di Giusella Finocchiaro e Laura Greco Sommario: 1. Premessa 2. Gli ostacoli; 2.1.…
Disciplina a tutela dei consumatori e dei minori per le applicazioni cd. in-app.
di Davide Mula
La San Jose District Federal Court il 31 marzo 2012 ha respinto l’istanza presentata dalla Apple – nel procedimento “In Re Apple in-App Purchase Litigation”, Case No. 5-11-CV-1758 EJD (N.D. Cal.; Mar. 31, 2012) – recante la richiesta di dichiarazione di estinzione della class action avviata da numerosi genitori nei suoi confronti per l’assenza di password nelle applicazioni cd. in-app.
In particolare la controversia prende le mosse da numerosi genitori che lasciavano utilizzare il loro I-pad o I-phone ai propri figli sicuri che questi ultimi non potessero accedere ad applicazioni a pagamento in quanto la Apple richiede una password per poter effettuare qualsiasi acquisto. I genitori non sapevano, tuttavia, che talune applicazioni – denominate appunto in-app -, la cui fruizione è inizialmente gratuita, offrono la possibilità di acquistare ulteriori funzioni del programma, o livelli in caso di videogiochi, senza richiedere alcun tipo di autorizzazione. Tali acquisti vengono poi normalmente addebitati sulla carta di credito collegata all’App Store.
L’applicazione maggiormente sotto accusa è il gioco “Villaggio dei Puffi” che utilizza un sistema di crediti virtuali, denominati «puffbacche», il cui valore è pari a 4.99$ per 50 puffbacche, attraverso i quali è possibile avere dei vantaggi nel gioco o comprare nuovi oggetti per abbellire il villaggio.
L’istanza di rigetto della class action era motivata dalla Apple evidenziando come avessero provveduto a modificare il sistema di acquisto, con l’introduzione della versione 4.3 del sistema operativo iOS, rilasciato nel marzo del 2011. Tuttavia, è stato evidenziato come il nuovo sistema abbia un impostazione predefinita, chiaramente modificabile, che consente nei 15 minuti successivi a un acquisto di effettuarne di ulteriori senza inserire nuovamente la password.
Il caso menzionato, di chiaro rilievo internazionale merita di essere analizzata alla luce della disciplina italiana.
La normativa di riferimento è quella in materia di pratiche commerciali di cui agli artt. 18 e seguenti del Codice del Consumo. In particolare, pare trovarsi in presenza di una pratica commerciale ingannevole così definita ai sensi degli artt. 21 e ss. atteso che al momento dell’acquisto a titolo gratuito dell’applicazione, in cui interviene il genitore attraverso la digitazione della password, non viene indicata la possibilità che per la fruizione del servizio sia richiesto il successivo impiego di risorse economiche senza la digitazione della password normalmente impiegata per l’acquisto di programmi attraverso l’App store.
Deve osservarsi, tuttavia, come la qualificazione di una pratica commerciale come ingannevole debba essere parametrata in relazione al consumatore medio [1]. Posto che un consumatore medio adulto ben si sarebbe potuto accorgere che l’applicazione sollecitava l’acquisto, non più a titolo gratuito, di crediti per impiegare l’applicazione stessa è opportuno soffermarsi sulla nozione di consumatore medio.
Come evidenziato dalla migliore dottrina economica e giuridica, i consumatori possono distinguersi in diverse categorie, in funzione dei differenti atti di acquisto: vi sono beni che vengono acquistati solo da soggetti esperti, spesso professionali; altri, la grande maggioranza, che possono essere acquistati da soggetti esperti e da altri inesperti; e vi sono, infine, dei beni che si rivolgono soprattutto a soggetti più facilmente influenzabili, quali gli anziani, gli ammalati o, come nel caso di specie, i bambini [2].
Di conseguenza, si è osservato come il criterio del consumatore medio dovrebbe piuttosto essere inteso in questo senso: nei casi in cui il prodotto sia diretto ad un consumatore tipico, di cui possono ricostruirsi le caratteristiche di istruzione e di attenzione, lo standard da applicare è quello del consumatore tipico e, quindi, ad esempio, ben diverso a seconda che il bene pubblicizzato sia una macchina industriale o un giocattolo; nel caso in cui il bene sia, invece, destinato ad essere acquistato da una gamma diversificata di soggetti, come avviene per la maggioranza dei beni, lo standard è quello generale del consumatore medio europeo.
Nello stesso senso si è espressa anche la giurisprudenza comunitaria che ha indicato come il consumatore medio debba essere determinato non solo in relazione al soggetto cui la pratica commerciale si rivolge, ma anche al costo del prodotto o servizio offerto [3].
D’altro canto, nel caso in cui la pratica commerciale, pur raggiungendo gruppi più ampi di consumatori, sia idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico solo di un gruppo di essi chiaramente individuabili, particolarmente vulnerabili dalla pratica o interessati al prodotto oggetto della stessa in virtù della loro infermità mentale o fisica, essa è valutata nell’ottica del membro medio di tale gruppo [4].
La fattispecie pare integrare, per altro, anche una delle condotte tipizzate come pratiche commerciali in ogni caso aggressive di cui all’art. 26 del Codice del Consumo atteso che l’applicazione reca un’esortazione diretta ai bambini affinché acquistino o convincano i genitori o altri adulti ad acquistare loro i prodotti reclamizzati [5].
Quanto alle modalità di tutela dei consumatori vittime delle applicazioni in-app, questi potranno rivolgersi all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per una tutela di tipo inibitorio ed al giudice ordinario per i danni patiti [6].
Nello specifico trova applicazione, altresì, la delibera 15 novembre 2006, 661/06/CONS [7] dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, volta alla predisposizione di misure di sicurezza a tutela dei minori da applicare sui terminali mobili di telefonia, tra i quali deve ovviamente essere ricompreso anche l’I-pad. Ai sensi di questa delibera gli operatori che offrono servizi multimediali, diffusi in tecnica digitale su frequenze terrestri o su reti di comunicazioni mobili e personali, destinati alla fruizione del pubblico tramite terminali mobili, il cui contenuto sia riservato ad un pubblico adulto o, comunque, in grado di nuocere allo sviluppo psichico e morale dei minori, sono tenuti ad adottare sistemi di protezione dei minori con il codice a controllo parentale.
Appare indubbio che la capacità di queste applicazioni di non far percepire il valore economico della condotta e l’istigazione, in alcuni casi, ad acquisire i crediti virtuali senza farne menzione ai propri genitori o addirittura mentendo possa incidere negativamente sullo sviluppo dei minori.
Al caso di specie può, dunque, applicarsi la delibera appena menzionata la quale prescrive, altresì, che il parental control dovrà risultare facilmente attivabile e disattivabile dall’utente tramite la digitazione sul proprio terminale di uno specifico codice segreto (pin), distinto da tutti gli altri codici utilizzati sul terminale stesso per altre funzioni.
L’inottemperanza di tali misure comporta la possibilità di essere sanzionati dall’Agcom.
Da ultimo si osservi come ai sensi della nuova direttiva consumatori 2011/83/UE [8] essendo le applicazioni in-app qualificabili come contenuto digitale [9] in futuro, prima del momento dell’acquisto, anche se a titolo gratuito, il professionista, in questo caso Apple, dovrà dare ai consumatori tutte le informazioni in ordine all’interoperabilità ed alla funzionalità dell’applicazione.
In particolare, con riferimento all’interoperabilità dovranno essere fornite le indicazioni relative all’ambiente tipo di hardware e software compatibile con il contenuto digitale, ad esempio il sistema operativo, la versione necessaria e talune caratteristiche dell’hardware, mentre per quanto attiene alla funzionalità dovranno essere comunicati i modi in cui il contenuto digitale può essere utilizzato, ad esempio per lo studio del comportamento dei consumatori [10].
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Note:
[1] Sulla nozione di consumatore si permetta di rinviare a D. Mula, A. Stazi, “Il consumatore, la pubblicità e le pratiche commerciali scorrette”, in Il Diritto dei Consumatori – Profili applicativi e strategie processuali, G. Cassano e M. E. Di Giandomenico (a cura di), CEDAM, 2010, tomo I, cap. II.
[2] M. Libertini, Clausola generale e disposizioni particolari nella disciplina delle pratiche commerciali scorrette, in Contratto e impresa, 2009 fasc. 1, pp. 73 – 119,
[3] Nella sentenza del Tribunale della Comunità Europea del 05.05.09, caso T449/07, si legge: inoltre, il livello di attenzione del consumatore medio può variare in funzione della categoria di prodotti o di servizi. Con riguardo a prodotti di consumo quotidiano, che si vendono a un prezzo relativamente basso, il livello di attenzione del consumatore medio quanto al loro aspetto esteriore è, conseguentemente, ridotto.
[4] Sul punto si veda anche C. Piazza, Dalla pubblicità ingannevole alle pratiche commerciali sleali. Tutela amministrativa e giurisdizionale, in Il Diritto dell’informazione e dell’informatica, 2008 fasc. 1, pp. 1 – 24.
[5] Ai sensi dell’art. 24 del Codice del Consumo si definisce una pratica commerciale aggressiva quella che fa ricorso alla forza fisica o all’indebito condizionamento con il presupposto dell’idoneità a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore. Gli elementi per determinare se una pratica comporta molestia o coercizione, ai sensi dell’art. 25, sono oltre alla valutazione sui tempi, sul luogo, la natura e la persistenza, lett. a), la minaccia fisica, verbale, contrattuale, legale, oltre che allo sfruttamento di una situazione tragica, lett. b), c), d) ed e).
[6] Sul punto si veda Cass., s.u., sent. n. 21934 del 29.08.08: La norma prevede quindi una tutela di tipo inibitorio, erogata da una autorità amministrativa, che adotta provvedimenti amministrativi soggetti ad impugnazione davanti al giudice amministrativo. Ed è espressamente fatta salva la giurisdizione del giudice ordinario in materia di concorrenza sleale e, per la pubblicità comparativa, in materia di atti compiuti in violazione della disciplina sul diritto d’autore, del marchio d’impresa protetto, delle denominazioni di origine e altri segni distintivi di imprese, beni e servizi concorrenti. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato non è quindi un organo giurisdizionale, ma una Autorità Amministrativa, sicché non si configura in radice questione di giurisdizione in relazione al giudizio in oggetto, promosso, davanti al giudice ordinario, da un consumatore, per conseguire il risarcimento del danno alla salute da alterazione psichica e stress conseguente al comportamento del cronista nella trasmissione televisiva, facendo valere come elemento costitutivo dell’illecito l’asserita pubblicizzazione di una rivista sportiva. Ed eguale conclusione vale in ordine alla ritenuta giurisdizione, in alternativa, dell’AGCOM, in considerazione della sua natura non di organo giurisdizionale, ma di Autorità Amministrativa.
[7] Delibera 661/06/CONS dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni: Articolo 1. 1.Gli operatori di comunicazioni che offrono servizi audiovisivi e multimediali, diffusi in tecnica digitale su frequenze terrestri o su reti di comunicazioni mobili e personali, destinati alla fruizione del pubblico tramite terminali mobili, il cui contenuto sia riservato ad un pubblico adulto o, comunque, possa nuocere allo sviluppo psichico e morale dei minori, devono adottare nelle offerte dei predetti servizi un sistema di protezione dei minori dall’accesso a tali contenuti avente un grado di sicurezza pari agli analoghi sistemi applicati alla diffusione di programmi radiotelevisivi ad accesso condizionato. 2.Gli operatori di cui al comma 1 devono offrire agli utenti dei servizi audiovisivi e multimediali riservati ad un pubblico adulto una modalità/funzione di parental control che consenta di inibire stabilmente l’accesso del minore, che usa occasionalmente o permanentemente il terminale mobile, ai contenuti di cui al comma precedente. La predetta funzione dovrà risultare facilmente attivabile/disattivabile dall’utente tramite la digitazione sul proprio terminale di uno specifico codice segreto (pin), distinto da tutti gli altri codici utilizzati sul terminale stesso per altre funzioni. Il codice dovrà essere comunicato con modalità riservate, corredato dalle avvertenze in merito alla responsabilità nell’utilizzo e nella custodia del medesimo, al contraente maggiorenne che stipula il contratto relativo alla fornitura del servizio. 3.Gli operatori di cui al comma 1 devono dare adeguata informazione della introduzione della funzione di parental control di cui al precedente comma 2 nella pubblicità dei propri servizi, diffusa con qualsiasi mezzo, nonché nelle descrizioni del servizio allegate ai moduli contrattuali o presenti sui propri siti web. La dichiarazione, da parte del fruitore del servizio, di aver ricevuto adeguata preventiva informazione circa la disponibilità della funzione di protezione deve essere oggetto di una specifica clausola contrattuale espressamente e separatamente firmata dall’utente/acquirente in sede di stipula del contratto di acquisto del servizio. 4.Gli operatori di cui al comma 1 devono conformare alle disposizioni del presente provvedimento i servizi ed i relativi contratti in essere alla data di entrata in vigore della presente delibera, prevedendo una adeguata informazione ai propri clienti e specifiche modalità di aggiornamento che consentano l’accertamento della consegna del codice (pin) di cui al precedente comma 2, al contraente maggiorenne del contratto. 5.Il mancato rispetto delle disposizioni di cui alla presente delibera comporta l’applicazione di quanto previsto dall’art. 1, comma 31 della legge 31 luglio 1997, n. 249.
[8] Direttiva 2011/83/UE del Parlamento Europeo d del Consiglio del 25 ottobre 2011 sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio.
[9] Direttiva 2011(83/UE, considerando n. 19: Per contenuto digitale s’intendono i dati prodotti e forniti in formato digitale, quali programmi informatici, applicazioni, giochi, musica, video o testi, indipendentemente dal fatto che l’accesso a tali dati avvenga tramite download, streaming, supporto materiale o tramite qualsiasi altro mezzo.
[10] Per un’analisi delle principali innovazioni apportate dalla direttiva 2011/83/UE si rinvia a A.M. Gambino, A. Stazi, con la collaborazione di D. Mula, Diritto dell’Informatica e della Comunicazione, Giappichelli, Torino, II edizione, p. 140.