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Cumulo di cariche e diritto della concorrenza

Cumulo Di Cariche E Diritto Della Concorrenza

di Valeria Falce

Cumulo di cariche e diritto della concorrenza1. Il cumulo di cariche in una prospettiva “fisiologica” È ben noto che in un regime di c.d workable competition l’interesse al mantenimento di centri autonomi di decisione coesiste pacificamente con la propensione dei concorrenti a migliorare le proprie prestazioni (anche) attraverso la cooptazione delle risorse più efficienti. Se infatti è il criterio dell’autodeterminazione quello a cui le imprese devono informare le proprie condotte sul mercato, è il principio dell’autonomia privata a riconoscere piena libertà agli operatori di avvalersi delle migliori competenza disponibili per ridurre il rischio d’impresa e dunque vincere la selezione del mercato. In questa prospettiva, l’intreccio personale – da intendersi ampiamente quale forma di condivisione da parte di imprese concorrenti di membri di organi di governance [1] – svolge una funzione tendenzialmente positiva per il mercato perché consente di accedere alle risorse più utili, promuovendo forme proficue di collaborazione e più ampiamente di coesione sociale [2]. Benché dunque il cumulo di cariche non costituisca in sé un rischio di natura antitrust, ma anzi – fisiologicamente [3] – rappresenti uno strumento per rafforzare la competitività del mercato, d’altra parte, è pacifico che in particolari condizioni esso sia in grado di esporsi, indipendentemente dall’acquisto e dal possesso di una partecipazione di minoranza che consenta di influire sulle scelte d’impresa [4], ad una deriva anticoncorrenziale. Muovendo da questa premessa di fondo, nel presente intervento non si ambisce ad esaminare né tantomeno inquadrare il c.d. interlocking directorship nella prospettiva del diritto della concorrenza. Più modestamente, si intende avvertire che la valenza concorrenziale del legame personale, quando supera i confini della liceità, non è mai univoca e che quindi la sua valutazione non può essere ricondotta, come invece proposto da più parti, ad un modello unitario ed univoco. 2. Il legame personale in una prospettiva “patologica”. Cenni sulla complessità del fenomeno Si è appena detto che il cumulo di cariche non viola in sé la disciplina posta a tutela del mercato, assumendo una valenza pro concorrenziale o al più neutra. Si può ora precisare che l’intreccio si colora di illiceità se e nella misura in cui confluisce in una fattispecie di rilievo antitrust – sub specie di operazione di concentrazione (ipotesi più comune) [5], intesa [6] o abuso di posizione dominante [7] -, vuoi perché agevola il raggiungimento o il rafforzamento di un equilibrio di non belligeranza, vuoi perché altera il reciproco incentivo delle imprese a competere [8]. In tali circostanze, infatti, la compresenza della stessa persona fisica negli organi direttivi di imprese concorrenti consente (quanto meno) di accedere tramite un osservatorio privilegiato ad informazioni che dovrebbero essere mantenute riservate (prezzi, costi, strategie commerciali e altre decisioni chiave in una logica competitiva), così permettendo la partecipazione alla definizione di strategie commerciali in possibile violazione della disciplina antitrust [9]. Ed è proprio la possibile influenza che potrebbe discendere da quel collegamento sul comportamento commerciale delle imprese (in termini di incidenza sul corretto funzionamento dei processi formativi delle strategie aziendali e delle scelte gestionali, nonché dei connessi flussi informativi) a suggerire, in termini ricostruttivi, di recidere il corrispondente nesso [10] ovvero neutralizzarlo [11], sempre che – evidentemente – ricorrano i necessari presupposti di legge. Seguendo il predetto filo ricostruttivo, vanno certamente condivisi gli sforzi di approfondimento della materia che si stanno registrando a livello internazionale (si pensi allo studio del 2009 condotto dall’OCSE e a quello appena concluso dell’OFT) e nazionale (si pensi all’indagine conoscitiva sulla corporate governance di banche e assicurazioni promossa dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che si è conclusa nel 2008 [12], alla successiva segnalazione e al recentissimo DDL della prima Legge Annuale per il Mercato e la Concorrenza). Tuttavia, in termini sistematici, non risulta convincente il sillogismo – che pure sembra invocato da più parti [13] – per cui se gli intrecci personali innervano particolari settori, ad esempio quello finanziario, e se alcuni di quegli intrecci sono stati eliminati perché forieri di effetti restrittivi, allora si deve concludere che tutti i cumuli di incarichi o anche quelli che connotano un particolare settore vanno di per sé ritenuti propedeutici ovvero funzionali ad una disfunzione concorrenziale. Piuttosto, sembra da preferire un approccio ricostruttivo in forza del quale ciascun legame, anziché essere decodificato sulla base di un modello bonne à tout faire, vada ricondotto alla fattispecie a cui afferisce per poi essere valutato non già in astratto e comunque in via autonoma o isolata, ma in concreto, come elemento, indice o anche evidenza del comportamento d’impresa di cui è parte. E ciò per la semplice ragione che il contributo dell’interlocking al completamento di una condotta illecita dipende da una molteplicità di variabili. Qui ci si limiterà ad annotarne tre, la prima delle quali di natura strutturale. È soprattutto su un mercato fortemente concentrato, ove la concorrenza è di per sé attenuata e rispetto al quale si presume che basti un contatto tra gli operatori per ingessare le dinamiche concorrenziali, che l’intreccio può comprometterne il funzionamento [14]. In tale contesto, infatti, il legame personale, rivelando le posizioni di mercato delle parti in modo da rendere perfettamente prevedibili [15] le rispettive strategie commerciali, contribuisce all’eliminazione di ogni residua incertezza circa le condotte future dei concorrenti, e quindi, in ultima analisi, a sopprimere quel minimo di concorrenza che in certi mercati si realizza attraverso strategie basate sulle poche variabili commerciali ancora segrete (c.d. concorrenza occulta) [16]. Sennonché quanto più ci si allontana da una struttura concentrata e le condizioni di mercato consentono di giustificare in maniera alternativa [17] l’esistenza dell’interlocking, tanto più difficilmente l’intreccio potrà essere considerato di per sé sufficiente a facilitare la realizzazione o il rafforzamento di un accordo di non belligeranza e altrettanto difficilmente potrà essere ricondotto all’espressione (ovvero alla premessa) di quella preliminare convergenza di intenzioni che si richiede per porre in essere o aderire ad un compiuto programma anticoncorrenziale, ovvero ad una fattispecie cooperativa complessa di cui l’interlocking può rappresentare un punto di emersione. In un contesto che non ha le caratteristiche dell’oligopolio ristretto, l’intreccio può certamente favorire il coordinamento tra imprese attraverso la creazione di una situazione di cointeressenza, lo scambio di informazioni [18], l’attuazione di condotte parallele. Può rappresentare il mezzo utilizzato dalle parti per raggiungere o completare lo schema di base della concertazione futura; costituire lo strumento di cui le parti della concertazione si servono per assicurare il reciproco rispetto all’intesa, e quindi per rafforzare la cogenza dei termini pattuiti nell’accordo; assolvere ad una funzione, per così dire, di «polizia», smascherando le deviazioni delle parti rispetto alla linea di comportamento stabilita insieme. Insomma, l’intreccio può esprimere o sottendere ad una forma di collaborazione e dispiegare i propri effetti attraverso la pratica di più ampio respiro alla quale, appunto, accede. Ma in nessuna delle succitate ipotesi l’intreccio è o può essere la causa determinante della disfunzione concorrenziale che ha contribuito a preparare o rendere più efficace, rimanendo un fattore esogeno, strumentale e tendenzialmente accessorio. Salva dunque l’ipotesi di un mercato le cui caratteristiche sono di per sé tali da favorire l’interdipendenza tra le imprese che operano al suo interno, sarà necessario un quid pluris perché l’intreccio possa essere ricondotto ad un indice o alla manifestazione di una volontà concertativa [19]. A tal fine si tratterà di accertare l’esorbitanza del comportamento di quella stessa persona in organi di governance di imprese concorrenti rispetto alle funzioni sue proprie e dunque la mancata corrispondenza tra i comportamenti assunti e i compiti assegnati. Ma probabilmente nemmeno tale indizio sarà sufficiente. Dovendo quel preteso scollamento essere imputato alla volontà comune di sostituire al rischio di reciproca concorrenza una forma di cooperazione, la compresenza delle stesse persone fisiche negli organi sociali di società di gruppi concorrenti dovrà essere ricollegata ad una concertazione [20] o collocarsi in un più ampio contesto di collaborazione tra concorrenti [21] e come tale esprimere una solida, stabile e prospettica convergenza di interessi tesa a promuovere un equilibrio di non concorrenza [22]. La seconda variabile rilevante ai fini della valutazione antitrust di un intreccio personale attiene al piano dell’organizzazione e dell’attività. Condizione necessaria affinché la persona che siede negli organi di governo di imprese concorrenti possa anche solo in astratto costituire una minaccia alla concorrenza è che – in virtù delle funzioni e del ruolo svolto nella gestione delle imprese interessate nonché delle competenze per cui è nominato – risulti un potenziale veicolo per la condivisione di informazioni commercialmente sensibili [23]. Non solo. Tenuto conto che la problematicità di un sistema informativo discende, oltre che dalla struttura del mercato, anche dalla natura delle informazioni scambiate, dal grado di attualità delle stesse e della periodicità con cui sono condivise, allora l’effettiva criticità della compresenza di quella stessa persona negli organi di governance di imprese concorrenti dipende anche dalla frequenza degli incontri e dalla disseminazione nel corso delle stesse di dati dettagliati, riservati e disaggregati attinenti a questioni essenziali della vita e gestione dell’impresa. In questa prospettiva, anche in virtù dei sempre maggiori spazi guadagnati dall’autonomia privata nella organizzazione dell’attività d’impresa, le preoccupazioni che tipicamente si accompagnano a forme più tradizionali di interlocking potrebbero venire ridimensionate (ad esempio è stata scartata la criticità della partecipazione della stessa persona al consiglio di amministrazione di un’impresa concorrente perchè tutti i poteri esecutivi erano riservati al Presidente [24] o ancora può essere contenuto il rischio dell’amministratore non esecutivo che ricopre il ruolo di sindaco nell’impresa concorrente [25]) e per converso potrebbero risultare più critiche delle situazioni che tradizionalmente si collocano al di sotto della soglia di attenzione dell’antitrust (ad esempio può essere considerata problematica la partecipazione delle stesse persone a gruppi di lavoro o comitati [26], quand’anche si tratti di semplici dipendenti [27]). E ciò in quanto il compito di raccogliere, acquisire e trattare delle informazioni riservate ben può essere effettuata da persone che non ricoprono posizioni apicali, per poi essere condivise solo in forma aggregata dai vertici gestionali dell’impresa [28] (per le ragioni che si sono già ricordate, l’intreccio, salva l’ipotesi in cui effettivamente consenta l’accesso e lo scambio di informazioni concorrenziali sensibili in un mercato assai concentrato, non rileverà in quanto tale ma nella misura in cui acceda ad una fattispecie di rilievo concorrenziale alla quale è causalmente collegata [29]). La terza variabile che può incidere sulla valenza concorrenziale del legame personale afferisce al tipo di collegamento che esso è in grado di instaurare. Se in linea di principio l’interlocking rileva per il mercato nella misura in cui accede ad una fattispecie concorrenziale, in alcune circostanze può incidere sulla stessa imputazione e qualificazione della fattispecie rilevante. In termini astratti si pensi all’intreccio che insiste nell’ambito di realtà che di per sé esprimono forme di collaborazione come ad esempio il consorzio. Poiché attraverso il consorzio i consorziati delegano all’organizzazione comune lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive attività, è evidente che i membri degli organi di governance del consorzio assumeranno decisioni che si riverbereranno direttamente sui consorziati e quindi anche su quelli che svolgono attività in concorrenza con la propria. In tale prospettiva, il legame personale può costituire un canale per accrescere la trasparenza in maniera artificiale e asimmetrica nei rapporti reciproci, così dotando le imprese di cui quei membri sono espressione di un vantaggio competitivo nei confronti degli altri, vantaggio che, alterando il livello della concorrenza interna tra consorziati, potrebbe rilevare sotto il profilo della imputazione e qualificazione di una condotta di rilievo concorrenziale che se del caso dovesse essere realizzata dai consorziati che non giocano “ad armi pari”. Passando ad un caso concreto, si pensi alla decisione comunitaria MasterCard [30] in cui l’acquisita forma di public company assunta dal circuito di pagamento è stata ritenuta irrilevante ai fini dell’imputazione del comportamento censurato (consistente nell’aver fissato delle commissioni interbancarie da applicare nei rapporti tra banche), che, anziché essere ascritto ad una condotta unilaterale (cioè posta in essere da MasterCard come unica entità economica), è stato riportato ad una deliberazione di un’associazione d’imprese e dunque ad un comportamento plurilaterale. A giocare un ruolo centrale nella ricostruzione della fattispecie sono stati proprio i legami personali tra le banche licenziatarie dello schema di pagamento e la public company. Infatti, a giudizio della Commissione Europea, la circostanza che un manager di MasterCard svolgesse alcune attività d’interesse anche delle banche licenziatarie e che ad un Board cui erano rimesse talune decisioni commerciali del Circuito partecipavano dei membri (3 su 12) che erano espressione di alcune licenziatarie ha costituito la condizione necessaria e sufficiente per classificare MasterCard come una associazione di imprese. In altri termini, la Commissione ha fatto leva sugli intrecci personali non già per ritenere che MasterCard fosse controllata congiuntamente dalle banche aderenti al circuito, ma per rintracciare oltre lo schermo – formale – della public company i contorni di un accordo tra imprese teso a coordinarne le rispettive politiche economiche per il tramite della public company. Di qui il passo è stato breve. E la Commissione, ritenendo che MasterCard esprimeva la volontà di una pluralità di imprese, ha agevolmente concluso che il comportamento contestato, consistente come detto nella fissazione di commissioni interbancarie, integrava gli estremi di una intesa, sub specie di deliberazione di un’associazione di imprese ai sensi dell’art. 81 del Trattato, deliberazione a cui avevano partecipato tutte le banche aderenti al circuito di pagamento e che aveva ad oggetto la definizione di un prezzo comune in violazione appunto della disciplina comunitarie sulle intese restrittive della concorrenza. 3. Conclusioni Sulla base del breve excursus che precede sembra potersi concludere che la morfologia, la “polivalenza” [31] e l’eterogeneità delle situazioni che ampiamente ricadono sotto l’ombrello della generica nozione di legame personale, la molteplicità di collegamenti che il cumulo e l’interscambio di cariche può esprimere e la non comparabilità dei contesti in cui l’intreccio può insistere, suggeriscono di astenersi dall’invocare un modello bonne à tout faire a cui riportare e sulla base del quale valutare la rilevanza concorrenziale dei legami personali. Prima di soffermarsi sul profilo funzionale dell’intreccio e dunque sulla sua capacità di allentare le dinamiche concorrenziali, sembrerebbe più prudente verificare se il ruolo e le funzioni attribuite alla persona che assume cariche concorrenti mettano quest’ultima in condizione di contribuire in concreto alla realizzazione di una fattispecie di rilievo antitrust. Seguendo questa traiettoria, si potrebbe, forse, evitare di confondere il mezzo (l’intreccio personale) con il fine (la definizione di una condotta illecita ai sensi e per gli effetti della disciplina della concorrenza), si riconoscerebbe una specificità al legame personale la cui valutazione non può né deve essere appiattita su quella delle pratiche facilitanti e degli scambi di informazioni e, in ultima analisi, si scongiurerebbe il pericolo che i contorni mobili del legame personale possano essere utilizzati per qualificare come illecite sotto il profilo squisitamente antitrust scelte imprenditoriali che – almeno in una prospettiva de iure condito [32] – sfuggono – per carenza dei presupposti di applicabilità – allo scrutinio del diritto della concorrenza. _________ Note [ ] Sulla morfologia del legame personale, che si estende alle situazioni di intreccio diretto ed indiretto, oltre che a quelle che presentano geometrie più articolate (i.e. a ponte o a raggiera), cfr. E. Moavero Milanesi, legami personali fra imprese (“interlocking directorship”) e diritto comunitario della concorrenza: riflessioni, in AA.VV., Governo dell’impresa e mercato delle regole. Scritti giuridici per Guido Rossi, Giuffre, 2002, 954. [2] Per tutti, M. Mizruchi, What do interlocks do? An analysis, critique, and assessment of research on interlocking directorates, Annual Review of Sociology, 1996, 271; S. Elouaer Mrizak, 2009, Interlocking Directorates and Firm Performance: Evidence from French Companies, disponibile al sito internet http://ssrn.com/abstract=1369353. Per una ricostruzione approfondita, E. Moavero Milanesi, legami personali fra imprese (“interlocking directorship”) e diritto comunitario della concorrenza: riflessioni, cit., 943, cui si rinvia anche per ampi riferimenti bibliografici; nonché F. Ghezzi, Legami personali tra intermediari finanziari e diritto della concorrenza. Sull’opportunità di introdurre uno specifico divieto “anti-interlocking” nell’ordinamento italiano, in Riv. soc., 2010, 5, 997, cui si rinvia anche per ampi riferimenti bibliografici. [3] Per una lucida sintesi delle situazioni in cui l’interlocking sia se non benefico, comunque fisiologico, vedi ora M. Cera, Interlocking directorates nelle società bancarie, finanziarie e assicurative: evoluzioni e problemi, in Banca borsa e tit. cred., 2010, 3, 276. [4] Come ricordato di recente dall’OCSE “Courts have recognised that the acquisition of a minority shareholding cannot be viewed as illegal or abusive as such”: cfr., OCSE, Antitrust Issues Involving Minority Shareholding And Interlocking Directorates, cit., 46, nota 101. [5] Ci si riferisce all’ipotesi in cui attraverso una partecipazione di minoranza, eventualmente associata a legami personali, si realizzi una situazione di controllo. Non ricadono invece nell’ambito di applicazione della disciplina sulle concentrazioni le partecipazioni di minoranza in quanto tali. Cfr. anche Commissione Europea, Green Paper on the review of the EC Merger regulation, COM (2001) 745/6, 11 dicembre 2001, par. 109. Per un approfondimento sulle recenti tendenze che vanno affermandosi in Germania, OCSE, Antitrust Issues Involving Minority Shareholding And Interlocking Directorates — Germany, Daf/Comp/Wp3/Wd(2008)5. [6] Il riferimento è al noto caso Philipp Morris, Corte di Giustizia, caso “BAT et Reynolds v. Commission”, del 17 novembre 1987, Affari congiunti 142 e 156/84. Rac. p. 4487, in cui si è affermato il principio per il quale una partecipazione di minoranza può costituire uno strumento per influire sulla politica concorrenziale di un concorrente o per distorcere il funzionamento del mercato. Osserva G. Rossi in proposito che “In realtà la giurisprudenza Philip Morris appare di grande attualità ed è un vero peccato di omissione che la Commissione non ne faccia uso. Potrebbe essere, ad esempio, un efficace strumento di intervento per scardinare quegli incroci di partecipazioni azionarie circolari, rigorosamente di minoranza, che caratterizzano il panorama societario in svariati paesi europei; incroci non di rado collegati a un comune denominatore, di solito rappresentato da un istituto finanziario; incroci, sovente, personificati dalla ricorrenza dei medesimi personaggi nei consigli di amministrazione delle società in varia misura partecipate. Non è, infatti, per nulla evidente, e anzi sembra vero il contrario, che si possa sostenere che siffatte situazioni non influiscano sulle scelte imprenditoriali e sulla condotta di soggetti che dovrebbero farsi concorrenza. Dunque, saremmo in un caso classico di Philip Morris”: cfr. G. Rossi, Relazione dal titolo Governo, Magistratura e Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato: tre diverse filosofie dell’Antitrust, presentata in occasione del Convegno Concorrenza e Autorità Antitrust – Un bilancio a dieci anni dalla legge, Roma 10 ottobre 2000. [7] Il pensiero corre all’indirizzo della Commissione UE per la quale l’acquisto da parte di un operatore in posizione dominante di una partecipazione di minoranza in un’impresa concorrente consente la potenziale influenza del primo sulle politiche commerciali della seconda (cfr. casi riuniti “Warner-Lambert/Gillette e altri” e BIC/Gillette e altri, Decisione del 10 novembre 1992, in G.U.C.E. L 116, p. 21. In applicazione di questa affermazione, l’acquisizione di una partecipazione da parte di Gillette del 22% del capitale di un concorrente è stata condizionata all’assunzione di un impegno a non esercitare i diritti di azionista (cfr. par. 25 della decisione). Anche l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, recependo gli orientamenti comunitari, ha affermato che “l’acquisto di una partecipazione di minoranza in una società direttamente concorrente non rientra nell’ambito di applicazione della normativa a tutela della concorrenza solo laddove questo acquisto risponda ad una mera finalità di investimento finanziario passivo. La fattispecie risulta invece vietata ogni qualvolta si accerti che essa costituisce un mezzo idoneo a influire sul comportamento commerciale delle imprese in questione, in modo da restringere o falsare il gioco della concorrenza sul mercato” (cfr. caso “Parmalat/Granarolo Felsinea”, Provvedimento n. 3086 dell’8 giugno 1995, pubblicato sul bollettino dell’Autorità Garante n. 23 del 1995, p. 5 ss). Sul caso Gilette si veda anche A. Valli, Finanziamenti concorrenti, acquisizioni di partecipazioni di minoranza in concorrenti e oligopolio: la Commissione adotta il rasoio di Occam (un commento alla decisione Gilette), in Dir. comm. intern., 1994, 179 ss. [8] In arg., vedi anche le decisioni Blokker/Toys ‘R’ Us (caso M.980) e Hoechst/Rhône Poulenc (caso M.1378). [9] In tale prospettiva, il filtro dell’antitrust completa la disciplina codicistica, tenuto conto che, come è stato di recente notato con specifico riferimento all’art. 2390 c.c., “non è la nozione di amministratore indipendente che consente di superare le problematiche connesse agli interlocking directorates, è il fenomeno in sé dei legami che determina le criticità antitrust e che richiede un intervento normativo/regolatorio”: A. Catricalà,  Audizione del Presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato Pres. Antonio Catricalà, Intervento sul settore bancario finanziario: i rapporti tra banche e imprese con particolare riferimento agli strumenti di finanziamento, Commissione Finanze e Tesoro Senato della Repubblica, 10 febbraio 2009. In senso adesivo, vedi l’ampio saggio di M.S. Spolidoro, Il divieto di concorrenza per gli amministratori di società di capitali, in Riv dir soc, 1983, 1314 , nel quale l’Autore nega che la ratio dell’art. 2390 c.c. possa essere ricondotta a finalità strettamente antitrust. Per un’ampia ricostruzione di diritto positivo, R. Santagata, Interlocking directorates ed “interessi degli amministratori” di società per azioni, in Riv. soc. 2009, 2-3, 310. Per un’analisi del fenomeno dell’interlocking e delle previsioni tese a regolarlo nei settori bancario, finanziari e assicurativo, vedi M. Cera, Interlocking Directorates nelle società bancarie, finanziarie e assicurative: evoluzioni e problemi, in Banca borsa e tit.cred., 2010, 3, 276. [ 0] Cfr. Decisione della Commissione CE del 12 gennaio 2000 (Generali/INA), in G.U.C.E., C58, 1° marzo 2000, 6 (per un commento critico, F. Ghezzi, Intrecci azionari e concorrenza. Il caso Generali / INA, in Mercato, concorrenza e regole, n. 2/2000, 245 ss.); nonché i provvedimenti C8027 – Banca Intesa/SanPaolo IMI, in Boll. n. 49/06, C8277 – Banche Popolari Unite/Banca Lombarda e Piemontese, in Boll. n. 13/07, C8242 – Banco Popolare di Verona e Novara/Banca Popolare Italiana, in Boll. n. 11/07 e C8660-Unicredit/Capitalia, in Boll. 33/07, nonché da ultimo BANCA INTESA/SAN PAOLO IMI del 14 maggio 2009 e C9817 – ISTITUTO CENTRALE DELLE BANCHE POPOLARI ITALIANE/SI HOLDING del 26 marzo 2009. A titolo di esempio, vale la pena notare che nel succitato caso C8277 si è osservato, con specifico riferimento all’impatto potenziale sugli incentivi a competere, connesso ai fenomeni di interlocking directorate, che “[il] cumulo di incarichi appare di rilievo nell’analisi dei potenziali effetti restrittivi della concorrenza in considerazione del fatto che i soggetti aventi tali incarichi non possono, agendo nell’interesse degli azionisti dai quali hanno ricevuto i diversi mandati, non tener conto dell’intero set informativo a loro disposizione nel momento in cui operano nei vari organi di gestione e controllo. Alternativamente, ed in contraddizione con quanto sopra affermato, si dovrebbe presumere che tali soggetti agiscano volontariamente in maniera sub-ottimale per gli azionisti che rappresentano. La situazione appena descritta dà quindi la ragionevole certezza agli azionisti di entrambe che egli, agendo correttamente nell’interesse di cui sono portatori: (i) opererà perseguendo l’obiettivo di massimizzare i profitti di ogni banca, ma godendo di un insieme informativo, legittimamente acquisito nei vari ruoli assunti, che attenua quel margine di incertezza tipico dell’agire tra concorrenti; (ii) individuerà le soluzioni che evitino di avvantaggiare una banca penalizzando l’altra. Alla luce dei descritti legami strutturali, sia diretti che indiretti, si ritiene che gli effetti dell’operazione di fusione, che hanno condotto a individuare a capo del nuovo gruppo (…) posizioni dominanti, siano sottostimati. L’operazione in esame consentirà, quindi, l’ampliamento della struttura del gruppo bancario (…) e la creazione di nuovi e rafforzati legami (…) costituiscono elementi che contribuiscono a creare una struttura di mercato in cui le dinamiche competitive risultano essere fortemente affievolite e accentuare il potere di (…) ostacolare il mantenimento di un’effettiva concorrenza nei mercati interessati”. ________ Note [1] Sulla morfologia del legame personale, che si estende alle situazioni di intreccio diretto ed indiretto, oltre che a quelle che presentano geometrie più articolate (i.e. a ponte o a raggiera), cfr. E. Moavero Milanesi, legami personali fra imprese (“interlocking directorship”) e diritto comunitario della concorrenza: riflessioni, in AA.VV., Governo dell’impresa e mercato delle regole. Scritti giuridici per Guido Rossi, Giuffre, 2002, 954. [2] Per tutti, M. Mizruchi, What do interlocks do? An analysis, critique, and assessment of research on interlocking directorates, Annual Review of Sociology, 1996, 271; S. Elouaer Mrizak, 2009, Interlocking Directorates and Firm Performance: Evidence from French Companies, disponibile al sito internet http://ssrn.com/abstract=1369353. Per una ricostruzione approfondita, E. Moavero Milanesi, legami personali fra imprese (“interlocking directorship”) e diritto comunitario della concorrenza: riflessioni, cit., 943, cui si rinvia anche per ampi riferimenti bibliografici; nonché F. Ghezzi, Legami personali tra intermediari finanziari e diritto della concorrenza. Sull’opportunità di introdurre uno specifico divieto “anti-interlocking” nell’ordinamento italiano, in Riv. soc., 2010, 5, 997, cui si rinvia anche per ampi riferimenti bibliografici. [3] Per una lucida sintesi delle situazioni in cui l’interlocking sia se non benefico, comunque fisiologico, vedi ora M. Cera, Interlocking directorates nelle società bancarie, finanziarie e assicurative: evoluzioni e problemi, in Banca borsa e tit. cred., 2010, 3, 276. [4] Come ricordato di recente dall’OCSE “Courts have recognised that the acquisition of a minority shareholding cannot be viewed as illegal or abusive as such”: cfr., OCSE, Antitrust Issues Involving Minority Shareholding And Interlocking Directorates, cit., 46, nota 101. [5] Ci si riferisce all’ipotesi in cui attraverso una partecipazione di minoranza, eventualmente associata a legami personali, si realizzi una situazione di controllo. Non ricadono invece nell’ambito di applicazione della disciplina sulle concentrazioni le partecipazioni di minoranza in quanto tali. Cfr. anche Commissione Europea, Green Paper on the review of the EC Merger regulation, COM (2001) 745/6, 11 dicembre 2001, par. 109. Per un approfondimento sulle recenti tendenze che vanno affermandosi in Germania, OCSE, Antitrust Issues Involving Minority Shareholding And Interlocking Directorates — Germany, Daf/Comp/Wp3/Wd(2008)5. [6] Il riferimento è al noto caso Philipp Morris, Corte di Giustizia, caso “BAT et Reynolds v. Commission”, del 17 novembre 1987, Affari congiunti 142 e 156/84. Rac. p. 4487, in cui si è affermato il principio per il quale una partecipazione di minoranza può costituire uno strumento per influire sulla politica concorrenziale di un concorrente o per distorcere il funzionamento del mercato. Osserva G. Rossi in proposito che “In realtà la giurisprudenza Philip Morris appare di grande attualità ed è un vero peccato di omissione che la Commissione non ne faccia uso. Potrebbe essere, ad esempio, un efficace strumento di intervento per scardinare quegli incroci di partecipazioni azionarie circolari, rigorosamente di minoranza, che caratterizzano il panorama societario in svariati paesi europei; incroci non di rado collegati a un comune denominatore, di solito rappresentato da un istituto finanziario; incroci, sovente, personificati dalla ricorrenza dei medesimi personaggi nei consigli di amministrazione delle società in varia misura partecipate. Non è, infatti, per nulla evidente, e anzi sembra vero il contrario, che si possa sostenere che siffatte situazioni non influiscano sulle scelte imprenditoriali e sulla condotta di soggetti che dovrebbero farsi concorrenza. Dunque, saremmo in un caso classico di Philip Morris”: cfr. G. Rossi, Relazione dal titolo Governo, Magistratura e Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato: tre diverse filosofie dell’Antitrust, presentata in occasione del Convegno Concorrenza e Autorità Antitrust – Un bilancio a dieci anni dalla legge, Roma 10 ottobre 2000. [7] Il pensiero corre all’indirizzo della Commissione UE per la quale l’acquisto da parte di un operatore in posizione dominante di una partecipazione di minoranza in un’impresa concorrente consente la potenziale influenza del primo sulle politiche commerciali della seconda (cfr. casi riuniti “Warner-Lambert/Gillette e altri” e BIC/Gillette e altri, Decisione del 10 novembre 1992, in G.U.C.E. L 116, p. 21. In applicazione di questa affermazione, l’acquisizione di una partecipazione da parte di Gillette del 22% del capitale di un concorrente è stata condizionata all’assunzione di un impegno a non esercitare i diritti di azionista (cfr. par. 25 della decisione). Anche l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, recependo gli orientamenti comunitari, ha affermato che “l’acquisto di una partecipazione di minoranza in una società direttamente concorrente non rientra nell’ambito di applicazione della normativa a tutela della concorrenza solo laddove questo acquisto risponda ad una mera finalità di investimento finanziario passivo. La fattispecie risulta invece vietata ogni qualvolta si accerti che essa costituisce un mezzo idoneo a influire sul comportamento commerciale delle imprese in questione, in modo da restringere o falsare il gioco della concorrenza sul mercato” (cfr. caso “Parmalat/Granarolo Felsinea”, Provvedimento n. 3086 dell’8 giugno 1995, pubblicato sul bollettino dell’Autorità Garante n. 23 del 1995, p. 5 ss). Sul caso Gilette si veda anche A. Valli, Finanziamenti concorrenti, acquisizioni di partecipazioni di minoranza in concorrenti e oligopolio: la Commissione adotta il rasoio di Occam (un commento alla decisione Gilette), in Dir. comm. intern., 1994, 179 ss. [8] In arg., vedi anche le decisioni Blokker/Toys ‘R’ Us (caso M.980) e Hoechst/Rhône Poulenc (caso M.1378). [9] In tale prospettiva, il filtro dell’antitrust completa la disciplina codicistica, tenuto conto che, come è stato di recente notato con specifico riferimento all’art. 2390 c.c., “non è la nozione di amministratore indipendente che consente di superare le problematiche connesse agli interlocking directorates, è il fenomeno in sé dei legami che determina le criticità antitrust e che richiede un intervento normativo/regolatorio”: A. Catricalà,  Audizione del Presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato Pres. Antonio Catricalà, Intervento sul settore bancario finanziario: i rapporti tra banche e imprese con particolare riferimento agli strumenti di finanziamento, Commissione Finanze e Tesoro Senato della Repubblica, 10 febbraio 2009. In senso adesivo, vedi l’ampio saggio di M.S. Spolidoro, Il divieto di concorrenza per gli amministratori di società di capitali, in Riv dir soc, 1983, 1314 , nel quale l’Autore nega che la ratio dell’art. 2390 c.c. possa essere ricondotta a finalità strettamente antitrust. Per un’ampia ricostruzione di diritto positivo, R. Santagata, Interlocking directorates ed “interessi degli amministratori” di società per azioni, in Riv. soc. 2009, 2-3, 310. Per un’analisi del fenomeno dell’interlocking e delle previsioni tese a regolarlo nei settori bancario, finanziari e assicurativo, vedi M. Cera, Interlocking Directorates nelle società bancarie, finanziarie e assicurative: evoluzioni e problemi, in Banca borsa e tit.cred., 2010, 3, 276. [10] Cfr. Decisione della Commissione CE del 12 gennaio 2000 (Generali/INA), in G.U.C.E., C58, 1° marzo 2000, 6 (per un commento critico, F. Ghezzi, Intrecci azionari e concorrenza. Il caso Generali / INA, in Mercato, concorrenza e regole, n. 2/2000, 245 ss.); nonché i provvedimenti C8027 – Banca Intesa/SanPaolo IMI, in Boll. n. 49/06, C8277 – Banche Popolari Unite/Banca Lombarda e Piemontese, in Boll. n. 13/07, C8242 – Banco Popolare di Verona e Novara/Banca Popolare Italiana, in Boll. n. 11/07 e C8660-Unicredit/Capitalia, in Boll. 33/07, nonché da ultimo BANCA INTESA/SAN PAOLO IMI del 14 maggio 2009 e C9817 – ISTITUTO CENTRALE DELLE BANCHE POPOLARI ITALIANE/SI HOLDING del 26 marzo 2009. A titolo di esempio, vale la pena notare che nel succitato caso C8277 si è osservato, con specifico riferimento all’impatto potenziale sugli incentivi a competere, connesso ai fenomeni di interlocking directorate, che “[il] cumulo di incarichi appare di rilievo nell’analisi dei potenziali effetti restrittivi della concorrenza in considerazione del fatto che i soggetti aventi tali incarichi non possono, agendo nell’interesse degli azionisti dai quali hanno ricevuto i diversi mandati, non tener conto dell’intero set informativo a loro disposizione nel momento in cui operano nei vari organi di gestione e controllo. Alternativamente, ed in contraddizione con quanto sopra affermato, si dovrebbe presumere che tali soggetti agiscano volontariamente in maniera sub-ottimale per gli azionisti che rappresentano. La situazione appena descritta dà quindi la ragionevole certezza agli azionisti di entrambe che egli, agendo correttamente nell’interesse di cui sono portatori: (i) opererà perseguendo l’obiettivo di massimizzare i profitti di ogni banca, ma godendo di un insieme informativo, legittimamente acquisito nei vari ruoli assunti, che attenua quel margine di incertezza tipico dell’agire tra concorrenti; (ii) individuerà le soluzioni che evitino di avvantaggiare una banca penalizzando l’altra. Alla luce dei descritti legami strutturali, sia diretti che indiretti, si ritiene che gli effetti dell’operazione di fusione, che hanno condotto a individuare a capo del nuovo gruppo (…) posizioni dominanti, siano sottostimati. L’operazione in esame consentirà, quindi, l’ampliamento della struttura del gruppo bancario (…) e la creazione di nuovi e rafforzati legami (…) costituiscono elementi che contribuiscono a creare una struttura di mercato in cui le dinamiche competitive risultano essere fortemente affievolite e accentuare il potere di (…) ostacolare il mantenimento di un’effettiva concorrenza nei mercati interessati”. [11] Così E. Moavero Milanesi, A. Winterstein, Minority Shareholdings, Interlocking Directorships and the EC Competition Rules-Recent Commission Practice, in Competition Policy Newsletter, No. 1, pp 15-18, Febbraio 2002, 15. [12] Il riferimento è in particolare al settore finanziario, cfr. IC36 La corporate governance di banche e assicurazioni, provvedimento del 23 dicembre 2008, n. 19386, in Boll. n. 49/2008; AS496 Interventi di regolazione sulla governance di banche e assicurazioni del 2 febbraio 2009, in Boll. n. 3/2009. Per un commento, A. Catricalà, L. Fiorentino, relazione introduttiva alla “Giornata di studio Protezione dei consumatori e tutela della concorrenza nei mercati finanziari”, Milano, 27 febbraio 2009, e per un commento critico vedi ora L. Prosperetti , E. Barenghi, Corporate Governance, performance d’impresa ed efficienza del mercato: note a margine dell’Indagine conoscitiva AGCM sulla corporate governance di banche e assicurazioni, in Dir. economia assicur. 2009, 04, 1201. Per un approfondimento empirico si rinvia per tutti a P. Santella, C. Drago, A. Polo, The Italian Chamber of Lords Sits on Listed Company Boards: An Empirical Analysis of Italian Listed Company Boards from 1998 to 2006, 2009, accessibile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=1027947; P.Santella, C. Drago, A. Polo, E. Gagliardi, Una comparazione tra le reti di amministratori nelle principali società quotate in Italia, Francia e Gran Bretagna, in L’industria, Rivista di economia e politica industriale, 2008, 271. [13] M. Giannino, Recent developments and prospects regarding the decisional practice of the Italian competittion authority in banking sector, accessibile all’indirizzo ssrn.com. Osserva A. Catricalà che “Negli stessi provvedimenti di autorizzazione delle concentrazioni, l’Autorità ha rilevato una specifica criticità dei settori finanziari e ha cercato di imporre in quelle sedi i rimedi idonei e proporzionati ai problemi riscontrati. Si tratta dei conflitti di ruolo che si originano in occasione della contemporanea presenza delle stesse persone fisiche negli organi di amministrazione o di gestione di più imprese che dovrebbero pienamente competere tra loro. Il fenomeno si associa a partecipazioni societarie incrociate e a imprese comuni, ad esempio nel settore del credito al consumo e nel settore assicurativo, che deprimono gli incentivi a competere. Con riferimento alle partecipazioni e alle imprese comuni si è imposto di cedere le prime e di sciogliere le seconde. Con riferimento ai conflitti di ruolo dei manager, si sono talvolta stabiliti limiti all’attività nelle imprese concorrenti e in un caso si è affermato nello statuto della società l’incompatibilità assoluta a ricoprire cariche gestionali in società concorrenti. […]L’indagine conoscitiva conclusa pochi mesi fa sul tema dimostra che si tratta di una criticità di sistema” (Audizione del Presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato Antonio Catricalà, Commissione Finanze, Camera dei Deputati, Tematiche relative all’applicazione della disciplina Antitrust nel settore Bancario, 7 maggio 2009). [14] Nel caso Thyssen/Krupp (caso IV/M.1080, decisione del 2 giugno 1998) è confermata la rilevanza della struttura di mercato ai fini della valutazione concorrenziale di un’operazione nell’ambito della quale è stata prestata specifica attenzione anche ai legami personali. Osservano E. Moavero Milanesi, A. Winterstein, Minority Shareholdings, Interlocking Directorships and the EC Competition Rules-Recent Commission Practice, in Competition Policy Newsletter, no. 1, 15-18, Febbraio 2002, 15, che “the Commission initially objected to the proposed merger between Thyssen and Krupp because Krupp held a 10% stake in its competitor Kone. Connected to this minority shareholding was a number of particular contractual rights granted to Krupp, including an inter locking directorship. In view, inter alia, of the oligopolistic structure of the product market concerned, the Commission feared that such horizontal links could dampen the post-merger competition between the competitors Thyssen and Kone and cleared the operation only after Krupp undertook irrevocably to waive the exercise of its rights as well as to sever the interlocking directorship with Kone”. [15] Se, infatti, l’elevata concentrazione di un mercato rallenta di per sé il gioco della concorrenza — favorendo l’adozione di comportamenti uniformi e smorzando l’interesse degli operatori nei confronti di iniziative individuali — quella stessa concentrazione non è in grado di rendere il contesto di mercato completamente trasparente. Di conseguenza, l’impresa che decide di adottare politiche imprenditoriali non allineate a quelle altrui, può sempre sfruttare gli elementi commerciali di cui essa sola dispone per sorprendere i concorrenti e rimettere in gioco gli assetti consolidati nel tempo, e resi stabili dall’adozione di comportamenti conformi. Ecco allora che, in un contesto del genere, l’accesso a quei dati che nessuno, salvo l’impresa interessata, conosce (e che, pertanto, è interesse di quest’ultima tenere riservati), potrebbe eliminare il ristretto spazio di concorrenza all’interno del quale possono muoversi, se lo vogliono, gli oligopolisti. Ne risulta, ad avviso delle Autorità antitrust, un duplice effetto, l’uno relativo al profilo soggettivo del concetto di concorrenza, l’altro a quello oggettivo. Quanto al primo, l’effetto consiste nel fatto che la trasparenza artificiale delle condotte commerciali delle singole imprese si ritorce contro gli operatori che l’hanno realizzata, precludendo a questi ultimi di porre in essere comportamenti di tipo « non collettivo », ossia profittevoli solo per l’impresa che le ha intraprese, e dannose o di nessun rilievo per le altre. Più specificamente, tali iniziative verrebbero prima scoraggiate dall’intreccio che consente, anzitutto, di rilevare immediatamente, smascherandole, le pratiche intraprese a titolo personale (quelle cioè che non sono rivolte al perseguimento del « bene comune »), quindi, di neutralizzare e « punire » queste ultime in modo esemplare (se il sistema di informazioni, infatti, non svolgesse anche funzioni, per così dire, di polizia, le parti continuerebbero a deviare dall’interesse comune, in ragione dei maggiori guadagni conseguibili tramite strategie autonome). Sotto il profilo oggettivo, poi, la trasparenza assoluta delle dinamiche di mercato determina una paralisi delle stesse, giacché, attenuando l’opportunità, la convenienza e l’interesse degli operatori a confrontarsi apertamente, spiana la via ora all’adozione di comportamenti paralleli, uniformi, di « quieto vivere » (« quiet life »), ora all’instaurazione di meccanismi di solidarietà e reciproca influenza, che, a loro volta, facilitano la realizzazione di un coordinamento tra le reciproche attività economiche. Sul tema, anche J. Berti, Lo scambio di informazioni fra imprese concorrenti, in Riv. dir. comm., 1996, I, 560 e C. Osti, Antitrust e oligopoli, Milano, 1995, 222 e ss. Mi si permetta di rinviare altresì a V. Falce, Lo scambio di informazioni nell’esperienza comunitaria e nazionale, in Giur. comm., 1999, I, 238; V. Falce, Profili antitrust dei sistemi informativi. Sulla divergenza della prassi nazionale rispetto ai principi comunitari, in Dir. Comm. Int., 2006, per la dottrina straniera vedi, per tutti, D.J. Teece, Information Sharing, Innovation and Antitrust, in Antitrust L.J., 1994, 465 e s..; D.E. Edwards, Trade Associations and the Exchange of Price and Non Price Information, in Ford H Corp. L. Inst., 1989, 709. [16] Poiché in questi casi la preoccupazione è tipicamente strutturale, la rimozione del legame è considerata una misura correttiva adeguata ogni volta che il cumulo di incarichi possa essere qualificato alla stregua di una pratica facilitante. Come ha avuto occasione di osservare la Commissione anche di recente “Behavioural undertakings, such as the creation of “Chinese walls”, would generally be regarded as sub-optimal at addressing structural competition concerns of this kind, both in terms of their effectiveness and in terms of the difficulties associated with monitoring their implementation”, cfr. OECD, Antitrust Issues Involving Minority Shareholding And Interlocking Directorates Daf/Comp(2008)30, 23 giugno 2009. [17] Per la giurisprudenza amministrativa, in assenza di ulteriori elementi di riscontro, quali indizi gravi, precisi e concordanti, invece, il parallelismo può essere considerato di per sé sintomatico di una condotta illecita sul versante soggettivo solo ove non sia configurabile una spiegazione alternativa capace di inquadrare le condotte parallele come razionali ed autonome scelte imprenditoriali, fisiologicamente condizionate dalla previsione dell’altrui possibile risposta ad un’iniziativa differenziatrice (così anche Tar Lazio, sentenza 6213/2008, Mercato del calcestruzzo cellulare autoclavato, nonché Consiglio di Stato, decisione n.102/2008, Latti artificiali per l’infanzia). [18] Cfr. OCSE, Roundtable On Facilitating Practices In Oligopolies, DAF/COMP(2008)24, 5 settembre 2008, 9, dove si legge “Member countries have investigated a broad range of conduct as facilitating practices. Most cases concern arrangements among competitors to exchange information, for example historic or future price information or information about future strategic conduct. Other types of facilitating practices include pricing systems that facilitate collusive outcomes, such as multiple basing point pricing systems, and interlocking, directorates which can facilitate coordination among competitors. Facilitating practices also can include vertical arrangements that may facilitate coordination among suppliers, such as certain minimum advertised price programs. Last, some facilitating practices can implicate single firm conduct laws, such as category management arrangements which may allow a “category captain” – a supplier appointed by a retailer – to obtain sensitive information about smaller, competing suppliers”. Nella sentenza, n. 5578/2008, relativa al caso Gare per la fornitura di dispositivi per stomia, il Tar Lazio ha richiamato il consolidato principio, in virtù del quale “il divieto [di intese restrittive della concorrenza], (…) si specifica nel precetto che – pur dovendosi tenere ferma la libertà di scelta da parte delle imprese, incluso il diritto a reagire in maniera intelligente al comportamento, constatato o atteso dei concorrenti – è sempre vietato ogni contatto, diretto o indiretto, tra gli operatori che abbia per oggetto o per effetto di influenzare il comportamento sul mercato di un concorrente o di informare tale concorrente sulla condotta che l’impresa stessa ha deciso di porre in atto”. “Tali iniziative”, ha precisato il Tar, sostituiscono “all’alea della concorrenza il vantaggio della concertazione”, erodendo i benefici che ai consumatori derivano dal normale uso della leva concorrenziale. [19] Nella decisione Parmalat – Granarolo Felsinea, l’Autorità ha concluso nel senso di una violazione alle regole di concorrenza in quanto “l’acquisizione della partecipazione di minoranza da parte di Parmalat nel capitale sociale di Granarolo, l’ingresso di Parmalat nel C.d.A. di Granarolo, il diritto di prelazione attribuito a Parmalat, le ulteriori prerogative connesse con l’acquisto della partecipazione, la realizzazione di duraturi progetti di collaborazione, contribuisce alla creazione di una struttura di collaborazione stabile e permanente tra le società interessate. […] In conclusione, è possibile affermare che l’intesa in oggetto, una volta perfezionata e portata ad esecuzione, comporterebbe una riduzione sostanziale e consistente del grado di concorrenza esistente sui mercati su cui operano le imprese interessate, rispetto a quanto avverrebbe in assenza dell’accordo stesso” (Provvedimento n. 3086 ( I114 ) Parmalat / Granarolo Felsinea, in Boll. 23/1995, par. 4). [20] Sulla difficoltà di applicare le regole sulle intese alle partecipazioni di minoranza, quand’anche collegate a legami personali, OECD, Antitrust Issues Involving Minority Shareholding And Interlocking Directorates Daf/Comp(2008)30, 23 giugno 2009, 44. [21] Al riguardo si vedano a livello comunitario i casi (relativi a fattispecie e a mercati molto differenziati) EDP/ENI/GDP, Decisione della Commissione del 9 dicembre 2004, in G.U. L 302/2005, Alcan/Pechiney, Comunicato stampa della Commissione del 14 marzo 2000, IP/00/258, Tetra Laval/Sidel, Decisione della Commissione del 30 ottobre 2001, in G.U. L 43/2004, poi riformata a seguito dell’intervento della Corte di giustizia. A livello nazionale si rinvia ad esempio al caso I-641, Jet Fuel, Provvedimento n. 15604, del 14 giugno 2006. [22] Nella decisione Parmalat – Granarolo Felsinea, l’Autorità ha accertato la violazione della disciplina sulle intese anche alla luce del fatto che “La comune intenzione delle parti di creare una stabile struttura atta ad agevolare la collaborazione imprenditoriale tra le due società emerge in modo inequivocabile dalle previsioni contrattuali relative alla rappresentanza nel C.d.A. di Granarolo. La circostanza che il C.d.A. di Granarolo si riunisca molto di frequente e che in tale sede vengano discusse tutte le decisioni inerenti l’attività gestionale della società conferisce grande importanza alla presenza, in tale organo, di quello che dovrebbe essere il principale concorrente di Granarolo. La Parmalat, infatti, tramite il proprio rappresentante, è in grado di accedere a informazioni dettagliate relative all’attività di impresa di Granarolo. Essa stessa può inoltre partecipare attivamente alla formazione di importanti decisioni imprenditoriali, rilasciando, a sua volta, proprie informazioni. In tal modo si realizzerebbe una completa trasparenza delle rispettive strategie commerciali dei due gruppi, con una evidente compromissione dei reciproci comportamenti competitivi. […]L’importanza della mancanza di trasparenza delle informazioni e dei dati aziendali riservati, quale presupposto indispensabile per lo svolgimento di corrette relazioni concorrenziali, è stata di recente ribadita dal Tribunale di prima istanza CE, con sentenza del 27 ottobre 1994Causa 34/92, Fiatagri UK Ltd c. Commissione. E ancor più significativa appare la circostanza che, con la citata sentenza BAT e Reynolds c. Commissione, la Corte di Giustizia abbia ritenuto (punto 46) decisiva l’assenza dell’impresa concorrente nel Consiglio d’Amministrazione ed in qualsiasi organo direttivo della società partecipata, al fine di escludere la portata anticoncorrenziale delle intese esaminate” (par. 2.3). Cfr. anche IP/01/1592 “La Commissione autorizza la costituzione di un’impresa comune avente natura di cooperazione nel settore della bancassicurazione da parte di Generali e Commerzbank in Germania. La Commissione europea ha dato il via libera ad un’impresa comune tra la banca tedesca Commerzbank e AMB, un assicuratore tedesco controllato dalla società italiana Generali: l’impresa comune distribuirà i prodotti assicurativi e bancari al dettaglio delle due imprese madri in Germania. Aumenterà così il numero di punti di distribuzione dei prodotti in oggetto, a beneficio dei consumatori tedeschi. La Commissione ha prestato inoltre particolare attenzione all’impatto dell’impresa comune sul nuovo mercato in espansione dei regimi pensionistici privati (le cosiddette pensioni “Riester”), ma non ha rilevato problemi di concorrenza. Nessuna preoccupazione neppure sul versante dei legami tra il management delle parti e quello di altre società”. [23] Le pratiche relative ai circuiti informati sono oggetto di crescente attenzione anche in sede comunitaria. Cfr., da ultimo, Commissione Europea, Comunicazione sull’applicabilità dell’art. 101 TFEU agli accordi orizzontali (2011/C 11/01) , in cui ai §§ 55 e ss. si analizza la rilevanza concorrenziale di un accordo avente ad oggetto o per effetto lo scambio di informazioni commercialmente sensibili. [24] Ci si riferisce al caso Olivetti/Digital, Caso IV/34.410, decisione dell’11 novembre 1994, OJ 1994 L 309/24. D’altra parte, nel caso italiano Parmalat – Granarolo Felsinea l’Autorità ha negato che rilevasse la circostanza relativa all’esistenza “in capo al Presidente del Consiglio di Amministrazione, di ampi poteri di delega. Tale circostanza, infatti, in assenza della figura dell’amministratore delegato e del comitato esecutivo, non determina, come risulta peraltro inequivocabilmente documentato dai verbali delle riunioni del Consiglio, alcuna opacità delle scelte relative alla gestione dell’attività di impresa. Dell’andamento della stessa viene infatti costantemente messo al corrente il Consiglio, al cui interno vengono convogliate tutte le informazioni rilevanti afferenti ogni fase dell’attività imprenditoriale “ (par. 2.3.). Per un commento, si rinvia per tutti a E. Moavero Milanesi, A. Winterstein, Minority Shareholdings, Interlocking Directorships and the EC Competition Rules-Recent Commission Practice, in Competition Policy Newsletter, No. 1, pp 15-18, Febbraio 2002, 16. [25] Così F. Ghezzi, Relazione dal titolo Partecipazioni finanziarie e personali in imprese concorrenti. Luci e ombre dell’indagine conoscitiva dell’Autorità antitrust sulla governance nei mercati finanziari , Milano, 30 marzo 2009. [26] M. 2567, Decisione dell’8 novembre 2001, Nordbanken/Postgirot. [27] Nel caso I707 – Fvh-Liquigas-Butangas-Quiris/I.Pe.M si legge al par. 28: “Con riferimento alle preoccupazioni concorrenziali in ordine alle modalità del funzionamento del Comitato Tecnico e alle nomine dei componenti in seno allo stesso, le Parti hanno presentato impegni al fine di sterilizzare la possibilità che transitino dal Comitato ai soci informazioni commercialmente sensibili. Tali impegni sono suscettibili di poter fugare le preoccupazioni espresse in sede di avvio del procedimento, in quanto appaiono idonei ad impedire che i flussi informativi transitino dall’impresa comune ai soci determinando uno scambio di informazioni potenzialmente sensibili”. [28] Si pensi altresì ai casi sempre più frequenti in cui per escludere a priori il rischio di concertazione tra imprese madri attraverso l’impresa comune controllata congiuntamente dalle stesse si introducono misure organizzative assai pervasive, che (i) nessun membro del personale o del management dell’impresa comune abbia rapporti contrattuali con le società azioniste; (ii) lo staff e il management dell’impresa comune occupino uffici distinti da quelli delle imprese socie; (iii) gli amministratori espressione degli azionisti non avranno accesso ad informazioni commerciali sensibili relative ai soci stessi o a terzi, ciò che verrà assicurato dalla presenza di un legale esperto di diritto della concorrenza nei CDA dell’impresa comune al fine di prevenire comunicazioni inappropriate tra le parti; (iv) le società madri non abbiano accesso alla rete informatica dell’impresa comune; (v) si introduca un programma di formazione e una procedura articolata al fine di regolare e vigilare sull’uso e la diffusione di informazioni confidenziali, nonché un sistema di sanzioni per le eventuali violazioni. A livello comunitario, si vedano, ad esempio, i casi Ford/Volkswagen, Decisione della Commissione, del 23 dicembre 1992, in G.U. L 20/1993, Volborker e Opodo (cfr. rispettivamente comunicato stampa della Commissione del 31 luglio 2000, IP/OO/896 e Decisione della Commissione  del 9 dicembre 2002 nel caso COMP/A/A.38321/D2). [29] Nella sentenza 5578/2008, Gare per la fornitura di dispositivi per stomia, il Tar ha confermato la pericolosità di un sistema di scambio di informazioni “in caso di mercato oligopolistico” perchè idoneo “ad eliminare l’unico fattore che può spingere le imprese soddisfatte della quota di mercato raggiunta ad un ribasso dei prezzi, ossia il timore di una manovra competitiva sui prezzi da parte dei concorrenti e la conseguente necessità di prevenirla o contrastarla efficacemente”. Analogamente Tar Lazio, sentenze n. 2312/2008, Pannelli truciolari e n. 6213/2008, Mercato del calcestruzzo cellulare autoclavato. In ogni caso il carattere illecito di un circuito informativo deve essere effettuato in concreto sulla base del tipo di informazioni scambiate e dei potenziali effetti anticoncorrenziali (cfr. TAR, sentenza 6396/2006 relativa al caso Consorzio per la tutela del formaggio gorgonzola). [30] Cfr. decisione della Commissione Europea del 19 dicembre 2007 COMP/34.579 – MasterCard, COMP/36.518 – EuroCommerce, COMP/38.580 – Commercial Cards, §§ 380, 383. [31] Ampiamente in argomento l’ampio saggio di R. Santagata, Interlocking directorates ed “interessi degli amministratori” di società per azioni, cit., 310. [32] Sulle carenze di un sistema di controllo sugli interlocking attraverso lo strumentario antitrust e su una possibile ipotesi de iure condendo, cfr. da ultimo F. Ghezzi, Legami personali tra intermediari finanziari e diritto della concorrenza. Sull’opportunità di introdurre uno specifico divieto “anti-interlocking” nell’ordinamento italiano, in Riv. soc., 2010, 5, 997.
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