di Giusella Finocchiaro e Laura Greco Sommario: 1. Premessa 2. Gli ostacoli; 2.1.…
“AdWords” di Google implica un controllo editoriale ?
di Iacopo Pietro Cimino Con sentenza del 14 novembre 2011, la Corte di Parigi ha definito e fatto prima applicazione dei canoni fissati nella recente giurisprudenza della Corte di giustizia, secondo cui, per qualificarsi quale hosting provider, ai sensi della Direttiva europea 2000/31, l’attività di prestatore on line deve assumere carattere puramente tecnico, automatico e passivo e pertanto, il prestatore non deve né conoscere né controllare le informazioni trasmesse o memorizzate dall’utilizzatore del servizio. Vale a tal riguardo rammentare che la limitazione della responsabilità di cui all’art. 14, n. 1, della Direttiva 2000/31 si applica nel caso di «prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio». Ciò significa che il prestatore di un tale servizio non può essere ritenuto responsabile per i dati che abbia memorizzato su richiesta di un destinatario del servizio; salvo che tale prestatore, dopo aver preso conoscenza, mediante un’informazione fornita dalla persona lesa o in altro modo, della natura illecita di tali dati, abbia omesso di rimuoverli prontamente dal proprio server o disabilitare l’accesso telematico agli stessi. Più in particolare la Corte di Parigi è stata chiamata a pronunciarsi in merito alla responsabilità derivante dall’utilizzazione di una specifica forma di advertising on line adottata da quasi tutti i principali motori di ricerca, il c.d. keyword advertising. L’oggetto di doglianza, nel caso di specie, era costituito dal servizio «AdWords» di Google. Come ben noto, mediante il servizio di posizionamento a pagamento «AdWords», qualsiasi inserzionista on line, scegliendo una o più parole chiave può far apparire, tra i risultati di ricerca di Google, un link promozionale che rinvia al proprio sito, ogni qual volta la parola chiave prescelta dall’inserzionista venga digitata da un utente di Internet nell’ambito del motore di ricerca. Tale collegamento promozionale è visualizzato nella apposita sezione «link sponsorizzati», che compare vuoi nella parte destra dello schermo, a destra dei c.d. risultati naturali, vuoi nella parte superiore dello schermo, al di sopra dei detti risultati. Il predetto link promozionale è accompagnato da un breve messaggio commerciale scelto anch’esso liberamente dall’inserzionista. Il link ed il messaggio compongono, pertanto, congiuntamente l’annuncio commerciale visualizzato nel suddetto spazio dedicato del motore di ricerca. L’inserzionista è ovviamente tenuto a pagare un corrispettivo per il servizio di keyword advertising «AdWords», che è commisurato ad ogni click sul link promozionale, eseguito dagli utenti del motore di ricerca. Il caso sottoposto all’attenzione della Corte di Parigi, riguardava nella circostanza l’attore francese Olivier Martinez. Quest’ultimo si era lamentato per il fatto che, digitando il proprio nome nella form di ricerca di Google, fosse visualizzato, nella sezione «link sponsorizzati», un collegamento ipertestuale che rinviava ad un articolo asseritamente lesivo della propria identità personale, pubblicato on line dal rotocalco francese Gala, al sito www.gala.fr. La Corte di Parigi, accogliendo le domande del sig. Olivier Martinez, ha ritenuto responsabile Google per l’annuncio pubblicato mediante il servizio «AdWords» dal rotocalco Gala, avendo reso disponibile, attraverso link promozionale, il testo dell’articolo diffuso dal precitato rotocalco francese, a partire dalla digitazione sul motore di ricerca della parola chiave costituita dal nome completo dell’attore. La Corte di Parigi ha escluso che Google potesse avvantaggiarsi del regime di responsabilità accordato ai sensi della Direttiva europea 2000/31 in relazione all’attività dell’hosting provider, osservando che: ”la modification de l’ordre d’apparition des annonces caractérise déjà un rôle actif, qui ne saurait être assimilé à ce qui est décrit par le considérant 42 de la directive 2000/31, à savoir une activité qui « revêt un caractère purement technique, automatique et passif, qui implique que le prestataire de services de la société de l’information n’a pas la connaissance ni le contrôle des informations transmises ou stockées », que ce rôle est non négligeable compte tenu de l’importance pour un annonceur de figurer en page une des résultats plutôt qu’en page cent”. I giudici parigini hanno inoltre ritenuto che Google non potesse giovarsi del suddetto regime di cui alla Direttiva europea 2000/31 in materia di hosting, anche poiché, ai sensi delle condizioni generali di contratto per il servizio «AdWords», la stessa Google aveva riservato il diritto: “in qualsiasi momento di rifiutare o eliminare annunci”. Sicché: “se déduit que Google a connaissance du message publicitaire et a la possibilité de le contrôler; que ce pouvoir de contrôle est d’ailleurs expressément prévu par l’article 4.5 de ces conditions générales qui prévoit la possibilité pour Google de « rejeter ou de retirer toutes publicités, messages publicitaires et/ou cible quelle qu’en soit la raison»“. L’esattezza di tali argomentazioni dipende, in ultima analisi, dalla preliminare individuazione del ruolo assunto da Google mediante il servizio «AdWords», in relazione alla emergente necessità di enucleare un comportamento, di quest’ultima, consistente nella: “redazione del messaggio commerciale che accompagna il link pubblicitario o nella determinazione o selezione di tali parole chiave”. In quest’ottica, il tentativo della Corte transalpina non sembra essere andato a buon fine. Premesso che Google non appare svolgere – nella normalità dei casi – alcun ruolo nella scelta delle parole chiave, per essere tale preferenza demandata agli stessi inserzionisti, non sembra contestabile il fatto che il prestatore di un servizio di posizionamento (alias, Google) trasmetta informazioni fornite dal destinatario di detto servizio (alias, l’inserzionista), ospitando: “sul proprio server, taluni dati, quali le parole chiave selezionate dall’inserzionista, il link pubblicitario e il messaggio commerciale che lo accompagna, nonché l’indirizzo del sito dell’inserzionista”. Come pure riconosciuto dalla Corte di Giustizia, Google, tramite software da essa sviluppati, effettua infatti un trattamento automatizzato dei dati inseriti dagli inserzionisti, ottenendo la visualizzazione di annunci a condizioni stabilite dalla stessa Google. Quest’ultima stabilisce, in particolare, l’ordine di visualizzazione dei «link sponsorizzati» in funzione soprattutto della disponibilità di pagamento manifestata dagli inserzionisti. La circostanza, ricavabile dalle condizioni generali di contratto per il servizio «AdWords», che Google abbia diritto di rifutare o eliminare annunci anche immotivatamente, non sembra ancora sufficiente ad affermare che la stessa svolga un ruolo attivo nella “redazione del messaggio” commerciale che accompagna il link promozionale. Paramentro questo, che abbiamo detto essere stato individuato dalla Corte di Giustizia, quale rilevante al fine di valutare se il servizio prestato debba essere escluso dal regime agevolato di responsabilità di cui all’art. 14 della Direttiva 2000/31. Non può essere trascurato, infatti, che l’eventuale intervento di Google risulta limitato, appunto, alla mera rimozione del messaggio (o più a monte, non pubblicazione) e non alla “redazione” dello stesso: sicché, nel senso proprio del termine, il diritto riservato non implica affatto la stesura o composizione del testo ad opera di Google. D’altra parte la mera eventualità che l’informazione veicolata dal destinatario del servizio possa essere rimossa o non pubblicata dal provider, non sembra ancora consentire di ravvisare, in capo al provider stesso, una embrionale forma di controllo editoriale; solo a voler considerare la circostanza che quasi tutte le condizioni contrattuali utilizzate dai principali prestatori di puro e semplice hosting (locazione di spazio web) – soggetti pacificamente rientranti nell’alveo dell’art. 14 della Direttiva 2000/31 – contengono clausole atte a riservare al provider detta facoltà di rimozione dei contenuti veicolati, vuoi per ragioni tecniche (quale, esaurimento della capacità di memoria messa a disposizione) o anche di autoregolamentazione (si pensi, ad esempio, alla determinazione del provider di non consentire l’utilizzo di turpiloquio). Verò è che, sempre ai sensi delle condizioni generali di contratto per il servizio «AdWords», Google ha inoltre riservato il diritto di: “modificare gli annunci nella misura ragionevolemente necessaria ad assicurare la conformità alle specifiche tecniche (…)”. Vale tuttavia rilevare che è solo nel caso in cui Google abbia effettivamente esercitato tale diritto – modificando pertanto il testo – che può concretamente predicarsi un ruolo attivo della stessa nella “redazione del messaggio” commerciale che accompagna il link. Come da altri già osservato, peraltro: “this approach would be in line with the American approach where the equivalent provisions of DMCA were interpreted extensively to encompass services distributing third-party content. Similar lines of argumentation are presented in the British literature offering a wide interpretation of hosting exemption in the UK implementation of the Directive 2000/31/EC”. Non sembra pertanto convicente il ragionamento assunto dalla Corte Parigina, in base al quale la sola astratta possibilità in capo a Google di intervenire, eliminando o modificando il testo degli annunci, debba reputarsi equivalente allo svolgimento di una attività di effettivo controllo editoriale, tale da far ricadere il servizio «AdWords» al di fuori dell’ambito applicativo di cui all’art. 14 della Direttiva 2000/31. Valga al proposito una osservazione banale: un conto è la mera evenienza di poter conoscere il contenuto dell’annuncio ed eventualmente eliminarlo (o non pubblicarlo affatto), siccome reputato dal prestatore del servizio incompatibile con le regole tecniche o di condotta imposte ai propri inserzionisti (circostanza questa, lo si ribadisce, non incompatibile con il ruolo di mero hosting provider), altro conto è aver assunto una effettiva conoscenza del singolo annuncio o avere, in qualche modo, contribuito a redigerne il contenuto. In altri termini, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici d’oltralpe, la semplice “possibilité” di esercitare una verifica accidentale sugli annunci commerciali veicolati, non sembra potersi assimilare tout-court all’esercizio fattivo di un controllo para-editoriale, ai sensi e per gli effetti della Direttiva 2000/31. 1 Si veda il quarantaduesimo “considerando” della Direttiva 2000/31. 2 Tale corrispettivo è calcolato in funzione, in particolare, del «prezzo massimo per click» che, al momento della conclusione del contratto di servizio di posizionamento con la Google, l’inserzionista ha convenuto di pagare, nonché del numero di click su tale link da parte degli utenti di Internet. 3 V. art. 3.6 “Termini e condizioni per gli annunci pubblicitari di Google”; con il che, secondo l’opinione dei giudici transalpini, lasciando intravedere una qualche forma di controllo editoriale. 4 V. par. 118, Corte di Giustizia, sentenza del 23 marzo 2010, nei procedimenti riuniti da C-236/08 a C-238/08. 5 Può costituire una eccezione l’ipotesi in cui personale di Google fornisca indicazioni specifiche ad un individuato potenziale inserizionista circa le parole chiave da “acquistare”. 6 V. par. 111, Corte di Giustizia, sentenza del 23 marzo 2010, nei procedimenti riuniti da C-236/08 a C-238/08. 7 D’altra parte, la facoltà (o per meglio dire l’obbligo) per l’hosting provider di rimuovere contenuti inseriti on line dai propri utenti è espressamente prevista proprio all’art. 14 della Direttiva 2000/31 nella eventualità in cui, il prestatore stesso, abbia contezza dell’illiceità dei contenuti veicolati. 8 V. art. 3.6 “Termini e condizioni per gli annunci pubblicitari di Google”; con il che, secondo l’opinione dei giudici transalpini, lasciando intravedere una qualche forma di controllo editoriale. 9 V. Paul PrzemysÅ‚aw Polanski, “Technical, Automatic and Passive: Liability of Search Engines for Hosting Infringing Content in the Light of the Google ruling”, in Journal of International Commercial Law and Technology, Vol. 6, 2011, pag. 47.