di Giusella Finocchiaro e Laura Greco Sommario: 1. Premessa 2. Gli ostacoli; 2.1.…
Etica, economia, universitas. Lo sviluppo economico e il ruolo della ricerca nella Caritas in Veritate
di Francesca Romana Lenzi Abstract: Il 29 giugno 2009 papa Benedetto XVI presenta al mondo la lettera enciclica Caritas in Veritate Essa si colloca sulla scia della tradizione delle lettere papali dal forte contenuto sociale, economico e dal profondo significato storico, quali l’enciclica di Leone XIII, pubblicata il 15 maggio del 1891 alle soglie della prima, fondamentale fase di internazionalizzazione degli scambi mondiali, e la Populorum progressio di Pio XI, che nel 1967 focalizzò l’attenzione sul fenomeno del sottosviluppo conseguente alla fine della colonizzazione, all’ indomani della seconda guerra mondiale. L’enciclica di papa Benedetto si pone come risposta alla crisi del 2008, recuperando la prospettiva critica del mercato come superamento dei sistemi economici dominanti, che fu espressa già nel 1991, dalla Centesimus annus di Giovanni Paolo II, di cui Ratzinger fu consigliere, dopo la caduta del muro di Berlino e la fine del confronto tra quegli stessi sistemi ideologici ed economici globali. La dottrina sociale della Chiesa – specie nelle sue recenti evoluzioni – costituisce un fattore connotante e di innegabile influenza nell’evoluzione delle politiche economiche e sociali dei Paesi a matrice cattolica. Il paper si propone di analizzare alcune debolezze del sistema Italia alla luce degli assunti riportati dalla lettera enciclica e offrire alcuni spunti di riflessione sul ruolo dell’accademia come risorsa per superare tali empasse. On 29 June 2009 Pope Benedict XVI presents to the world the encyclical letter “Caritas in Veritate”. It belongs to the tradition of papal letters with strong social, economic and deep historical significance, such as the encyclical of Leo XIII, published on 15 May 1891 at the turn of the first, crucial step of internationalization of the world market, and the Populorum Progressio of Pius XI, who in 1967 focused the attention on the underdevelopment phenomenon as the result of the end of the colonization, immediately after the second world war. The encyclical of Pope Benedict is a response to the crisis of 2008, proposing a critical methodological vision of the market seen as the overcoming of the economic systems – capitalism and socialism – that was expressed earlier in 1991 with the Centesimus Annus of John Paul II, who had Ratzinger as counsellor, after the fall of the Berlin Wall and the end of the confrontation between two global economic and political systems. The social doctrine of the Church – especially in its recent developments – represents a connoting and definitely influential factor in the evolution of the economic and social policies of the Catholic countries. The paper aims to focus on some weaknesses of the Italian system in the light of the assumptions given by the encyclical letter and to offer some ideas on the role of the academy as a resource to overcome such impasse. Sommario: 1. Caritas in Veritate e lo sviluppo umano nell’era della globalizzazione. – 2. Verita’ nel mercato, etica nell’economia e nella finanza. 3. L’Italia ed il suo modello economico sociale 1. La Caritas in Veritate e lo sviluppo umano nell’era della globalizzazione L’enciclica di papa Benedetto XVI nasce dall’esplicita esigenza di rispondere alla crisi del 2008 e, più in generale, alla deriva dei sistemi economici e sociali globali, in una prospettiva di metodo rivoluzionaria e indispensabile. La Caritas in veritate costituisce un momento di riflessione nei confronti delle criticità del nostro tempo: il documento si caratterizza per una profonda concretezza, poiché propone con decisione il ripensamento del modello capitalistico e del ruolo svolto dalla finanza, rispetto all’economia reale. La lettera papale afferma che la globalizzazione dei mercati, sebbene abbia favorito la crescita dei Paesi emergenti, anche attraverso una migliore allocazione delle risorse finanziarie a livello internazionale, ha reso evidente la fragilità e l’instabilità dei traguardi ottenuti. Le aspettative riposte nel fatto che la liberalizzazione degli scambi di merci e di capitali avrebbe automaticamente generato un aumento del benessere globale, in una sorta di gioco a somma zero, sono state, in buona parte, smentite. In altre parole, il mondo è cresciuto, ma senza tendere all’ottimo paretiano [1]. Come emerge dalle cartine della Banca Mondiale, tra il 1960 e il 2005 si osserva un aumento del numero dei Paesi con un reddito procapite minimo, sotto la soglia di povertà (il cosiddetto quarto mondo), a fronte di una crescita dello stesso fattore nei Paesi più ricchi. L’aumento del reddito mondiale in termini assoluti, non ha quindi prodotto una redistribuzione, secondo criteri di equità. Il recupero dell’importanza della dimensione etica, oggi fortemente invocata da numerosi ambienti, anche culturalmente e politicamente distanti tra di loro, offre l’opportunità di riflettere sugli effetti prodotti da un certo tipo di capitalismo di ventura, ma anche sulla qualità della governance dei mercati. In tale prospettiva la crisi deve assumere un valore “provvidenziale”, «occasione di discernimento e di nuova progettualità»[2] poiché obbliga a riprogettare il nostro cammino, a elaborare nuove regole e a trovare forme di impegno più efficaci. Come sostenuto dall’allora ministro dell’economia, Giulio Tremonti, e dal segretario generale dell’OCSE, Angel Gurrìa, nell’ambito della Riunione annuale del Consiglio dell’OCSE a livello ministeriale[3], il fallimento del sistema di controllo del mercato acquisisce una grande rilevanza. Regole mal definite e non rigorosamente applicate hanno condotto alla condizione di crisi: mentre le imprese e il settore finanziario sono state globalizzate, le leggi sono rimaste locali. Per tali ragioni ci si è cominciati ad interrogare su quali siano le metodologie e i criteri per riformare l’intero sistema. Il premio nobel Joseph Stiglitz ha definito indispensabile abbandonare i tentativi di revisione dei sistemi che si sono rivelati fallimentari, mentre si rende opportuno pensare da zero un nuovo paradigma[4] Alcuni cambiamenti osservati negli ultimi decenni, – tra cui l’apparizione di nuovi prodotti e attori non regolamentati (i derivati), situazioni di presa di rischio eccessiva determinata dalla tendenza a obiettivi di breve termine (speculazione) e la creazione di strutture tali da facilitare le attività illecite (paradisi fiscali e società off-shore) – si sono sviluppati al di fuori delle strutture tradizionali legislative e di governance. Tali cambiamenti istituzionali testimoniano una visione personalistica, che non rispetta meccanismi di solidarietà, né promuove un individualismo entro le regole, che, correttamente gestito nel rispetto degli altri, potrebbe agevolare lo sviluppo economico. In tal senso, la dottrina sociale della Chiesa e le sue recenti evoluzioni possono rappresentare una chiave di lettura utile e condivisibile anche da ambienti strettamente laici, poiché segnalano con determinazione l’esigenza di una dimensione umana e sociale del mercato, perseguibile garantendo la diffusione del benessere, l’efficienza organizzativa e tecnologica e la sostenibilità nell’utilizzo delle risorse ambientali e produttive. Come emerge dall’enciclica papale, lo sviluppo ha bisogno della verità. Senza di essa, afferma il Pontefice, «l’agire sociale cade in balia di privati interessi e di logiche di potere, con effetti disgregatori sulla società»[5]. Papa Benedetto XVI riprende un concetto espresso già da Paolo VI nell’enciclica Popolorum progressio: «le cause del sottosviluppo non sono primariamente di ordine materiale»[6]. Ciò nonostante, il Pontefice mette in luce che vi sono urgenze nuove, proprie del nostro tempo: «Le forze tecniche in campo, le interrelazioni planetarie, gli effetti deleteri sull’economia reale di un’attività finanziaria mal utilizzata e per lo più speculativa, gli imponenti flussi migratori, spesso solo provocati e non poi adeguatamente gestiti, lo sfruttamento sregolato delle risorse della terra, ci inducono oggi a riflettere sulle misure necessarie per dare soluzione a problemi non solo nuovi rispetto a quelli affrontati dal Papa Paolo VI, ma anche, e soprattutto, di impatto decisivo per il bene presente e futuro dell’umanità.»[7]. Queste considerazioni rendono possibile una riflessione molto seria sui fallimenti del mercato e generano la forte esigenza di un nuovo modo di pensare e di agire. Le distorsioni che hanno portato alla crisi attuale devono essere rimosse, non per spirito di bontà, bensì per la consapevolezza che una visione più umana e condivisa consenta di raggiungere performance migliori nel lungo periodo, come anche nel breve. La dottrina sociale della Chiesa fornisce una risposta alle questioni sollevate dal mondo scientifico e della ricerca, attraverso l’elaborazione di un proprio modello di sviluppo che, ponendo al centro l’uomo in un contesto di crescita economica, rende possibile la convergenza di posizioni culturalmente differenti. Non a caso, nella Caritas in Veritate, si affronta la tematica dello “sviluppo umano integrale”: si ripropone il concetto di benessere (well-being) che richiama la differenza tra crescita economica e sviluppo economico. 2. Verità nel mercato, etica nell’economia e nella finanza L’importanza della verità espressa nell’Enciclica si traduce, nel mercato, in due dimensioni: una oggettiva, rivolta all’abbattimento delle asimmetrie informative e all’esigenza di trasparenza e d’informazioni complete e reali; ma anche una dimensione soggettiva, che consiste nei comportamenti corretti dei singoli attori economici. Se queste componenti fossero rispettate, allora il mercato risulterebbe efficiente, consentirebbe di operare a costo medio minimo, ovvero di raggiungere il livello ottimale nell’allocazione delle risorse. Per raggiungere tale obiettivo, secondo l’enciclica di Benedetto XVI, occorre ripensare lo scopo dell’impresa. Se quest’ultima producesse al costo medio minimo, e quindi operasse in un mercato concorrenziale, riuscirebbe a garantire la coincidenza dell’obiettivo economico con quello sociale. Oggi però, la realtà dei mercati è ben diversa, poiché le regole non sono rispettate dagli operatori economici, che, in molti casi, non sono perfettamente informati. L’esigenza di un approccio etico per la regolamentazione dei mercati, la gestione delle imprese, le scelte d’investimento (anche internazionali) è quindi funzionale al perseguimento dell’efficiente allocazione delle risorse (che è la motivazione della concorrenza) e, in tale prospettiva, esso deve essere considerato una “necessità economica”. L’etica in economia vuol dire prima di tutto il rispetto di regole certe e condivise. Tale asserzione implica il rifiuto da parte degli operatori di comportamenti distorsivi e l’assenza di asimmetrie informative. Ciò nondimeno esiste anche la possibilità di ampliare il concetto, predisponendo strumenti che finanzino iniziative nelle quali prevalga una motivazione sociale e promuovendo azioni economiche rispettose della generazione presente, in un’ottica di sussidiarietà, e di quelle future, rispondendo al criterio della sostenibilità. Il ripristino o la creazione di regole tendenti alla realizzazione del mercato concorrenziale perfetto, unitamente al riconoscimento del valore dell’azione umana etica permetterebbe di conseguire un’evoluzione dell’economia sostenibile, a misura d’uomo, qual è lo sviluppo umano integrato sollecitato dalla lettera enciclica. Tale questione è al centro dell’attuale dibattito riguardante la necessità di trovare criteri di misurazione che vadano oltre il Pil per assicurare una rappresentazione sociale e di progresso civile (Oecd, 2008). In tale contesto, la finanza etica assume il ruolo di motore della creazione di valore rispetto all’economia reale. L’esigenza di finanziare “comportamenti virtuosi” (sussidiari e sostenibili) può essere colta nella crescita dei fondi etici registrata in molti Paesi. La finanza etica rappresenta un fenomeno relativamente nuovo, tuttavia il suo progredire è un segnale della sempre maggiore attenzione rivolta a temi etici da parte di privati ed istituzioni. L’analisi dell’andamento del numero dei fondi etici in Europa dimostra un’elevata variabilità tra i Paesi. Dal grafico emerge che l’Italia, insieme alla Spagna, non si caratterizza per una consistente diffusione di questo genere di fondi. Nello specifico il nostro Paese ha visto diminuire il numero di tali fondi tra il 2007 e il giugno 2009. In Francia, Belgio, Inghilterra, invece, il numero è ben maggiore e in aumento. Lo stesso accade per la “patrimonializzazione” dei fondi etici (assets). I dati che emergono dai grafici sono tuttavia, solo parzialmente coerenti con quanto descritto in relazione al numero dei fondi etici[8]. Sono opportune, a tal riguardo, alcune considerazioni. La classifica dei Paesi per numero di fondi etici è differente dalla classifica per assets, poiché il volume di fondi etici non coincide necessariamente con la loro patrimonializzazione (si può avere un unico fondo “spesso”, o tanti, non necessariamente consistenti). Questo però non si verifica per la Spagna e per l’Italia che infatti possiedono un numero esiguo di fondi etici e una scarsa patrimonializzazione. In secondo luogo, per quanto riguarda alcuni Paesi come Inghilterra, Svezia e Svizzera, si nota che l’evoluzione del tempo del numero dei fondi non necessariamente è connessa all’evoluzione della patrimonializzazione. 3. L’Italia ed il suo modello economico sociale Nonostante uno sviluppo contenuto in termini di finanza etica, il modello economico italiano a livello territoriale è contrassegnato da una forte caratterizzazione sociale. In Italia, storicamente, la dimensione territoriale della produzione permette di gestire, laddove non si possano risolvere, situazioni di crisi e squilibri temporanei, proprio attraverso una solidarietà concreta. Il distretto industriale assume un ruolo chiave, laddove è inteso come comunità di persone che partecipano con un’identificazione culturale al processo produttivo (per Becattini sono, infatti, “economie sociali di mercato”), oltre che come concentrazione territoriale di imprese specializzate in una produzione[9]. Per ottimizzare tali potenzialità, si rende necessario riuscire a conservare un’intrinseca socialità del distretto industriale trasformandolo in un cluster produttivo ad elevata eticità. Nel distretto industriale descritto da Becattini, l’eticità è garantita da un riconoscimento culturale della comunità che è parte dell’aggregato distrettuale. Esso è una concentrazione d’imprese e singoli attori che mantengono una propria distinta cultura e identità. Il cluster, invece, aggiunge a tale aspetto il coinvolgimento degli stakeholder locali, conferendo ad essi una propria dimensione d’etica pubblica, così come avviene già nel modello inglese o di molte altre realtà europee (Antolini, Boccella, 2006). E’ plausibile riflettere sull’utilità di coinvolgere uno stakeholder locale di primaria importanza e ad alto potenziale etico, quale è l’università. L’istituzione accademica può svolgere un ruolo importantissimo, sia formando le nuove generazioni, sia come attore etico, generando spin off, nuove imprese. Nell’istituzione accademica vi sono, infatti, il potenziale e gli strumenti idonei per creare incubatori d’impresa, capaci di stimolare la creatività e la progettualità di iniziative economiche sostenibili volte allo sviluppo. Con il mondo imprenditoriale, l’accademia può attivare un dialogo a vari livelli, a partire dal mercato del lavoro, fino a costruire sinergie tra mondo della ricerca e dell’impresa nel contesto delle reti d’innovazione. Il ruolo istituzionale dell’università potrebbe dirsi compiuto in una prospettiva etica, se essa riuscisse infine a promuovere la mobilità sociale, fornendo nuove opportunità agli individui.
Effects of individual background and school socio-economic environment on students’ secondary achievement
Come emerge dal grafico, in Italia, l’istruzione sembrerebbe rappresentare uno dei principali strumenti di trasmissione delle conoscenze intergenerazionali. Dalle due colonne in comparazione si evince altresì, che la dimensione del “social environment”, ossia il piano istituzionale scolastico italiano, produca maggiori effetti per la crescita delle conoscenze intergenerazionali di quanto non faccia la componente individuale, ovvero familiare. La rilevazione statistica dell’OECD suggerisce che il contesto sociale di provenienza incide molto meno della formazione delle nuove generazioni. Tale dato è persistente in molti Paesi, anche sviluppati. Una simile analisi rafforza la convinzione che continuare ad investire nella formazione sia, in assoluto e per l’Italia nello specifico, un fattore chiave di crescita e di mobilità sociale. Essa si traduce nel bacino primario di opportunità per le nuove generazioni, in grado di realizzare le loro potenzialità ed aspirazioni. In aggiunta, se all’università venisse riconosciuto tale ruolo di attore etico, sarebbe opportuno identificare alcuni criteri di standard etici a cui essa dovrebbe corrispondere. Tra essi si è ritenuto opportuno individuare i seguenti: l’internazionalizzazione dell’università, ovvero la possibilità di favorire lo studio all’estero dei propri studenti; l’università come incubatore di impresa, analizzando il numero di spin-off aziendali che si vengono a formare all’interno delle Università, perché in questo modo ciascun ateneo propone un proprio modello di produzione; l’interazione con il territorio: esso può essere misurato valutando l’impegno degli atenei nell’attrarre capitali privati per la realizzazione di progetti economici o sociali; l’università come ambiente sociale, misurato sulla base della soddisfazione degli studenti in ordine alla formazione ricevuta e più in generale sul funzionamento dei servizi dell’ateneo. Subordinando la disponibilità di finanziamento pubblico delle università, alla promozione e realizzazione di attività che rispondano a tali criteri, si incentiverebbe il comportamento virtuoso di tale stakeholder istituzionale, secondo la visione che è propria del messaggio divulgato dall’enciclica Caritas in Veritate. Note [*] Il presente contributo è stato preventivamente sottoposto a referaggio anonimo affidato ad un componente del Comitato di Referee secondo il Regolamento adottato da questa Rivista. [1] La condizione dell’efficienza allocativa, ovvero l’ottimo paretiano, prevede che non si possa migliorare lo status di un soggetto senza peggiorare quello di un altro. Il Nobel per l’economia Amartya Sen, sulla base del paradosso di Arrow, dimostra l’incompatibilità tra l’efficienza paretiana e il liberismo. Il paradosso liberale descritto da Sen si verifica poiché la libertà implica che siano le preferenze del singolo individuo a determinare la scelta, dunque in regime di liberismo non verrà rispettata la condizione dell’ottimo di Pareto. [2]Benedetto XVI, lett. enc. Caritas in Veritate, cap.II, 21. [3]OECD Forum 2010, Road to to recovery: innovation, jobs, clean growth, Parigi, 26-27 maggio 2010. [4]«È arduo cambiare paradigma perché ci sono stati troppi investimenti nei modelli sbagliati. Com’è accaduto con i tentativi tolemaici di conservare una visione geocentrica dell’universo, verranno fatti sforzi eroici per complicare e affinare quello attuale. Forse ne risulteranno modelli migliori e forse serviranno per politiche migliori, ma è molto probabile che falliranno di nuovo. Ci vuole niente di meno di un nuovo paradigma e credo che sia a portata di mano.» Joseph Stiglitz, IlSole24ore, 21 agosto 2010. [5]Benedetto XVI, lett. enc. Caritas in Veritate, Introduzione, 5. [6]Benedetto XVI, lett. enc. Caritas in Veritate, cap.I, 19, da Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 20: l.c., 267. [7]Benedetto XVI, lett. enc. Caritas in Veritate, cap.II, 21. [8]Si coglie l’occasione per ringraziare il Dott.Pezzolato per aver fornito i dati; si veda al riguardo http://customer.morningstareurope.com/it/avanzi/fundselect/ [9]Becattini, G., Mercato e forze locali. Il distretto industriale, Il Mulino, Bologna, 1987 Bibliografia Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, Libreria Editrice Vaticana, 1967 G., Becattini, Mercato e forze locali. Il distretto industriale, Il Mulino, 1987 A., Sen, On Ethics and Economics, Basil Blackwell, 1987 G., Becattini, E., Rullani, “Sistema locale e mercato globale” in Prospettive degli studi di politica industriale in Italia, G., Becattini, S., Vaccà, (a cura di), FrancoAngeli, 1994 A., Sen, La libertà individuale come impegno sociale, Laterza, Bari 1997 Regni M., Modelli di capitalismo, Le risposte europee alla sfida della globalizzazione, Laterza, 1999. F. Antolini, Il modello di rilevazione utilizzato per il censimento degli enti non- profit : le modifiche apportate e quelle ancora possibili, Istituto di Statistica e matematica, Università degli Studi di Napoli “Parthenope”, Napoli 2002 R., Gilpin, The challenge of global capitalism: the world economy in the 21. century, Princeton University Press, 2002 A., Quadrio Curzio, M., Fortis, Complessità e distretti industriali. Dinamiche, modelli, casi reali, Il Mulino, 2002 G., Becattini, Per un capitalismo dal volto umano. Critica dell’economia apolitica, Bollati Boringhieri, 2004 L., Bruni, S., Zamagni, Economia civile, Il Mulino, Bologna 2004 J. Bruno, La teoria economica delle cooperative di produzione e la possibile fine del capitalismo, vol.1 e 2, Giappichelli 2005 F. Antolini, N., Boccella, Sentieri di crescita e cluster di imprese, Liguori, 2006 Consiglio Italiano per le Scienze Sociali, Libro Bianco sulla Valutazione della Ricerca, Marsilio editori, 2006 C. Ruini, Verità è libertà, Mondadori, 2006 A. Sen, Lo sviluppo è libertà, Mondadori, 2006 M., Pugno, Ricchezza e ben-essere:l’importanza delle relazioni sociali e personali, in “Studi e note di economia”, 2007, vol.XII n.1, pp.23-58 G., Sapelli, La crisi economica mondiale, Bollati Boringhieri, 2008; G., Becattini, Ritorno al Territorio, Il Mulino, 2009. Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in Veritate, Libreria Editrice Vaticana, 2009 S., Latouche, Breve trattato sulla decrescita serena, Bollati Boringhieri, 2009 OECD Forum 2010, Road to to recovery: innovation, jobs, clean growth, Parigi, 26-27 maggio 2010. G., Becattini, M., Bellandi, “Distretti industriali: un paradigma socio-economico”, in Industria e distretti. Un paradigma di perdurante competitività italiana, M. Fortis e A. Quadrio Curzio (a cura di), Il Mulino, 2006 pp. 81-108. . Fonti statistiche e telematiche OECD – Organization for Economic Co-operation and Development – www.oecd.org Vigeo – www.vigeo.com World Bank – www.worldbank.org “Corriere della Sera” – www.corriere.it “Sole24ore” – www.ilsole24ore.com 17 dicembre 2014