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Bitcoin: una sfida per policymakers e regolatori

di Giulia Arangüena Abstract Bitcoin is a fact of great interest not only from a purely technological point of view but also for law and economics aspects, given the complex of legal implications still unexplored and partially unknown underlying this phenomenon increasingly widespread. On international journals and in the press there already are many studies about the economic potential of Bitcoin and many other legal studies are now developing the sector abroad (i.e. in USA) helping the institutions at the same time: (i) to understand the nature of new form of technological and digital crypto-currency, (ii) to define its operational aspects and (iii) to ensure that it is also somehow regulated and taxed. Starting from some academic sources from various legal and economic research institutions, this paper seeks to restore, without any claim to completeness, a unified picture of the phenomenon of Bitcoin, offering an easy vision of it as an heavy challenge probably inevitable for all State authorities who wish to develop its legal use and economic potential. Il Bitcoin è una realtà di sicuro interesse non solo dal punto di vista meramente tecnologico ma anche economico e giuridico, stante le complesse implicazioni di diritto ancora inesplorate e parzialmente sconosciute sottese a questo fenomeno, ormai sempre più diffuso. Esistono sulle riviste specializzate internazionali e sulla stampa già molte analisi sulle potenzialità economiche del Bitcoin, e diversi sono anche gli studi giuridici che, all’estero (specie USA), stanno sviluppando il settore aiutando, nel contempo, le istituzioni a comprendere la natura della nuova forma tecnologica delle criptovalute, per inquadrarne il funzionamento e provvedere ad una sua regolamentazione anche relativamente agli aspetti fiscali. Questo scritto, partendo da alcune autorevoli fonti accademiche di diversi enti di ricerca giuridica ed economica, cerca di ricomporre, senza alcuna pretesa di completezza, un quadro unitario del fenomeno del Bitcoin, proponendo una visione di esso quale sfida difficile, e probabilmente inevitabile, per tutti quegli ordinamenti statali che intendano svilupparne l’uso e le diverse potenzialità economiche. Sommario:

  1. Premesse e definizione comune del Bitcoin.
  2. Operatività e background tecnico.
  3. Panoramica sul fenomeno e sull’economia Bitcoin.
  4. Aspetti competitivi ed opportunità di una regolamentazione.
  5. Aspetti legali e di mercato. – 5.1. Il Bitcoin come moneta. – 5.2. La moneta complementare. – 5.3. Il Bitcoin come strumento di facilitazione del commercio elettronico. – 5.4. Il Bitcoin come security.
  6. Sistema multifunzionale di scambi e matura giuridica variabile o ibrida. – 6.1. Il Bitcoin come smart contract basato sulla crittografia finanziaria.
  7. Approccio pragmatico e possibile definizione giuridica del Bitcoin: esclusione della nozione di property.
  8. Conclusioni.

1. Premesse e definizione comune del Bitcoin.

Partendo da alcuni concetti largamente diffusi [1], il Bitcoin viene accreditato come una moneta virtuale [2]:

  • parzialmente anonima [3];
  • decentralizzata e basata su un network c.d. peer-to-peer;
  • generata da un software open source;
  • scambiata attraverso l’applicazione tecnologica della crittografia;
  • non sostenuta da alcun governo né autorità statale e/o bancaria (c.d. not backed);
  • non soggetta al controllo o alla garanzia di alcun altro tipo di soggetto giuridico;
  • non rimborsabile per oro o altro tipo di merce (c.d. not redeemable).

  Il Bitcoin, allo stato attuale, in quasi tutti i paesi del mondo in cui se ne è sviluppato l’uso, è liberamente trasferibile sia in forma digitale che in forma fisica, ed è negoziabile su taluni mercati in cambio di valute aventi corso legale [4].

2. Operatività e background tecnico.

Il concetto di una moneta online e decentralizzata esiste da quando si è approdati ad una visione di Internet come una risorsa pubblica e diversi sono stati i tentativi di creare una moneta online [5]. Il Bitcoin nasce nel 2009 e si basa su due idee fondamentali, cioè:

  • che la moneta è ogni oggetto che sia accettato come pagamento e che, pertanto, tale oggetto può essere costituito anche da dati informatici; e
  • che l’uso della crittografia per controllare la creazione e il trasferimento del denaro possa sostituire le autorità centrali.

  Il Bitcoin non esiste come moneta di carta e metallo, ma come successione di bit; cioè come algoritmi crittografici che li definiscono e che danno alla valuta digitale la sua “materialità”. I Bitcoin sono dei file criptati creati da qualsiasi computer connesso alla rete su cui giri un software open source [6], e sono generati ed ottenuti sotto forma di “ricompensa” attraverso l’esecuzione di un processo chiamato “mining”, cioè c.d. estrazione. Il mining, su basi individuali, richiede un computer sul quale installare il software apposito ed una connessione alla rete peer-to-peer [7]. Una volta connesso, un determinato computer comincia ad utilizzare la propria potenza computazionale per decifrare e ricostruire in maniera appropriata un determinato blocco di calcolo [8]. La difficoltà del problema informatico posto per la validazione di nuovi blocchi aumenta di complessità con la quantità di sforzo computazionale che occorre a tutta la rete peer-to-peer per continuare ad “estrarre” la moneta stessa; e ciò determina il ritmo con cui nuovi Bitcoin vengono “coniati” ed aggiunti al sistema, riducendo nel contempo la probabilità che un qualsiasi minatore o gruppo di minatori tra loro consorziati (c.d. Mining Pool) prendano il controllo della c.d. block chain [9], il file pubblico contenente lo storico di tutte le operazioni e le transazioni effettuate in Bitcoin. Una vota estratti, i Bitcoin (e le loro frazioni) vengono scambiati tra gli utenti, utilizzati come mezzi di pagamento e negoziati in cambio di moneta avente corso legale attraverso transazioni basate sull’applicazione della crittografia [10].

3. Overview sul fenomeno e sull’economia Bitcoin. 

Salvo alcune eccezioni, come ad esempio gli USA e la Germania [11], nessun ordinamento ha sinora provveduto ad un inquadramento legale sistematico, a parte alcuni interventi per limitate finalità di natura regolatoria fiscale [12], né tantomeno ha riconosciuto lo status giuridico monetario del Bitcoin e delle altre valute virtuali basate sulla crittografia [13]. Ciò nondimeno, occorre prendere definitivamente atto del fenomeno e della sua continua espansione. Peraltro, quello del Bitcoin sembra un fenomeno sociale ed economico sempre più globale e di massa; e ciò, secondo noi, viste anche le sue caratteristiche, principalmente per due ordini di ragioni:

  • cause di tipo infrastrutturale: i.e. il facile accesso alla tecnologia che ne sta alla base (c.d. block chain), la diffusione della comunicazione elettronica sulla rete Internet, e l’utilizzo ormai generale dei c.d. social media; e
  • cause di tipo ideologico e culturale degli ambienti hacker in cui si è inizialmente diffuso, che, sulla base dell’architettura decentralizzata della rete su cui si muove, tendono a saldare al Bitcoin spinte antipolitiche ed antistatali, ovvero movimenti di pensiero volti al superamento dell’Euro e delle monete nazionali a favore di rivendicazioni libertarie ed anticentraliste, oggi piuttosto presenti nel dibattito politico  [14].

  Dal 2009 ad oggi, si è diffuso enormemente l’utilizzo del Bitcoin in molte aree del mondo. Infatti, è sorto un ecosistema molto articolato ed in continua crescita, e numerose sono, anche in Italia, le transazioni effettuate attraverso la moneta digitale. L’ecosistema è decisamente complesso, e, quasi assumendo una vera e propria fisionomia di filiera, comprende: (i) piattaforme di exchange che operano l’acquisto o la vendita online di Bitcoin in cambio di monete nazionali ufficiali; (ii) società che forniscono servizi per facilitare le transazioni; (iii) entità che danno informazioni economiche, analisi dei dati, indici di cambio, e metriche di varia tipologia; (iv) agenti che forniscono conti di garanzia o escrow; (v) consorzi (c.d. pool) di “estrazione” (c.d. mining), cioè raggruppamenti di soggetti che si dedicano alla risoluzione delle crescenti difficoltà crittografiche poste dal sistema per l’ottenimento di nuova potenza di calcolo per l’intero network; (vi) società c.d. di “Bitcoin Block Explorer” che consentono la ricerca individuale per indirizzo di portafoglio; (vii) siti c.d. Faucet, cioè portali dedicati alla distribuzione gratuita di piccole somme di criptovaluta al pubblico in cambio di prestazioni a scarso valore aggiunto (i.e. soluzioni di piccoli test, o captcha, ecc); (viii) blog e numerose società di publishing che forniscono notizie di vario tipo sul mondo Bitcoin, in costante aggiornamento; (ix) società che costruiscono e vendono apparecchiature automatiche di distribuzione di Bitcoin anche incorporati in supporti fisici di vario tipo; (x) società per la vendita di apparecchiature per consentire il pagamento in Bitcoin attraverso il trasferimento elettronico di fondi (anche in modalità mobile); (xi) società produttrici dell’hardware e del software necessario per avviare le attività economiche della filiera; (xii) piattaforme che mettono a disposizione le loro applicazioni, sia proprietarie che open source, per stampare banconote di Bitcoin o coniarne in forma monetaria; (xiii) società che offrono servizi di sicurezza per i depositi di Bitcoin; ecc.. Attualmente, sono sempre più numerosi i merchant che accettano pagamenti in Bitcoin, come risulta dai dati rilevabili attraverso www.coinmap.org, una piattaforma con cui è possibile localizzare in tutto il mondo le attività commerciali, i professionisti, e le aziende che accettano per i loro prodotti e/o servizi pagamenti in criptovaluta. Quanto ai valori dimensionali dell’economia complessivamente creata dal Bitcoin, sottolineando la recente flessione avutasi in concomitanza con gli avvenimenti che hanno poi condotto al crack di MtGox, la principale piazza telematica di trading online del Bitcoin con sede in Giappone, si devono segnalare livelli ancora di nicchia ma, comunque, di comprovata rilevanza e vivacità. Il valore di capitalizzazione complessiva del settore, dopo le perdite dovute all’avvenimento sopra citato, è sceso, tra i 7 e i 6 miliardi di dollari; non un valore enorme, se si pensa al livello di capitalizzazione delle maggiori banche al mondo. Ma di tale valore complessivo deve apprezzarsi la capacità di tenuta e di crescita, atteso che fino al maggio del 2013, come rilevabile dalle informazioni finanziarie reperibili sul sito www.bitcoincharts.com , la capitalizzazione dell’intero mercato Bitcoin ammontava a soli 1,5 miliardi di dollari. Inoltre, quel che più colpisce è il numero delle transazioni che, allo stato delle rilevazioni, oscilla quotidianamente, nelle aree a maggiore diffusione del Bitcoin, in 70.000/80.000 giornaliere, come evidente dalle elaborazioni su fonte www.blockchain.info. Per quanto riguarda l’Italia, non esistono purtroppo rilevazioni e dati ufficiali, né vi sono portali che consentono l’accesso e/o l’elaborazione delle relative informazioni. Tuttavia, dalle notizie di stampa e da Internet, si evince che cominciano ad esservi anche in Italia sia esercizi commerciali che accettano Bitcoin in pagamento, sia iniziative economiche – per lo più sussidiarie rispetto a quelle internazionali – connesse a taluni servizi a valore aggiunto come, ad esempio, il prelievo di Bitcoin attraverso apparecchiature A.T.M.

4. Aspetti competitivi del Bitcoin ed opportunità di una regolamentazione.

Attualmente, il Bitcoin viene utilizzato quale mezzo di scambio e investimento alternativo grazie al facile accesso alle piattaforme di trading, e viene altresì impiegato sempre di più per pagamenti e micro-pagamenti elettronici via Internet. Sicché, molti ordinamenti, a causa del crescente utilizzo del Bitcoin, sono chiamati a dare delle risposte normative e di tipo regolatorio [15]. Del resto, l’assenza di certezza del diritto e di un quadro di riferimento unitario in cui collocare il fenomeno ha consentito, fino ad ora, la proliferazione di un sistema parallelo, nato dal libero gioco delle forze di mercato e dominato da ampia ed incontrastata deregulation e livelli quasi assenti di compliance soprattutto con riferimento, ad esempio, ai  diritti dei consumatori e/o investitori [16]. Per l’assenza di un quadro certo di norme, come è stato osservato [17], il Bitcoin ha quindi cominciato a competere direttamente, ma senza osservare alcuna regola di settore, almeno con due classi di beni: (i) le valute; e (ii) i sistemi di pagamento e prodotti che facilitano l’e-commerce. E, a tale ultimo riguardo, si nota, ad esempio, come il Bitcoin abbia aperto il mercato a (moltissimi) prestatori di servizi di pagamento, i  quali, in assenza di vincoli normativi, riescono ad alleggerirsi di maggiori costi operativi e ad offrire trasferimenti di fondi a prezzi più bassi. Tant’è, probabilmente, che anche per tale ragione (oltre che per motivi legati alla natura intrinseca della criptovaluta), il Bitcoin si è ormai attestato tra i primi 10 network di e-payment al mondo, dopo Visa, Mastercard, Paypal, ecc., così come rilevabile attraverso l’accesso ai servizi informativi e finanziari di www.coinmetrics.com.   Inoltre, al di là delle diverse zone d’ombra, non mancano studi di alcuni prestigiosi centri universitari ed istituti di ricerca, che auspicano un rapido inquadramento normativo e regolamentare del Bitcoin, ovvero l’avvio di un processo di “inserimento” della criptovaluta all’interno di framework legali [18]. E fra queste analisi, ad esempio, non mancano spunti per i c.d. policymakers, atteso che, come è stato autorevolmente posto in luce [19], il Bitcoin, sotto alcuni aspetti, può utilmente essere impiegato come: a) un incentivo all’abbattimento dei costi delle transazioni; b) uno stimolo per l’innovazione finanziaria; e c) un potenziale per sviluppare una maggiore inclusione economica di persone fino ad ora tagliate fuori dai servizi finanziari tradizionali. Giova osservare che l’incidenza dell’utilizzo sempre più diffuso della criptovaluta rispetto al sistema finanziario globale è legata ad una estesa penetrazione del Bitcoin nei sistemi economici che si determina proprio grazie allo schema bi-direzionale della moneta virtuale, rilevato dalla stessa BCE ad ottobre del 2012 [20], in virtù del quale, ormai, ingenti flussi elettronici monetari entrano ed escono dall’economia “esterna” e “reale”, rinforzando la cripto-economia ed alimentando una comunità Bitcoin che sta raccogliendo sempre più simpatizzanti anche grazie all’uso dei social network. Ed è proprio tale elevato grado di penetrazione nell’economia reale di una valuta virtuale come il Bitcoin – in assenza di un chiaro ed unitario contesto legale – a destare le preoccupazioni del sistema ufficiale, potendo determinare, secondo noi, la spinta decisiva per colmare il “lack of regulation” di cui si parla nel documento di indirizzo dell’UE dell’ottobre del 2012, predisposto dalla BCE.

5. Aspetti legali e di mercato.

5.1. Il Bitcoin come moneta. Come già precisato, il Bitcoin, secondo una sorta di autodefinizione, è una valuta digitale, e come moneta virtuale è stato originariamente progettato, si è diffuso e viene utilizzato [21]. Sotto certi aspetti, il Bitcoin si comporta come se fosse denaro ma non ha tutte le caratteristiche della moneta, assolvendo solo parzialmente alle tipiche funzioni monetarie [22].  Tant’è che l’Internal Revenue Service degli Stati Uniti – IRS, il 25 marzo 2014, ha stabilito che la moneta virtuale è solo una “digital representation of value that functions as a medium of exchange, a unit of account, and/or a store of value. In some environments, it operates like “real” currency (omissis), but it does not have legal tender status in any jurisdiction” [23]. Pertanto, sebbene si comporti come un mezzo di scambio, il Bitcoin non ricade perfettamente nella nozione di moneta. E ciò per gli insormontabili limiti costituzionali della definizione giuridica della totalità delle monete legali esistenti nel mondo, intese come emanazione monopolistica del potere sovrano degli Stati (o delle Federazioni, ovvero Unioni di Stati membri) [24], sostenuto dalle rispettive capacità (e organizzazioni) di raccogliere i tributi dai cittadini. Conseguentemente, la prima e più ovvia strada che riconduce il Bitcoin alla categoria giuridica della moneta, a causa anche di una identificazione (a  nostro dire, marcatamente tautologica) tra moneta e moneta legale, pare non potersi percorrere per inquadrare il fenomeno, dato che, tecnicamente, il denaro è solo quell’insieme di banconote e monete a corso forzoso, che viene emesso, o autorizzato dalle banche centrali per conto degli Stati e che da essi riceve valore legale [25]. Ma, non esiste solo la valuta “pubblica”, emessa, sostenuta e garantita dalle autorità statali,  dalle banche centrali e dal sistema finanziario generale, e su questo occorrerebbe accendere un confronto. 5.2. La moneta complementare  Nell’esperienza giuridica di moltissimi ordinamenti esiste anche la c.d. valuta privata, o moneta complementare, emessa ed accettata su basi contrattuali dalle persone che fanno parte di un determinato circuito [26]. Questo tipo di moneta ha tutte le funzioni di una moneta normale, ma non è emessa né supportata da alcuna entità governativa ed è svincolata dal monopolio delle autorità centrali di controllo. E poiché queste monete convivono al fianco della valuta a corso legale, esse hanno assunto la denominazione di “valuta complementare. Essenzialmente una valuta complementare si comporta come un mezzo di scambio e viene impiegata in maniera parallela alla moneta nazionale di riferimento. Ma, non avendo corso legale, le monete complementari possono non essere accettate per ripagare un debito [27], o per pagare le tasse. La moneta complementare è dunque uno strumento di scambio che affianca la moneta a corso legale e risponde sostanzialmente, seppur su basi contrattuali e consensuali tra gli utilizzatori, alle stesse leggi e principi della c.d. moneta-merce e del baratto, rappresentandone una versione più moderna. Nello schema giuridico della valuta complementare, le parti sono mutualmente d’accordo nel loro utilizzo [28], e talvolta può avvenire anche che il loro possesso venga computato come reddito per scopi fiscali. Inoltre, salvo eccezioni, nessun ordinamento occidentale pone limiti che fanno divieto ai privati di emettere moneta su basi contrattuali, e le valute complementari non sono illegali, almeno fintantoché uno Stato, munito di politiche anti-concorrenziali precise con la propria moneta, non decida di dichiararne l’illegalità [29]. Ci sono molti esempi di monete complementari al mondo [30], e solo negli Stati Uniti ce ne sono decine di tipologie, tra cui alcuni molto noti, come i traveller’s cheque o assegni di viaggio che consentono di acquistare titoli prepagati liberamente spendibili e totalmente rimborsabili. Tant’è che negli Stati Uniti la moneta privata, grazie ad alcune decisioni giurisprudenziali in cui è venuta in rilievo, può considerarsi regolamentata e, ad esempio: (i) la sua massa totale non deve superare quella del Dollaro; (ii) ogni reddito tratto con la valuta complementare deve essere denunciato; (iii) non vi deve essere somiglianza e confondibilità con la valuta ufficiale; (iv) può essere riscattabile solo in merci [31]. Il funzionamento della valuta complementare è in genere deciso dall’emittente e il valore può essere ancorato o meno alla valuta nazionale di riferimento. Spesso le valute complementari vengono adottate all’interno di comunità territoriali o di scopo, e in quei casi il termine “valuta locale” viene talvolta impiegato come sinonimo. Ma questa non è una condizione obbligata, potendosi ben dare, anche grazie a Internet, monete complementari e private su scala potenzialmente più globale. E non deve escludersi che il Bitcoin possa essere considerato tale, seppur in senso lato, tenuto conto che esso, pur essendo rappresentato solo da un codice crittografico e non avendo alcuna materialità, è anch’esso più vicino al denaro-merce di quanto non lo sia il denaro “cosiddetto fiduciario o fiat delle banche centrali: infatti, a differenza di questo, e proprio come oro e argento, ha valore non perché il suo uso sia imposto da una banca centrale, ma perché e fintantoché le persone e le aziende sul mercato decidono liberamente di attribuirgli valore” [32]. 5.3. Strumento di facilitazione per il commercio elettronico. La nascita e lo sviluppo di Internet hanno creato e fatto crescere una domanda di sistemi di pagamento elettronico, in costante crescita [33]. PayPal si è posta a dominio del relativo mercato, consentendo ai suoi utenti di procedere ad accrediti attraverso l’utilizzo della carta di credito o mediante trasferimenti di tipo bancario. Altre società hanno invece scelto un approccio alternativo, creando una determinata moneta digitale che fosse convertibile con una valuta avente corso legale; ed esempi di tale modalità si rintracciano in DigiCash, GoldMoney, Web-Money, che però non hanno avuto la fortuna che sta incontrando il Bitcoin. Il Bitcoin non è ancora particolarmente competitivo nel commercio elettronico tradizionale, in quanto moltissimi consumatori non sono attratti dalle caratteristiche di semianonimato garantite dalle criptovalute, o dalla struttura centralizzata o decentralizzata di un sistema di pagamento; talché non hanno particolare motivazione ad avvicinarsi a servizi di pagamento elettronico come quelli offerti dalle criptovalute. Ma è ormai un dato incontrovertibile che il Bitcoin e le altre monete digitali propongano – nel loro utilizzo – costi di transazione più bassi rispetto ai servizi di pagamento tradizionali, potendo, per tale motivo, spingere gli attuali market leader ad una riduzione dei prezzi sotto la pressione concorrenziale [34]. Infatti, la sicurezza garantita dalla crittografia senza alcun tipo di investimento particolare, e l’assenza di soggetti terzi per l’intermediazione del pagamento rendono le transazioni in Bitcoin sostanzialmente più economiche e più veloci rispetto ai circuiti di pagamento elettronico tradizionali [35], aprendo il mercato dei micropagamenti e garantendo per le rimesse internazionali un nuovo strumento di riduzione dei costi [36], idoneo tecnicamente ad integrarsi con gli altri sistemi di pagamento elettronico [37]. Peraltro, come è già stato notato, il Bitcoin ha aperto il mercato dell’e-payment a nuovi prestatori dei relativi servizi non soggetti a specifica regolamentazione, i quali, in assenza di precisi vincoli normativi e regolatori riescono ad offrire movimenti finanziari elettronici a prezzi ancora più bassi, andando a competere direttamente con i circuiti di pagamento del calibro di Visa e Paypal. E non è un caso, quindi, che persino operatori come Western Union e di MoneyGram stiano contemplando la prospettiva di integrare il Bitcoin nei loro servizi [38], o che dietro il servizio di pagamento in Bitcoin più accreditato e solido al mondo, Bitpay, vi sia il fondo di venture capital (Fouders Fund) che ha co-fondato PayPal e contribuito ai primi investimenti per la quotazione in borsa di Facebook. 5.4. Il Bitcoin come security.  Tra gli impieghi del Bitcoin non ci sono soltanto quelli sopra descritti di moneta digitale e di sistema di pagamento. Come già detto, all’interno dell’ecosistema della criptovaluta sono numerose le piattaforme di exchange, attraverso le quali gli utenti possono effettuare trading online facendo eseguire ordini di acquisto o vendita di Bitcoin contro valuta ufficiale (Euro, Dollaro, Yen, e molte altre ancora) e speculando sui differenziali di cambio. Sulla natura finanziaria del Bitcoin, è interessante segnalare che, nell’agosto del 2013, un Tribunale degli Stati Uniti – nel caso Securities and Exchange Commission (SEC) contro  Trendon T. Shavers and Bitcoin Savings and Trust (BTCST)[39], ha emesso un provvedimento nel quale, per la prima volta da parte di un giudice, il Bitcoin è stato equiparato alla moneta tradizionale, e gli investimenti in Bitcoin, seppur non effettuati in valuta tradizionale, sono stati equiparati ad investimenti finanziari soggetti, ad esempio, alle normative applicabili in materia di frode finanziaria e di antiriciclaggio [40]. Comunque, che siano assimilabili a titoli o ad altro tipo di strumento finanziario, i Bitcoin, per il fatto di essere negoziati attraverso il facile accesso ai servizi di trading, sono considerati veicoli alternativi di investimento e un gran numero di persone, anche in Italia, acquistano la criptovaluta per diversificare i loro portafogli e speculare sui cambi.

6. Sistema multifunzionale di scambi e natura giuridica variabile o ibrida. 

Le criptovalute, di cui il Bitcoin è la più nota, oltre che come strumento monetario, sistema alternativo di pagamento da impiegare nell’e-commerce, e investimento finanziario, possono essere largamente fruibili per una molteplicità di impieghi, diversi ed ulteriori rispetto agli attuali utilizzi concreti sopra brevemente illustrati. Da qui, secondo noi, la difficoltà di fissare la natura giuridica della criptovaluta. Il Bitcoin, essendo in realtà un protocollo di comunicazione fondato sulla crittografia [41], rappresenta  un sistema multifunzionale di scambio con tante possibilità applicative e, secondo noi, anche con natura giuridica variabile a seconda degli utilizzi e delle attività economiche compiute con il suo impiego; e di ciò dovrà tenersi conto qualora si addivenisse ad un processo normativo di disciplina del fenomeno. Alcune delle proposte applicative, per esempio, riguardano la possibilità di utilizzare la tecnologia della block chain che è alla base del Bitcoin in maniera quasi “multilivello”, per registrare cioè non solo le transazioni di criptovaluta, ma anche gli stessi contratti che rappresentano la causa giuridica dell’attribuzione patrimoniale che ne consegue, alla stregua di un c.d. smart contract, o “contratto intelligente”.

6.1. Il Bitcoin come smart contract basato sulla crittografia finanziaria.

Secondo i teorici degli smart contracts, o anche della c.d. smart property [42], con tali particolari ed innovativi strumenti giuridici si consentirebbe di eliminare dalla fenomenologia dello scambio commerciale, come l’abbiamo fino ad ora conosciuta, numerosi costi transattivi legati, ad esempio: (1) al rinvenimento di una controparte; (2) all’asimmetria informativa tra i contraenti; (3) alle spese di intermediazione; e (4) ai possibili comportamenti opportunistici di una delle parti [43]. Precursore degli smart contracts può considerarsi, senza dubbio, il distributore automatico, tant’è che quando l’utente interagisce con tale macchina l’intera transazione è disciplinata ed eseguita dalla stessa infrastruttura tecnica del distributore. Il concetto fondamentale su cui ci si basa con gli smart contracts, o “contratti intelligenti”, è che molte delle clausole negoziali necessarie ad una determinata transazione vengono direttamente integrate ed incorporate nell’hardware o software utilizzato per dare esecuzione all’accordo, ovvero che rappresenta l’oggetto stesso del contratto [44]. E tecnicamente è possibile integrare contratti in qualunque tipo di bene il cui funzionamento risulti collegato al riconoscimento crittografico del proprietario/possessore, in modo tale che il bene oggetto dello scambio negoziale sia in grado di identificare il soggetto legittimato al suo utilizzo, ovvero serva da garanzia per qualunque tipo di transazione. Per capire meglio, possiamo facilmente immaginare la compravendita di un’automobile, di uno smartphone o di qualsiasi altro bene il cui funzionamento possa essere facilmente legato al riconoscimento crittografico del proprietario. Attraverso l’utilizzo delle chiavi asimmetriche del sistema crittografico del Bitcoin, sarebbe possibile utilizzare lo stesso bene oggetto di vendita per identificare automaticamente il nuovo proprietario nel medesimo istante in cui si compie l’operazione d’acquisto e il trasferimento di criptovaluta viene annotato sulla block chain; cioè viene validato sul database (o ledger: libro mastro) liberamente accessibile senza limiti a tutti nel quale si sostanzia il nuovo sistema di registrazione contabile, universale, pubblico e decentralizzato a base del protocollo Bitcoin [45]. Un eventuale impiego di tipo finanziario della block chain potrebbe essere ancora, per esempio, l’accesso automatico a sistemi di c.d. collateralizzazione [46], utilizzabile per snellire la concessione di prestiti tra privati sganciandoli dalla previa instaurazione di un rapporto di fiducia, e, quindi, dagli oneri (tempi e rischi) della negoziazione preventiva delle condizioni al cui verificarsi un determinato trasferimento di quantità di valuta digitale diventa efficace tra le parti, facendo ricorso ad un c.d. escrow, o acconto di garanzia in Bitcoin. Per tale motivo, da più parti, si comunica ad identificare il Bitcoin, più che come valuta di Internet, come una tra le più note applicazioni di un innovativo sistema di crittografia finanziaria in grado di abbattere i costi di sviluppo, tutela e sicurezza dei legami fiduciari necessari anche nei nuovi scambi commerciali del mondo globalizzato e “connesso”, attraverso l’impiego di strumenti contrattuali “intelligenti che identificano automaticamente titolarità, legittimazione e solvibilità di un determinato soggetto, divenuto ormai troppo dispendioso conoscere direttamente o tramite altro intermediario di “fiducia”.

7. Approccio pragmatico e possibile definizione giuridica del Bitcoin: esclusione della nozione di property.

Comunque al di là dei diversi impieghi possibili, già gli attuali utilizzi come valuta digitale, sistema di pagamento o strumento finanziario fanno del Bitcoin un quid di estremamente versatile e multiforme, difficilmente classificabile; e ciò dovrebbe riflettersi su qualsiasi, eventuale tentativo politico e normativo di inquadrare unitariamente il fenomeno [47]. A parer nostro, dunque, se si dovesse andare verso un assetto giuridico delle  criptovalute, non si potrà procedere che con un approccio pragmatico volto non tanto a dare una definizione sistematica e omnicomprensiva del Bitcoin – di per sé sfuggente per ciò che complessivamente rappresenta -, quanto pittosto a regolare alcuni aspetti dei suoi innumerevoli impieghi e delle diverse attività economiche effettuabili attraverso l’impiego della tecnologia che ne è alla base. Il fatto è che il Bitcoin soddisfa, per certi versi, alcuni degli elementi che tecnicamente qualificano la nozione giuridica ed economica della moneta o del mezzo di pagamento (per ostacoli normativi esistenti nel nostro ordinamento), e presenta solo alcuni tratti caratteristici degli strumenti finanziari tradizionalmente intesi. E qualsiasi definizione che cristallizzi nel nostro sistema giuridico una determinata nozione del Bitocoin potrebbe essere inadeguata e rischiare di produrre effetti negativi sul suo eventuale sviluppo successivo, deprimendo il valore innovativo che complessivamente racchiude quale smart contract di esecuzione del protocollo di comunicazione crittografica di stampo finanziario che ne è alla base (è innegabile, per esempio, che la valorizzazione della sola natura di mezzo di scambio, ancorché di tipo complementare e privato, possa incontrare i complessi limiti normativi e regolatori posti dagli ordinamenti statali a tutela della funzione monetaria pubblica). Per tale ragione, addivenire ad un inquadramento unitario del Bitcoin – specie in assenza di un confronto sovrannazionale nel rispetto della natura globale del fenomeno – scegliendo eventualmente una traiettoria regolamentare che privilegi la sua innegabile natura finanziaria, non sarebbe esente da aspetti di criticità, per quanto sia preferibile e normativamente più agevole che nella prospettiva monetaria [48]. Giova allora ricordare che il Bitcoin, da un punto di vista “statico”, così come peraltro afferma lo stesso documento fondamentale elaborato dal suo primo sviluppatore nel 2009 [49], è una sorta di catena di firme digitali che serve da tool per gli scambi di denaro o beni/servizi tra soggetti che non si conoscono e non hanno un preesistente legame fiduciario tra loro. Ciò è possibile attraverso il semplice invio per mail o sms di una stringa alfanumerica che funge da codice crittografico in grado di essere decifrato solo dai soggetti che sono parte di quella determinata transazione: il mittente di quel codice non ha bisogno di conoscere il destinatario o di fidarsi di lui e viceversa, con tutte le ovvie conseguenze sulla facilitazione e l’automazione delle negoziazioni e degli scambi soprattutto di tipo internazionale, anche e soprattutto in ragione del risparmio di costi. Prima del Bitcoin non esisteva nulla che consentisse una cosa simile in forma digitale; ecco perché diventa difficile tratteggiare la natura giuridica del Bitcoin che prescinda e sia autonoma dai suoi diversi modi di impiego. Tuttavia, volendo focalizzarsi su una nozione “statica” del Bitcoin, avulsa cioè dalle sue diverse forme di impiego e in grado di sganciarlo dalle sue molteplici modalità di sfruttamento economico, le strade percorribili, a parere di chi scrive, potrebbero essere due:

  1. quella della configurazione generale di bene giuridico meritevole di tutela per gli interessi economici che sottende, e cioè di bene o res (materiale o immateriale) che può essere fatto oggetto di diritti, come stabilito nell’ampia nozione dell’art. 810 c.c.; oppure
  2. quella del documento informatico, cioè di  rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti, così come definito nel nostro ordinamento dal d.lgs., 7 marzo 2005, n. 82, c.d. Codice dell’Amministrazione Digitale o CAD.

  La prima proposta ricostruttiva che, in definitiva, assimila il Bitcoin ad una res immateriale non lontana dal concetto giuridico della c.d. new property, per quanto possa confortare per l’ampiezza e la coerenza “libertaria” con certe impostazioni ideologiche, non manca tuttavia, secondo noi, di manifestare alcuni aspetti di debolezza. Sul tema, sono noti, infatti, i limiti del nostro ordinamento, ancora troppo legato ad una nozione di cosa corporale e di bene materiale; e ciò, a nostro parere, rischia di non consentire una sicura e piena inclusione del Bitcoin nella sfera del diritto proprietario a causa della sua intrinseca natura, talmente immateriale da rimanere, addirittura, “diffusa” all’interno di una rete di comunicazione elettronica ad architettura distribuita [50]. Infatti, senza scendere nello specifico del dibattito che, al riguardo, ci porterebbe assai lontano [51], basti rilevare che, ad esempio, i nomi a dominio, a partire dal loro ingresso nella Rete, sono stati ricondotti negli Stati Uniti alla nozione di proprierty [52], intesa quest’ultima come bundles of right [53], ossia come insieme di facoltà e diritti eterogenei ed autonomi in grado di essere esercitati anche separatamente da soggetti diversi (tra i quali, il possesso, l’uso o l’alienazione); e che, in Italia tale elaborazione è stata assai lunga e tortuosa per la differente concezione del diritto di proprietà legata al rigido dettato dell’art. 810 c.c. ed alla nostra tradizionale visione marcatamente materiale di bene giuridico oggetto delle relative facoltà. Ciò nondimeno, il nostro ordinamento è riuscito faticosamente ad attribuire ai beni immateriali la capacità di essere riconosciuti come beni giuridici e, in taluni casi, proprio come quello dei nomi a dominio già citati, ha riconosciuto loro una apposita disciplina. Ma, in via generale, al di là cioè di specifiche discipline normative, la tutela attribuita ai beni immateriali, in quanto beni sganciati dalla corporalità, nel nostro ordinamento, si fonda per lo più sul concetto troppo labile ed affidato ad una valutazione ex post e caso per caso circa la c.d. “rilevanza giuridica” e la meritevolezza degli interessi e dei bisogni che soddisfano [54]. Dunque, per la debolezza intrinseca della forma di tutela garantita da un’assimilazione de facto del Bitcoin ad una property ai sensi dell’art. art. 810 c.c., personalmente, propendiamo per la seconda ipotesi ricostruttiva che qualifica la criptovaluta in termini di documento informatico. In tale cornice, stante le caratteristiche della tecnologia utilizzata dalla block chain, il Bitcoin potrebbe essere quindi agevolmente inquadrato alla stessa stregua di un documento informatico – ormai provvisto di un suo valore d’uso e di scambio per effetto del diffuso consenso sociale all’accettazione quale mezzo di pagamento -, recante dati ed informazioni giuridicamente rilevanti e sottoscritto da una progressione di firme elettroniche attestanti, con una sorta di “catena dei diritti”, l’avvenuta validazione della propria o dell’altrui legittimazione al perfezionamento di una certa transazione (cioè,  a seconda dei  casi, a possedere, avere, spendere, trasferire, acquistare e vendere un determinato bene o servizio, ovvero una determinata quantità di essi). Conseguentemente, il Bitcoin sarebbe idoneo a garantire, seppur su basi pseudonime, la legittimazione e l’adempimento automatico del possessore, in quanto elementi negoziali direttamente incorporati quali dati e rappresentazioni informatiche giuridicamente vincolanti ex ante, e non lasciati al solo (mutevole) giudizio ex post sulla meritevolezza degli scopi economici conseguibili con il loro utilizzo. 8. Conclusioni. Non c’è dubbio ormai che il fenomeno delle crittovalute e del Bitocoin sia un argomento di sicuro interesse sia per gli operatori di mercato che per le istituzioni politiche e di regolamento. Gli aspetti tecnologici del Bitcoin, quale nuovo paradigma e protocollo di comunicazione elettronica, sono davvero complessi e le implicazioni giuridiche, allo stato, sono ancora in buona parte imprevedibili. Ciò nondimeno, anche se il futuro del Bitcoin è ancora molto incerto, a nostro avviso, la migliore definizione giuridica di esso – qualora si dovesse pervenire all’avvio di un percorso normativo e di “normalizzazione” regolatoria del fenomeno anche in Italia – è e dovrebbe essere quella che ne consenta uno sviluppo. Per tale ragione, secondo noi, una volta preso atto del fenomeno ed inquadratolo come forma particolare del paradigma del documento informatico per lo scambio negoziale, si dovrebbe sottoporre a regolamentazione solo ed esclusivamente taluni e limitati aspetti legali delle attività economiche svolte con l’impiego del Bitocoin e delle altre criptovalute, al solo fine di fornire, in modo inedito ed innovativo, un nucleo concreto di certezza del diritto che aiuti gli operatori a far crescere in modo sano un nuovo ecosistema economico anche in Italia. Note: [*] Il presente contributo è stato preventivamente sottoposto a referaggio anonimo affidato ad un componente del Comitato di Referee secondo il Regolamento adottato da questa Rivista. [1] Cfr WIKIPEDIA, http://en.wikipedia.org/wiki/Bitcoin; S. NAKAMOTO, Bitcoin: a peer-to-peer electronic cash system, 2009, http://bitcoin.org/bitcoin.pdf ; R. GRINBERG, Bitcoin: an innovative alternative digital currency, Hastings Science & Technology Law Journal, 2011, 4, 159-208, http://hstlj.org/articles/bitcoin-an-innovative-alternative-digital-currency/2/ ; Banca Centrale Europea – BCE, Virtual currency scheme, https://www.ecb.europa.eu/pub/pdf/other/virtualcurrencyschemes201210en.pdf ,2012, D. BRYANS, Bitcoin and money laundering: mining for an effective solution, , Indiana Law Journal, 2014, vol. 89, issue 1, art. 13,  http://www.repository.law.indiana.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=11100&context=ilj ; G. ARANGÜENA – S. CAROLI (e altri), Bitcoin: l’altra faccia della moneta, Firenze, Goware Ed, 2014. [2] La moneta virtuale o digitale differisce dalla nozione di moneta elettronica, definibile come il valore monetario memorizzato elettronicamente, ivi inclusa la memorizzazione magnetica, rappresentato da un credito nei confronti dell’emittente che sia emesso per effettuare operazioni di pagamento, ex art.1, comma 1, lett. h) ter del TUB, Testo Unico Bancario emanato con il d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385 , come modificato ex d.lgs. 19 settembre 2012, n. 169 . Inoltre, secondo il documento di analisi della BCE, Virtual currency scheme, già citato alla nota n.1, è possibile dare la seguente definizione di moneta virtuale: “a virtual currency is a type of unregulated, digital money, which is issued and usually controlled by its developers, and used and accepted among the members of a specific virtual community”. [3] Cfr: T. LOWENTHAL: Bitcoin : Inside the encyrypted, peer-to-peer digital currency, Ars Technica, 2011, http://arstechnica.com/tech-policy/2011/06/bitcoin-inside-the-encrypted-peer-to-peer-currency/ . Nel caso dei Bitcoin, la c.d. pseudonimity si riferisce all’uso della stringa alfanumerica crittografica che rappresenta l’indirizzo o portafoglio di origine o di destinazione di una determinata transazione. Detto indirizzo è comunque sempre collegabile ad uno user, in qualche maniera identificabile attraverso le credenziali di registrazione per l’ottenimento di quel determinato indirizzo Bitcoin o portafoglio (per approfondire, cfr: F. REID – M. HARRIGAN, An analysis of anonimity in the Bitcoin system, in Security and Privacy in Social Network, , New York, Spinger ed., 2013).

[4] Attraverso la navigazione su www.bitlegal.net si può avere un quadro globale ed aggiornato (purtroppo non in maniera del tutto soddisfacente) dello stato della regolazione e della disciplina legale relativa al Bitcoin nei diversi ordinamenti.

[5] B. WALLACE, The rise and fall of Bitcoin , Wired Magazine, 23 Nov. 2011, http://www.wired.com/2011/11/mf_bitcoin/ , che illustra i casi di “eCash” e “bMoney”.

[6] Il software Bitcoin è open source e non proprietario. Esso è stato sviluppato e continua ad evolversi grazie ad una comunità di volontari che collaborano con il capo degli sviluppatori della moneta digitale, che attualmente è Gavin Andresen. [7] Il progetto del Bitcoin, come spiegato dal suo primo sviluppatore, Satoshi Nakamoto, nel suo scritto del 2009 , trae origine dall’architettura informatica peer-to-peer  (c.d. P2P), studiata per applicazioni che richiedono una velocità di trasmissione dei dati molto elevata consentendone la condivisione tra più utenti (nodi) della stessa rete. Il termine P2P indica un’architettura logica di rete in cui i nodi non sono organizzati gerarchicamente e unicamente come nell’architettura client-server, ma sono strutturati come nodi equivalenti e paritari. In altri termini, possono svolgere le funzioni sia di client che di server allo stesso tempo e verso gli altri nodi della rete. Nella struttura P2P, gli utenti (client) fruiscono in modo paritetico delle stesse risorse informative, condividendo gli stessi dati a velocità superiori a quelle di un sistema di tipo client-server, nel quale il computer che offre i propri servizi (server) – essendo dedicato a soddisfare le richieste di più client connessi – rischia di rallentare la velocità di trasmissione dei dati medesimi. Così per il sistema Bitcoin, il network – anziché scambiare file o telefonate (come avviene, ad esempio, su eMule o Skype) – scambia con velocità valuta digitale; e precisamente, si scambia soprattutto codici di crittografiache autorizzano le transazioni di denaro digitale. Il database che contiene le informazioni rilevanti per creare e scambiare Bitcoin è distribuito tra i nodi della rete-Bitcoin e si occupa anche della conferma delle transazioni e di impedire che si possano spendere due volte le stesse monete. Chiunque può dotarsi dello specifico software senza alcun costo, scaricandolo direttamente da Internet, in modo che ciascun client del sistema Bitcoin possa interagire e compiere transazioni direttamente con qualunque altro utente del network. Quindi si scarica il software, disponibile gratuitamente per tutti, si crea un account su uno dei tanti siti che fanno da interfaccia, si crea sul proprio computer (o sul sito stesso) un c.d. walleto portafogli elettronico in cui conservare la propria valuta digitale, e si comincia a scambiare la moneta digitale con divise tradizionali, si compiono acquisti, si fa trading. [8] P.H. FARMER Jr., Speculative tech: the Bitcoin legal quagmire & the need for legal innovation, Journal of Business & Technology Law, 2014, http://digitalcommons.law.umaryland.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=1219&context=jbtl   [9] P. MURK, Presidente della Fondazione Bitcoin, nella relazione alla Commissione sulla Sicurezza Nazionale e Affari Governativi del Senato USA, nella audizione tenutasi in data 18 Novembre 2013, già cit., scrive: “ The difficulty of the math problem increases with the amount of effort going into mining across the network. This controls the pace at which new Bitcoins are added to the system, and it reduces the chance that any one miner or group will take control of the block chain. The amount of Bitcoin created by mining will drop over time until it ceases altogether in 2140 at just fewer than 21 million bitcoins in existence. In the meantime, mining will increasingly be rewarded by transaction fees”. [10] Il Bitcoin si basa su due concetti crittografici. Il primo è il concetto di crittografia a chiave pubblica, che – applicata alle transazioni in valuta digitale – serve a spiegare come mai un determinato ”indirizzo-Bitcoin”, account o c.d. portafoglio (wallet) è nostro e non di altri. Il secondo è il concetto di hash crittograficoche serve (grazie ad un protocollo abbastanza elaborato) a spiegare come mai un possessore di Bitcoin non possa spendere due volte lo stesso cybercoin, o meglio come mai la rete che governa il Bitcoin impedisca e renda impossibile qualsiasi impropria duplicazione di soldi. [11] Negli USA, il Financial Crimes Enforcement Network (FinCEN) del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, a marzo del 2013, ha pubblicato un report sulle monete virtuali centralizzate e decentralizzate, stabilendo che il Bitcoin “operates like a currency in some environments, but does not have all the attributes of real currency. In particular, virtual currency does not have tender status in any jurisdiction” [cfr: Guidance on the Application of FinCEN’s Regulations to Persons Administering, Exchanging, or Using Virtual Currencies (FIN-2013-G001, March 18, 2013 http://fincen.gov/statutes_regs/guidance/pdf/FIN-2013-G001.pdf ).  Successivamente, per finalità esclusivamente fiscali, l’Internal Revenue Service (IRS) americana, ha stabilito il 25 marzo 2014 che la natura giuridica del Bitcoin, esclusa una sua definizione in termini di moneta, sia assimilabile a quella della “property”, cioè a quello che nel nostro ordinamento, in maniera assai generale, può definirsi con il concetto di bene ai sensi dell’art. 810 c.c.. All’esito di tali determinazioni, non è mancato qualche commento che ha intravisto una grave contraddizione tra le due autorità statunitensi (cfr:   http://www.forbes.com/sites/perianneboring/2014/02/22/bitcoin-basics-for-the-76-percenters-who-dont-have-a-clue-what-it-is/  ). Inoltre, si segnala che anche in Germania si è dato luogo ad un principio di regolamentazione da parte della Bundesanstalt Für Finanzdienstleistungsaufsich – BaFin, l’autorità federale per la supervisione del settore finanziario, sotto la vigilanza del Ministero Federale delle Finanze, che ha stabilito che il Bitcon è una unità di conto (unit of account ) rientrante tra gli strumenti finanziari quale “moneta sostitutiva” il cui impiego commerciale necessita di un’autorizzazione a norma della legge bancaria tedesca (cfr: G. ARANGÜENA, Bitcoin: alla Germania il primato della regolamentazione, 13 febbraio 2014, in Key4Biz,  http://www.key4biz.it/News/2014/02/13/Net_economy/bitcoin_germania_bafin_223018.html ). [12] Il 14.10.2013, la Skatterättsnämnden, cioè la commissione svedese competente per il c.d. Tax Ruling, dipendente dal Ministero delle Finanze, ha affrontato la problematica, con la Decisione 46 (ref. 32-12./I in http://skatterattsnamnden.se/skatterattsnamnden/forhandsbesked/2013/forhandsbesked2013/mervardesskatthandelmedbitcoins.5.46ae6b26141980f1e2d29d9.html ), concernente l’attività commerciale compiuta con le operazioni di cambio di Bitcoin da e verso la Corona svedese ( Mervärdesskatt: Handel med bitcoins), al fine di risolvere una contestazione insorta tra un soggetto e l’autorità di vigilanza finanziaria. In particolare, l’oggetto dell’interpello sottoposto all’autorità tributaria consisteva nella richiesta se l’acquisto e vendita di Bitcoin fossero operazioni soggette ad i.v.a, come ritenuto dall’autorità di vigilanza, oppure esenti da tale tassazione, in quanto non implicanti “consumo”, cioè il pagamento di una remunerazione per il servizio di scambio, come ritenuto dal contribuente. La commissione del ruling ha ritenuto, alla luce della direttiva i.v.a. n. 2006/112/CE, che tali attività fossero esenti, in quanto il bitcoin può essere assimilato al concetto di divisa – estraneo ad una valutazione del corso legale – preso in considerazione, ai fini dell’esenzione, dall’art. 135, lett. e) della predetta direttiva (cfr: S. CAPACCIOLI, Introduzione al trattamento tributario delle valute virtuali: criptovalute e bitcoin, in Diritto e Pratica Tributaria Internazionale, Padova, 2014, XI – N. 1, p. 48).

Si segnala, inoltre, che l’Agenzia Tributaria del Regno Unito (HMRC – Her Majesty Revenue & Customs ), con il Brief 09/14 del 3.3.2014 (http://www.hmrc.gov.uk/briefs/vat/brief0914.htm ), ha rilasciato un chiarimento provvisorio sul trattamento di alcune attività espletate con Bitcoin, ai soli e limitati fini del trattamento fiscale e con espressa esclusione di altri scopi regolamentari tori, nella consapevolezza della necessità di una successiva emanazione di linee guida coerenti con la “natura evolutiva” delle criptomonete.

Secondo una dichiarazione del febbraio 2014, l’Australian Taxation Office (ATO) rilasciata al Financial Review (http://www.afr.com/p/business/sunday/ato_mulls_bitcoin_rules_L3OCwRm31Mu4MdyEIzSMHK ), i contribuenti australiani, entro il 30 giugno, avranno a disposizione una guida ufficiale completa su come Bitcoin sarà tassato in tutte le sue diverse forme di impiego.

[13] Esistono diverse criptomonete attualmente in circolazione, di cui il Bitcoin è la più affermata. Ad esempio, tra le più popolari, si segnalano il PPcoin (PPC) e il Litecoin (LTC). Il PPcoin ed il Litecoin sono valute digitali sempre su basi crittografiche e peer-to-peer la cui architettura è derivata dai Bitcoin. [14] In proposito, si segnala che tra le innumerevoli organizzazioni attive nel fundrasing in criptovalua (cfr: Bitcoin 100 , Bitcoin Foundation , BitcoinFunding.com , BitGiveFoundation ), ve ne sono diverse che effettuano donazioni a diversi gruppi politici di ispirazione ultra-libertaria, tra cui figura il Libertarian Party statunitense, e il Partito Pirata (per un approfondimento, cfr:  G. ARANGÜENA – S. CAROLI (e altri), Bitcoin: l’altra faccia della moneta, già cit. alla nota n. 1). Si consideri, inoltre, che il Bitcoin, sviluppato in concomitanza con il manifestarsi della crisi del sistema finanziario internazionale tra il 2008 ed il 2009, è una criptovaluta totalmente al sganciata dal controllo statale e/o bancario, e che, pertanto, sollecita in maniera “naturale” le ideologie di tutte quelle persone, definibili come “gold bugs” o “perna bears”, interessate ai fenomeni delle monete “alternative” (concetto notevolmente differente rispetto alla nozione giuridica della moneta complementare), a causa della loro visione critica sull’abolizione del sistema c.d. Gold Standard, e della creazione della moneta c.d. Fiat; non più basata sulle riserve aurifere bensì sulla fiducia nelle autorità centrali, e sul potere degli Stati di creare inflazione emettendo nuova moneta (cfr: R. GRINBERG, Bitcoin: an innovative alternative digital currency, già cit. alla nota n. 1), e sulla sua autorevolezza nel riscuotere i tributi. [15] V. nota n 4. [16] Tra le Bitcoin industries, sebbene in maniera ancora del tutto embrionale, è stato creato un comitato per la promozione di forme di auto-regolamentazione, chiamato Digital Asset Transfer Autority – DATA, pensato per incoraggiare un dialogo con le istituzioni e per porsi come autorità di autoregolamentazione del settore dei trasferimenti elettronici di “beni digitali”. Stante l’attuale situazione di sostanziale deregulaton, le forme di auto-regolamentazione sono senza dubbio da sviluppare anche a presidio del problema reputazionale del settore, ancora immaturo, sconosciuto ai più, facilmente identificabile con attività illecite e comunque ancora quasi del tutto al di fuori da un opportuno controllo. [17] R. GRINBERG, (2011), Bitcoin: an innovative alternative digital currency, già cit. alla  n. 1, p. 168. [18] Vedi, ad esempio: J. BRITO – A. CASTILLO, Bitcoin A primer for policymakers, Mercatus Center – George Mason University, 2013, http://mercatus.org/sites/default/files/Brito_BitcoinPrimer_embargoed.pdf ; M. BRIERE – K. OOSTERLINK – A. SZAFARZ, Virtual currency, tangible return: portfolio diversification with Bitcoins, , Solvay Brussels School, Economics & management, 2013, http://www.solvay.edu/working-papers ; P. L. BURLONE – R. DE CARIA, Bitcoin e le altre criptomenete. Inquadramento giuridico e fiscale, Istituto Bruno Leoni, aprile 2014, http://www.brunoleonimedia.it/public/Focus/IBL_Focus_234-De_Caria_Burlone.pdf [19] Cfr: J. BRITO – A. CASTILO, Bitcoin A primer for policymakers, già cit.. [20] Vedi nota n 1. [21] “Bitcoin is a fiduciary currency – it has no intrinsic value and what value it has from the belif that others will accept it”, così F.R. VELDE, Bitcoin: a primer, Chicago Fed Letter – The Federal Bank of Chicago, 2013, 317,  http://www.chicagofed.org/digital_assets/publications/chicago_fed_letter/2013/cfldecember2013_317.pdf [22] A causa della pluralità di forme assunte dalla moneta nel corso della storia, gli economisti, tradizionalmente,  hanno cercato di classificarla in base alle sue tipiche funzioni, creando così la nota formula della funzione monetaria tripartita di: 1) mezzo di scambio; 2) unità di conto; e 3) riserva di valore (Per approfondimenti, inter alia: B.T. MCCALLUM, Monetary Economics: Theory and Policy, , MacMillian Publishing Company, 1989, New York). [23] Vedi il chiarimento dell’IRS 2014-21, già citata alla nota n. 11, http://www.irs.gov/uac/Newsroom/IRS-Virtual-Currency-Guidance .    [24] Negli USA il potere di coniare moneta è conferito al Congresso (con esclusione e divieto a tutti gli altri Stati della Federazione), e il potere di vigilare sulla sua stabilità è in capo alla Federal Reserve (US Cost – art I, §8, 10). In UE, l’art. 105 del TUE ha attribuito alla BCE il potere di emettere nuova moneta (ora vedi art. 127 TFUE). [25] Cfr: P.L. BURLONE – R. DE CARIA, Bitcoin e le altre criptomonete, già cit. alla nota 16. [26] Sul tema, vedi, ad esempio, J. BLANC, Exclusion et liens financiers: Monnaies sociales. Rapport 2005-2006, Paris: Economica; L. FANTACCI – M. AMATO, Monete complementari per i DES. Rapporto di ricerca sulla possibilità di utilizzare sistemi di moneta complementare per costituire e rafforzare i rapporti economici e sociali all’interno dei distretti di economia solidali, 2007, scritto reperibile qui . Ibidem, Moneta complementare, sai cos’è?, Milano-Torino, 2013. [27] Nel nostro ordinamento esiste l’art. 1277 c.c. che attribuisce potere solutorio ai soli pagamenti effettuati con moneta avente corso legale. Peraltro, proprio la presenza di tale norma nel nostro ordinamento (c.d. principio nominalistico) rende complesso il ragionamento anche per considerare l’idoneità giuridica della moneta elettronica agli effetti solutori. Per una panoramica del dibattito su tale specifico punto, si vedano: A. SERRA, Considerazioni in tema di pagamenti elettronici e moneta elettronica, in Contratto telematico e pagamenti elettronici, (a cura di) V. RICCIUTO, Padova, 2004, p. 66 ss.; B. INZITARI, La natura giuridica della moneta elettronica, in La natura giuridica della moneta elettronica: profili giuridici e problematiche applicative, (a cura di) S. SICA – P. STANZIONE – V. Z. ZENCOVICH, Milano, 2006, p. 24; G. OLIVIERI, Appunti sulla moneta elettronica, in Banca borsa e titoli di credito, 2001, I, p. 814 ss.. [28] La base fondamentale della moneta complementare non è la dimensione pubblica e legale della moneta, ma quella più propriamente contrattuale degli accordi anche di tipo associativo, a sostegno della sua emissione e accettazione come mezzo di pagamento. [29] Cfr: R. GRINBERG, Bitcoin: an innovative alternative digital currency, già cit. alla  n. 1, p. 190 e ss, sulla ricostruzione della vicenda del Liberty Dollar, stampato e distribuito a partire dal 1998  (caso United States vs Nothaus, CR 27, WDNC, May 19, 2009). [30] Cfr: R. GRINBERG, Bitcoin: an innovative alternative digital currency, già cit. alla  n. 1, p. 190 e ss, sulla ricostruzione della vicenda del Liberty Dollar, stampato e distribuito a partire dal 1998  (caso United States vs. Nothaus, CR 27, WDNC, May 19, 2009). Giusto per avere un’idea del numero e dell’eterogeneità dei tipi di moneta complementare, come indicato da un breve introduzione reperibile su Investopedia (http://www.investopedia.com/articles/economics/11/introduction-complementary-currencies.asp ), eccone di seguito alcuni degli esempi più noti: 1) Lets (Local Exchange Trading System) è un sistema di commercio locale che facilita e registra gli scambi all’interno di una comunità, attraverso l’impiego di una valuta appositamente creata, il Credito Lets; 2) Wir (Wirtschaftsring) è una valuta complementare svizzera interamente digitale, basata su un sistema di compensazione tra crediti delle imprese introdotto in Svizzera nel 1934, quando la crisi economica mondiale iniziata nel 1929 negli Stati Uniti raggiunse il suo apice nella Confederazione Elvetica; 3) Ithaca Hours: è una valuta complementare a tempo. [31] Cfr: R. GRINBERG, (2011), Bitcoin: an innovative alternative digital currency, già cit. alla  n. 1, p. 185. [32] P.L. BURLONE – R. DE CARIA, Bitcoin e le altre cripto monete, già cit, nota 16, p. 4. [33] C. KAMINSKI, Online peer-to-peer payments: Paypal primes the pump, will bank follow? 7 NC Banking Inst, 375 (2003). [34] Cfr: R. GRINBERG, (2011), Bitcoin: an innovative alternative digital currency, già cit. alla  n. 1, p. 169-170; B. ZIELKE, Why credit cards are not the future of online payment, Mashable, (2011), http://mashable.com/2011/03/02/credit-card-decline/ [35] Le transaction fees attraverso il network Bitcoin tendono ad essere al massimo pari all’1% del valore complessivo della transazione stessa (vedi Bitcoin Wiki, transation fees, https://en.bitcoin.it/wiki/Transaction_fees , ultimo aggiornamento al 28 marzo 2014). [36] Così: J. BRITO – A. CASTILLO, Bitcoin A primer for policymakers, già cit. alla nota n 16. Si legge in tale documento: “Credit cards have greatly expanded the ease of transacting, but their use comes with considerable costs to merchants. Business that wish to offer the option of credit card payment to their customers must first pay for a merchant account with each credit card company. Depending on the terms of agreement with each credit card company, businesses must then pay a variety of authorization fees, transaction fees, statement fees, interchange fees and customer-service fees, among other charges(p. 10). Inoltre, “as an inexpensive funds-transfer system, Bitcoin also hold promise for the future of low-cost remittances” (p. 13). [37] Dal punto di vista legale, l’integrazione dei diversi servizi di pagamento, a livello europeo, si fonda sul documento della Commissione dell11.1.2012, Libro Verde verso un mercato europeo integrato per la carta, internet e telefono mobile COM 2011-941, http://www.europarl.europa.eu/meetdocs/2009_2014/documents/com/com_com(2011)0941_/com_com(2011)0941_it.pdf Con tale documento, la Commissione prende atto esplicitamente delle criticità dal punto di vista concorrenziale e di accesso al mercato dei pagamenti elettronici di soggetti non-bancari. Successivamente, la Commissione ha presentato nel luglio del 2013 un pacchetto legislativo complesso per la revisione della direttiva 2007/64/CE (c.d. PSD). [38] A. R. JOHNSON, Money transfer in Bitcoins? Western Union, Moneygram weigh the option, Wall Street Journal, 2013, http://online.wsj.com/news/articles/SB10001424127887324493704578431000719258048 [39] Cfr: Case 4:13-cv-00416-RC-ALM, Doc. 23 Filed 08/06/13, reperibile in http://www.scribd.com/doc/158693058/Texas-Bitcoin-Decision-Re-SEC. [40] La questione da stabilire era se il fondo gestito dal Sig. Shavers producesse “titoli finanziari come definiti dalle leggi federali in materia”, o meno. Il giudice statunitense, a questo proposito, ha affermato che “è chiaro che il Bitcoin può essere usato come una moneta. Può essere usato per comprare beni e servizi e, come lo stesso Shavers ha affermato, oltre che usato per pagare spese vive individuali”. In più “può essere scambiato per valuta tradizionale, come Dollari, Euro, Yen e Yuan. Quindi, il Bitcoin è una valuta o una forma di moneta, e un investitore che desidera investire in BTCST realizza un investimento in denaro” anche se sono stati utilizzati Bitcoin. [41] P. MURK, Presidente della Fondazione Bitcoin, nella relazione alla Commissione sulla Sicurezza Nazionale e Affari Governativi del Senato USA, nella audizione tenutasi in data 18 Novembre 2013, già cit alla nota n. 8, scrive: “Administering a payment or money system is not the only use of a universal public ledger. The Bitcoin protocol may expand over time to facilitate many advanced services such as deposits, escrows, and potentially even distributed stock trading. And the Bitcoin protocol may find many uses beyond payments and money, including proving the existence of documents, establishing and verifying human identities, Internet naming and numbering, and many more. Bitcoin is a protocol. It is like TCP/IP, which enables all the different uses people around the globe invented for the Internet. And it is like HTML, which enables all the different uses people invented for the World Wide Web without having to ask anyone’s permission. We envision Bitcoin as a driver of global change that rivals these other protocols in terms of the benefits it delivers to humankind across the globe”.

[42] Vedi: Bitcoin Wiki, Smart Property, https://en.bitcoin.it/wiki/Smart_Property , aggiornamento al 3 febbraio 2014.

Il primo teorico dei c.d smart contracts è stato Nick SZABO sin dagli anni ’90, http://szabo.best.vwh.net/smart.contracts.html . Con tale definizione, l’A. si riferisce ai c.d. contratti “intelligenti”, in quanto incorporati direttamente nei software o nell’hardware necessari al funzionamento di talune applicazioni, al fine di consentire una loro esecuzione automatizzata e correlata alla stessa tecnologia impiegata, abbattendo i rischi legali della transazione e costi di sicurezza e fiducia nelle capacità di adempimento del contraente. In tale prospettiva, lo strumento dei contratti intelligenti consente di automatizzare, rendendole più efficienti, tanto le fasi precedenti la formazione dell’accordo (costruzione di fiducia reciproca e trattative) a base di una transazione di qualunque tipo, e il procedimento di formalizzazione dell’accordo stesso, quanto infine le fasi di esecuzione o di garanzia di adempimento degli impegni presi.

Un esempio di smart contract può essere rintracciato all’interno delle c.d. DRM, Digital rights managment, cioè nei sistemi di protezione elettronica incorporati in alcuni dispositivi di lettura di file recanti opere di ingegno e contenuti soggetti alle limitazioni del diritto d’autore, a protezione dei titolari dei diritti (cfr N. SZABO, Formalizing and Securing Relationships on Public NetworksFirst Monday, 1997, in http://firstmonday.org/ojs/index.php/fm/article/view/548/469 ). Oltre ai DRM, nella realtà attuale esistono ulteriori strumenti automatizzati che vengono utilizzati per eliminare molti dei costi transattivi, ad esempio: i bracci meccanici all’uscita dai parcheggi o ai caselli autostradali, la disconnessione automatica dalla fornitura di servizi offerti dalle industrie a rete, i tassametri montati sui taxi, ecc.. Inoltre, in taluni servizi online, vengono già utilizzate alcune tecniche per dissuadere indirettamente le parti dal mancato rispetto degli impegni assunti, prevalentemente sulla base di meccanismi di discredito c.d. reputazionale (vedi, ad esempio, le recensioni su eBay o Tripadvisor), che, tuttavia, non rimangono del tutto esenti da critiche per l’abuso che, in taluni casi, può esserne fatto. [43] Secondo N. SZABO, op. ult. cit., infatti , la base dell’economia è costituita dalle transazioni commerciali e, al riguardo, l’evoluzione storica ha comportato progressive rivoluzioni nei costi degli affari, che, progressivamente, con l’innovazione, sono diminuiti a partire dal trasporto fino alla produzione di beni e servizi e, ora, alla comunicazione. Ciò nondimeno, esistono ancora notevoli barriere al pieno dispiegarsi delle attività commerciali internazionali, soprattutto con riferimento alle questioni giuridiche, alla sicurezza dei rapporti ed alla fiducia; e ancora notevoli e troppo elevati sono i costi di sviluppo, mantenimento e protezione dei rapporti commerciali su scala globale. La ragione di ciò, scrive questo A. (qui tradotto), si rinviene nel fatto che, nonostante il recente aumento delle reti informatiche globali, le istituzioni e le strutture economiche ancora “danno per scontato che viviamo in un mondo di cartaNoi formalizziamo i nostri rapporti con contratti scritti, leggi scritte e forme studiate per un sistema fondato sulla carta. I nostri atteggiamenti e le leggi in materia di proprietà intellettuale e privacy, ad esempio, hanno assunto l’essenza del mondo di carta, costoso da mantenere e riprodurre. Ma, ormai sempre più spesso, non possiamo più dare per scontate ed immutabili queste forme profondamente radicate, ed evolute secondo un protocollo di comunicazione cartacea. Stiamo entrando in un periodo in cui la civiltà deve tornare ad adattarsi fortemente anche dal punto di vista economico ad un nuovo media di supporto della comunicazione”. [44] I contratti “intelligenti” sono self-enforceable: il codice di programmazione definisce preventivamente e pubblicamente tanto le condizioni contrattuali quanto le procedure necessarie per finalizzare una transazione in esecuzione del contratto medesimo. Una volta prestato il consenso non è più possibile rinegoziare o scegliere di non dare esecuzione al contratto, a meno di non modificare il codice di programmazione i contratti tradizionali sono giuridicamente vincolanti, gli SC sono tecnologicamente vincolanti. In tale prospettiva, mentre i contratti tradizionali appaiono giuridicamente vincolanti tra le parti, gli smart contract sono tecnicamente vincolanti, assumono cioè forza tra le parti in ragione di determinate caratteristiche tecnologiche predeterminate (per un approfondimento, cfr: T. SWANSON, Great Chain of Numbers, a gude to smart contracts, smart property and trustless asset management, 2013, disponibile su http://www.scribd.com/doc/210537698/Great-Chain-of-Numbers-a-Guide-to-Smart-Contracts-Smart-Property-and-Trustless-Asset-Management-Tim-Swanson

[45] Cfr: J. KIRK, Could the Bitcoin network be used a san ultrasecure notary service? 2013, http://news.techworld.com/security/3449015/could-the-bitcoin-network-be-used-as-an-ultrasecure-notary-service/ .

[46] Nel Glossario della Borsa Italiana, la collateralizzazione, è la costituzione di un collateral, cioè l’operazione contrattuale che effettua un soggetto obbligato ad eseguire una certa prestazione al fine di garantirla. L’operazione contrattuale consiste nel sottoporre a vincolo uno specifico bene o asset (collateral) che può essere venduto in danno del debitore se questi non esegue la propria obbligazione. [47] Così P.H. FARMER Jr., Speculative tech: the Bitcoin legal quagmire & the need for legal innovation, già cit. nota n. 8, p. 104. [48] A tale scopo, quanto alla nozione di strumento finanziario, potrebbe tenersi conto che la nostra esperienza giuridica già conosce il concetto di c.d. dematerializzazione dei titoli (seppur nell’ambito di una visione centralizzata della relativa gestione). Infatti, gli artt. 83 bis e ss. del T.U.F., di cui al d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, prevedono che: i titoli di stato e gli strumenti finanziari negoziati o destinati alla negoziazione sui mercati regolamentati, nonché gli ulteriori strumenti finanziari individuati dalla CONSOB, non possono essere rappresentati da titoli. In questi casi, non circola alcun documento rappresentativo degli strumenti in questione (contratti), ma esistono unicamente delle risultanze dei conti nei quali sono registrati. Ed esiste poi la possibilità anche di optare per la dematerializzazione facoltativa, prevista dal 3° co. dell’art. 83 bis T.U.F. In tutte tali ipotesi, per consentire allo strumento dematerializzato di circolare tanto l’emittente dello strumento finanziario, quanto ciascun intermediario, devono aprire un conto presso la società di gestione accentrata; sicché, in virtù della registrazione nel conto acceso, al titolare di esso viene riconosciuta la legittimazione piena ed esclusiva all’esercizio dei diritti relativi agli strumenti finanziari (art. 83 quinquies T.U.F.), cui ci si riferisce. Secondo tale prospettiva, quindi, gli strumenti finanziari hanno consistenza meramente scritturale e le risultanze e l’intestazione del conto aperto presso l’intermediario consentono di riprodurre quel grado di certezza sulla posizione di esclusività che nei titoli di credito è assicurata dal possesso del documento (cfr: C. Angelici e G.B. Ferri, Manuale di diritto commerciale, XIII ed., Milano, 2010, p. 897), e nei beni mobili (non registrati) è dato dal possesso materiale di esso. [49] S. NAKAMOTO, Bitcoin: a peer-to-peer electronic cash system, 2009, http://bitcoin.org/bitcoin.pdf , già cit. alla nota n. 1. [50] Il concetto di nuovi beni o c.d. New Properties e la loro prima elencazione originano da un celebre saggio di C. REICH, “The New Property”, pubblicato in The Yale Law Journal, nell’aprile 1964 (Vol. 73, No. 5, pp. 733-787). Alla base della proposta dell’A., vi è la constatazione che un numero crescente di individui fonda il proprio benessere su sussidi, sgravi fiscali, incentivi, contratti pubblici, licenze di commercio, abilitazioni all’esercizio di professioni, autorizzazioni all’utilizzo di risorse pubbliche; e che tali elargizioni (largess) sono diretta emanazione dello Stato, in relazione alle quali non vi è una effettività di garanzie giuridiche a tutela dei soggetti privati a cui tali utilità vengono attribuite. All’esito di queste considerazioni, la proposta è quella di riconoscere a tali utilità lo status di new properties, di nuove proprietà, o, forse più correttamente da un punto di vista definitorio, di nuovi beni dotati di valore economico sebbene non tangibili. A partire da tali importanti riflessioni, il dibattito sul sistema proprietario dei beni intangibili si è acceso anche in Italia. Ma le teorie sulla proprietà, soprattutto negli ordinamenti di civil law, e nel nostro in particolare, legato alla rigida nozione di bene fissata dall’art. 810 del c.c., sono per lo più improntate sulla nozione di cosa corporale e di bene materiale e mal si adattano a ricomprendere, all’interno del diritto proprietario, le posizioni soggettive di natura economica dotate di un diritto di esclusiva, per cui, oltre le cose corporali, sono considerate beni giuridici tutte le utilità o i valori che trovano un mercato. (Per approfondire, cfr: S. RODOTÀ, Il terribile diritto, Bologna, 1990; G. PUGLIESE, Dalle res incorporales del diritto romano ai beni immateriali di alcuni sistemi giuridici odierni, in Riv. Trim., 1982, 1137 e ss.; V. Z. ZENCOVICH, voce “Cosa”, in Dig. IV, disc. priv., sez. civ., III, 1988, 438 e ss.). [51] Cfr G. PUGLIESE, Dalle res incorporales del diritto romano ai beni immateriali di alcuni sistemi giuridici odierni, op. cit., 1137. Secondo tale A., la nozione di property così come la conosciamo oggi troverebbe il suo fondamento nella secunda divisio rerum – formulata nelle Institutiones di Gaio – tra res corporales e incorporales. Nel sistema di common law, a tale bipartizione ha fatto seguito l’aggiunta delle actiones che determineranno la scomposizione nelle due categorie della property venutesi a creare: la Real e la Personal Property. La prima per lo più riferita agli immobili e tutelata con l’actio in rem, e la seconda riferibile più in generale ai beni mobili, tutelata attraverso l’actio in personam, tendente alla condanna di un soggetto specifico al pagamento di una somma di denaro, a titolo di risarcimento. Questa seconda categoria ha avuto ulteriori evoluzioni e vi sono successivamente confluiti tutti i beni incorporali, definiti successivamente come “choses” o “things in action”, essendo beni la cui “visibilità” consisteva nell’azione giudiziaria con cui il titolare poteva ottenere la condanna di chi ne avesse impedito o ostacolato il godimento. Più tardi, sempre nella categoria delle choses in action vennero poi ricompresi i copyrights (diritti d’autore) e patents (brevetti), e infine il goodwill of a business (l’avviamento dell’azienda). [52] Cfr: G. ARANGÜENA, Nome a dominio e tutela del marchio verso la social property: il cybergrabbing come slealtà commerciale e il nuovo enforcement del diritto della concorrenza e dei consumatori, Rivista dell’Informazione e dell’Informatica, Milano, 6, 2013, 837 e ss. [53] La teorizzazione del concetto di property come “bundle of rights” origina da un celebre saggio di A.M. HONORE’, Ownership, in A.G. Guest (ed.), Oxford Essays in Jurisprudence, Oxford Clarendon Press, 1961. [54] Una prima definizione di beni immateriali si deve a P. GREGO che li ha qualificati come quei beni che, all’interno di un sistema economico basato sulla produzione, sono a tutti gli effetti strumenti del processo produttivo e, dal punto di vista naturalistico, sono privi del tratto della corporeità (cfr: l’A., Beni immateriali, in Noviss. Dig. It., Torino 1958, 356 e ss.), ed appartengono alla categoria delle utilità immateriali che, secondo l’A., ricomprenderebbe tutte le “entità prive di consistenza fisica, e tuttavia apprezzate dall’uomo per la loro idoneità a soddisfare bisogni ed esigenze della sua vita individuale e sociale”. Scarica il contributo [pdf] Scarica il quaderno Anno IV – Numero 1 – Gennaio/Marzo 2014 [pdf] 

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