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La tutela del consumatore e i pubblici poteri

Ciclo Seminariale Università Europea Di Roma - Jean Monnet

di Pietro Maria Paolucci

Relazione al Convegno “La Tutela del consumatore e i pubblici poteri” tenutosi il 15 aprile 2010 presso l’Università Europea di Roma, nel ciclo seminariale Jean Monnet dal titolo “La protezione del consumatore. I rimedi giudiziali e stragiudiziali tra diritto interno e diritto dell’Unione Europea”.
Ciclo seminariale Università Europea di Roma - Jean MonnetCertamente la partecipazione nei procedimenti dei cittadini/consumatori ha una valenza fondamentale ai fini dell’attuazione dei principi di efficienza e buon andamento della p.a. Attraverso la partecipazione dei singoli interessi si renderebbe possibile una decisione condivisa dalla collettività e, dunque, si tenderebbe ad evitare la fase patologica successiva al procedimento. Qualora poi si giungesse comunque al contenzioso, la svolta partecipazione renderebbe possibile una compiuta valutazione da parte del giudice. I singoli apporti confluiscono – anche quando non condivisi dalla p.a. procedente – nella motivazione, sì da rendere possibile l’esame della completezza dell’istruttoria e dell’iter procedurale. L’evoluzione del diritto amministrativo, a cui stiamo assistendo, è articolata. Si parla oggi di “global administrative law”, in cui la globalizzazione assume una valenza positiva, tesa cioè alla democratizzazione. La problematica del coinvolgimento dei cittadini/consumatori ha, inoltre, riflessi globali, dunque la disciplina a livello sovra-nazionale risulta necessaria poiché le azioni dei Governi finiscono perlopiù per avere ripercussioni al di fuori del singolo Stato. Si pensi alla problematica di recente esaminata dal Tar Lazio, relativamente alle emissioni di CO2. Da rilevare che l’attuazione del Protocollo di Kyoto ha portato alla individuazione delle quote di CO2 come beni, oggetto di un possibile scambio: a ciascuna impresa che produca inquinamento è assegnato un determinato numero di quote, oltrepassate le quali, essa è costretta ad acquistare le quote eccedenti. Tuttavia, la disciplina deve essere letta tenendo ben presenti le finalità espresse nella relativa direttiva comunitaria, poiché l’obiettivo finale è quello della riduzione complessiva delle emissioni di CO2 nell’arco temporale 2008/2012. L’aspetto più articolato di molte fattispecie esaminate – senza entrare nel merito – attiene proprio alla “europeizzazione” del procedimento amministrativo relativo all’assegnazione di quote. Si sono confrontate, infatti, l’esigenza di tutela dell’affidamento degli operatori economici in ordine ai dati comunicati a livello nazionale e la necessità di aspettare la definizione del procedimento di assegnazione attraverso i prescritti passaggi in sede europea. Altro dato degno di interesse è quello della complessità tecnica delle questioni sottoposte all’esame del giudice amministrativo. Nel processo amministrativo, infatti, sempre più spesso le questioni hanno un alto grado di specificità e tecnicità. Tale notazione assume rilievo ancor maggiore proprio oggi essendo stato approvato dal Consiglio dei Ministri lo schema di Codice della giustizia amministrativa che riordina ed innova il relativo processo, tra l’altro prevedendo una disciplina sistematica della consulenza tecnica. La dimensione costituzionale dei diritti dei consumatori ha ottenuto la sua definitiva consacrazione con la Carta di Nizza del dicembre 2000 e con l’approvazione della carta Europea (ottobre 2004) – com’è noto – subordinata alla ratifica di tutti i paesi membri. La Carta di Nizza – resa autonoma dal testo della Costituzionale come Carta europea dei diritti fondamentali – non è più solo un documento politico, bensì anche un documento giuridico. Negli ultimi dieci anni, poi, si è assistito ad un progressivo ampliamento dell’ambito della tutela risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione (P.A.). A partire dalla storica sentenza del 22 luglio 1999, n. 500, delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, sono stati numerosi gli interventi,sia sul piano regolamentare sia su quello giurisprudenziale, volti a consentire il ristoro del pregiudizio (eventualmente) subito dal privato a causa dell’illegittimità dell’azione amministrativa. Tale trend, se risponde certamente ad esigenze di giustizia sostanziale (distributiva), che impongono di assicurare adeguata tutela, anche sul versante risarcitorio, alle pretese dei singoli nei confronti dell’amministrazione, desta perplessità laddove (come pure sembra doversi desumere) le finalità siano (anche) quelle di migliorare l’efficienza del settore pubblico e la qualità dei servizi resi ai cittadini, attraverso l’efficacia deterrente del rimedio ex post. Ovvio che con le relazioni del presente convegno si tenterà di svolgere alcune riflessioni relative alle condizioni al ricorrere delle quali l’introduzione di rimedi ex post (individuali o collettivi) possano efficacemente perseguire tali (ulteriori) finalità. I risultati raggiunti dalla letteratura economica mostrano come la tutela giurisdizionale (in particolare, risarcitoria) non sia da sola sufficiente ad arginare le disfunzioni dell’apparato amministrativo e a promuoverne l’efficienza, dovendo essa necessariamente accompagnarsi a riforme di carattere strutturale e organizzativo che incentivino ex ante l’adozione di pratiche virtuose da parte degli uffici pubblici. Infatti, l’azione risarcitoria (specie se collettiva) può determinare effetti distorsivi, legati al fatto che gli obiettivi tradizionalmente sottesi all’istituto della responsabilità civile, come elaborati dalle teorie di Law & Economics, non sembrano, in linea generale, trovare piena rispondenza nel caso della P.A. In particolare, poiché l’azione amministrativa non ha obiettivi di conseguimento del profitto (almeno come tradizionalmente inteso), può risultare attenuata la portata deterrente del risarcimento. Inoltre, in presenza di illeciti diffusi, il costo del risarcimento imposto alla P.A. finirebbe, comunque, per gravare sui cittadini, sotto forma di maggiori tasse o di minori erogazioni, piuttosto che sul bilancio dell’ente responsabile. Sicché anche la finalità di neutralizzazione dell’evento per i danneggiati resterebbe in parte frustrata, posto che anch’essi sopporterebbero pro rata il costo pubblico del risarcimento. Quest’ultimo aspetto assume particolare rilevanza proprio in presenza di strumenti di azione risarcitoria collettiva, ove l’entità dell’esposizione della P.A. rispetto a condotte plurioffensive, potrebbe avere significativi impatti sui bilanci dello Stato o delle amministrazioni locali, sì da ridurre i benefici del risarcimento. Sotto altro profilo, una forte accentuazione della responsabilità civile del dipendente pubblico, se da un lato può costituire uno stimolo verso un più efficiente svolgimento delle funzioni pubbliche, dall’altro può addirittura scoraggiare condotte virtuose, potendo generare (ove non controbilanciata dall’introduzione di un sistema di premi sufficientemente generoso) eccessi di deterrenza dettati dal timore delle conseguenti responsabilità. Essa, inoltre, rischia di rimanere lettera morta a fronte di ritardi e disservizi direttamente riconducibili a disfunzioni di natura organizzativa, non imputabili come tali al singolo operatore (o comunque idonei ad affievolirne il coinvolgimento). Anche e proprio in ragione dei limiti di un sistema di incentivi basato esclusivamente su rimedi di natura ex post, un recente filone di letteratura, sviluppando – seppur in chiave critica – alcune premesse del c.d. New Public Management (NPM), sottolinea l’esigenza di rafforzare la tutela ex ante degli interessi dei cittadini, ridefinendo il ruolo della P.A. nei confronti di questi ultimi, favorendone l’acquisizione di un atteggiamento non più passivo, ma attivo e partecipativo rispetto alla organizzazione e alla fornitura di servizi pubblici. Si auspica, in particolare: i) l’introduzione di adeguati meccanismi di voice e di estesi poteri informativi a favore dei consumatori/utenti della prestazione amministrativa; ii) l’orientamento ai risultati (anche attraverso l’introduzione di incentivi correlati alla performance); iii) l’acquisizione di livelli di adeguata professionalità da parte dei dipendenti pubblici; iv) un monitoraggio costante dell’attività, con controlli di qualità affidati ad organismi esterni o agenzie indipendenti (il cui funzionamento preveda il coinvolgimento dei cittadini); v) la creazione di sistemi di denuncia e di segnalazione prodromici all’adozione di meccanismi correttivi in caso di disservizi; vi) l’ampio ricorso all’e-government. In Italia, il rafforzamento della tutela risarcitoria nei confronti della P.A. non sembra andare di pari passo rispetto a riforme di tipo strutturale e organizzativo, sufficientemente orientate al perseguimento ex ante dell’adozione di pratiche virtuose da parte degli uffici pubblici. Ciò induce a valutare con cautela l’adeguatezza delle misure risarcitorie di recente proposte rispetto agli obiettivi di efficienza loro (esplicitamente) sottesi. Questo a prescindere, poi, dall’impatto che simili rimedi potrebbero avere sui conti pubblici, considerate le inefficienze che affliggono la nostra P.A.; nonché dall’aggravio di carico che essi potrebbero determinare per l’apparato giurisdizionale, in un contesto come quello italiano, caratterizzato da elevata litigiosità, con rischio di ulteriore ingolfamento e paralisi. Infatti, nonostante le riforme realizzate dal legislatore italiano negli ultimi quindici anni abbiano introdotto misure sempre più orientate ad una gestione per risultati mancano ancora significativi interventi sul piano dei modelli organizzativi, dei controlli della prestazione e della ridefinizione (in termini di reciproca cooperazione) dei rapporti con i cittadini-utenti. Né appaiono dirimenti, in tal senso, le modifiche (di recente) che – seppure ispirate a logiche di maggiore efficienza hanno principalmente interessato le regole sulle assenze per malattia e la riduzione dei permessi sindacali e dei distacchi, eludendo (di fatto) gli aspetti sostanziali del problema. Un complessivo riordino del pubblico impiego attraverso (tra l’altro): l’introduzione di sistemi interni ed esterni di valutazione del personale e delle strutture amministrative, finalizzati ad assicurare l’offerta di servizi conformi agli standard internazionali di qualità; l’individuazione di indicatori di produttività correlati al rendimento individuale e al risultato conseguito dalle strutture; la previsione di forme di pubblicità e trasparenza degli indicatori e delle valutazioni; la riforma della dirigenza pubblica, con specifico riferimento ai meccanismi di selezione, ai compiti e alle responsabilità; il coinvolgimento attivo dei cittadini, (anche) attraverso l’istituzione di meccanismi di denuncia e di segnalazione, finalizzati all’individuazione di disservizi. Inoltre, dispone l’introduzione, per i casi (ad esempio) di violazione di standard qualitativi ed economici che comportino la lesione di interessi giuridicamente rilevanti per una pluralità di utenti o consumatori, di un’azione, individuale e collettiva, nei confronti della P.A. svincolata da un’ottica risarcitoria, che comporti: i) l’adeguata pubblicità del procedimento; ii) l’avvio delle procedure relative all’accertamento di eventuali responsabilità dirigenziali; iii) nei casi più gravi, il commissariamento della struttura. Nonostante la valorizzazione della tutela ex ante dei cittadini e la condivisibilità di numerose misure, volte ad allinearci a quanto già realizzato con successo in altri ordinamenti europei, non mancano ancora una volta aspetti di criticità. Si tratta, in primo luogo, di disposizioni di delega legislativa che, al di là delle dichiarazioni di principio, dovranno in ogni caso scontare la concreta attuazione che sarà loro data dai decreti governativi. Inoltre, vi è il rischio di introdurre una forte parcellizzazione tra i vari comparti della P.A., applicandosi numerose norme al solo sistema delle amministrazioni centrali: il che contraddice la stessa volontà dichiaratamente espressa di elevare gli standard di servizio ai cittadini utenti, dato che la maggior parte dei servizi sono erogati dalle amministrazioni locali. Ancora, la questione dell’aumento della produttività delle P.A. e della qualità del servizio da esse offerto sembra principalmente affrontata in relazione alle performance individuali, a discapito della (pure prevista) revisione dei modelli organizzativi, necessaria per una amministrazione moderna. Infine, non sembra adeguatamente esplorato l’aspetto delle politiche di formazione e degli incentivi all’acquisizione di più elevati livelli di professionalità da parte dei dipendenti pubblici, che pure sembrano giocare tanta parte nel miglioramento dei servizi all’utenza. Se l’obiettivo è una maggiore efficacia dell’azione amministrativa, tali profili dovranno essere affrontati. Miglioramenti significativi potranno (in buona misura) discendere da interventi sinergici che, incidendo sull’efficienza ex ante, permettano di non rendere il ricorso al rimedio risarcitorio la regola, restituendogli la sua (naturale) connotazione residuale. In ambito internazionale i mezzi tradizionali di risoluzione delle controversie (commerciali) – che coinvolgono sia i privati che le PP.AA. – si trovano nel contesto del Dispute Settlement Body del World Trade Organization; questo è un sistema di risoluzione delle controversie generale, riconosciuto dagli Stati membri del WTO, i quali hanno accettato volontariamente di sottoporre le liti commerciali alla sua giurisdizione. Accanto a questo, esistono mezzi alternativi alla giurisdizione del DSB derivanti da accordi tra privati (o fra Stati), in quanto nulla vieta a tali soggetti di ricorrere a rimedi specifici e alternativi che hanno efficacia solo nei rapporti tra le parti e solo nel caso specifico (arbitrato e mediazione), a condizione che la soluzione trovata non contrasti con gli obblighi internazionali degli Stati stessi. Va ricordata poi la terza opzione tra mezzi tradizionali ed alternative “classiche , per la risoluzione alternativa delle controversie commerciali internazionali, i cd ADR, acronimo dall’inglese Alternative Dispute Resolution; a tal fine si evidenziano tre casi di sistemi, già realizzati od ancora in fieri: si tratta di quelli previsti nella regione del Mediterraneo (in via di costituzione), con la Cina (esistente), con il Pakistan (in via di costituzione); inoltre esiste il parallelo “Progetto Mediterraneo” della Camera Arbitrale di Milano. 1.Mezzi tradizionali di risoluzione delle controversie derivanti da accordi internazionali multilaterali Le dispute commerciali internazionali tra Stati appartenenti al WTO vengono risolte normalmente ricorrendo al Dispute Settlement Body. La procedura prevede innanzitutto le consultazioni tra gli Stati interessati per la composizione della controversia; in seguito si può costituire un panel la cui relazione può venire rifiutata dal DSB solo se vi è il consenso di tutti i membri (prima bastava anche solo la contrarietà di un membro per bloccare la decisione del panel e questo rappresenta la novità più importante dopo l’Uruguay Round che ha dato al sistema credibilità e funzionalità). Parimenti vi è un secondo grado di appello. Al paese giudicato soccombente può essere richiesto di rimuovere o modificare la misura ritenuta incompatibile con il diritto commerciale internazionale oppure di fornire compensazioni agli altri membri. Se il paese soccombente non si conforma, gli altri membri possono chiedere l’applicazione di contromisure o ritorsioni. Questa procedura regolamentata ha il vantaggio di essere funzionale e di preservare la certezza del diritto commerciale internazionale a livello globale; sicuramente non è un sistema rapido, ma nel contesto internazionale rappresenta un rimedio sicuro e internazionalmente riconosciuto. Le decisioni del DSB hanno efficacia generale per tutti gli Stati membri del WTO (non solo per le parti in causa) e all’interno degli Stati, nei rapporti tra imprese e cittadini. 2. Mezzi alternativi derivanti da accordi tra privati/imprese (arbitrato e mediazione). Arbitrato WTO. E’ consuetudine comune che Stati, imprese e privati cittadini da sempre, regolando le loro relazioni commerciali, prevedano anche metodi alternativi di risoluzione delle controversie (arbitrato, mediazione). Questi sono strumenti essenziali nella prevenzione e risoluzione di dispute commerciali internazionali: sono generalmente più rapidi delle procedure ordinarie ma esauriscono i loro effetti esclusivamente tra le parti in causa e per il caso specifico. Nell’ambito del commercio internazionale lo strumento più efficace è appunto l’arbitrato: accanto alla risoluzione formale delle controversie commerciali, lo stesso sistema del WTO prevede la possibilità di ricorrere a procedure alternative, come l’arbitrato. 3. Sistemi per la risoluzione alternativa delle controversie (cd ADR) L’innovazione sta nel sistematizzare l’arbitrato per renderlo accessibile anche a piccole e medie imprese; gli operatori che decidono di avvalersi dell’arbitrato si impegnano, generalmente e preferibilmente nella fase contrattuale, a deferire la risoluzione delle controversie che dovessero insorgere al giudizio di uno o più arbitri – escludendo così il ricorso ad un giudice statuale – che decideranno applicando la legge che le parti stesse hanno indicato. Il sistema ADR è generalmente più a buon mercato di una triade arbitrale, più rapido ed accessibile. i) ADR UE-Area Euromed (in via di costituzione) Il Bacino del Mediterraneo rappresenta un’area di primaria importanza per l’Unione Europea, e per ciò la UE -attraverso l’istituzione di una partnership euro-mediterranea che coinvolge gli stati EU e i 10 Paesi del Bacino Mediterraneo (Autorità Nazionale Palestinese, Algeria, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Marocco, Siria, Tunisia, Turchia)- ha reso da tempo l’Area Mediterranea oggetto di una specifica strategia di cooperazione volta a rendere tale parte del mondo prospera, stabile e sicura nella prospettiva della creazione di una Zona di Libero Scambio (c.d. Euro-Mediterranean Free Trade Area). Gli scambi commerciali euro-mediterranei, già oggi intensi sono, dunque, destinati a crescere e con essi aumenterà anche l’esigenza di poter far fronte a controversie commerciali con strumenti di giustizia alternativa alla giurisdizione statuale. Nel 2005 la Commissione europea ha a tal fine finanziato il progetto triennale ADR MEDA, teso a promuovere gli investimenti stranieri e il commercio internazionale tra le due sponde del Mediterraneo, attraverso il potenziamento delle procedure di risoluzione alternativa delle controversie nei 10 paesi MEDA.. ii) “Progetto Mediterraneo” ADR Italia-Area Euromed In questo contesto si può inserire l’iniziativa della Camera Arbitrale Nazionale e Internazionale di Milano, la quale si è fatta promotrice del “Progetto Mediterraneo” cioè fornire, attraverso l’arbitrato amministrato, un mezzo di risoluzione delle controversie commerciali. L’attività d’amministrazione degli arbitrisi svolge applicando all’intero procedimento, dal deposito alla decisione, il Regolamento Arbitrale, disponibile in italiano, francese, inglese e arabo. Le parti sono libere di scegliere la sede dell’arbitrato, la lingua, il diritto applicabile e di nominare gli arbitri, e stabilire il numero e le modalità di nomina. Tutte le nomine provenienti dalle parti o da soggetti terzi vengono confermate dal Consiglio Arbitrale che verifica la dichiarazione di indipendenza richiesta agli arbitri al momento della loro accettazione, per una maggiore garanzia della loro neutralità. La Camera Arbitrale garantisce inoltre che il lodo (la sentenza pronunciata dal collegio arbitrale) venga depositato entro sei mesi dalla prima udienza di costituzione ed eventuali proroghe vengono concesse dal Consiglio Arbitrale su motivata richiesta e solo dopo aver sentito le parti in merito. iii) ADR Italia-Cina (esistente) Altra analoga iniziativa, questa volta indirizzata ai rapporti commerciali bilaterali tra Italia e Cina, nata dalla collaborazione del settore pubblico e privato è la creazione dell’ICBMC – Italy-China Business Mediation Center, il primo centro dedicato a controversie transfrontaliere tra Italia e Cina, nato a seguito dell’accordo stipulato il 7 dicembre 2004, durante la missione del presidente Ciampi in Cina. La Camera Arbitrale di Milano, la Camera di Commercio Italo-Cinese e il Mediation Center del China Council for the Promotion of International Trade- Mediation Center (CCPIT), hanno definito le Regole Operative dell’ICBMC. La lentezza, i costi e le ovvie difficoltà connesse ad un procedimento giudiziale in un paese come la Cina rendono, infatti, particolarmente appetibile, per entrambe le parti, l’utilizzo di uno strumento agile ed economico che consenta alle parti di poter dialogare e negoziare in modo efficace, raggiungendo così accordi soddisfacenti per tutti. Come funziona il sistema di conciliazione  dell’ICBMC Il sistema di conciliazione è offerto a imprese cinesi e italiane ed è volontario, informale, confidenziale, veloce, efficace e economico (i costi sono noti già alle parti già all’inizio della procedura). Per avviare un procedimento ciascuna parte può rivolgersi al proprio centro di riferimento nazionale (Servizio di conciliazione della Camera Arbitrale di Milano per l’Italia, Mediation Center del CCPIT per la Cina). Sono poi i funzionari italiani e cinesi di ICBMC a contattare l’altra parte, istruire il procedimento di conciliazione e procedere all’organizzazione dell’incontro in uno dei due paesi. Le parti scelgono il conciliatore (o un team composto da due conciliatori, uno italiano ed uno cinese), dall’elenco predisposto dall’ICBMC composto da professionisti italiani e cinesi, tutti formati ed esperti nella gestione dei conflitti. Se le parti non raggiungono un accordo il conciliatore verrà designato dal Centro. Il Centro può procedere alla nomina anche su espressa autorizzazione scritta dalle parti. Gli incontri di conciliazione possono svolgersi a Pechino o a Milano, come concordato fra le parti. Le lingue da utilizzare durante il procedimento sono il cinese, l’italiano e/o l’inglese. Qualora, attraverso la conciliazione, le parti convengano sui termini di risoluzione della controversia, esse, con l’eventuale assistenza del conciliatore, redigono un accordo e lo sottoscrivono. Già nei primi tre mesi sono state depositate 10 domande di conciliazione (6 da parte di imprese italiane, 4 da parte di imprese cinesi). Il tempo medio di gestione delle procedure è di 30 giorni, l’80% dei casi vengono risolti. iv) ADR Italia-Pakistan (in via di costituzione) Il MISE sta avviando, con l’appoggio tecnico delle Camere Arbitrali di Milano e di  Roma, un progetto di risoluzione alternativa delle controversie commerciali nell’ambito delle relazioni bilaterali Italia-Pakistan: è già stata istituita una Commissione mista italo-pakistana, la quale è stata a sua volta articolata in 5 Joint Committees: commercio, agricoltura, infrastrutture ed energia, information technology e risoluzione delle controversie; quest’ultimo sottocomitato sta studiando varie ipotesi per creare un meccanismo ADR. In particolare è in programma la predisposizione di un regolamento d’arbitrato che le due parti adotteranno; inoltre, alla base vi è l’idea di creare un organo misto italo-pakistano per risoluzione delle controversie simile a quello dell’ICBMC(il fatto che in Pakistan non esistano o per lo meno non siano conosciuti centri di mediazione o arbitrato che possano affiancare quelli italiani nella costituzione di un centro autonomo complica le cose). Per quanto esposto, in un contesto internazionale gli operatori hanno l’esigenza di poter contare su un efficiente strumento che consenta di poter affrontare in maniera calcolata il rischio di controversie e di poter far riferimento ad un organo giudicante neutrale. Il rischio di contenzioso ed il carattere di incertezza di tempi e costi che ad esso si accompagna pesa infatti notevolmente nelle scelte imprenditoriali. Ciò non solo in un contesto nazionale, ma appunto soprattutto in un contesto internazionale ove si aggiunge anche il problema di dover confrontarsi con ordinamenti non conosciuti ed in alcuni casi espressione di modelli culturali lontani da quelli di provenienza. Tali controversie pongono infatti l’imprenditore di fronte ad una serie di problematiche: la scarsa conoscenza degli ordinamenti di Paesi diversi dal proprio, la diversa legislazione in materia di giustizia rispetto alle norme UE, la difficoltà di affidarsi a professionisti stranieri: gli strumenti ADR possono aiutare l’imprenditore a far fronte a questi problemi, poiché  consentono di superare le differenze tra i sistemi giuridici. Inoltre, sono preferibili perché permettono di arrivare ad una composizione della lite in tempi ben più rapidi rispetto a quelli delle giurisdizioni statali Per esempio nel caso italiano, proprio la scarsa rapidità, o meglio la lentezza, del nostro sistema giudiziario, confonde gli imprenditori per via dell’imponderabilità dei costi che affronteranno per effetto dei ritardi della giustizia civile. Da anni ormai c’è un dibattito sulle diseconomie prodotte da tale disfunzione del sistema giudiziario; è difficile la stima delle spese sostenute dalle imprese a causa dell’eccessiva durata dei processi civili, così come la misurazione della perdita di ricchezza economica, ma vi sono dei costi che ricadono sul sistema economico e che hanno fino per far disaffezionare gli imprenditori Gli ADR per la loro flessibilità e capacità di modellarsi in relazione alle caratteristiche della controversia nonchè dei soggetti coinvolti, rivestono una fondamentale importanza in contesti internazionali, in cui far l’altro i rapporti giuridici risultano generalmente connotati da un livello di complessità più elevato che nei rapporti giuridici interni ad uno stato. Infine soddisfano il requisito della neutralità poiché non appartengono all’ordinamento giudiziario statuale di nessuna delle parti coinvolte nel contenzioso. Gli scambi commerciali euro-mediterranei, già oggi intensi, sono destinati a crescere e con essi aumenterà anche l’esigenza di poter far fronte alle controversie commerciali che fisiologicamente nasceranno. Il progetto di promuovere un sistema di arbitrato commerciale internazionale e altri rimedi ADR nei paesi del Mediterraneo nel contesto del programma MEDA, il principale strumento finanziario dell’Unione Europea per realizzare il partenariato a livello politico ed economico con i paesi del Nord Africa e Medio Oriente, non è ancora giunto a termine. Benvenuto, dunque, al sistema alternativo di prevenzione delle controversie ADR Italia-Area Euromed che è reso possibile dal “Progetto Mediterraneo” della Camera Arbitrale di Milano. Questa nuova realtà offrirà alle nostre imprese la possibilità di usufruire di un servizio di risoluzione delle controversie alternativo alla giustizia ordinaria, rapido, economico e riservato, in paesi Algeria, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Marocco, Palestina, Siria, Tunisia e Turchia) che rappresentano una grande opportunità per il nostro commercio estero.
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