisogna ricondurre a sistema il ruolo e dunque la responsabilità dei provider. L’offerta lecita – a discapito della c.d. pirateria – potrà infatti trovare concreto sviluppo solo quando sarà possibile avere un corpus omogeneo di previsioni normative a tutela degli autori ed a garanzia dei diritti di accesso alla conoscenza per i fruitori. Al contempo bisogna poi che, non solo il giurista ma anche, il cittadino  in quanto tale si ponga in una diversa prospettiva, facendo si che la rete non sia una selvaggia terra di nessuno ma venga considerata quale una delle tante espressioni dell’essere umano, soggetta alle normali regole del vivere civile. Quanto sopra potrebbe portare ad una generale presa di coscienza con un mutamento radicale nell’approccio al problema non solo da parte dei Tribunali (che, si è visto, hanno sufficienti basi per un nuovo indirizzo di efficace contrasto a chi abusa delle nuove tecnologie) ma anche dei consumatori che potranno comprendere come la tutela della cultura risieda anche nella salvaguardia della proprietà intellettuale e nella remunerazione degli autori e dei loro aventi causa. Fino a che non vi sarà tale mutamento, culturale prima che giuridico, non sarà infatti possibile risolvere efficacemente alcuna problematica del diritto d’autore nel web. Pubblicato in VivaVerdi, Aprile 2010
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