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Open source in Italia: rilevante sentenza della Corte Costituzionale recentemente intervenuta su una legge regionale in materia di software libero

Open Source

di Elena Maggio

Open SourceLa Corte Costituzionale, nella sentenza n. 122 del 22 marzo u.s., depositata in cancelleria il successivo 26 marzo, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli 1, comma 3 e 3 della legge regionale del Piemonte del 26 marzo 2009 n. 9, recante norme in materia di pluralismo informatico, sull’adozione e la diffusione del software libero e sulla portabilità dei documenti informatici nella pubblica amministrazione, con riferimento all’art. 117, comma 2, lett. e) e lett. l), Cost. Infondate sono state, invece, dichiarate le questioni di legittimità costituzionale sollevate con riguardo agli articoli 4, comma 1, 5, comma 1, e 6, commi 1 e 2 della medesima legge regionale. Nei fatti, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso promosso l’8 giugno 2009 aveva sollevato questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Piemonte 26 marzo 2009, n. 9. Nel ricorso, che pure individuava la ratio della normativa censurata, composta da 13 articoli, nel fine di favorire il pluralismo informatico, garantire l’accesso e la libertà di scelta nella realizzazione di piattaforme informatiche e consentire l’eliminazione di ogni barriera dovuta all’uso di standard non aperti, promuovendo la diffusione e lo sviluppo del software libero, per le sue positive ricadute sul progresso della ricerca scientifica e tecnologica, e perseguendo l’obiettivo della massima divulgazione dei propri programmi informatici realizzati mediante il detto software, veniva, sottolineata la sussistenza, nella suddetta legge regionale, di rilevanti profili d’illegittimità costituzionale, sostenendosi che talune disposizioni violavano la competenza della legislazione statale, sia in materia di tutela della concorrenza, di cui all’art. 117, comma 2, lett. e), Cost., sia in ordine alla disciplina del diritto d’autore, con conseguente lesione della competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile e penale, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lettera l), Cost. In particolare è stato impugnato l’art. 1, comma 3, della legge della Regione Piemonte n. 9 del 2009, che, sotto la rubrica Finalità della legge, recita: “Alla cessione di software libero non si applicano le disposizioni di cui all’articolo 171bis della legge 22 aprile 1941, n. 633, in materia di protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio, come sostituito dall’articolo 13 della legge 18 agosto 2000, n. 248 recante nuove norme di tutela del diritto d’autore”. Non dovendosi, quindi, applicare al software libero, in base al disposto di tale articolo, le disposizioni della normativa nazionale a protezione del diritto d’autore. Il software cd. libero costituisce, però, un’opera dell’ingegno e, pertanto, non può che essere oggetto di diritto d’autore come ogni altro programma per elaboratore. La previsione di deroga alle ipotesi di reato contemplate dall’art. 171bis della legge n. 633 del 1941, come sostituito dall’art. 13 della legge n. 248 del 2000, supera, si è ritenuto nel ricorso, i limiti della potestà legislativa regionale, invadendo la sfera di competenza del legislatore nazionale. Altra questione di legittimità costituzionale è stata sollevata con riguardo all’art. 3 della legge regionale citata il quale, sotto la rubrica Diritto allo sviluppo portabile, recita: “Chiunque ha il diritto di sviluppare, pubblicare e utilizzare un software originale compatibile con gli standard di comunicazione e formati di salvataggio di un altro software, anche proprietario”. Tale disposizione intervenendo sulla materia del diritto d’autore, deroga alla disciplina dettata per tutti i programmi per elaboratori dagli artt. 64bis e seguenti della legge n. 633 del 1941, e successive modifiche e integrazioni, peraltro in attuazione della normativa europea in materia, ovvero della direttiva CE n. 91/250. La difesa dello Stato, inoltre, ha censurato l’art. 6, comma 1, della legge richiamata, ritenendo viziato, sotto il profilo della legittimità costituzionale, il disposto secondo cui “La Regione utilizza, nella propria attività, programmi per elaboratore elettronico dei quali detiene il codice sorgente”, con la possibilità “di modificare i programmi per elaboratore in modo da poterli adattare alle proprie esigenze”. La norma, si legge nel ricorso, andrebbe oltre la potestà legislativa regionale nei confronti della disciplina nazionale sul diritto d’autore. Infine, parte ricorrente censura ancora l’art. 6, comma 1, della legge de qua, estendendo la doglianza al comma 2, nonché l’art. 4, comma 1, nella parte in cui si prevede l’utilizzo, ad opera della Regione, “di programmi per elaboratore a sorgente aperto alla diffusione di documenti soggetti all’obbligo di pubblicità”. È censurato, infine, anche l’art. 5, comma 1, che prevede “l’utilizzo di programmi per elaboratore a sorgente aperto per il trattamento dei dati personali o di quei dati la cui diffusione a terzi non autorizzati può comportare pregiudizio per la pubblica sicurezza”. Al riguardo, la difesa dello Stato osserva che le dette norme sarebbero costituzionalmente illegittime in quanto invasive del principio di concorrenza, come elaborato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia della Comunità europea e recepito nel nostro ordinamento nella materia dei contratti pubblici con il codice dei contratti. La Corte prima di procedere all’esame dei motivi di censura appena indicati, al fine di inquadrare correttamente il thema decidendum, ha fornito importanti considerazioni di ordine generale, evidenziando come “Nel linguaggio informatico il concetto di open source e software libero individua un modello volontario di licenza e sub-licenza per lo sfruttamento del diritto d’autore su un programma per elaboratore, che si fonda sulla diretta accessibilità al sottostante codice sorgente e sulla libera modificabilità del software concesso in uso secondo tale modello. La licenza di tipo open source, quindi, esprime la rinunzia volontaria del titolare del copyright ad utilizzare le facoltà escludenti tipiche di esso, così favorendo l’interesse degli altri operatori/utenti, sia a fruire della conoscenza del codice sorgente, sia ad utilizzare i prodotti sviluppati sulla base del primo. Attraverso la conoscenza del codice sorgente si può apprendere la struttura del programma, la logica posta alla base della sua realizzazione, ed è possibile effettuare qualsiasi intervento modificativo, anche al fine di conseguire una interoperabilità o integrazione con altri programmi. Per tali ragioni, nei tradizionali modelli contrattuali di concessione in uso del software, non è consentito all’utente di ottenere la disponibilità del codice sorgente. Di recente, però, accanto al modello di licenza tradizionale, che prevede il pagamento di un corrispettivo a fronte della concessione del diritto d’uso, si sono imposti, nel mondo dell’informatica, schemi negoziali alternativi, i quali consentono all’utilizzatore del programma di avere una disponibilità completa sul codice sorgente e d’impiegare il software anche senza corrispettivo. Si tratta di formule contrattuali che concedono il diritto di utilizzare il programma in ogni settore di attività”. A seguito di tale fondamentale e puntuale descrizione della fattispecie in esame, la Corte Costituzionale ha considerato fondata la questione di legittimità costituzionale con riferimento all’art. 1, comma 3, ed all’art. 3, della legge regionale citata, sulla scorta delle seguenti considerazioni. Con riguardo all’art. 1, comma 3, prima commentato, la Corte ha sostenuto che la norma censurata, sottrae al precetto penale, di cui all’art. 171-bis della legge n. 633 del 1941, la cessione, in qualsiasi forma, di software libero, ancorché essa possa rivelarsi abusiva sia per invalidità della licenza, sia per contrasto con eventuali limiti o prescrizioni dalla medesima licenza previsti. L’ampia formula adottata dal legislatore regionale, dunque, esclude dall’ambito applicativo del precetto penale anche condotte suscettibili di essere qualificate come abusive, superando il limite inderogabile dell’ordinamento penale e perciò ledendo la competenza esclusiva dello Stato in tale materia, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. Con riferimento all’art. 3 della legge regionale, la Corte ha ritenuto l’articolo sopra citato in contrasto con la previsione contenuta all’art. 64quater, comma 1, della legge sul diritto d’autore il quale prescrive che “l’autorizzazione del titolare dei diritti non è richiesta, qualora la riproduzione del codice del programma di elaboratore e la traduzione della sua forma, ai sensi dell’art. 64-bis, lettere a) e b), della medesima legge, compiute al fine di modificare la forma del codice, siano indispensabili allo scopo di ottenere le informazioni necessarie per conseguire l’interoperabilità con altri programmi, di un programma per elaboratore creato autonomamente, purché siano soddisfatte le condizioni nella norma medesima previste”. La norma regionale, invece, senza formulare alcun richiamo alla normativa dello Stato in tema di diritto d’autore secondo la Corte “non soltanto non prevede alcun requisito o condizione per il diritto affermato, ma lo estende anche al software proprietario, cioè al programma per elaboratore, rilasciato con licenza d’uso che non soddisfi i requisiti di cui all’art. 2, lettera a), della legge della Regione Piemonte n. 9 del 2009. Così statuendo, essa realizza una palese deroga alla norma statale, introducendo un autonomo contenuto precettivo che si rivela non suscettibile di essere coordinato con la detta norma statale”. La Corte Costituzionale ha, poi, dichiarato, infondate le altre doglianze della ricorrente. Sulla scorta di quanto sin qui analizzato, si comprende come la legge regionale n. 9 del 26 marzo 2009, emanata dalla Regione Piemonte, misconoscesse le caratteristiche del software libero, pur affermando di volerne garantire la diffusione. Nel corpo della sentenza la Corte definisce il programma open source come il software che il creatore ha deciso di mettere a disposizione degli altri utenti, autorizzandoli a studiare il codice sorgente, a modificarlo e a ridistribuirlo liberamente, sia pure con le limitazioni che le parti possono pattuire nell’ambito dell’autonomia negoziale. Il legislatore era, quindi, incappato nell’errore di confondere il software libero con un’assenza di diritti da parte dell’autore, arrivando a ritenere che una ridefinizione delle regole del gioco della proprietà intellettuale come quella effettuata dalle licenze open corrispondesse ad un’assenza di regole, o meglio che lo scopo della diffusione delle idee fosse servita quale totale deroga al diritto d’autore. Nel testo della legge della Regione Piemonte, infatti, le licenze open source venivano interpretate come se queste privassero i creatori delle applicazioni di ogni diritto d’autore; non riconoscendo, in pratica, il valore del fattore virale, c.d. share-alike, delle licenze di software libero, caratteristica che gli permette di rimanere tale anche nelle sue successive modifiche imponendo l’obbligo di ri-diffusione sotto la medesima licenza, e le altre disposizioni stabilite a sua tutela. La sentenza in commento ha, quindi , fondamentalmente affermato come il software libero vada rispettato e come le sue licenze c.d. CopyLeft non debbano essere scambiate per assenza di copyright, o mancanza di diritto d’autore, ma, invece, costituiscano un diritto latu senso “costituzionale” da rispettare. La decisione della Corte segna, indubbiamente, un momento importante nella diffusione del software libero e degli standard aperti a livello nazionale e regionale. La sentenza, infatti, se da un lato dichiara l’illegittimità costituzionale delle norme prese in esame, dall’altro salva dalla censura di incostituzionalità le norme più qualificanti della legge regionale ed l’impianto complessivo della stessa adottata in materia di pluralismo informatico e volta, giova ricordarlo, all’adozione ed alla diffusione del software libero. Scarica la sentenza della Corte Costituzionale [pdf]
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