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L’azione di classe a tutela del consumatore contro pratiche commerciali scorrette e comportamenti anticoncorrenziali delle imprese

di Eleonora Sbarbaro

Abstract: This article explores the recent national legislation regarding class action as provided by article 140bis of the Italian Consumer’s Code. The law has been modified a number of times before its latest amendment through the so called Liberalization Decree (Decree Law January 24th 2012, n. 1) and the related conversion law (Law March 24th 2012, n. 27). The aim of the article is to ascertain whether and in what measure the introduction of the class action against unfair commercial practices and anti-competitive practices carried out by enterprises will grant consumers a higher degree of protection in comparison to the previous related legislation. Il presente contributo analizza la recente disciplina nazionale in materia di azione di classe prevista dall’articolo 140bis del Codice del Consumo, disciplina che ha subito varie modifiche fino all’ultima intervenuta ad opera del c.d. Decreto Liberalizzazioni (D.L. 24 gennaio 2012, n. 1) e della relativa legge di conversione (L. 24 marzo 2012, n. 27). Lo scopo del contributo è quello di verificare se ed in quale misura l’introduzione dell’azione di classe “contro” pratiche commerciali scorrette e comportamenti anticoncorrenziali delle imprese offra al consumatore una maggiore tutela e soddisfazione rispetto a quanto fin’ora previsto dalla normativa di settore. Sommario: 1. Introduzione: l’art. 140bis. – 2. Disciplina speciale di riferimento ed ambito di applicazione dell’articolo 140bis. 2.1 Pratiche commerciali scorrette. 2.2. Comportamenti anticoncorrenziali. – 3. Una panoramica delle azioni esperibili dal consumatore leso. La previsione di una specifica tutela risarcitoria fornita dall’azione di classe. 3.1. Pratiche commerciali scorrette. 3.2. Comportamenti anticoncorrenziali. – 4. Il rapporto tra le diverse azioni esperibili dal consumatore. Preclusioni individuali e unicità dell’azione di classe. – 5. Il giudizio di ammissibilità dell’azione: l’influenza di una pronuncia dell’AGCM sul verdetto del “Tribunale dell’azione di classe”. – 6. Alcune considerazioni sull’azione di classe. 1. Introduzione: l’art. 140bis Secondo l’articolo 140bis del Codice del Consumo [2], la c.d. “azione di classe” può essere utilizzata al fine dell’accertamento delle responsabilità di un’impresa nei confronti di “consumatori” e “utenti”, allo scopo di ottenere una condanna al risarcimento del danno, liquidato dal Tribunale Ordinario in caso di accoglimento della domanda [3]. Si tratta dunque, innanzitutto, di un’azione di tipo risarcitorio – differentemente da quella di cui all’articolo 140 del Codice del Consumo, che consiste in un’azione di tipo inibitorio, la quale consente appunto di inibire atti e comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti e di adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate, ma non ristora il consumatore del pregiudizio subito. L’azione di classe, a seguito della recentissima modifica di cui al c.d. Decreto Liberalizzazioni [4], ha ampliato il proprio ambito di tutela, che ora ricomprende non solo i «diritti individuali» di consumatori e utenti «di cui al comma 2» [5], ma anche gli «interessi collettivi» [6], i quali, tradizionalmente, si differenziano dalla somma dei singoli interessi individuali – rappresentando una sorta di tertium genus tra interesse privato individuale ed interesse pubblico [7] – e vengono reinseriti nell’articolo senza alcuna precisazione o limitazione ed il cui richiamo lascia conseguentemente all’interprete notevoli dubbi [8]. L’articolo 140bis è stato introdotto dalla Legge 24 dicembre 2007 n. 244 (Legge finanziaria 2008), ma è entrato in vigore solo nella versione ridisegnata dall’art. 49 della Legge 23 luglio 2009 n. 99 (c.d. Legge Sviluppo), passando dalla denominazione di “Azione collettiva risarcitoria”, posta a tutela di interessi esclusivamente collettivi, a quella, ancora attuale, di “Azione di classe”, posta a tutela di interessi (diritti) individuali (ed ora anche di interessi collettivi) [9] [10]. Nonostante la “reintroduzione” nell’art. 140bis della tutela di interessi collettivi, non può parlarsi di un ritorno ad una “azione collettiva di categoria”, paragonabile alla primissima versione dell’art. 140bis mai entrata in vigore o all’azione di cui all’art. 140 C.d.C., poiché la legittimazione ad agire non spetta alle associazioni di categoria, ma a «ciascun componente della classe, anche mediante associazioni cui dà mandato o comitati cui partecipa» [11]. L’articolo include espressamente, nel proprio ambito applicativo, la tutela del consumatore diretta al ristoro di pregiudizi derivanti da pratiche commerciali scorrette e comportamenti anticoncorrenziali sempreché, secondo l’attuale formulazione del 140bis, ne sia derivata la lesione di una pluralità di diritti «omogenei» [12]. La recente modifica di cui al Decreto Liberalizzazioni ha allargato l’ambito di applicazione dell’articolo e quindi l’area di tutela, non solo introducendo il riferimento agli interessi collettivi, ma passando anche dalla necessaria «identità» dei diritti, requisito che si sarebbe poi rivelato di difficilissima configurabilità in concreto, alla “semplice” «omogeneità» degli stessi. Tuttavia, se è vero che il requisito dell’omogeneità è senz’altro meno rigido del precedente, esso comporta, non meno dell’altro, margini di incertezza nella relativa interpretazione. L’“omogeneità” della situazione in cui si trovano i consumatori nei confronti dell’impresa, nonché la plurioffensività della condotta illecita sono condizioni dell’azione. L’illecito contestato deve dunque aver coinvolto una pluralità di soggetti, un numero rilevante di consumatori; ma l’azione può essere promossa anche da un singolo consumatore o utente [13], non essendo richiesto necessariamente un numero minimo di soggetti agenti o un rappresentante di categoria. L’introduzione dell’azione di classe nel nostro ordinamento tende a rimuovere – o quantomeno a ridurre – gli ostacoli di natura economica che spesso determinano una generica resistenza a far valere una serie di diritti individuali nei confronti di un’impresa. Chi promuove un’azione di classe può oggi essere raggiunto ed affiancato, in un secondo momento ed entro il termine indicato dal Tribunale con l’ordinanza ammissiva dell’azione, da un numero indeterminato di soggetti nella stessa situazione, che “aderiscono” alla stessa – il che incrina una lunga tradizione fondata sul principio dell’individualismo giuridico caratterizzante il nostro Codice di Procedura Civile [14]. Il modello di azione adottato è quello di c.d. “opt in”, che prevede che i consumatori che intendano partecipare all’azione di classe e beneficiare dei relativi effetti abbiano l’onere di manifestare espressamente tale scelta, modello che si contrappone a quello statunitense di “opt out” in cui, al contrario, gli effetti dell’azione di classe ricadono automaticamente sugli appartenenti alla classe, salvo diversa volontà. Le prime azioni di classe possono esse indette a decorrere dall’1 gennaio 2010, ma possono avere a oggetto pretese fondate su illeciti commessi dal 15 agosto 2009, data di entrata in vigore della Legge Sviluppo. La competenza sui giudizi di classe è affidata, in composizione collegiale, al Tribunale Ordinario del capoluogo di regione in cui ha sede l’impresa, introducendo, tuttavia, alcune deroghe agli ordinari criteri di ripartizione della competenza [15[. Tali deroghe sono giustificate alla luce dell’opportunità di concentrare i procedimenti di classe presso un limitato numero di sedi giudiziarie, per la particolare complessità della materia, sia dal punto di vista sostanziale che processuale, associata all’importanza degli interessi coinvolti. 2. Normativa speciale di riferimento ed ambito di applicazione dell’articolo 140bis 2.1. Pratiche commerciali scorrette L’art. 140bis non fornisce una definizione delle pratiche commerciali scorrette che legittimano l’instaurazione di un’azione di classe, né chiarisce in cosa possano consistere la lesione subita dal “consumatore” e il conseguente danno. Si dovrà, perciò, far riferimento alla normativa ad hoc contenuta nello stesso Codice del Consumo: Parte II – Titolo III, rubricato “Pratiche commerciali, pubblicità e altre comunicazioni commerciali” – articoli 18-27quater [16]. Per “pratiche commerciali” si intendono tutte quelle azioni, omissioni, condotte, dichiarazioni o comunicazioni commerciali – ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto – poste in essere da un soggetto nella veste di “professionista” [17] «in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori» [18]. È evidente come lo spettro di situazioni sia molto ampio: vi rientrano, infatti, condotte precedenti, contestuali e successive alla stipula di contratti di consumo [19]. Tali condotte commerciali si reputano “scorrette” quando sono in grado di falsare il comportamento economico dei consumatori [20]. Le pratiche commerciali scorrette – e, nell’ambito di queste, le pratiche commerciali considerate ingannevoli o aggressive – hanno in comune il fatto che l’impresa, con il proprio comportamento contrario alla diligenza professionale, viola il diritto alla libera determinazione dei consumatori, indirizzandoli verso scelte di natura commerciale che questi altrimenti non adotterebbero. La disciplina, pertanto, prevede diverse tecniche e metodi – come l’omissione d’informazioni rilevanti, nel caso di pratiche ingannevoli, o il ricorso a molestie o coercizione, nel caso di pratiche aggressive – che sono punibili per il solo fatto di essere idonee a falsare il comportamento economico del consumatore (danno potenziale), non essendo necessario che il comportamento dell’impresa abbia, in concreto, determinato l’acquisto del bene o servizio da parte del consumatore (danno effettivo). Il danno, peraltro, può essere patrimoniale o non patrimoniale (si pensi all’ipotesi di pratica commerciale compiuta in violazione della privacy, o con minacce o vessazioni di vario genere) [21]. La disciplina è, inoltre, ricca di presunzioni, ovverosia di pratiche commerciali considerate in ogni caso (per sé) scorrette [22]. Sul piano applicativo dell’azione risarcitoria di cui all’art. 140bis, si segnala che essa potrà essere promossa a fronte di illeciti di natura contrattuale o extracontrattuale, secondo la disciplina generale del Codice Civile. Sebbene, dunque, sia probabile che il giudizio di classe sarà attivato principalmente nei casi in cui la lesione della libertà negoziale dei consumatori abbia comportato la concreta stipulazione di un contratto, laddove il contratto di acquisto o di consumo non fosse stato concluso, l’azione potrebbe essere comunque promossa sulla base e nelle forme previste per la responsabilità aquiliana. In questa seconda ipotesi, ovviamente, l’onere probatorio a carico della parte attrice sarebbe senz’altro gravoso, soprattutto per la verifica dell’omogeneità dei diritti lesi [23]. Tra le più frequenti pratiche commerciali scorrette, maggiormente esposte all’azione di classe appaiono quelle relative all’attivazione di servizi a pagamento non richiesti (ad esempio contenuti in sovrapprezzo in occasione della fornitura di servizi a rete), alla modifica unilaterale delle condizioni contrattuali o delle modalità di erogazione di servizi in senso peggiorativo per consumatori e utenti (ad esempio nei settori dell’energia e dei trasporti), all’omissione ingannevole di informazioni rilevanti per una decisione commerciale consapevole in formulari o in contratti standard (finanziamenti, assicurazioni, etc.) o in comunicazioni commerciali standardizzate qualificabili come inviti all’acquisto (effettuate, ad esempio, via posta o via e-mail) [24]. Più in generale, pratiche commerciali altrettanto frequenti che possono, con tutta probabilità, dar vita a un’azione di classe includono la diffusione di informazioni sui prodotti non veritiere, o formalmente vere, ma comunque tali da indurre gli acquirenti in errore rispetto alle caratteristiche principali del prodotto (come i rischi, l’idoneità allo scopo, gli usi, l’origine geografica o commerciale) o dell’impresa che lo offre (identità, affiliazioni, riconoscimenti, detenzione di diritti di proprietà intellettuale). 2.2. Comportamenti anticoncorrenziali Come per le pratiche commerciali scorrette, anche nel caso dei comportamenti anticoncorrenziali non sono fornite, nel testo dell’articolo 140bis, definizioni o espressi rinvii normativi alla disciplina sostanziale di riferimento. La previsione dell’attivazione di un’azione di classe per il ristoro del pregiudizio cagionato da comportamenti anticoncorrenziali richiede che l’interprete faccia riferimento ad una disciplina esterna al Codice del Consumo, la normativa speciale sulla concorrenza tra imprese, a differenza delle fattispecie relative alle pratiche commerciali scorrette, la cui disciplina è trattata in altra sede rispetto al 140bis, ma sempre all’interno del Codice del Consumo [25]. Il riferimento deve appunto intendersi alle intese restrittive della concorrenza (accordi o pratiche concordate) e agli abusi di posizione dominante – disciplinati rispettivamente, a livello nazionale, dagli artt. 2 e 3 della Legge n. 287 del 1990 e, a livello europeo, dagli artt. 101 e 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) [26] – nella misura in cui possano avere riflessi sui singoli consumatori. Come noto, mentre la disciplina sulle pratiche commerciali scorrette è rivolta alla tutela degli interessi economici dei consumatori in tutte le fasi del rapporto negoziale con le imprese, la disciplina antitrust è invece tradizionalmente tesa alla tutela dell’interesse al corretto funzionamento del mercato – anche se entrambe le normative tutelano in via indiretta anche gli altri interessi in gioco [27]. L’azione di classe consente, pertanto, a consumatori e utenti di conseguire il risarcimento dei danni subiti “a valle” per effetto di illeciti di ambito antitrust commessi “a monte”. Le nozioni di “comportamento anticoncorrenziale” e del relativo conseguente danno ai fini dell’applicazione del 140bis devono essere ricostruite dall’interprete tenendo conto della giurisprudenza in materia di private enforcement del diritto antitrust, prodotta fino ad oggi in relazione alle azioni dei singoli. La Suprema Corte di Cassazione, nella sentenza n. 2305/2007, ha confermato quanto peraltro già precisato con la nota sentenza n. 2207/2005, ovverosia che il bene leso nell’ambito di questo tipo di giudizi va identificato nella conservazione del carattere competitivo del mercato e ha classificato la lesione subita dal consumatore nella sfera della responsabilità extracontrattuale. L’azione risarcitoria ex art. 140bis segue, di conseguenza, il modello della responsabilità aquiliana. Rispetto all’accertamento, di matrice pubblicistica, compiuto dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, volto unicamente a verificare l’antigiuridicità della condotta, in questo caso la lesione subita deve essere dimostrata, non essendo appunto sufficiente l’accertamento dell’illiceità del comportamento secondo il diritto antitrust [28]. Tra le condotte anticoncorrenziali da cui potrebbero più frequentemente scaturire azioni di classe, vi è quella delle intese (cartelli) tra imprese volte ad incrementare i prezzi dei prodotti e dei servizi per i consumatori. Si mostrano particolarmente esposti all’azione di classe anche gli abusi di posizione dominante svolti attraverso la fissazione di prezzi eccessivi o con l’imposizione di prestazioni supplementari non richieste cui sia condizionata la conclusione o l’esecuzione di contratti (prestazioni gemellate o tying contracts) [29]. 3. Una panoramica delle azioni esperibili dal consumatore leso. La previsione di una specifica tutela risarcitoria fornita dall’azione di classe 3.1. Pratiche commerciali scorrette Con l’articolo 140bis viene finalmente prevista, nel sistema italiano di tutela del consumatore, una specifica tutela di diritto comune contro quei comportamenti scorretti, ingannevoli e aggressivi, la cui disciplina è stata introdotta, sul fronte pubblicistico, dal D.Lgs. n. 146 del 2007, ed i cui profili rimediali e sanzionatori sono disciplinati dall’articolo 27 del Codice del Consumo [30]. L’art. 27 C.d.C. individua, infatti, gli organi competenti, i provvedimenti e le sanzioni irrogabili dagli stessi e delimita i rapporti tra autorità amministrative ed autorità giurisdizionale ordinaria – senza tuttavia disciplinare approfonditamente tutti i rimedi esperibili dai soggetti danneggiati [31]. La norma ripete il sistema del “doppio binario” di tutela, già presente nel previgente articolo 26 in tema di pubblicità ingannevole e comparativa, ed accolto, peraltro ben prima, dalla Legge n. 287 del 1990 in tema di illeciti antitrust. Viene in tal modo ribadita la rigorosa ripartizione dei poteri espressa in materia di tutela della concorrenza, che vede l’AGCM quale soggetto deputato al mantenimento e al “ristabilimento” di condizioni di mercato competitive e l’autorità giurisdizionale ordinaria quale organismo a cui è affidata la tutela ex post di situazioni giuridiche lese da comportamenti anticoncorrenziali già compiuti. Tale impostazione, del resto, è confermata dalla previsione dell’azione risarcitoria di cui all’articolo 140bis, mentre la tutela inibitoria collettiva di cui all’articolo 140 sembrerebbe l’unica eccezione rispetto a tale schema [32]. L’Autorità Garante è l’organo competente ad applicare le norme in tema di pratiche commerciali scorrette, vietandone la diffusione o la continuazione con un provvedimento di natura inibitoria, potendo disporre l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie a carico dell’impresa, oltre alla pubblicazione della delibera o di una dichiarazione rettificativa, in modo che la pratica commerciale scorretta cessi di produrre effetti [33]. La legittimazione ad attivare il giudizio dell’Autorità è attribuita ad «ogni soggetto o organizzazione che ne abbia interesse» e d’ufficio all’Autorità stessa – il che si rivela una delle principali innovazioni introdotte in sede di D.Lgs. 46 del 2007 che, rispetto al previgente art. 26 Codice del Consumo, non vincola più l’esercizio dei poteri dell’AGCM alla presentazione di una richiesta d’intervento [34]. Per quanto riguarda l’istanza, l’unico limite alla legittimazione consiste nella presenza di “un interesse all’inibizione” della pratica commerciale scorretta, il che, insieme alla previsione dell’iniziativa d’ufficio, sembrerebbe un requisito tutt’altro che restrittivo. È poi previsto che, contro i provvedimenti e le decisioni dell’AGCM, sia possibile proporre ricorso al Giudice Amministrativo, al quale è espressamente affidata la relativa giurisdizione in maniera esclusiva [35]. La situazione si rivela radicalmente diversa se si guarda al “binario civilistico” dei rimedi [36]. Nonostante l’espressa ratio di tutela dei consumatori delineata nella Direttiva 2005/29/CE [37], l’art. 27 – ripetendo quanto previsto dalla precedente normativa in tema di pubblicità ingannevole e comparativa – si limita unicamente a fare salva la tutela innanzi al Giudice Ordinario dei soli concorrenti pregiudicati dalle pratiche scorrette. In particolare, il comma 15 dell’art. 27 dispone che non è esclusa la giurisdizione del Giudice Ordinario in materia di atti di concorrenza sleale, di pubblicità comparativa, di tutela del diritto d’autore, di marchi d’impresa, di denominazione di origine protetta e di altri segni distintivi [38]. Nell’intero Titolo del Codice del Consumo dedicato alla disciplina delle pratiche commerciali scorrette [39], non vi è dunque alcuna menzione circa gli specifici rimedi esperibili dal singolo consumatore davanti ad un Giudice Ordinario per vedersi risarcito il danno subito. Tale lacuna normativa, fortemente criticata in dottrina [40], crea notevoli problemi di coordinamento tra le norme dettate in materia di pratiche commerciali scorrette ed i precetti generali del Codice Civile; anche perché, d’altra parte, si tratta di una disciplina introdotta relativamente di recente e pertanto la giurisprudenza di legittimità non ha ancora avuto modo di formare orientamenti costanti al riguardo [41]. Tuttavia, un’interpretazione secondo cui i singoli consumatori non possono adire il Giudice Ordinario a tutela dei propri interessi deve essere esclusa [42], poiché risulterebbe in contrasto con la garanzia del diritto di difesa di cui all’art. 24 della Costituzione e perché, in ogni caso, l’art. 19, comma 2, lett. a) C.d.C., il cui ambito di applicazione coincide con l’intera disciplina sulle pratiche commerciali scorrette, chiarisce che l’insieme di norme di cui al Titolo III in questione non pregiudica «l’applicazione delle disposizioni normative in materia contrattuale, in particolare delle norme sulla formazione, validità o efficacia del contratto». Salva la disposizione di cui all’art. 19, nel testo normativo in esame non si trova un’altra previsione volta ad individuare rimedi civilistici esperibili dal singolo consumatore. Altrove, gli articoli 139 e 140 del Codice del Consumo riconoscono alle associazioni la legittimazione a proporre un’azione a tutela dei diritti dei consumatori nelle materie disciplinate dal Codice stesso (dunque anche in relazione alle pratiche commerciali scorrette), ma si tratta di un’azione che, da un lato, è di tipo inibitorio, diretta a far cessare le pratiche stesse e non a liquidare il relativo danno subito dai consumatori, dall’altro, esclusivamente “di categoria”, quindi estranea alla tutela delle singole posizioni soggettive lese. Dalla panoramica che si è compiuta dei diversi rimedi esperibili dai consumatori lesi da pratiche commerciali scorrette, emerge che l’introduzione dell’articolo 140bis amplia le facoltà di tutela degli interessi di quei soggetti, sia “numericamente”, come ulteriore opzione processuale, peraltro di tipo collettivo-aggregativo, cui devono ricollegarsi i relativi vantaggi, sia in quanto finalmente fornisce, sul fronte del private enforcement, una disciplina specifica all’interno del Codice del Consumo atta a regolare i particolari aspetti civilistici della violazione di tale normativa [43]. È stato tuttavia segnalato in dottrina che l’introduzione dell’art. 140bis è volta a creare e modellare un particolare strumento processuale, piuttosto che ad individuare un diritto sostanziale al risarcimento, e che i precedenti dubbi di carattere sostanziale circa i rimedi civilistici rimangono, dunque, gli stessi [44]. 3.2. Comportamenti anticoncorrenziali Anche la disciplina relativa ai comportamenti anticoncorrenziali segue lo schema del doppio binario di tutela. La competenza a conoscere della normativa antitrust nazionale e comunitaria è affidata all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. L’AGCM emette tipicamente provvedimenti di carattere inibitorio [45] – provocando la cessazione e l’eliminazione delle infrazioni – in esito ad un’attività istruttoria avviata su iniziativa di chiunque vi abbia interesse [46], oltre a comminare sanzioni amministrative pecuniarie [47], ad emettere provvedimenti di tipo cautelare [48] e a valutare ed eventualmente accettare gli impegni presentati dalle imprese per far venire meno i profili anticoncorrenziali della propria condotta oggetto dell’istruttoria [49]. Si tratta sostanzialmente degli stessi poteri attribuiti all’Autorità in materia di pratiche commerciali scorrette. Anche in questo caso, al Giudice Amministrativo è attribuita la giurisdizione esclusiva sui ricorsi avverso i provvedimenti dell’AGCM [50]. La competenza del Giudice Ordinario riguarda, invece, unicamente le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi volti ad ottenere provvedimenti di urgenza [51]. Innanzitutto, dal lato del private enforcement, il rilievo processuale che immediatamente emerge è rappresentato dalla pluralità dei fori competenti [52]. In caso di violazione della disciplina antitrust nazionale, la competenza è assegnata alla Corte d’Appello in unico grado [53]. Nel caso di violazione della normativa comunitaria, si applicano, invece, le regole ordinarie sulla competenza: la questione sarà dunque attribuita al Giudice di Pace o al Tribunale a seconda del valore della causa. Nell’ipotesi di illeciti antitrust nazionali o comunitari relativi a cause in materia di proprietà intellettuale – controversie nascenti da o comunque anche indirettamente collegate all’esercizio di diritti di proprietà industriale – la competenza è attribuita alle Sezioni specializzate in materia di impresa, istituite dal D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 in luogo delle Sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale, istituite dal D.Lgs. n. 168 del 2003 [54]. È chiaro che tale dato si rivela particolarmente problematico per l’attore. Ai fori suindicati si aggiunge il “Tribunale Ordinario dell’azione di classe”, come individuato all’art. 140bis quarto comma [55]. Per quanto riguarda la scelta sull’attribuzione della competenza alla Corte d’Appello, essa è stata oggetto nel 2006 e nel 2007 di una questione di costituzionalità sotto i profili della ragionevolezza e della compatibilità con il diritto d’azione sancito dall’art. 24 della Costituzione. La decisione della Cassazione del 2005 aveva infatti confermato la competenza del Giudice d’Appello per le azioni risarcitorie promosse dai singoli consumatori lesi dall’illecito concorrenziale [56]. Il precedente orientamento, invece, permetteva di agire davanti al Giudice di Pace [57]. È chiaro che l’assegnazione della causa direttamente alla Corte d’Appello in unico grado comporta un rilevante aggravio dei costi per gli attori [58], costretti ad adire una corte superiore con l’obbligo di essere difesi da un avvocato, oltre a negare il doppio grado di giudizio di merito. La Corte Costituzionale – con l’ordinanza del 26 ottobre 2007, n. 351 – ha tuttavia ribadito la manifesta inammissibilità di tale questione. Non si può in questo contesto non rilevare che l’introduzione dell’azione di classe, che prevede l’intervento del Tribunale Ordinario sulle medesime questioni e, per giunta, con una semplificata procedura di adesione – che può avvenire anche tramite posta elettronica certificata e fax e non richiede il ministero del difensore – agevola l’esercizio del diritto di difesa da parte dei consumatori e degli utenti, anche con un notevole risparmio dei costi. La possibilità di tutelare danni da comportamenti anticoncorrenziali tramite un’azione di tipo civile-risarcitorio, peraltro “di classe”, è espressione di una linea di tendenza che riconosce salde relazioni ed interazioni tra l’attività di carattere pubblicistico, volta al contrasto degli illeciti che alterano gli assetti concorrenziali del mercato, e la tutela di carattere privatistico dei consumatori lesi dagli stessi comportamenti “abusivi” [59]. Un limite all’efficacia del private enforcement del diritto antitrust era rappresentato – prima della nota sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, del 4 febbraio 2005, n. 2207 – dalle regole in tema di legittimazione ad agire, che indiscutibilmente spettava alle imprese concorrenti, ma che la giurisprudenza stentava a riconoscere in capo ai singoli consumatori e alle associazioni di categoria [60]. La giurisprudenza della Corte di Cassazione considera, tuttavia, ormai pacifica la legittimazione dei singoli consumatori ad agire per far valere la responsabilità dell’impresa ai sensi dell’art. 33 della Legge n. 287 del 1990 [61]. La Corte ha infatti affermato, nella fondamentale sentenza del 2005, che «la legge antitrust non è la legge degli imprenditori soltanto ma è la legge dei soggetti del mercato, ovvero di chiunque abbia interesse processualmente rilevante alla conservazione del suo carattere competitivo al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere» [62]. Ai consumatori, in quella sede – e nelle pronunce successive – è stata esplicitamente riconosciuta la legittimazione ad agire in giudizio nei confronti delle imprese partecipanti ad un’intesa vietata ai sensi dell’art. 2 della Legge del ’90, per ottenere il risarcimento dei danni subiti in conseguenza della sua attuazione; fermo restando l’onere della prova su tutti gli elementi della fattispecie di cui all’art. 2043 C.C. Si tenga presente che la Commissione Europea ha più volte sottolineato il ruolo sempre maggiore del private enforcement nell’applicazione delle norme sulla concorrenza, invitando gli Stati membri a rafforzarne i relativi meccanismi, anche mediante lo strumento delle azioni collettive. Tali riflessioni si sono concentrate, nell’ambito delle varie forme di azione disponibili, sulla tutela di tipo risarcitorio, soprattutto in considerazione delle profonde interrelazioni tra la tutela risarcitoria ed i profili di interesse pubblico relativi al raggiungimento di un adeguato livello di deterrenza e alla garanzia della piena efficacia delle norme antitrust previste dal Trattato e del mantenimento di una concorrenza effettiva [63]. Un efficace ruolo di deterrence [64] può essere infatti conseguito dall’azione risarcitoria, ancor più efficacemente se “collettiva” o se “di classe”, affidando alle iniziative dei privati lo stimolo per la correzione del mercato. È evidente, dunque, che l’introduzione di un’azione risarcitoria di classe per comportamenti anticoncorrenziali rientra perfettamente in quest’ottica e codifica i suesposti orientamenti [65]. 4. Il rapporto tra le diverse azioni esperibili dal consumatore. Preclusioni individuali e unicità dell’azione di classe Un principio fondamentale espresso nel nostro Codice Civile sancisce l’intangibilità della sentenza passata in giudicato, che fa stato ad ogni effetto tra le parti – e i loro eredi o aventi causa – per garantire la necessaria certezza giuridica nei rapporti [66]. L’effetto preclusivo del giudicato tende ad impedire un bis in idem, insieme ad un eventuale contrasto di pronunzie, comportando, pertanto, il divieto di riproposizione e di riesame della medesima azione in altro giudizio tra le stesse parti ed evitando che il giudice possa nuovamente pronunciarsi su un bene della vita già riconosciuto o negato [67]. Alla luce di tale principio si osserva, innanzitutto, che l’articolo 140bis, terzo comma, prevede appunto che l’eventuale adesione ad un’azione di classe implica la rinuncia ad ogni azione risarcitoria o restitutoria di tipo individuale fondata sullo stesso titolo salvo che, ai sensi del comma 15, chi abbia aderito non consenta espressamente rinunce o transazioni intervenute tra le parti, ovvero che vi sia estinzione del giudizio o chiusura anticipata del processo [68]. Nulla viene specificato per il caso inverso, ovverosia circa la possibilità di agire individualmente davanti al Giudice Ordinario per il risarcimento del danno e poi aderire ad un’azione di classe risarcitoria promossa da altri. Sulla base del concetto civilistico di “giudicato”, ritengo che il soggetto legittimato all’azione debba operare una scelta e che, dunque, non sia concesso di proporre ambedue le azioni per uno stesso comportamento illegittimo e nei confronti della medesima impresa. Pertanto, se è stata attivata un’azione di classe per la tutela di interessi che il consumatore ritiene “omogenei” rispetto ai propri, occorre che scelga se vuole aderire all’azione o meno e che opti per l’uno o per l’altro mezzo di tutela entro il termine indicato nell’ordinanza con cui il Tribunale sancisce l’ammissione dell’istanza. Tale provvedimento viene, infatti, a tale scopo reso pubblico. L’eventuale adesione comporterà, appunto, la rinuncia ad agire individualmente. L’esigenza di “esercitare l’opzione” prontamente scaturisce dalla statuizione dell’articolo 140bis, comma 14, che dispone il principio dell’“unicità” dell’azione di classe: la non replicabilità dell’azione comporta che non saranno proponibili ulteriori azioni di classe per i medesimi fatti e nei confronti della medesima impresa [69], mentre quelle proposte entro il termine per l’adesione sono riunite d’ufficio, se pendenti davanti allo stesso tribunale, o altrimenti cancellate e riassunte davanti al primo giudice, se pendenti davanti a un giudice diverso. Anche riguardo agli effetti della sentenza del Tribunale dell’azione di classe non vi è alcuna deviazione rispetto ai principi fondamentali del diritto civile. È infatti espressamente previsto che la sentenza emanata al termine del giudizio faccia stato esclusivamente nei confronti delle parti e degli aderenti ed è esplicitamente fatta salva l’eventuale azione individuale di chi non abbia aderito all’azione “collettiva” [70]. La presenza del c.d. doppio binario di tutela nell’ambito della disciplina delle pratiche commerciali scorrette e dei comportamenti anticoncorrenziali comporta la competenza dell’AGCM e del Giudice Ordinario dell’azione di classe per contestazioni relative ai medesimi comportamenti illeciti delle imprese, anche se a fini diversi. È dunque possibile che siano proposte, di fronte ai due organi giudicanti, istanze ad opera di stessi soggetti, nei confronti della stessa impresa e per i medesimi fatti. Tale circostanza solleva alcuni interrogativi – che peraltro già si ponevano per la possibilità d’intervento del Giudice Ordinario nelle stesse questioni sulle quali, secondo le relative leggi speciali, è chiamata a decidere anche l’AGCM – riguardanti sostanzialmente il rapporto tra il procedimento innanzi all’Autorità Garante e quello innanzi al Giudice Ordinario. Dal momento che il procedimento davanti all’AGCM ha natura non giurisdizionale – essendo l’AGCM un’autorità pubblica e non un organo giurisdizionale – la pendenza dello stesso non comporta la sospensione necessaria del processo ordinario ai sensi dell’art. 295 C.P.C., né può ritenersi che la pronuncia dell’Antitrust sia pregiudiziale rispetto al procedimento davanti al Giudice Ordinario. Non vi è, infatti, alcun impedimento a che un soggetto adisca il Giudice Ordinario in assenza di un giudizio dell’AGCM e nulla osta a che si proponga l’istanza sia all’AGCM, sia al Giudice Ordinario, contemporaneamente o successivamente, prima all’una e poi all’altro o viceversa. I provvedimenti emessi dalle due autorità sono del tutto autonomi e indipendenti [71]. A chiarire ogni eventuale dubbio dell’interprete interviene la previsione di cui all’art. 140bis, comma sesto, statuendo che il Tribunale “può” – e non “deve” – sospendere il giudizio sull’ammissibilità della domanda se è in corso un’istruttoria davanti a un’autorità indipendente (o un giudizio davanti al Giudice Amministrativo) sui fatti rilevanti ai fini del giudizio. Potrebbe perciò accadere che un comportamento di un’impresa non sia ritenuto dannoso per il mercato e non sia vietato dall’Autorità ma venga giudicato illecito dal Tribunale della class action, come potrebbe accadere anche l’inverso, oppure potrebbe essere ritenuto illecito sia dall’Antitrust sia dal Giudice Ordinario ma, nell’ambito del giudizio di classe, non riuscirsi a provare il pregiudizio arrecato ai consumatori [72]. Riguardo al rapporto tra Giudice Amministrativo e Giudice Ordinario dell’azione di classe, anche qui non si pongono particolari problemi, trattandosi di diversi binari di tutela, pubblicistico e privatistico, e trovandosi le due autorità a decidere su differenti questioni, adottando, peraltro, provvedimenti dal contenuto completamente diverso [73]. Inoltre, una volta riconosciuto che la pretesa dei privati non si fonda sul provvedimento dell’Autorità Garante, anche l’eventuale annullamento dello stesso o il riconoscimento della sua legittimità non vincoleranno il Giudice Civile. L’unica interferenza tra l’accertamento del Giudice Civile e quello del Giudice Amministrativo consiste nell’esame dei medesimi fatti, insuscettibile di estensioni dell’efficacia di giudicato [74]. Non sussiste, pertanto, un problema di contrasto tra i due procedimenti, anche se, di fatto, potrebbe crearsi un contrasto di natura meramente sostanziale tra i due giudicati. 5. Il giudizio di ammissibilità dell’azione: l’influenza di una pronuncia dell’AGCM sul verdetto del “Tribunale dell’azione di classe” Come si è visto, l’art.140bis, comma 6, prevede che il Tribunale possa sospendere il giudizio di ammissibilità sulla domanda quando sui fatti rilevanti ai fini del decidere sia in corso un’istruttoria davanti ad un’autorità indipendente o un giudizio dinanzi al Giudice Amministrativo. Il legislatore ha evidentemente implicitamente ammesso che, al fine di pronunciare sull’ammissibilità della domanda e, in particolare, sulla valutazione di non manifesta infondatezza dell’azione, le risultanze istruttorie di un procedimento davanti ad un’autorità indipendente o del giudizio innanzi al Giudice Amministrativo – anche se, come si è visto, non devono ritenersi vincolanti – possano tuttavia rivelarsi “utili” al Giudice Civile ed assumere, pertanto, “un certo peso” [75]. D’altra parte, è ormai pacifico, in materia di applicazione del diritto antitrust, che possono aversi azioni proposte davanti al Giudice Civile senza una previa pronuncia dell’AGCM, le c.d. stand alone actions, come possono proporsi azioni all’Autorità Giurisdizionale Ordinaria a seguito di una decisione dell’AGCM, le c.d. follow on actions. Il Tribunale si troverà, nel secondo caso, ad esaminare il verdetto di un soggetto specializzato, adottato in esito ad un’istruttoria ove sono svolte attente indagini economiche – anche grazie ai penetranti poteri attribuiti all’Antitrust – nell’ambito di un procedimento ove è garantito il contradditorio [76]. È chiaro che la pronuncia dell’AGCM, oltre ad agevolare l’attività di accertamento del Giudice Civile, costituisce un forte “elemento di prova” circa la fondatezza dell’azione e delle pretese dei consumatori e permette di estendere ad una pluralità di soggetti gli effetti ristoratori del pregiudizio collegati all’accertata illiceità di un comportamento – ove però siano individuati dal Giudice Civile i presupposti di risarcibilità della lesione subita, ad esempio sotto il profilo del nesso di causalità e, più in generale, della prova del danno. Si rivelerà, pertanto, sicuramente fruttuosa la prassi di ricorrere prima all’Autorità Garante e poi, servendosi di una pronuncia ottenuta molto più velocemente e semplicemente rispetto ad una sentenza di un tribunale, produrre, nel giudizio di classe, un provvedimento di condanna dell’impresa a sostegno della non manifesta infondatezza dell’istanza [77]. È probabile, dunque, che la maggior parte delle azioni di classe sarà avviata dopo la conclusione di un procedimento dinanzi all’AGCM che abbia accertato la sussistenza dell’illecito e che, anche se il Tribunale non è tenuto ad allinearsi alla decisione dell’Autorità indipendente, tenderà, in concreto, a non discostarsi dai riscontri ottenuti nell’ambito dell’attività di accertamento compiuta dall’Autorità [78]. Ne consegue che vi sarà un fortissimo interesse per le imprese all’ottenimento della chiusura dell’istruttoria con accettazione di impegni (ex art. 14ter Legge 287/‘90) e dunque senza l’accertamento dell’infrazione. 6. Alcune considerazioni sull’azione di classe Con l’introduzione dell’art. 140bis viene riconosciuta ai consumatori e agli utenti la possibilità, sul fronte del c.d. private enforcement, di avvalersi di un nuovo specifico strumento processuale, in relazione a condotte potenzialmente illecite degli imprenditori, peraltro tipicamente caratterizzate dalla naturale destinazione ad una pluralità di soggetti [79]. Il chiaro obiettivo della disciplina è quello di agevolare la tutela del consumatore e la soddisfazione delle relative pretese vantate nei confronti delle imprese, mediante l’aggregazione di singole iniziative processuali, anche e soprattutto se di modico valore, sanzionando ed arginando in tal modo le condotte abusive delle imprese i cui effetti nocivi siano “distribuiti” su una vasta platea di soggetti. La maggior parte dei consumatori e degli utenti tende a rinunciare, in tali situazioni, ad agire singolarmente, sia perché spesso si tratta di danni di scarso valore economico per il singolo – anche se di grande entità economica complessiva – che renderebbero le spese del giudizio superiori al danno arrecato dalla singola condotta o comunque al beneficio atteso, sia perché il singolo consumatore è scoraggiato dalla notorietà dell’impresa e dalla sua dimensione, temendo di essere da questa “schiacciato” nel corso del giudizio. Nonostante l’unico modo per assicurare all’azione di classe un sicuro “successo” sarebbe adottare il meccanismo dell’“opt out” al posto dell’attuale modello di “opt in” [80], l’inerzia dei soggetti danneggiati potrà forse essere superata anche grazie ad un ulteriore dato fondamentale: l’adesione all’azione di classe avviene senza ministero del difensore, il che rende economicamente conveniente per consumatori ed utenti, titolari di diritti “omogenei” a quelli oggetto della pretesa di classe promossa da altri, partecipare aderendo al giudizio “collettivo”, piuttosto che sostenere i costi ed i tempi per l’instaurazione di un’autonoma azione. Peraltro, la possibilità di aderire all’azione di classe anche tramite posta elettronica certificata e fax, facilita enormemente una partecipazione “di massa” alla stessa, svincolata dai tempi e dalle formalità della giustizia tradizionale. Inoltre, rispetto all’azione esperita singolarmente, l’effetto del nuovo strumento dell’azione di classe sarà presumibilmente quello di esercitare una forte pressione sulle imprese più accorte. Si tratta, dunque, di un lungo passo avanti nella prevenzione degli illeciti e delle politiche aziendali di risk avoidance. L’impresa “scorretta” dovrà temere non più solamente la sanzione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, ma anche l’obbligo del risarcimento del danno cagionato ad una moltitudine di consumatori, nonché la lesione della propria reputazione [81]. Lo strumento di private enforcement previsto all’articolo 140bis, analogamente all’azione collettiva inibitoria di cui all’articolo 140, seppur posto a presidio di posizioni individuali di una pluralità di consumatori, è dunque un meccanismo che, in via mediata, tende a regolare il mercato, spingendo verso il riequilibrio dello stesso attraverso la dissuasione delle imprese dall’adozione di comportamenti abusivi e rappresenta, pertanto, uno strumento alternativo, parallelo e in alcuni casi probabilmente anche più efficiente rispetto al public enforcement. Ulteriore vantaggio dell’azione di classe consiste nella concentrazione in un’unica sede della gestione di una pluralità di controversie aventi ad oggetto lo stesso comportamento antigiuridico, da cui deriverà chiaramente un alleggerimento del carico dei giudici e sarà garantita più facilmente l’economia processuale. Si segnala, tuttavia, che la previsione di un “filtro” circa l’ammissibilità della domanda, peraltro affidato al Tribunale in composizione collegiale, si colloca in materie in cui, nell’ambito della concorrente azione individuale, può intervenire il Giudice di Pace (nei limiti della propria competenza per valore), cui non è al contrario richiesta alcuna valutazione sull’eventuale infondatezza dell’azione. Infine, sempre con riferimento alle deroghe agli ordinari criteri di ripartizione della competenza, la regola dell’affluenza dei procedimenti di classe presso un limitato numero di sedi giudiziarie permetterà una specializzazione di fatto dei giudici e tenderà ad assicurare, pertanto, una migliore qualità delle decisioni emesse e la formazione di orientamenti giurisprudenziali uniformi. —————— Note: [*] Il presente saggio è stato preventivamente sottoposto a referaggio anonimo affidato ad un componente del Comitato di Referee secondo il Regolamento adottato da questa Rivista. [1] Relazione tenuta nell’ambito del Ciclo di Seminari sul tema della “Class Action” svoltosi nel 2010 presso l’Università degli Studi di Perugia, nell’ambito del Corso di Dottorato “Tutela Giurisdizionale delle Situazioni Giuridiche Soggettive e Libertà della Concorrenza” – coordinatore Prof. Antonio Bartolini. Ai fini della presente pubblicazione, si è ritenuto necessario recepire le recentissime modifiche all’art. 140bis del Codice del Consumo ad opera dell’art. 6 del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 (c.d. Decreto Liberalizzazioni), come sostituito dall’art. 1 della Legge di conversione del 24 marzo 2012, n. 27. Lo stesso decreto ha istituito il c.d. Tribunale delle Imprese (Sezioni specializzate in materia di impresa) in luogo delle Sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale (v. art. 2 che ha modificato il D.Lgs. 27 giugno 2003, n. 168). [2] D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 Codice del Consumo, a norma dell’articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229, da qui in avanti anche solo “C.d.C.”. [3] Sulla recente disciplina dell’azione di classe si sono pronunciati studiosi di ogni ramo del diritto, in quanto sono coinvolte tematiche di tipo processual-civilisitico, processual-amministrativistico, oltre che di tipo sostanziale. Tra le raccolte dedicate alla disciplina dell’azione di classe si veda A. M. Gambino – V. Falce (a cura di), Lineamenti giuridico-economici dell’azione di classe, Edizioni ART, Roma, 2010. Si veda, inoltre, P. Fiorio, L’azione di classe nel nuovo art. 140bis e gli obiettivi di deterrenza e di accesso alla giustizia dei consumatori, in I diritti del consumatore e la nuova class action, P. G. Demarchi (a cura di), Zanichelli, 2010; I. Pagni, L’azione di classe del nuovo articolo 140bis: le situazioni soggettive tutelate, l’introduzione del giudizio e l’ammissibilità della domanda, in Riv. Dir. Civ., 4/2010, p. 349; L. Mantovani, La class action: profili applicativi e questioni processuali, in Notarilia, n. 2, anno IV, 2012, p. 11. Per un approccio comparatistico sulla class action v. P. Congedo – M. Messina, European “Class” Action: British and Italian points of view in evolving scenarios, in Europa e Diritto Privato, 1/2009, Giuffré, p. 163. [4] V. nota n. 1. In particolare, le modifiche più rilevanti sono avvenute in sede di conversione del decreto. [5] Si vedano i casi di cui all’art. 140bis, comma secondo, lettere a), b) e c). [6] Entrambi gli interessi, del resto, sono già riconosciuti dall’art. 2 del Codice del Consumo. V. art. 140bis, comma primo, C.d.C. [7] Sulla nozione di interesse collettivo e sulle tutele collettive si veda L. Tavormina, L’inibitoria collettiva a tutela dei consumatori. Mercato, concorrenza e deterrence, in Contratto e impresa. Dialoghi con la giurisprudenza civile e commerciale, F. Galgano (diretti da), 4-5/2009, p. 973 e ss. Si veda anche R. Pardolesi, Il problema degli interessi collettivi e i problemi dei giuristi, in Le azioni a tutela di interessi collettivi, Padova, 1976. [8] Cfr. B. Sassani, Interessi collettivi e scelte irrazionali, in Il Sole-24 Ore, 17 marzo 2012, p. 29. La reintroduzione degli interessi collettivi sembrerebbe tuttavia essere priva di una reale portata operativa, poiché non accompagnata da paralleli mutamenti degli altri aspetti del 140bis disegnati su misura per la tutela dei soli diritti individuali. [9] Nel passaggio dall’una all’altra versione del 140bis è stata inoltre effettuata un’altra modifica di indubbia rilevanza: il generico e onnicomprensivo riferimento ai danni derivanti da atti illeciti extracontrattuali, è stato sostituito dal riferimento ai soli danni da prodotto (ora anche da servizio, si veda l’art. 140bis, comma secondo, lett. b), in tal modo ridimensionando l’ambito oggettivo di applicazione della norma ed escludendo dall’azione di classe danni come quello ambientale e alla salute. [10] Per maggiori dettagli, si vedano A. Giussani, L’azione collettiva risarcitoria nell’art. 140bis Cod. Cons.: dalla Legge Finanziaria 2008 al D.D.L. Sviluppo 2009, in Lineamenti giuridico-economici dell’azione di classe, A. M. Gambino e V. Falce (a cura di), Edizioni ART, Roma, 2010, p. 24; A. Carratta, Sulla modifica dell’art. 140bis Cod. Cons. e sull’introduzione dell’azione di classe, in Lineamenti giuridico-economici dell’azione di classe, A. M. Gambino e V. Falce (a cura di), Edizioni ART, Roma, 2010, p. 233. Per l’esame del testo dell’art. 140bis, come introdotto dalla legge del 2007 si veda, tra gli altri, C. Iurilli, L’azione risarcitoria collettiva, in Il nuovo diritto dei consumatori, C. Iurilli e G. Vecchio (a cura di), Giappichelli Editore, Torino, 2009, p. 839. [11] Art. 140bis, comma primo, secondo periodo. [12] In base alla lett. c) del comma secondo, l’azione è diretta a tutelare: «diritti omogenei al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali». [13] L’articolo 140bis parla (unicamente) di “consumatori” ed “utenti”. Si tenga presente che il Decreto Liberalizzazioni ha modificato anche gli artt. 18 e 19 del Codice del Consumo estendendo l’ambito di applicazione della disciplina delle pratiche commerciali scorrette – che in precedenza era posta a tutela delle sole persone fisiche – anche alle c.d. microimprese, con tali intendendosi «entità, società o associazioni che, a prescindere dalla forma giuridica, esercitano un’attività economica, anche a titolo individuale o familiare, occupando meno di dieci persone e realizzando un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a due milioni di euro, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 3, dell’allegato alla raccomandazione n. 2003/361/CE della Commissione, del 6 maggio 2003» (art. 18, comma primo, lett. d-bis). [14] G. Ghidini, Passo avanti sui diritti collettivi, in Il Sole-24 Ore, lunedì 21 dicembre 2009 – N. 351, p. 3. [15] V. art. 140bis, comma quarto: «La domanda è proposta al tribunale ordinario avente sede nel capoluogo della regione in cui ha sede l’impresa, ma per la Valle d’Aosta è competente il tribunale di Torino, per il Trentino-Alto Adige e il Friuli-Venezia Giulia è competente il tribunale di Venezia, per le Marche, l’Umbria, l’Abruzzo e il Molise è competente il tribunale di Roma e per la Basilicata e la Calabria è competente il tribunale di Napoli. Il tribunale tratta la causa in composizione collegiale». [16] Cfr. G. Alpa, L’art. 140bis del Codice del Consumo nella prospettiva del diritto privato, in Diritto Mercato Tecnologia, www.dimt.it, 2010, p. 12. La disciplina sulle pratiche commerciali scorrette è stata introdotta nel Codice del Consumo con il D.Lgs. n. 146 del 2007, attuazione della Direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno. Sulla disciplina relativa alle pratiche commerciali scorrette v. A. Stazi, I principali profili evolutivi nell’applicazione della normativa. Il rapporto fra la normativa sulle pratiche commerciali scorrette e le discipline settoriali, in A.M. Gambino, V. Falce, A. Stazi (a cura di), Rassegna Pratiche commerciali scorrette (2008 e primo semestre 2009), in Concorrenza e Mercato. Rassegna degli orientamenti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, G. Ghidini, B. Libonati, P. Marchetti (a cura di), 17/2009, p. 200; A. Stazi, Le pratiche commerciali scorrette, ingannevoli e aggressive, in Diritto e pratica delle società, 5/2010, p. 14; A. Stazi, Le pratiche commerciali scorrette: la nuova disciplina degli artt. 18 e ss. del Codice del consumo a seguito del D.lgs. n. 146/2007, in A.M. Gambino, A. Stazi (a cura di), Rassegna Pratiche commerciali scorrette (2007 e primo semestre 2008), in Concorrenza e Mercato. Rassegna degli orientamenti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, G. Ghidini, B. Libonati, P. Marchetti (a cura di), 16/2008, p. 195. [17] Secondo la definizione di cui all’art. 18, comma primo, lett. b) C.d.C. si intende per «“professionista”: qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo, agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisce in nome o per conto di un professionista»; in base alla lett. a) dello stesso articolo, si intende invece per «“consumatore”: qualsiasi persona fisica che, nelle pratiche commerciali oggetto del presente titolo, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale». Si veda anche la già citata lettera d-bis) e si ricordi quanto detto in merito all’applicazione della disciplina sulle pratiche commerciali scorrette anche alle c.d. “microimprese”. [18] V. art. 18, comma primo, lett. d) C.d.C. [19] Art. 19, comma primo, C.d.C. [20] La valutazione sull’idoneità di una pratica a incidere sulla formazione della volontà del consumatore e a comprometterla è effettuata con riferimento al concetto di “consumatore medio”. V. art. 20, comma secondo, C.d.C. [21] Come evidenziato da G. Alpa, L’art. 140bis del Codice del Consumo nella prospettiva del diritto privato, in Diritto Mercato Tecnologia, www.dimt.it, 2010, p. 12. [22] V. artt. 23 e 26 C.d.C., rispettivamente sulle “Pratiche commerciali considerate in ogni caso ingannevoli” e sulle “Pratiche commerciali considerate in ogni caso aggressive”. [23] In proposito si vedano le seguenti circolari di Confindustria: Circolare N.19033 del 18 marzo 2008 “La disciplina delle azioni collettive risarcitorie” e Circolare N.19244 del 16 ottobre 2009 “Class Action. La nuova disciplina dopo i correttivi introdotti dalla Legge Sviluppo”, rispettivamente firmate M. Panucci e A. Matonti. [24] In tal senso, V. Falce, Pratiche commerciali scorrette e azione di classe, in Diritto Mercato Tecnologia, www.dimt.it, 2010, p. 2. [25] Cfr. G. Alpa, L’art. 140bis del Codice del Consumo nella prospettiva del diritto privato, in Diritto Mercato Tecnologia, www.dimt.it, 2010, p. 12. [26] Prima artt. 81 e 82 del Trattato che istituisce la Comunità Europea (TCE). [27] Gli interessi in gioco sono quelli di: consumatori, imprese e mercato. [28] In particolare, è necessario dimostrare la sussistenza dei seguenti elementi: il fatto illecito del convenuto, il danno ingiusto, il nesso di causalità tra l’illecito e il danno, il dolo o la colpa del convenuto (art. 2043 c.c.). [29] Per un’ampia disamina dei profili comportamentali consistenti in intese restrittive della concorrenza ed abusi di posizione dominante, nonché dei più noti casi esaminati dalle autorità nazionali, europee e d’oltreoceano, si veda V. Mangini – G. Olivieri, Diritto Antitrust, Giappichelli Editore, Terza edizione, Torino, 2009. [30] Si veda V. Falce, Pratiche commerciali scorrette e azione di classe, in Diritto Mercato Tecnologia, www.dimt.it, 2010, p. 1. [31] Cfr. G. Taddei Elmi, Commento. Art. 27-27quater, in Codice del Consumo – Aggiornamento – Pratiche commerciali scorrette e azione collettiva, G. Vettori (a cura di), Cedam, 2009, pp. 114-115. [32] È infatti assente una previsione normativa che, in questo ambito, come anche in quello antitrust, preveda un giudizio individuale di fronte al Giudice Ordinario che culmini con un provvedimento di carattere inibitorio, essendo appunto tale funzione tipicamente riservata alle autorità pubbliche. Tali rilievi sono espressi da L. Tavormina, L’inibitoria collettiva a tutela dei consumatori. Mercato, concorrenza e deterrence, in Contratto e impresa. Dialoghi con la giurisprudenza civile e commerciale, F. Galgano (diretti da), 4-5/2009, p. 1018, che, seppur con riferimento al settore antitrust – cui ritiene applicabile l’articolo 140 a dispetto della lettera dell’articolo 139 e contrariamente a quanto affermato da parte della dottrina – sottolinea l’esigenza di rimeditazione, alla luce delle considerazioni sui vantaggi del private enforcement in termini di disincentivazione delle condotte illecite, del consolidato orientamento giurisprudenziale che nega al singolo la possibilità di ricorrere all’autorità giurisdizionale ordinaria per ottenere l’inibitoria definitiva degli illeciti antitrust, sulla scorta dell’interpretazione letterale dell’art. 33, comma 2, della Legge del ‘90. Tale orientamento è stato peraltro ribadito nella sentenza della Corte App. Milano, 16 luglio 2008, in Il diritto industriale, 5/2008, p. 459, con nota di Florida. [33] In caso di reiterata inottemperanza ai propri provvedimenti l’Autorità, ai sensi dell’art. 27, comma 12, può comminare un’ulteriore sanzione pecuniaria amministrativa e disporre la sospensione dell’attività d’impresa per un periodo massimo di 30 giorni. [34] Sul punto v. D. Mula, Il procedimento innanzi all’Autorità Garante (regolamento n. 17589/07) ed i procedimenti per inottemperanza, in A.M. Gambino, A. Stazi (a cura di), Rassegna Pratiche commerciali scorrette (2007 e primo semestre 2008), in Concorrenza e Mercato. Rassegna degli orientamenti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, G. Ghidini, B. Libonati, P. Marchetti (a cura di), 16/2008, p. 225. [35] V. art. 27, comma 13, C.d.C. [36] Si veda, G. Taddei Elmi, Commento. Art. 27-27quater, in Codice del Consumo – Aggiornamento – Pratiche commerciali scorrette e azione collettiva, a cura di G. Vettori, Cedam, 2009, p. 125. [37] Direttiva 2005/29/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 maggio 2005 relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («Direttiva sulle pratiche commerciali sleali»). [38] Pertanto, il Giudice Civile può conoscere, nella veste atti di concorrenza sleale ed ai sensi dell’art. 2598 del Codice Civile, anche delle pratiche commerciali nella misura in cui si rivelino scorrette, ingannevoli o aggressive nell’ambito di un ordinario processo di cognizione (o cautelare, ai sensi dell’art. 700 C.P.C.) e su iniziativa di un soggetto legittimato alla relativa azione, il quale, ai sensi della disciplina sulla concorrenza sleale, è un soggetto che si trova necessariamente in posizione di concorrenza con il convenuto. Si ricordi che la disciplina processual-civilistica dei diritti di proprietà industriale e della concorrenza sleale c.d. interferente rientra nella competenza funzionale delle Sezioni specializzate in materia di impresa (prima Sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale, v. nota 1), di cui al D.Lgs. n. 168 del 2003. Sul punto si veda D. D’Ulisse, La tutela giurisdizionale amministrativa ed ordinaria e l’autodisciplina pubblicitaria, in A.M. Gambino, A. Stazi (a cura di), Rassegna Pratiche commerciali scorrette (2007 e primo semestre 2008), in Concorrenza e Mercato. Rassegna degli orientamenti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, a cura di G. Ghidini, B. Libonati, P. Marchetti (a cura di), 16/2008, p. 230. [39] Titolo III, rubricato “Pratiche commerciali, pubblicità e altre comunicazioni commerciali” (Parte II), articoli 18-27quater. [40] Cfr. G. De Cristofaro, Le pratiche commerciali scorrette nei rapporti fra professionisti e consumatori, in Le Nuove Leggi Civili Commentate, 5/2008, p. 1057; C. Granelli, Le “pratiche commerciali scorrette” tra imprese e consumatori: l’attuazione della Dir. 2005/29/CE modifica il Codice del Consumo, in Obbligazioni e Contatti, 2007, p. 778. [41] Così A. Liguori, La tutela giurisdizionale amministrativa ed ordinaria e l’autodisciplina pubblicitaria, in A.M. Gambino, V. Falce, A. Stazi (a cura di), Rassegna Pratiche commerciali scorrette (2008 e primo semestre 2009), in Concorrenza e Mercato. Rassegna degli orientamenti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, G. Ghidini, B. Libonati, P. Marchetti (a cura di), 17/2009, p. 278. [42] Cfr. G. Taddei Elmi, Commento. Art. 27-27quater, in Codice del Consumo – Aggiornamento – Pratiche commerciali scorrette e azione collettiva, G. Vettori (a cura di), Cedam, 2009, p. 125. Per la sussistenza della giurisdizione del Giudice Ordinario in materia di pubblicità ingannevole e comparativa v. Cass., S.U., 28 marzo 2006, ord. n. 7036. [43] Per ulteriori considerazioni v. G. Ghidini, Passo avanti sui diritti collettivi, in Il Sole-24 Ore, lunedì 21 dicembre 2009 – N. 351, p. 3; V. Falce, Brevi note in tema di pratiche commerciali scorrette, in Lineamenti giuridico-economici dell’azione di classe, A. M. Gambino e V. Falce (a cura di), Edizioni ART, Roma, 2010, p. 180; V. Falce, Pratiche commerciali scorrette e azione di classe, in Diritto Mercato Tecnologia, www.dimt.it, 2010, p. 1. [44] Pertanto, sarà compito dell’interprete individuare i rimedi sostanziali, mediante la lettura in combinato delle norme generali in materia di contratto e di responsabilità civile e delle norme del Codice del Consumo; come d’altra parte avviene anche in tema di rimedi civili per la violazione delle norme antitrust. Così, tra gli altri, G. Taddei Elmi, Commento. Art. 27-27quater, in Codice del Consumo – Aggiornamento – Pratiche commerciali scorrette e azione collettiva, G. Vettori (a cura di), Cedam, 2009, p. 126-134, che fornisce una panoramica dei vari rimedi civili esperibili dal consumatore. Per le possibili soluzioni prospettate dalla dottrina e le prime pronunce giurisprudenziali a disposizione si veda anche A. Liguori, La tutela giurisdizionale amministrativa ed ordinaria e l’autodisciplina pubblicitaria, in A.M. Gambino, V. Falce, A. Stazi (a cura di), Rassegna Pratiche commerciali scorrette (2008 e primo semestre 2009), in Concorrenza e Mercato. Rassegna degli orientamenti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, G. Ghidini, B. Libonati, P. Marchetti (a cura di), 17/2009, p. 278. Tra gli articoli del Codice Civile ritenuti, di volta in volta, applicabili vi sono: art. 1337; art. 1418, comma primo; art. 1434; art. 1439; art. 2043; art. 2056. [45] Le c.d. diffide, ex art. 15 della Legge n. 287 del 1990. [46] V. artt. 12 e 14 della Legge n. 287 del 1990. [47] V. art. 15 della Legge n. 287 del 1990. [48] Art. 14bis della Legge n. 287 del 1990. [49] Art. 14ter della Legge n. 287 del 1990. [50] Ai sensi dell’art. 33, primo comma, della legge del ‘90, come modificato dal D.Lgs. 2 luglio 2010 n. 104, «La tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo è disciplinata dal codice del processo amministrativo». [51] Art. 33, secondo comma, Legge n. 287 del 1990. Per approfondimenti v. M. Scuffi, Violazione delle norme antitrust e tutela di classe del consumatore, in Lineamenti giuridico-economici dell’azione di classe, A. M. Gambino e V. Falce (a cura di), Edizioni ART, Roma, 2010, p. 180. [52] Sulla molteplicità dei giudici competenti v. E. L. Camilli, Il contributo del giudice ordinario all’evoluzione del diritto antitrust: la giurisprudenza nel 2007 e nel primo semestre 2008, in Concorrenza e Mercato. Rassegna degli orientamenti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, G. Ghidini, B. Libonati, P. Marchetti (a cura di), 16/2008, p. 146. Sul private enforcement del diritto antitrust v. anche: V. Mangini – G. Olivieri, Diritto Antitrust, Giappichelli Editore, Terza edizione, Torino, 2009, p. 137; A. Vanzetti – V. Di Cataldo, Manuale di Diritto Industriale, sesta edizione, Giuffrè Editore, 2009, p. 641. [53] Art. 33, comma 2, legge n. 287 del 1990. [54] Art. 134 del D.Lgs. n. 30 del 2005 (Codice della Proprietà Industriale). [55] «Gli studiosi di diritto processuale spiegheranno se debba prevalere la specialità della materia oppure la specialità dello strumento processuale e del rito ad esso connesso per radicare l’azione di classe dinanzi al giudice delle questioni antitrust oppure davanti al giudice dell’azione di classe». Così, G. Alpa, L’art. 140bis del codice del consumo nella prospettiva del diritto privato, in Diritto Mercato Tecnologia, www.dimt.it, 2010, p. 3. [56] Cfr. E. L. Camilli, Il contributo del giudice ordinario all’evoluzione del diritto antitrust: la giurisprudenza nel 2007 e nel primo semestre 2008, in Concorrenza e Mercato. Rassegna degli orientamenti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, G. Ghidini, B. Libonati, P. Marchetti (a cura di), 16/2008, p. 148. [57] Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 9 dicembre 2002, n. 17475. [58] Il che è ancor più evidente nelle cause di modesto valore. [59] Sull’applicazione del diritto antitrust ad opera del Giudice Ordinario v., tra gli altri, E. L. Camilli, Il contributo del giudice ordinario all’evoluzione del diritto antitrust: la giurisprudenza nel 2007 e nel primo semestre 2008, in Concorrenza e Mercato. Rassegna degli orientamenti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, G. Ghidini, B. Libonati, P. Marchetti (a cura di), 16/2008, p. 143. [60]] Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 9 dicembre 2002, n. 17475. [61] Si vedano, oltre alla sentenza Cass. Civ., S.U., n. 2207/2005, le sentenze: Cass. Civ., Sez. III, n. 2305/2007; Cass. Civ., S.U., n. 13896/2007, Aurora Assicurazioni S.p.A. c. C., in Riv. Dir. Ind., 2/2008, p. 133; Cass. Civ., Sez. III, n. 6297/2008, Soc. Commercial Union Insurance c. P., in Resp. Civ. e Prev., 9/2008, p. 1914. [62] Il consumatore è l’acquirente finale del prodotto, il soggetto che «chiude la filiera che inizia con la produzione». [63] Si vedano il Libro Verde del 19 dicembre 2005 e il Libro Bianco del 2 aprile 2008 in materia di azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie, consultabili sul sito dell’Unione Europea: http://europa.eu/. Nel periodo dal 4.2.2011 al 30.4.2011 la Commissione europea ha svolto una consultazione pubblica in materia di collective redress – Towards a Coherent European Approach to Collective Redress – diretta a valutare l’opportunità di un intervento comunitario in tema di strumenti risarcitori collettivi: http://ec.europa.eu/competition/consultations/2011_collective_redress/. Per la risposta di Confindustria alla consultazione pubblica si veda: http://ec.europa.eu/competition/consultations/2011_collective_redress/confindustria_it.pdf. Strumenti di tutela collettivi ad hoc sono infatti attualmente allo studio della Direzione Generale Concorrenza e della Direzione Generale Salute e tutela dei consumatori. [64] Ovverosia di dissuasione delle imprese dalla commissione di illeciti. [65] Per approfondimenti, v. L. Navarra, L’azione collettiva risarcitoria e il diritto antitrust, in Lineamenti giuridico-economici dell’azione di classe, A. M. Gambino e V. Falce (a cura di), Edizioni ART, Roma, 2010, p. 166. [66] V. art. 2909 C.C. “Cosa giudicata”. [67] A titolo esemplificativo, v. Cass. Civ., Sez. Lav., 2 marzo 1987, n. 2205 e Cass. Civ., Sez. Lav., 13 aprile 2002, n. 5340. [68] Per un confronto tra le previsioni di cui al vecchio testo del 140bis – come introdotto ad opera della Legge 24 dicembre 2007 n. 244 (Legge finanziaria 2008) – e quanto statuito dal nuovo testo – come ridisegnato dall’art. 49 della Legge 23 luglio 2009 n. 99 (c.d. Legge Sviluppo) – si veda S. Ruperto, L’azione collettiva risarcitoria: osservazioni de iure condendo, in Giust. Civ., 11/2008, p. 501. [69] Ciò in un certo senso sembra “riequilibrare” la posizione dell’impresa convenuta nei confronti dei consumatori. Si noti che la precisazione relativa all’unicità del giudizio di classe è assente nel vecchio testo dell’articolo 140bis mai entrato in vigore. [70] V. art. 140bis, comma 14. Cfr. L. Tavormina, L’inibitoria collettiva a tutela dei consumatori. Mercato, concorrenza e deterrence, in Contratto e impresa. Dialoghi con la giurisprudenza civile e commerciale, F. Galgano (diretti da), 4-5/2009, p. 1001. [71] Cfr. I. Pagni, L’azione di classe del nuovo articolo 140bis: le situazioni soggettive tutelate, l’introduzione del giudizio e l’ammissibilità della domanda, in Riv. Dir. Civ., 4/2010, p. 367. [72] Sul sistema del doppio binario, adottato anche in relazione alle due diverse inibitorie in materia di pratiche commerciali scorrette – una amministrativa, esercitata dall’AGCM ai sensi dell’art 27 C.d.C., l’altra giurisdizionale, ex art. 140 C.d.C. – si veda L. Tavormina, L’inibitoria collettiva a tutela dei consumatori. Mercato, concorrenza e deterrence, in Contratto e impresa. Dialoghi con la giurisprudenza civile e commerciale, F. Galgano (diretti da), 4-5/2009, p. 995, che affronta la questione ricordando che le due inibitorie sono reputate tra loro perfettamente compatibili dal legislatore comunitario e che la coesistenza della stesse è ammessa da parte della dottrina e della giurisprudenza di legittimità anche alla luce di precedenti pronunce della Corte di Giustizia e del Consiglio di Stato, che hanno più volte negato il carattere giurisdizionale dell’AGCM. V. ad es. C. Giust. CE, 31 maggio 2005, causa C-53/03, in Il diritto dell’Unione Europea, 2006, 11, 2, p. 369, con nota di L. Raimondi; Cons. Stato, sez. VI, 23 aprile 2002 n. 2199, in Foro It., 3/2002, p. 482. [73] Inibitoria e sanzione amministrativa nel caso di Giudizio Amministrativo, condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni nel caso di Giudizio Ordinario. [74] Così, I. Pagni, L’azione di classe del nuovo articolo 140bis: le situazioni soggettive tutelate, l’introduzione del giudizio e l’ammissibilità della domanda, in Riv. Dir. Civ., 4/2010, p. 368. [75] Tale circostanza è confermata dalla stessa Corte di Cassazione, Sez. I, sentenza n. 3638 del 13 febbraio 2009, la quale ha affermato che gli accertamenti dell’Autorità indipendente rappresentano uno «strumento di prova privilegiato», cui potrebbe seguire un’inversione dell’onere probatorio. [76] Cfr. G. Taddei Elmi, Commento. Art. 27-27quater, in Codice del Consumo – Aggiornamento – Pratiche commerciali scorrette e azione collettiva, G. Vettori (a cura di), Cedam, 2009, p. 135. [77] Sul rapporto tra azione di classe e provvedimenti di un’altra autorità, l’AGCOM, si veda C. Magri – A. Stazi, Il punto di vista dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in Lineamenti giuridico-economici dell’azione di classe, A. M. Gambino e V. Falce (a cura di), Edizioni ART, Roma, 2010, p. 233. [78] Sul filtro della pronuncia di ammissibilità della domanda v. G. Ghidini, Passo avanti sui diritti collettivi, in Il Sole-24 Ore, lunedì 21 dicembre 2009 – N. 351, p. 3; G. Alpa, L’art. 140bis del Codice del Consumo nella prospettiva del diritto privato, in Diritto Mercato Tecnologia, www.dimt.it, 2010; V. Falce, Pratiche commerciali scorrette e azione di classe, in Diritto Mercato Tecnologia, www.dimt.it, 2010; I. Pagni, L’azione di classe del nuovo articolo 140bis: le situazioni soggettive tutelate, l’introduzione del giudizio e l’ammissibilità della domanda, in Riv. Dir. Civ., 4/2010, p. 349; L. Mantovani, La class action: profili applicativi e questioni processuali, in Notarilia, n. 2, anno IV, 2012, p. 11; Guida al diritto – Il Sole 24 Ore, La nuova class action, Sì al giudizio sospeso se l’Authority apre un’istruttoria, gennaio 2010, p. 62. [79] Cfr. V. Falce, Pratiche commerciali scorrette e azione di classe, in Diritto Mercato Tecnologia, www.dimt.it, 2010, p. 1. [80] Cambiamento che probabilmente, a tutela delle piccole e medie imprese, non è auspicabile. [81] Così G. Ghidini, Passo avanti sui diritti collettivi, in Il Sole-24 Ore, lunedì 21 dicembre 2009 – N. 351, p. 3.
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