skip to Main Content

Brevi osservazioni sulle ultime iniziative legislative in materia di applicazione del diritto d’autore alle opere del disegno industriale

di Carlo La Rotonda e Federico Mastrolilli

1. Il contesto normativo
Lo spunto per le presenti riflessioni sul tema della protezione riconosciuta dal diritto d’autore alle opere del disegno industriale è rappresentato da alcune recentissime iniziative legislative di modifica del regime transitorio previsto dall’art. 239 del d.lgs. n. 30/2005, recante il Codice della Proprietà Industriale (CPI). Come noto, la direttiva n. 98/71/CE sulla tutela giuridica dei disegni e modelli (cd. Direttiva design), recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo 95/2001, ha stabilito la cumulabilità della protezione accordata dal diritto d’autore con quella specifica derivante dalla registrazione dei disegni e modelli a beneficio delle opere dell’industrial design che presentano particolare pregio, ovvero, per usare la terminologia della legge italiana sul diritto d’autore, che presentano di per sé “carattere creativo e valore artistico” (art. 2, legge n. 633/41). Il decreto attuativo della Direttiva design è stato successivamente integrato da un regime transitorio (introdotto dal d.lgs. n. 164/2001 e confermato dall’art. 239 CPI) che, nella sua formulazione iniziale, prevedeva una moratoria decennale, a decorrere dal 19 aprile 2001 (data di entrata in vigore della normativa UE nel nostro Paese), della tutela riconosciuta dal diritto d’autore ai disegni e modelli che erano (in quanto mai registrati) o erano divenuti (a seguito della scadenza della registrazione) di pubblico dominio, nei confronti di coloro che avevano intrapreso la produzione o la commercializzazione di copie dei prodotti originali. La disciplina è stata successivamente modificata dal decreto legge n. 10/2007, che ha eliminato la moratoria decennale e quindi ha escluso qualsiasi protezione da diritto d’autore sui prodotti realizzati in conformità ai disegni o modelli che, anteriormente al 19 aprile 2001, non erano stati registrati oppure erano divenuti di pubblico dominio. In seguito, la legge n. 99/2009 (cd. Legge sviluppo) ha riformulato l’art. 239 CPI, ma senza variazioni sostanziali rispetto alla precedente previsione, fissando soltanto i limiti quantitativi e qualitativi del preuso alle attività dei produttori non originali avviate prima della data del 19 aprile 2001. Da ultimo, il decreto correttivo del Codice della Proprietà Industriale (d.lgs. n. 131/2010, art. 123) ha nuovamente – e, in apparenza, definitivamente – riformulato la norma transitoria, per adeguare la disciplina interna alla Direttiva design, dal momento che le modifiche del 2007 e del 2009 avevano eccessivamente ristretto l’ambito di applicazione del principio della cumulabilità delle tutele. In particolare, è stato reintrodotto un limitato regime transitorio, pari non più a dieci ma a cinque anni, in relazione alla possibilità di produrre e commercializzare opere realizzate in conformità a disegni o modelli di pubblico dominio. La disciplina vigente prevede dunque che la tutela di diritto d’autore per le opere del disegno industriale sia sospesa per un periodo di 5 anni a decorrere dal 19 aprile 2001 nei confronti di coloro che, prima di tale data, hanno prodotto o commercializzato copie dei disegni e modelli che a quell’epoca erano o erano diventati di pubblico dominio. Per effetto di questa moratoria, i terzi che, nei 12 mesi precedenti al 19 aprile 2001, hanno fabbricato o commercializzato copie dei prodotti dell’industrial design allora in pubblico dominio, non rispondono della violazione del diritto d’autore compiuta proseguendo questa attività dopo tale data, anche se limitatamente ai prodotti fabbricati o acquistati prima del 2001 e a quelli fabbricati nei cinque anni successivi (quindi, fino al 19 aprile 2006), e purché detta attività si sia mantenuta nei limiti anche quantitativi del preuso. In definitiva, il legislatore del 2010 ha ritenuto adeguato un periodo transitorio di cinque anni per consentire alle imprese che, prima del 2001, avevano avviato la produzione di copie di opere del design in pubblico dominio, di recuperare gli investimenti effettuati, di smaltire le scorte in magazzino e di riconvertire le loro produzioni senza incorrere nella violazione dell’altrui diritto d’autore.
  2. La prima questione: la modifica della durata del regime transitorio La prima riflessione sulla disciplina che tutela le opere del design attraverso il diritto d’autore prende le mosse da un emendamento inserito durante l’iter di conversione in legge del decreto legge cd. “proroga termini” (art. 22-bis del DL 216/2011), che, nel momento in cui viene pubblicato questo articolo, si trova in discussione in Parlamento (Atto Senato n. 3124). Tale disposizione mira a modificare ancora una volta la disciplina transitoria di cui all’art. 239 CPI, al fine di estendere fino a 15 anni la durata della sospensione dell’applicazione della tutela del diritto d’autore ai prodotti copia delle opere del disegno industriale. Al di là della tendenza del legislatore ad intervenire in maniera ripetuta ed imprevedibile sulla durata del regime transitorio (prima dieci, poi cinque, ora quindici anni), pregiudicando così le esigenze di certezza e di affidamento dei diversi soggetti interessati circa l’applicabilità del cumulo delle tutele, si vuole qui notare come la modifica contenuta nel decreto “proroga termini” non sembri affatto coerente con le indicazioni che arrivano dall’ordinamento comunitario. In particolare, la norma – qualora venisse approvata – si porrebbe in aperto contrasto con i principi affermati dalla Corte di Giustizia UE proprio nell’ambito di un procedimento diretto ad accertare la compatibilità dell’art. 239 CPI con la Direttiva design (sentenza 27 gennaio 2011, procedimento C-189/2009, Flos vs Semeraro, cd. caso “Flos”). In tale occasione, la Corte ha ritenuto illegittima una normativa nazionale che escluda dalla protezione del diritto d’autore, completamente o anche per un periodo sostanziale di tempo, i disegni e i modelli divenuti di pubblico dominio prima della sua entrata in vigore. Nello specifico, i giudici comunitari hanno considerato eccessivamente estesa proprio la moratoria decennale prevista dall’art. 239 CPI nella formulazione precedente all’intervento correttivo del 2010, in quanto un periodo così lungo avrebbe ridotto in maniera sostanziale la tutela dei creatori delle opere e dei loro aventi causa, senza essere giustificata dall’esigenza di salvaguardare gli interessi economici dei produttori in buona fede. Il ragionamento della Corte è stato motivato dalla necessità di garantire un corretto bilanciamento tra gli interessi dei titolari dei diritti d’autore, da un lato, e i diritti acquisiti e l’affidamento dei terzi in buona fede, dall’altro. In altri termini, la sentenza ha tenuto conto, per un verso, dell’esigenza di salvaguardare gli atti di sfruttamento dei disegni e modelli (fabbricazione e commercializzazione di prodotti-copia) avviati prima della rinascita della protezione del diritto d’autore sull’industrial design, stabilendo che le eventuali misure di tutela previste dal diritto d’autore non potessero riguardare le attività definitivamente compiute in vigenza della normativa precedente. Questo principio è stato  contemperato con la tutela dei titolari del diritto d’autore sui disegni e modelli caduti in pubblico dominio, al fine di evitare che la previsione di un regime di inopponibilità a vantaggio dei terzi avesse l’effetto di escludere o rinviare per un periodo sostanziale di tempo il beneficio della protezione riconosciuta dal diritto d’autore, di fatto pregiudicandola. La Corte di Giustizia non ha, quindi, escluso a priori la possibilità che la normativa di uno Stato membro preveda un regime transitorio di sospensione della protezione del diritto d’autore in favore dei terzi, ma ha condizionato tale possibilità al fatto che la misura sia limitata, sul piano soggettivo, ai terzi in buona fede e, sul piano oggettivo, al periodo di tempo strettamente necessario a garantire lo sfruttamento dei prodotti-copia da parte dei terzi, in modo da salvaguardare i loro interessi economici. Sulla base di queste premesse, come anticipato, la sentenza “Flos” ha ritenuto sproporzionata sul piano oggettivo della durata la norma transitoria contenuta nell’art. 239 CPI. Tale orientamento è stato confermato anche da una successiva decisione della Corte di Giustizia (ordinanza 9 settembre 2011, procedimento C-198/10, nel caso “Cassina vs Alivar”). Risulta pertanto con tutta evidenza che anche il proposto innalzamento fino a quindici anni del regime di sospensione della tutela d’autore per le opere del disegno industriale sarebbe – a maggior ragione – contrario al diritto UE. Ed infatti, esso rinvierebbe per un ulteriore periodo sostanziale di tempo l’applicazione della tutela del diritto d’autore, sottraendo ben quindici anni dalla durata della protezione di un’opera (durata che copre la vita dell’autore fino a 70 anni dopo la sua morte), senza che tale sacrificio sia compensato dalla necessità per i terzi in buona fede di beneficiare di un lasso di tempo così ampio per cessare progressivamente l’attività fondata sull’uso anteriore dei prodotti-copia e, quindi, di smaltire le scorte in magazzino. Peraltro, la proposta di modifica che qui si commenta, che autorizzerebbe ex lege la produzione e la commercializzazione fino al 19 aprile 2016 di copie di opere dei maestri del design in pubblico dominio, legittimando quindi una vera e propria pratica di free riding da parte di alcuni produttori a svantaggio di altri, appare poco comprensibile anche sotto il profilo della politica industriale di un Paese riconosciuto nel mondo per le capacità artistiche dei suoi designer e la qualità e bellezza dei suoi prodotti. Essa rischia, infatti, di danneggiare ingiustamente e per un periodo di tempo eccessivo quelle eccellenze italiane del settore del design, che hanno investito nella creatività e nello sviluppo di opere innovative, apprezzate sul mercato sotto l’insegna del made in Italy originale.
3. La seconda questione: la modifica dell’oggetto della protezione
La seconda riflessione prende invece spunto dalle proposte di modifica dell’art. 239 CPI che, con riferimento al diverso aspetto dell’oggetto della protezione riconosciuta dal diritto d’autore, sono state presentate nel corso dell’iter di approvazione del disegno di legge comunitaria 2011 (AC n. 4623, approvato dalla Camera dei Deputati il 2 febbraio 2012 e trasmesso al Senato). Il riferimento è a due emendamenti di contenuto sostanzialmente identico, che mirano a limitare l’applicazione della disciplina di sospensione transitoria della tutela del diritto d’autore alle sole opere del disegno industriale che prima dell’aprile 2001 erano state registrate come disegni e modelli. L’effetto sarebbe quindi quello di escludere tout court la protezione di diritto d’autore per tutte quelle opere di design che, alla data del 19 aprile 2001, erano in pubblico dominio per non essere mai state registrate come disegni e modelli industriali. Anche queste proposte di modifica, che peraltro riprendono sostanzialmente il contenuto di una norma inserita nel cd. Decreto sviluppo dello scorso maggio (DL 70/2011, art. 8, co. 10) e successivamente soppressa durante la fase di conversione in legge, appaiono ictu oculi incompatibili con i principi fondamentali in materia di diritto d’autore. In particolare, l’insieme di facoltà patrimoniali e personali che compongono il diritto d’autore sorge nel momento stesso in cui l’opera viene ad esistenza, senza che il riconoscimento della tutela possa essere condizionato da vincoli di forma, quale ad esempio una precedente registrazione. A livello internazionale, questo principio viene affermato già nella Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie ed artistiche del 1886 (ratificata dall’Italia con L. n. 399/1978), che prevede espressamente che il godimento e l’esercizio dei diritti spettanti agli autori non sono subordinati ad alcuna formalità (art. 5). Coerentemente, il Codice civile italiano individua nella creazione dell’opera il titolo originario e giustificativo dell’acquisto del diritto d’autore (art. 2576 c.c., cfr. anche l’art. 6 della L. n. 633/41), stabilendo in questo modo una rilevante differenza rispetto allo statuto dei diritti di privativa industriale (brevetti, marchi, modelli e disegni). Il legislatore nazionale può, quindi, subordinare la tutela del diritto d’autore per i disegni e modelli unicamente a requisiti di carattere contenutistico, nel rispetto delle indicazioni del legislatore comunitario, che affida agli Stati membri il potere di determinare l’estensione della protezione e le condizioni alle quali essa è concessa, compreso il grado di originalità che il disegno o modello deve possedere (art. 17 della Direttiva n. 98/71). È in tal senso che la legge sul diritto d’autore richiede le condizioni del valore artistico e del carattere creativo ai fini dell’applicazione del diritto d’autore alle opere del disegno industriale. Se dunque è pacifico che il diritto d’autore sorge con la creazione dell’opera, deve conseguentemente riconoscersi tale protezione anche alle opere del design dotate di “carattere creativo e valore artistico”, create e pubblicate anteriormente al 19 aprile 2001, le quali si trovavano a quell’epoca in dominio pubblico per non essere mai state oggetto di registrazione (in questo senso, tra gli altri, si è autorevolmente espresso anche SENA, Design, in Riv. Dir. Ind., 2/2011, p. 48). Ne deriva un vizio insanabile nelle proposte di modifica dell’art. 239 CPI qui prese in considerazione, le quali – come si è visto – escluderebbero dalla tutela le opere del disegno industriale per le quali, anteriormente al 19 aprile 2001, non era stato depositato un disegno o modello ornamentale ai sensi della normativa a quel tempo in vigore (RD n. 1411/1940). La modifica, peraltro, non tiene conto del fatto che questa scelta era in passato obbligata, in quanto la registrazione come disegno o modello avrebbe precluso l’applicazione della tutela del diritto d’autore alle opere del design a causa del divieto, all’epoca previsto, di cumulare le due forme di protezione. Gli autori delle opere in questione, pertanto, per poter beneficiare della tutela accordata dal diritto d’autore, dovevano rinunciare alla protezione brevettuale, o viceversa. La legge sul diritto d’autore, dal canto suo, riconosceva tale protezione a condizione che il valore artistico delle opere del design fosse separabile dal carattere industriale del prodotto al quale erano associate (art. 2, n. 4, cd. criterio della scindibilità). Questo criterio era stato interpretato in maniera molto restrittiva dagli esperti del settore, con la conseguenza che molte opere del design (specie quelle tridimensionali) finivano per essere escluse in automatico dalla tutela del diritto d’autore e cadevano, quindi, in pubblico dominio. Tale situazione penalizzante per il design era stata superata solo con il recepimento della Direttiva comunitaria. In tale occasione, il legislatore italiano aveva eliminato il divieto di cumulo tra i due tipi di tutela e modificato le norme sul diritto d’autore, cancellando il requisito della “scindibilità” e determinando la rinascita del diritto d’autore anche su quelle opere dotate di carattere creativo e valore artistico, ma precedentemente cadute in pubblico dominio. L’illegittimità di una modifica normativa che escluda dalla tutela del diritto d’autore le opere del design mai registrate come disegni e modelli, oltre che dalle considerazioni precedenti, può desumersi anche dall’esame svolto sul punto dalla già citata sentenza della Corte di Giustizia UE nel caso “Flos”. La Corte, in particolare, ha affermato che “non si può escludere che la protezione del diritto d’autore per le opere che possano costituire disegni o modelli non registrati possa risultare da altre direttive in materia di diritto d’autore e, in particolare, dalla Direttiva 2001/29, se ricorrono le condizioni per la sua applicazione, il che deve essere verificato dal giudice del rinvio” (paragrafo 34). Nel caso dell’Italia, è la legge sul diritto d’autore a concedere la protezione del diritto d’autore a tutte le opere del disegno industriale che presentino carattere creativo e valore artistico, a prescindere, quindi, dalla loro registrazione ai sensi della disciplina specifica dei disegni e modelli. Né, come già chiarito, la normativa italiana avrebbe potuto disporre altrimenti, dal momento che la richiamata Convenzione di Berna e le direttive comunitarie sul diritto d’autore vietano di condizionare tale tutela a formalità costitutive e, quindi, a registrazione. È significativo sottolineare come le pronunce giurisprudenziali italiane successive alla sentenza “Flos” abbiano rafforzato in maniera inequivoca il concetto da essa stabilito (in particolare nel paragrafo 34), confermando come la normativa comunitaria non possa essere in alcun modo interpretata nel senso di escludere dalla tutela del diritto d’autore le opere del design che non sono mai state registrate come disegni e modelli. Il riferimento è alle due ordinanze del 2011, rispettivamente del 7 luglio e del 10 ottobre, con cui le Sezioni specializzate in materia di proprietà industriale e intellettuale del Tribunale di Milano e del Tribunale di Firenze hanno riconosciuto la piena tutela ai sensi del diritto d’autore, fin dalla loro creazione, di alcuni oggetti “classici” di arredamento del noto designer Le Corbusier, benché queste opere non fossero mai state registrate come disegni e modelli prima del 19 aprile 2011. In particolare, i due provvedimenti hanno ribadito che, in conformità ai principi tradizionali che regolano la materia a partire dalla Convenzione di Berna, la tutela del diritto d’autore non può essere subordinata ad alcun onere di preventiva registrazione dell’opera, trovando il suo unico titolo costitutivo nell’atto di creazione dell’opera stessa. I giudici nazionali hanno altresì evidenziato come una differenziazione di trattamento fondata sul solo presupposto dell’esistenza o meno di una precedente registrazione probabilmente non sarebbe stata esente da possibili censure di incostituzionalità per violazione dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza.

 

4. Considerazioni conclusive
Volendo provare a trarre una conclusione dalle brevi osservazioni che precedono, può affermarsi che, a dispetto delle proposte di modifica continuamente avanzate in sede legislativa, l’attuale normativa italiana in materia di tutela del disegno industriale attraverso il diritto d’autore appare pienamente in linea con i principi contenuti nelle convenzioni internazionali e nelle direttive europee, nonché con l’interpretazione delle norme comunitarie fornita dalla Corte di Giustizia UE. In particolare, nonostante l’ipertrofia propositiva del legislatore italiano, non sembra richiedere alcun adeguamento normativo l’art. 239 CPI, che, in seguito all’intervento correttivo del 2010, ha risolto in anticipo le problematiche legate alla durata e all’oggetto della tutela, poi evidenziate dalla sentenza “Flos”. Al contrario, qualsiasi modifica dell’art. 239 CPI diretta a ridurre l’ambito di applicazione del diritto d’autore alle opere del design, sia estendendo il periodo di sospensione della tutela oltre quello attuale di cinque anni, sia escludendo tout court la tutela prevista dal diritto d’autore per alcune opere del design, quali quelle mai registrate come disegni e modelli prima del 2001, oltre che poco funzionale alla protezione della creatività e dell’innovazione di tante piccole e medie imprese italiane, avrebbe il probabile effetto di porsi in contrasto con la normativa UE, così come interpretata dalla Corte di Giustizia, e rischierebbe, pertanto, di esporre l’Italia ad una sicura procedura di infrazione.
Back To Top