di Giusella Finocchiaro e Laura Greco Sommario: 1. Premessa 2. Gli ostacoli; 2.1.…
Media impresa chiave della crescita
di Gian Maria Gros-Pietro e Andrea Nuzzi Il 2011 passerà alla storia come uno degli anni più complessi per i mercati finanziari. Le turbolenze sulle obbligazioni sovrane hanno generato forte instabilità sulle piazze azionarie e pesanti ripercussioni nel comparto del credito. Il difficile contesto ha, da un lato, indotto gli investitori ad allontanarsi dal mercato azionario italiano adottando una strategia di ricomposizione del portafoglio verso attività considerate più sicure e, dall’altro, creato barriere addizionali alla quotazione delle imprese. Piazza Affari ha lasciato sul campo un quarto del pvalore e ha visto un numero superiore di delisting (14) rispetto alle Ipo (10 di cui una sull’Mta). Nel mercato del credito, alla restrizione sui volumi si è associato un generale inasprimento delle condizioni di finanziamento alle imprese; l’effetto di tali fattori combinato con la scarsa dinamica della domanda ha generato un peggioramento complessivo della qualità del credito. Come conseguenza di tale situazione, è aumentata la percentuale di aziende finanziariamente fragili: le stime del modello econometrico della Banca d’Italia indicano che la quota di imprese in difficoltà finanziaria si attesta nel 2011 agli stessi livelli riscontrati nel momento più difficile dell’ultima crisi.. Le difficoltà sperimentate in ambito finanziario e la mancanza di fiducia degli investitori offrono tuttavia una rappresentazione solo parziale di un sistema economico che, nel comparto della manifattura reale, si caratterizza ancora per una posizione di eccellenza a livello mondiale: in base al Trade performance indicator del Wto-Unctad, il sistema italiano è infatti secondo in termini di competitività solo a quello tedesco. È un sistema di cui viene riconosciuta a livello globale la capacità di innovare e di coniugare creatività, design e distintività dei prodotti con efficacia e flessibilità operativa e in grado di emergere grazie alle proprie specializzazioni – oltre che nei settori tipici del Made in Italy – nella produzione di beni di investimento intermedi (B2B) in filiere strategiche quali macchinari, metallurgia, automotive, chimica e apparecchiature elettriche. Più in particolare è l’ecosistema delle circa 10mila medie imprese manufatturiere italiane, un tessuto vitale di aziende spesso di proprietà familiare che ha sostenuto lo sviluppo dell’economia italiana nell’ultimo decennio, compensando la progressiva perdita di competitività della grande impresa. In tale orizzonte temporale queste hanno infatti sovraperformato i grandi gruppi quanto a capacità di assorbimento dell’occupazione, generazione di valore aggiunto, redditività sul capitale investito e presidio sui mercati esteri (dati Mediobanca). È grazie a questo nocciolo duro di imprese che il sistema Italia ha saputo conservare meglio di altre economie avanzate il proprio posizionamento in termini di quota di produzione manufatturiera mondiale ed è su questo che vale la pena puntare per intercettare la ripresa. Tuttavia tali imprese presentano ancora ampi margini di miglioramento: guardare al benchmark più performante rappresentato dal Mittelstand tedesco può costituire – pur con tutte le cautele del caso – un utile spunto per identificare i colli di bottiglia da rimuovere al fine di coglierne appieno il potenziale. Alcuni fatti stilizzati in questa prospettiva: il valore aggiunto per addetto delle imprese tedesche di dimensione compresa tra 50 e 99 dipendenti è pari a 72,6 mila euro e delle imprese con 100-249 dipendenti a 61,6 mila euro, contro i 55,2 e i 51,4 mila euro delle omologhe italiane; il Roi medio per le stesse categorie dimensionali è pari rispettivamente al 23,5% e al 19,5% in Germania e al 10,4% e al 9,9% in Italia (Rapporto medium-sized enterprises in Europe, Confindustria, Ricerche e Studi, R&S e Unioncamere). Oltre alla maggiore produttività delle imprese tedesche, tali disparità sono dovute al differente presidio dei comparti ad elevata intensità tecnologica: il 42,6% delle medie imprese tedesche opera in settori ad alta e medio-alta tecnologia contro il 30% di quelle italiane. Inoltre, 1.350 imprese delle 1.500 leader mondiali di mercato tedesche appartengono alla categoria del Mittelstand. Sotto il profilo finanziario, la media impresa tedesca si caratterizza per un rapporto Debiti finanziari a breve/Circolante netto nell’ordine del 30% mentre quella italiana supera il 50%. Ultimo dato da ricordare è la differente propensione a utilizzare la Borsa come canale per finanziare la propria crescita: in Germania il 15,7% delle quotate è una media impresa e il 7% delle medie imprese è quotata. I medesimi valori per l’Italia sono pari a 6,7% e 0,4%. Sono almeno tre le implicazioni di carattere strategico desumibili dal quadro sopra delineato che vanno nella direzione di rimuovere gli ostacoli alla crescita e contribuire a creare un gruppo di medi campioni nazionali su cui poter puntare per la ripresa. Il primo aspetto è individuabile nella capacità di sviluppare prodotti unici che permettano di acquisire una leadership su nicchie altamente specializzate, rimanendo lontani da contesti di mass-market in cui la concorrenza si gioca più su volumi e compressione dei margini. Ciò passa per il presidio e lo sviluppo rigoroso delle proprie competenze core, che non devono essere oggetto di esternalizzazione; per l’adozione di un approccio di distruzione creatrice posto al servizio del proprio vantaggio competitivo, re-investendo sistematicamente gli utili conseguiti in attività di innovazione e R&S; e per l’istituzione di strette relazioni con il cliente, che dovrà acquistare non solo il prodotto, ma un bundle prodotto e servizi ancillari (su cui l’impresa potrà mantenere un potere di mercato duraturo). Il secondo elemento afferisce al rafforzamento della governance. Vanno introdotti meccanismi ritualizzati e routinari per il governo dell’impresa, in grado di permettere una piena accountability delle decisioni assunte; il carisma dell’imprenditore va sostenuto da un sistema di valutazione delle decisioni e di lettura dei risultati che ne consenta la condivisione da parte di una platea più vasta di investitori. Va garantito un appropriato equilibrio tra influenza della proprietà familiare e iniezione di competenze manageriali esterne nella gestione dell’impresa, entrambi elementi fondamentali di successo: il primo nel sostegno della crescita a lungo termine, non asservita alla dipendenza dai risultati trimestrali; il secondo come fonte di rinnovamento delle competenze operative e come elemento di supporto strategico soprattutto nei passaggi generazionali. Vanno inoltre istituite rigide muraglie cinesi tra il patrimonio personale/familiare degli imprenditori e quello dell’impresa. Infine, appare strategico far evolvere radicalmente la funzione finanza: in questa direzione, vanno la diversificazione delle fonti di finanziamento rispetto al credito tradizionale superando il modello bancocentrico (fattore essenziale soprattutto in un contesto di credit crunch), il rientro verso posizioni meno sbilanciate sul breve termine dal punto di vista finanziario e l’apertura verso la quotazione in borsa come leva per supportare la crescita, rendendo pienamente trasparenti le performance aziendali e dotandosi di un vocabolario compatibile con quello degli investitori professionali. Se il sistema delle medie imprese intraprenderà con decisione questa direzione di sviluppo potrà assolvere alla funzione di perno per il rilancio del sistema economico nazionale contribuendo a scrivere un’altra storia di successo dell’industria italiana. Tratto da Il Sole 24 Ore, 5 gennaio 2012