di Giusella Finocchiaro e Laura Greco Sommario: 1. Premessa 2. Gli ostacoli; 2.1.…
Introduzione del c.d. pacchetto generico ed interessi giuridicamente rilevanti: alcuni spunti dalla consultazione pubblica della Commissione Europea in tema di revisione della Direttiva 2001/37/CE sui prodotti del tabacco
di Eleonora Sbarbaro
Lo scorso 27 luglio 2011 la Commissione Europea ha pubblicato sul proprio sito internet i risultati della consultazione pubblica in merito alla revisione della Direttiva 2001/37/CE, c.d. “Direttiva sui Prodotti del Tabacco”. Sulla base dei risultati della consultazione è in programma la redazione di una proposta legislativa entro l’inizio del 2012.
Tra i temi oggetto della consultazione, avviata il 24 settembre 2010, quelli indicati alla voce “Consumer information” – riguardanti l’opportunità di introdurre alcuni obblighi per i produttori di sigarette consistenti, ad esempio, nell’apposizione sulle confezioni di avvertenze sui rischi da fumo con immagini o disegni e nell’introduzione di inserti informativi all’interno del pacchetto (che ricordano i foglietti illustrativi dei farmaci) – contengono le previsioni in tema di “pacchetto generico” o “plain packaging”, che il Report on the public consultation ha indicato come il tema più controverso dell’intera consultazione [2].
L’introduzione del c.d. “pacchetto generico” o “pacchetto neutro” consisterebbe in un obbligo di uniformità, standardizzazione, a livello europeo, dell’involucro. I pacchetti avrebbero tutti lo stesso colore (cartoncino grigio, bianco o non trattato) e su di essi sarebbe possibile apporre – oltre alle indicazioni sulla quantità e a tutte le altre informazioni richieste per legge – esclusivamente il marchio denominativo e la denominazione del prodotto («brand and product names»), senza – qui la novità – poter riprodurre il logo. Anche la dimensione e la forma del pacchetto potrebbero essere rese uniformi [3]. Di conseguenza, le scritte “Marlboro”, “Philip Morris”, “Camel”, etc., comparirebbero sui prodotti in caratteri “neutri”, molto simili tra di loro, se non addirittura identici.
All’esito della consultazione, la Commissione ha sintetizzato nella propria relazione conclusiva le opinioni, suddivise in base alla tipologia di interlocutore, espresse riguardo alle previsioni sul c.d. pacchetto generico [4].
I fautori del pacchetto generico hanno sostenuto che l’eliminazione dell’uso del marchio (ad eccezione di quello denominativo), dei colori, dei disegni e degli altri elementi attualmente presenti sui pacchetti, cui si ricollega un valore attrattivo per i consumatori – i c.d. advertising effects – disincentiverebbe il fumo, soprattutto con riferimento ai giovani, che non sarebbero più attratti «by features of tobacco packaging». Alcuni, in particolare le public health organizations, hanno affermato che la grafica di un pacchetto può indurre i consumatori all’errato convincimento che un determinato prodotto sia meno dannoso di un altro, nonostante non sia più possibile usare termini come light, mild, etc., e che l’eliminazione di tutte le indicate caratteristiche estetiche, disegni e colori dall’imballaggio, renderebbero più evidenti le informazioni e le avvertenze che riguardano la salute.
Gli oppositori, invece, sono risultati pressoché concordi sul fatto che non vi sia certezza e non esista alcuno studio attendibile che dimostri che tale drastica misura possa davvero incidere sul numero di fumatori, sostenendo che, al contrario, non vi incide affatto. Molti tra gli oppositori, compresi gli stessi cittadini, hanno affermato che i cambiamenti proposti finirebbero per favorire ed incoraggiare l’espansione e lo sviluppo del commercio illecito di tabacchi, oltre a limitare la libera concorrenza tra i produttori [5].
Peraltro, se è vero che con le previsioni in tema di pacchetto neutro, attraverso la perdita del valore attrattivo della grafica del pacchetto, si perseguirebbe indirettamente il risultato di ridurre il consumo di sigarette per ragioni di tutela della salute, è anche vero che ciò comporterebbe, per contro, una lesione di alcuni fondamentali diritti ed interessi di stampo sia privatistico che pubblicistico.
Qui di seguito, dunque, si tenta di analizzarne alcuni aspetti.
a) Innanzitutto, simili previsioni rappresenterebbero una limitazione all’esercizio dei diritti di proprietà intellettuale, in particolare riguardo ai diritti sul marchio d’impresa: la possibilità di apporre sui pacchetti il solo nome dell’azienda produttrice e del prodotto ridurrebbe, per così dire, l’ampia varietà dei marchi al solo marchio denominativo, la cui rappresentazione grafica sarebbe appunto la stessa per tutti i produttori. Se è vero che, dunque, l’imprenditore non verrebbe espropriato del tutto dei diritti di proprietà intellettuale di cui è titolare, gli verrebbe tuttavia impedita l’apposizione dei marchi grafici o figurativi sui propri prodotti, destinazione invece “naturale” degli stessi. In tal modo si spoglierebbe il segno distintivo dell’impresa di ogni funzione attrattiva e valore economico, residuando unicamente quella funzione distintiva “in senso stretto”, relativa all’identità dell’azienda produttrice (anche se, di fatto, anch’essa risulterebbe fortemente limitata), rinunciando a sfruttare il valore acquisito dal marchio e a beneficiare delle pregresse spese sostenute nel settore del marketing e dell’estetica del prodotto.
b) In tema di concorrenza è facile immaginare che da tali previsioni – che limitano fortemente i consolidati mezzi di concorrenza legati appunto al marketing e all’estetica del prodotto – scaturisca una concorrenza incentrata, tra i meccanismi leciti, praticamente sul solo prezzo. Il probabile abbassamento del livello dei prezzi delle sigarette potrebbe avere l’effetto di aumentare il numero dei pacchetti acquistati o comunque di agevolarne la possibilità di acquisto per i consumatori meno abbienti. Inoltre, da una diminuzione delle entrate dovuta all’abbassamento dei prezzi, potrebbe derivare un calo nella qualità del prodotto venduto, per consentire ad alcune imprese di rimanere sul mercato. In tal caso l’effetto finirebbe, dunque, per essere comunque opposto a quello sperato [6].
c) Per quanto riguarda il fenomeno della contraffazione – fenomeno che, insieme al contrabbando, già affligge il mercato del tabacco in maniera rilevante – è chiaro che le previsioni in materia di pacchetto generico ridurrebbero notevolmente le difficoltà incontrate dai contraffattori nell’imitare l’estetica del pacchetto “vero”, oltre a divenire molto più difficile l’individuazione dei pacchetti contraffatti da parte delle autorità preposte all’enforcement della normativa in tale settore. Il provvedimento potrebbe dunque favorire l’espansione della vendita illegale di sigarette.
d) Inoltre, anche per il consumatore il pacchetto contraffatto potrebbe non essere altrettanto agevolmente distinguibile da quello vero, con i conseguenti possibili danni in termini di salute, giacché difficilmente il prodotto falso sarebbe qualitativamente superiore rispetto a quello vero. E’ evidente che tale sensibile riduzione del ruolo distintivo del marchio d’impresa che, in un primo momento, sembra danneggiare il solo imprenditore, comporta, invece, per il consumatore, un problema di confondibilità del prodotto “vero” da quello “imitato”.
e) Infine, tali previsioni comporterebbero non solo l’introduzione di una pesante eccezione alle normative comunitaria e italiana sui diritti di proprietà intellettuale e sulla libertà di concorrenza, ma potrebbero anche comportare la violazione delle disposizioni contenute in alcuni trattati internazionali, quali, in particolare, gli accordi TRIPS (Trade-Related aspects of Intellectual Property Rights) e TBT (Technical Barriers to Trade), entrambi conclusi nell’ambito dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO).
Il tema è stato oggetto del TRIPS Council meeting [7] e del TBT Committee meeting [8], tenutisi rispettivamente il 7 giugno e il 15 e 16 giugno 2011, poiché proprio in questi mesi il parlamento australiano sta esaminando la bozza di un bill, il “Tobacco plain packaging bill 2011”, contenente una normativa simile a quella sopra descritta [9]. Gli oppositori del “plain packaging” hanno sottolineato, in ambito TRIPS, che «it would be a special requirement that would unjustifiably encumber the use of trademarks in a manner detrimental to its capability to distinguish the goods or services of one undertaking from those of other undertakings» [10] e, in ambito TBT, che «such regulations could create an unnecessary barrier to trade» poiché la misura sarebbe «more trade restrictive than necessary to achieve Australia’s public health objective».
Ecco, dunque, l’emergere della questione del bilanciamento tra diversi interessi costituzionalmente tutelati, volta ad individuare se, ad esempio, il fondamentale perseguimento dell’uno – in primo luogo, sicuramente e soprattutto per l’Unione Europea, il diritto alla salute – porti a determinati risultati che giustifichino il sacrificio di altri interessi, valutando, però, le probabilità di ottenere il risultato sperato, la necessaria proporzionalità della misura utilizzata, nonché l’eventuale verificarsi di ulteriori ed indesiderabili effetti collaterali.
Deve osservarsi, peraltro, che in tale ambito il diritto alla salute non è riferito all’intera collettività, ma esclusivamente agli attuali e potenziali fumatori (il rischio dei danni da “fumo passivo” è stato sostanzialmente neutralizzato grazie ai divieti di fumo già in vigore), ovverosia a soggetti che scelgono liberamente di acquistare un prodotto messo legalmente in commercio.
La questione, allora, si sposterebbe su di un altro quesito – tanto delicato quanto decisivo: se il consumo di sigarette è così irrimediabilmente dannoso per la collettività, perché in nessuno stato ne è vietata la produzione o la vendita? Forse troppo semplice sarebbe – per quanto suggestivo e convincente – limitarsi ad evidenziare il gettito fiscale che i governi traggono da tale mercato (lo Stato italiano percepisce, tra accisa e IVA, circa il 75% dei proventi derivanti dalla vendita delle sigarette, per un gettito annuo superiore ai 10 miliardi di Euro). Pur rimandando la soluzione del quesito ad una più approfondita analisi, deve rilevarsi che al tema appena accennato non può non riconoscersi un’influenza determinante sulle politiche che riguardano il fumo.
Tornando alla questione del plain packaging, va poi evidenziato che, per adesso, in nessun ordinamento vige una legislazione che vieta l’utilizzo di segni distintivi sui pacchetti di sigarette, anche se l’Australia, con il “Tobacco plain packaging bill 2011”, sembrerebbe esservi molto vicina.
D’altronde, non può non rilevarsi come l’introduzione negli Stati europei di una normativa che comporti una siffatta compressione delle libertà e dell’esercizio dei diritti individuali potrebbe costituire un importante precedente e legittimare altri interventi che, dietro il vessillo di una generica salvaguardia della salute collettiva, limitino le libertà individuali anche in ambiti diversi, con effetti e conseguenze indubbiamente non auspicabili.
Note
[1] Direttiva 2001/37/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5 giugno 2001 sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, alla presentazione e alla vendita dei prodotti del tabacco.
[2] I temi oggetto della consultazione, avviata il 24 settembre 2010 e chiusa il 17 dicembre 2010, sono stati: 1. Scope of the Directive, ovverosia la possibilità di allargare l’ambito di applicazione e regolamentazione dell’attuale direttiva sui prodotti del tabacco, ricomprendendo anche prodotti contenenti nicotina ma tobacco-free, sigarette elettroniche o a base di erbe; 2. Smokeless Tobacco, un’ipotesi di allargamento dell’oggetto della direttiva alla regolamentazione dei prodotti del tabacco non da fumo (i c.d. “snus”: smokeless tobacco products), come il tabacco da masticare; 3. Consumer Information: il tema esaminato nel presente contributo; 4. Reporting and Registration of Ingredients, consistente nell’opportunità di introdurre un comune compulsory reporting format e prevedere fees e sanzioni per assicurare il rispetto di detto standard; 5. Regulation of Ingredients, sulla regolamentazione degli ingredienti usati nei prodotti del tabacco, in particolare per quanto riguarda le sostanze nocive e attraenti; 6. Access to Tobacco Products, consistente nell’opzione di limitare o proibire la vendita on line o tramite distributori automatici.
[3] Cfr. la documentazione ufficiale pubblicata sul sito dell’Unione Europea: Report on the public consultation on the possible revision of the Tobacco Products Directive (2001/37/EC), documento che mostra i risultati della consultazione, datato 27 luglio 2011; Possible revision of the Tobacco Products Directive 2001/37/EC, documento di apertura della consultazione, del 24 settembre 2010. Vi è, inoltre, un documento riportante i dati statistici sulla consultazione. Si veda: http://ec.europa.eu/health/tobacco/consultations/tobacco_cons_01_en.htm. Si veda, Possible revision of the Tobacco Products Directive 2001/37/EC, 24 settembre 2010, p. 7, http://ec.europa.eu/health/tobacco/docs/tobacco_consultation_en.pdf.
[4] Cfr. Report on the public consultation on the possible revision of the Tobacco Products Directive (2001/37/EC), 27 luglio 2011, p. 13 ss., http://ec.europa.eu/health/tobacco/docs/consultation_report_en.pdf: 1. Governmental Representatives: mentre la maggior parte di questi si è espressa a favore delle proposte che innalzano il livello d’informazione dei consumatori, il plain packaging ha rappresentato invece un punto molto controverso. E poi si legge: «Almost half of respondents supported the introduction of plain packaging alongside the other recommended changes, but several indicated that the solution to these problems should be more carefully analyzed»; 2. Non-Governmental Organizations: come è facile immaginare, le public health organization si sono espresse in favore delle previsioni di standardizzazione mentre, tra gli oppositori, vi sono stati ovviamente gli smokers’ rights groups; 3. Industry Representatives: sono riportate alcune delle ragioni per cui i tobacco industry representatives si sono opposti ai diversi cambiamenti proposti, mentre le industrie farmaceutiche si sono espresse a favore delle integrazioni sull’informativa ai consumatori, in particolare riguardo agli smoking cessation services; 4. Citizens: la maggior parte dei cittadini si è espressa per il mantenimento dello status quo.
[5] Per maggiori dettagli, si veda il documento contenente i dati statistici della consultazione:http://ec.europa.eu/health/tobacco/docs/statistics_compendium_en.pdf. Dai dati emerge che l’ampia maggioranza della totalità dei respondents ha indicato, nell’ambito della sezione “Questions on Consumer Information”, l’opzione “no change”.
[6] Si tenga presente che non si è qui considerato l’aumento del prezzo al consumatore dovuto ad aumenti nella tassazione dei tabacchi. A livello europeo, la Direttiva 2010/12/UE del Consiglio del 16 febbraio 2010, recante modifica delle direttive 92/79/CEE, 92/80/CEE e 95/59/CE per quanto concerne la struttura e le aliquote delle accise che gravano sui tabacchi lavorati e della direttiva 2008/118/CE, ha stabilito che l’accisa globale sulle sigarette deve essere pari ad almeno il 57% del prezzo medio ponderato di vendita al minuto delle sigarette immesse in consumo e dovrà aumentare, dal 1° gennaio 2014, fino ad almeno il 60%. V. testo della Direttiva: http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2010:050:0001:0007:IT:PDF. In Italia, al momento, l’accisa sulle sigarette è pari al 58,5%, mentre il prezzo delle sigarette è aumentato anche a seguito del recente aumento dell’iva al 21%.
[9] E’ possibile consultare il testo del “Tobacco Plain Packaging Bill 2011” sul sito del parlamento australiano, clicca qui. Per maggiori informazioni sulla bozza di legge australiana:
http://www.yourhealth.gov.au/internet/yourhealth/publishing.nsf/Content/plainpack-tobacco.
[10] Cfr. art. 20 TRIPS: «The use of a trademark in the course of trade shall not be unjustifiably encumbered by special requirements, such as use with another trademark, use in a special form or use in a manner detrimental to its capability to distinguish the goods or services of one undertaking from those of other undertakings. This will not preclude a requirement prescribing the use of the trademark identifying the undertaking producing the goods or services along with, but without linking it to, the trademark distinguishing the specific goods or services in question of that undertaking».