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Il danno non patrimoniale (esistenziale) e i servizi di telefonia. Riflessioni alla luce delle S.U. n. 26972/2008

Danno Esistenziale

di Davide Mula

Danno esistenziale1. I profili principali della decisione della Corte d’Appello Nella sentenza in commento la Corte d’Appello di Genova ha ritenuto motivata la decisione di primo grado nei suoi elementi essenziali, riformando esclusivamente la determinazione del quantum debeatur. La sussistenza di un danno cagionato da Telecom all’Avv. A. discende da un’attenta analisi del fatto nel quale la Corte ha rilevato come il comportamento della convenuta, che rimandava la voltura dell’utenza telefonica, senza dare ad A. spiegazione del ritardo, pretendendo, ciononostante, il pagamento delle bollette emesse anche dopo l’invio della documentazione richiesta per la volturazione, e, soprattutto, non consentendo ad A. l’individuazione di un interlocutore unico che si occupasse della pratica, abbia di fatto comportato un turbamento della vita relazionale e quotidiana dell’utente. Tale atteggiamento spiega infatti la Corte ha causato di fatto un danno ad A., posto che lo stesso ha dovuto, ripetutamente, cercare un canale di comunicazione con Telecom, senza ottenere alcun risultato, se non quando l’atto di citazione è stato notificato. Riprova di ciè è stata la dichiarazione, del Tribunale di primo grado, della cessazione della materia del contendere con riferimento alle operazioni di voltura, in quanto avvenute prima che avesse inizio il processo. Il danno non è stato di natura patrimoniale, posto che il distacco della linea telefonica si è limitato a 48 ore e che A. ha potuto usufruire di altra utenza telefonica, ma è un c.d. danno esistenziale che gode di un particolare regime probatorio influente sulla determinazione del quantum debeatur. 2. Il danno esistenziale Per motivare la ritenuta sussistenza del danno esistenziale, la Corte richiama, in sentenza, la decisione della Corte di cassazione del 2000 n. 7713 (1), nella quale, per la prima volta, è stata data una compiuta definizione di questa specie di danno. In suddetta pronuncia la Suprema Corte aveva delineato il danno esistenziale come un danno che: i) viola il diritto alla qualità della vita in modo permanente, ii) è conseguenza di un fatto illecito ex art. 2043 (2), c.c., iii) non ha carattere patrimoniale (3). Il danno esistenziale viene, quindi, a connotarsi come la lesione ingiusta di un interesse costituzionalmente rilevante, tanto per espressa menzione, quanto per copertura interpretativa, afferente alla persona e risarcibile nelle sue conseguenze non patrimoniali (4). L’introduzione giurisprudenziale di questa forma di danno avviene a partire dai primi anni ’90 attraverso una progressiva distinzione dalle altre forme di danno non patrimoniale; in particolare, dal danno biologico, il cui fondamento è rinvenibile nel combinato disposto ex artt. 2043 e 2059 (5) c.c. e art. 32 Cost., che si configura in caso di lesione dell’integrità psicofisica, e dal danno morale soggettivo, il cui fondamento è rinvenibile nell’art. 2059 c.c. e dal suo rinvio all’art. 185 c.p. che si connota per il patimento, intimo e privato, del soggetto leso. Sul tema, la Corte di cassazione a Sezioni Unite nella pronuncia dell’11 novembre 2008, n. 26972, ha evidenziato come il risarcimento del danno patrimoniale da fatto illecito sia connotato da atipicità, postulando l’ingiustizia del danno di cui all’art. 2043 c.c., di contro quello del danno non patrimoniale sia connotato da tipicità, perché tale danno è risarcibile solo nei casi determinati dalla legge e nei casi in cui sia cagionato da un evento di danno consistente nella lesione di specifici diritti inviolabili della persona (6). Tuttavia, pare si tratti, in realtà, di una tipicità atipica, in quanto il rimando ermeneutico agli artt. 2 e 3 della Costituzione, da interpretarsi in chiave dinamica, comporta il delinearsi di una fonte di diritti non tassativamente elencati e, quindi, appartenenti ad una categoria atipica (7). La previsione, da parte della giurisprudenza, della figura del danno esistenziale aveva portato ad assicurare la tutela di tutti i diritti inerenti la persona umana, che, in precedenza, non potevano essere ricompresi nella sfera del danno biologico. Il danno esistenziale, come già evidenziato, non è ancorato ad una lesione della capacità reddituale o ad una diminuzione del patrimonio, né risulta in qualche modo legato al danno morale soggettivo, il quale attiene, invero, ad una sfera intima del soggetto. È, piuttosto, un danno che colpisce la sfera esteriore del soggetto e per questo definito esistenziale pregiudicandone il “fare areddituale”, alterando, ad esempio, le abitudini di vita, gli assetti relazionali con gli altri consociati, in altri termini, stravolgendo la quotidianità dell’individuo e del suo modo di essere verso l’esterno. Viene, dunque, ad essere oggetto di tutela il relazionarsi dell’individuo con i suoi consociati o, rectius, il patimento subito per non poter più relazionarsi nel modo consolidato a causa di un soggetto terzo. In forza della ritenuta tipicità del danno non patrimoniale, sopra richiamata, il Supremo Collegio ha evidenziato che questo ha una sua veste unitaria, non risultando in alcun modo legittime, o legittimabili, le etichette attribuite da dottrina e giurisprudenza alle varie forme che questo può assumere, nonostante, le stesse, siano molteplici. È stato, per tanto, dichiarato a riguardo che “Il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno” e ancora che questi “Possono costituire solo “voci” del danno biologico nel suo aspetto dinamico, nel quale, per consolidata opinione, è ormai assorbito il c.d. danno alla vita di relazione, i pregiudizi di tipo esistenziale concernenti aspetti relazionali della vita, conseguenti a lesioni dell’integrità psicofisica, sicché darebbe luogo a duplicazione la loro distinta riparazione”. Aggiunge, ancora, la Cassazione che il danno esistenziale era stato creato al fine di colmare i vuoti normativi di tutela della persona costituzionalmente riconosciuta e che, allo stato attuale, tali lacune non sarebbero più rinvenibili. Non si comprende, tuttavia, ove questa affermazione possa trovare fondamento; infatti, non essendo intervenuto, a tutt’oggi, il legislatore sul punto, se la figura del danno esistenziale ha supplito dei vuoti non successivamente colmati da interventi del legislatore, allora la sua permanenza nell’ordinamento è ancora necessaria, in caso contrario i vuoti non sarebbero stati rinvenibili ab origine. Quanto all’oggetto della lesione, i giudici di legittimità hanno statuito che per sussistere il diritto al risarcimento l’ingiustizia patita deve essere costituzionalmente qualificata, in altri termini, qualora non sia riscontrabile una lesione di diritti costituzionalmente inviolabili della persona non è data tutela risarcitoria. Si sottolinea inoltre che “la tutela non è ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico, ma, in virtù dell’apertura dell’art. 2, Cost., ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito all’interprete rinvenire nel complessivo sistema costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti per l’ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana”. Tale orientamento era già stato sancito dalla Cassazione nelle sentenze n. 8827 e n. 8828/2003 (8). In esse era stata richiamata la necessità di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. in quanto unico riferimento positivo disciplinante il danno non patrimoniale, volta a riconoscere una tutela risarcitoria a questa forma di danno, oltre che nei casi esplicitamente determinati dalla legge, anche nel caso di lesione di specifici diritti inviolabili della persona. Questa operazione ermeneutica risulta legittimata dalla considerazione che non deve essere presupposta la qualificabilità del fatto illecito lesivo come reato, ex art. 2059 c.c., giacché il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno non patrimoniale ben può essere riferito, a seguito dell’entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni in essa contenute, ove si consideri che il riconoscimento dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi implicita natura economica, comporta una necessaria tutela degli stessi, e, in tal modo, configura ulteriori casi determinati dalla legge, di rango più elevato, di riparazione del danno non patrimoniale. Il diritto al risarcimento potrà, così, essere riconosciuto se il pregiudizio sia conseguenza della lesione almeno di un interesse giuridicamente protetto, desunto dall’ordinamento positivo, ivi comprese le convenzioni internazionali, sempre che la lesione abbia il connotato dell’ingiustizia, così come delineato dall’art. 2043 c.c. Al fine di superare tale limitazione, parte della dottrina (9) sostiene che la rilevanza costituzionale debba essere rinvenibile non nell’interesse leso, bensì nel pregiudizio sofferto. In altri termini, si sostiene che, venendo ad essere danneggiato l’agire areddituale-sociale, tutelato ai sensi dell’art. 2 Cost.; non vi è alcuna necessità di indagare circa la natura dell’interesse leso, posto che la lesione è di per sé contra ius. In tal guisa, tuttavia, la Suprema Corte ha osservato che vengono a confondersi il piano della lesione con quello dell’ingiustizia, la quale deve essere sempre dimostrata. Altro orientamento (10), invece, ritiene che il danno esistenziale non si configuri nella sola lesione di un bene costituzionalmente protetto, ma che possa discendere anche dalla lesione di qualsiasi bene giuridicamente rilevante per l’ordinamento. Osservano le Sezioni Unite come questa tesi riconduca, erroneamente, il danno non patrimoniale nell’alveo dell’art. 2043 c.c., ove il diritto al risarcimento sussiste in presenza della lesione di un qualsiasi interesse, contraddicendo, in tal guisa, l’affermato principio della tipicità del danno non patrimoniale. Sul punto i giudici di legittimità non paiono, tuttavia, fornire una chiara rappresentazione, posto il richiamo, nella medesima pronuncia, all’art. 2043 c.c., per la determinazione dei criteri da utilizzare per la valutazione dell’illiceità della condotta, tra i quali, in primis, la lesione di interessi meritevoli di tutela. Non si comprende, di conseguenza, come debba interpretarsi il richiamo all’art. 2043 c.c. e alla sua, altrettanto, esplicita esclusione per l’individuazione degli interessi da tutelare. La sentenza, infatti, non rispondendo nel merito ai quesiti posti nell’ordinanza di rinvio, della terza Sezione, n. 4712/2008, di fatto, non ha risolto le criticità interpretative sul tema. È stato chiarito solo ciò che non può costituire fondamento del danno esistenziale: “Palesemente non meritevoli dalla tutela risarcitoria, invocata a titolo di danno esistenziale, sono i pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed in ogni altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale, ai quali ha prestato invece tutela la giustizia di prossimità. Non vale, per dirli risarcibili, invocare diritti del tutto immaginari, come il diritto alla qualità della vita, allo stato di benessere, alla serenità: in definitiva il diritto ad essere felici. Al di fuori dei casi determinati dalla legge ordinaria, solo la lesione di un diritto inviolabile della persona concretamente individuato è fonte di responsabilità risarcitoria non patrimoniale”. In questo senso, ha evidenziato la Corte, come non possano essere meritevoli di tutela quelle fattispecie in cui il danno-conseguenza risulti essere futile o, pur essendo oggettivamente rilevante, non merita tutela per la sua lieve intensità. In entrambi i casi deve sussistere l’effettiva lesione dell’interesse in termini di ingiustizia costituzionalmente qualificata, restando diversamente esclusa l’invocabilità dell’art. 2059 c.c. La gravità dell’offesa assurge, dunque, ad ulteriore parametro di valutazione circa la meritevolezza della tutela nel caso di lesione di diritti costituzionali inviolabili. In tal senso le Sezioni Unite hanno, infatti, sottolineato come il diritto debba essere inciso oltre una soglia minima. Tale requisito assume autonoma rilevanza in un ordinamento, come quello italiano, ove risulta obbligatorio il bilanciamento tra il principio di solidarietà, verso la vittima, e quello di tolleranza, del danneggiante. Questo principio, di assoluta indiscutibilità, non trova, tuttavia, una chiara esplicazione nella sentenza che lo enuncia; non viene, difatti, in alcun modo precisato un parametro idoneo ad aiutare i giudici e gli operatori del diritto nella determinazione della sussistenza di una lesione giuridicamente rilevante. Pare, di fatto, potersi ritenere che la sentenza delle Sezioni Unite abbia portato ad una rivoluzione più terminologica che sostanziale del tema, al fine di contestare l’automatismo risarcitorio cui molto spesso veniva fatto ricorso (11). In questo senso pare essersi, difatti, orientata anche la successiva giurisprudenza di legittimità; in particolare la sentenza delle Sezioni Unite n. 29191 del 12 dicembre 2008 (12), ove sono ribaditi i principi dell’integrale risarcimento del danno non patrimoniale e della sua necessaria personalizzazione, e la sentenza della Sezione Lavoro n. 29832 del 19 dicembre 2008, che ha confermato la risarcibilità del danno esistenziale da demansionamento, inquadrandolo nella categoria del danno non patrimoniale. I giudici di legittimità non hanno chiarito, altresì, se nel concetto di gravità debba ricomprendersi o meno anche quello di permanenza o durata dell’offesa, nonostante nell’ordinanza di rinvio la terza Sezione avesse esplicitamente chiesto “i caratteri morfologici del danno “esistenziale” così rettamente inteso consistono nella gravità dell’offesa, del diritto costituzionalmente protetto (come pur postulato da autorevole dottrina), ovvero nella gravità e durevolezza delle conseguenze dannose scaturenti dal comportamento illecito?”. Sull’elemento della permanenza del danno si erano già pronunciate alcune Corti di merito (13). Corrente minoritaria ritiene, a riguardo, che la durata della lesione non rilevi sull’an, ma, esclusivamente, sul quantum, soprattutto in fattispecie, come quella giudicata dalla Corte d’Appello di Genova, aventi ad oggetto danni cagionati da disservizi (14). Tale orientamento sostiene che la cessazione di un servizio di fornitura, nelle fattispecie richiamate in nota servizio di fornitura elettrica, anche se per poche ore, sia causa di danno esistenziale, posto che comporta una modifica negativa nella vita dell’utente, consistente nell’alterazione delle normali attività dell’individuo. Il riconoscimento della persona umana si sostanzia, come noto, anche attraverso il rispetto dei desideri e delle aspettative che ognuno può avere e che trovano tutela nell’ampio dettato dell’art. 2 della Costituzione. Rientra nel medesimo filone giurisprudenziale un’altra pronuncia (15), inerente la fornitura di servizi telefonici, con la quale il Tribunale ha riconosciuto configurabile come danno esistenziale il disagio subito dal professionista a causa del malfunzionamento del centralino del proprio studio causato dai lavori svolti dal gestore telefonico per l’installazione della linea ISDN, disagio, evidentemente, circoscritto nel tempo. L’orientamento principale ritiene, tuttavia, che debba escludersi che l’interruzione della fornitura di un servizio per un breve periodo di tempo sia riconducibile ad una fattispecie di danno esistenziale consequenziale alla lesione di un interesse costituzionalmente protetto. In una recente pronuncia (16), il Tribunale di Nocera Inferiore ha evidenziato che “il danno esistenziale consiste nel pregiudizio che l’illecito, proiettandosi nel futuro, abbia mutato abitudini di vita ed assetti relazionali del soggetto, sconvolgendone la vita quotidiana e privandolo di occasioni per l’espressione e la realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. In tal senso, allora, il danno esistenziale ha natura di “danno-conseguenza” e consiste, non già nella violazione dell’interesse protetto, ma nella conseguenza che da quella violazione deriva sul piano personale ed interpersonale. Il danno esistenziale, in altri termini, è costituito generalmente dai concreti impedimenti allo svolgimento delle attività realizzatrici della persona (danno-conseguenza) prodotti dalla lesione dell’interesse tutelato dall’ordinamento (danno-evento); per modo che può anche esservi lesione dell’interesse protetto, ma, in mancanza di concrete ricadute sulle attività realizzatrici del soggetto, difetta il danno esistenziale”. Sulla medesima linea si era, in passato, pronunciata anche la Corte di cassazione (17), la quale aveva sottolineato come lesioni gravissime, come quella alla libertà personale, possono, indubbiamente, arrecare danni morali, ma non danni esistenziali, che, per natura, si protraggono nel tempo. Partendo da tale assunto, appare abbastanza consequenziale ritenere che se una fattispecie di limitazione della libertà personale può non produrre un danno esistenziale, in quanto non protratta nel tempo, più difficilmente tale danno potrà configurarsi per un mero disservizio, per quanto prolungato. Tuttavia sul punto, non essendosi pronunciate le Sezioni Unite, il dibattito dottrinario non potrà che restare aperto. Il pregiudizio di natura esistenziale o, più semplicemente, danno esistenziale da disservizio, rientra nella categoria dei danni non patrimoniali da responsabilità contrattuale. Secondo l’opinione prevalente, consolidatasi fino alla metà degli anni ’90, il danno non patrimoniale aveva unicamente natura aquiliana; non era, in altri termini, risarcibile il danno non patrimoniale conseguente all’inadempimento delle obbligazioni. Questo, in quanto, si riteneva che l’art. 2059 c.c., dovesse essere interpretato in modo restrittivo e, per tanto, potesse essere applicato alla sola categoria delle obbligazioni da fatti illeciti. Tuttavia, si rilevava come la risarcibilità degli interessi non patrimoniali non fosse, di per sé, da porre in dubbio, in forza dell’art. 1174 (18) c.c. in base al quale la prestazione che forma oggetto dell’obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere ad un interesse anche non patrimoniale del creditore. La criticità, al più, avrebbe potuto palesarsi nell’operazione ermeneutica volta all’individuazione degli interessi introdotti nelle singole fattispecie negoziali. Veniva, così, a palesarsi come la riconduzione del danno non patrimoniale ai diritti costituzionalmente tutelati fosse troppo invasiva della libertà negoziale delle parti. Inoltre, si sarebbero potute verificare fattispecie in cui le parti davano un assetto degli interessi idoneo ad elevare a diritto non patrimoniale rilevante nell’obbligazione anche diritti non costituzionalmente tutelati. L’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. offerta dalla Consulta con la sentenza n. 233 dell’11 luglio 2003 (19), ha permesso di affermare che, anche, nella materia della responsabilità contrattuale, è dato il risarcimento dei danni non patrimoniali. Tale orientamento è stato ribadito anche dalle Sezioni Unite nella recente pronuncia, pur non superando il problema dei diritti costituzionalmente tutelati in relazione alla libertà contrattuale dei privati. Secondo la ricostruzione offerta dal Supremo Consiglio, quindi, dal principio del necessario riconoscimento, per i diritti inviolabili della persona, della minima tutela costituita dal risarcimento, consegue che la lesione dei diritti inviolabili della persona che abbia determinato un danno non patrimoniale comporti l’obbligo di risarcire tale danno, quale che sia la fonte della responsabilità, contrattuale o extracontrattuale. Sul piano processuale, si rileva, che se l’inadempimento dell’obbligazione determina, oltre alla violazione degli obblighi di rilevanza economica assunti con il contratto, anche la lesione di un diritto inviolabile della persona del creditore, la tutela risarcitoria del danno non patrimoniale potrà essere versata nell’azione di responsabilità contrattuale, senza ricorrere all’espediente del cumulo di azioni. L’art. 1218 (20) c.c. nella parte in cui dispone che il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, non può, quindi, essere riferito al solo danno patrimoniale, ma deve ritenersi comprensivo del danno non patrimoniale, qualora l’inadempimento abbia determinato lesione di diritti inviolabili della persona. Ed eguale, più ampio, contenuto va individuato nell’art. 1223 (21) c.c., secondo cui il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta, riconducendo tra le perdite e le mancate utilità anche i pregiudizi non patrimoniali determinati dalla lesione dei menzionati diritti. In questo senso si è di recente pronunciato il Tribunale di Montepulciano il 20 febbraio 2009, che ha riconosciuto che “è risarcibile il danno esistenziale conseguente all’inadempimento contrattuale del gestore telefonico. Tale danno consiste nell’alterazione in senso peggiorativo della quotidianità della vita della persona, che può manifestarsi sia nell’impossibilita “di svolgere una pregressa attività abituale, sia nella necessità di svolgere una nuova attività”” (22). Se da un lato, quindi, il danno esistenziale può pienamente sussistere all’interno di una relazione contrattuale, nella fattispecie de quo si rileva come, nonostante consolidata giurisprudenza in materia abbia adottato criteri temporali stringenti riguardo la sussistenza del danno esistenziale, la Corte d’Appello di Genova abbia ritenuto configurabile tale forma di danno in capo all’Avv. A. Tale valutazione è stata motivata, infatti, non tenendo conto delle reali conseguenze che il comportamento di Telecom ha avuto sulla vita relazionale futura dell’avv. A, ma prendendo in considerazione unicamente la condotta illecita e l’ostinata inerzia tecnica di Telecom, soggetto da cui dipende la fornitura di un servizio essenziale. 3. Il comportamento dell’operatore telefonico; fondamento del danno esistenziale di per sé Come premesso, nel caso in esame, la Corte d’Appello di Genova ha ritenuto sussistente il danno esistenziale analizzando nel dettaglio il modus operandi dell’operatore telefonico Telecom. Infatti, già nella pronuncia di primo grado, era stato evidenziato come l’illiceità della condotta della convenuta fosse rinvenibile sotto più profili. Tra questi spiccava, indubbiamente, il lungo periodo intercorso tra la richiesta di voltura dell’utenza telefonica e l’effettivo adempimento a tale istanza, superiore a sei mesi, senza che di fatto vi fossero motivazioni tecniche idonee a giustificare questo ritardo. In altre termini, i giudici genovesi hanno ritenuto che il danno, rectius l’illiceità della condotta, fosse in re ipsa e, per tanto, non soggetta al regime probatorio ordinario. La Corte ha rilevato, infatti, come vero fondamento dell’illiceità della condotta, e, quindi, del danno, fosse la totale assenza di informazioni date all’utente, cui lo stesso non riusciva a sopperire a causa della mancanza di un interlocutore adeguatamente informato sulla questione. Anche quando l’Avv. A. era riuscito ad ottenere rassicurazioni da parte di un funzionario Telecom, in merito alla rapida conclusione della vicenda, la stessa non aveva subito alcuna svolta, permanendo nella più totale staticitÈ. È stata proprio tale condotta ad impedire alla Telecom di eccepire un inadempimento per cause tecniche, non meglio precisate, ad essa non imputabili, in quanto non ritenute idonee a dimostrare la congruenza con un’attesa di sei mesi e delle quali, peraltro, non era mai stata comunicata la natura all’utente. A quanto detto aggiungasi che ha rilevato anche la disattivazione della linea, unicamente minacciata, ma non preavvisata, seguita, a sua volta, da tardiva riattivazione. Il Codice delle comunicazioni elettroniche, d.lgs. n. 259/2003, per quanto concerne il tema del distacco della linea telefonica, all’Allegato 4 contiene una disciplina dettagliata per i casi di mancato pagamento delle fatture, secondo la quale spetta all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni la facoltà di autorizzare l’applicazione di misure specifiche per la riscossione delle fatture non pagate per l’utilizzo della rete telefonica pubblica in postazione fissa; misure che sono rese pubbliche e ispirate ai principi di proporzionalità e non discriminazione (23). Tali misure, salvi i casi di frode, ripetuti ritardi di pagamento o ripetuti mancati pagamenti, e per quanto tecnicamente fattibile, garantiscono che sia interrotto solo il servizio interessato e che tale distacco possa avvenire solo dopo che l’abbonato ne sia stato debitamente avvertito (24). Ai sensi di tale normativa è attribuito all’utente il diritto di sospendere il pagamento del servizio oggetto di contestazione, salvo l’insorgere di un obbligo, qualora la contestazione dovesse avere esito negativo, al pagamento di quanto dovuto più eventuali more previste nel contratto di fornitura. Resta fermo, comunque, l’obbligo per il fornitore del servizio di comunicazione elettronica di non sospendere la propria prestazione avente ad oggetto l’insieme minimo dei servizi forniti, a fronte del mancato o ritardato pagamento, poiché una misura simile non risulterebbe proporzionata all’inadempienza e contrasterebbe con i principi della normativa vigente (25). Stante, quindi, l’illiceità del distacco totale operato da Telecom ai danni dell’utenza telefonica di A., si aggiunga che poco prima che venisse effettuato il distacco l’Avv. A. aveva provveduto al pagamento delle fatture emesse da Telecom e che, nonostante ciò, abbia dovuto attendere 48 ore per la riattivazione della linea telefonica (26). Tale disciplina, ad ogni modo, per quanto evidentemente applicabile nel caso de quo, non è stata utilizzata dai giudici di merito nel loro processo motivazionale, ciò nonostante, si ritiene, avrebbe potuto meglio fondare la condanna di Telecom. Ai fini della determinazione dell’illiceità della condotta di Telecom, la Corte non ha potuto tenere conto, in quanto non espressamente eccepita da parte di A., del tentativo compiuto dall’operatore di ottenere la sottoscrizione di un nuovo contratto, al posto della volturazione di quello precedente, finalizzato ad entrare in possesso dei dati professionali di A., in palese violazione della normativa sulla tutela dei dati personali di cui al d.lgs. n. 196/2003 (27). 4. Il regime dell’onere probatorio del danno esistenziale In giurisprudenza è unanime l’orientamento per cui il danno esistenziale, in quanto danno conseguenza, sia soggetto alle regole e ai principi generali sull’onere di allegazione e prova del danno subito. L’art. 1223 c.c., limita il risarcimento ai soli danni che siano conseguenza diretta e immediata dell’illecito, tuttavia se, da un lato, viene estesa la risarcibilità del danno anche a quelli mediati e diretti, dall’altro, permane la necessità che il soggetto che si assume leso, provi le circostanze rilevanti che giustifichino il risarcimento ex artt. 1223 e 2059 c.c. Sul tema si è pronunciata anche la Corte costituzionale (28) la quale ha riconosciuto come “è sempre necessaria la prova dell’entità del danno, ossia la dimostrazione che la lesione ha prodotto una perdita di tipo analogo a quello indicato dall’art. 1223 c.c., costituita dalla diminuzione o privazione di un valore personale (non patrimoniale) alla quale il risarcimento deve essere commisurato” (29). A parziale temperamento di quanto appena enunciato la giurisprudenza ha evidenziato come data l’immaterialità della forma di pregiudizio, consistente nel danno non patrimoniale, è da ritenersi ammissibile l’utilizzazione della prova per presunzioni sulla scorta di valutazioni prognostiche anche affidate a fatti notori o massima di comune esperienza (30). Sul tema la Corte di cassazione (31) ha affermato che il ricorso al c.d. fatto notorio, art. 115 (32) c.p.c. deroga ai principi dell’ordinamento in materia di dispositivo e contraddittorio tra le parti, questo perché, di fatto, introduce nella vicenda processuale elementi estranei alle parti, sia in termini di produzione in giudizio, che in termini di controllo degli stessi, e che ovvia e naturale conseguenza debba essere una rigida interpretazione da parte dei giudici di tali fatti. Nell’opera di valutazione del giudice non devono intervenire elementi di conoscenza privata non riconducibili alle conoscenze della collettività; questo per evitare che l’arbitrio dell’organo giudicante divenga un’incontrollata discrezionalità (33). Nella recente pronuncia delle Sezioni Unite, più volte richiamata, sul tema dell’onere probatorio del danno non patrimoniale, respingendo l’utilizzo dell’etichetta danno esistenziale, è stato statuito che “Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza (Cass. n. 8827 e n. 8828/2003; n. 16004/2003), che deve essere allegato e provato. […] E del pari da respingere è la variante costituita dall’affermazione che nel caso di lesione di valori della persona il danno sarebbe in re ipsa, perché la tesi snatura la funzione del risarcimento, che verrebbe concesso non in conseguenza dell’effettivo accertamento di un danno, ma quale pena privata per un comportamento lesivo.”. Il capo della sentenza appena citato, costituisce l’unico punto che, stando ai primi commenti, non è soggetto a critiche da parte della dottrina (34). Partendo da tale assunto, che già trovava riscontri nella precedente giurisprudenza, non può che concludersi che i giudici genovesi abbiano, qui, erroneamente valutato le prove addotte dalle parti o, meglio, le non prove presentate dall’Avv. A., il quale si è limitato ad allegare i fatti accaduti. 5. LA DETERMINAZIONE DEL DANNO ESISTENZIALE IN VIA EQUITATIVA In tema di danno non patrimoniale, l’equità indica il processo mentale che viene compiuto dal giudice, tenendo conto delle rilevanze istruttorie, al fine di determinare un importo che possa compensare la vittima del danno subito. Tale procedimento mentale deve, poi, essere trasposto dal giudice stesso nella motivazione che accompagna la sentenza, al fine di poter garantire un successivo controllo sulla correttezza e validità del ragionamento effettuato. La quantificazione di un danno in via equitativa, ex art. 2056 (35) c.c., non può essere basata, per definizione, sull’applicazione di una formula universale. Ciò che determina la validità di una pronuncia in materia è, infatti, l’esatta corrispondenza tra il ragionamento espresso in motivazione, consistente nell’analisi di tutti gli indici probatori, e la determinazione del quantum debeatur; mai potrebbe essere preso a parametro di validità della sentenza uno di questi due elementi considerato in assoluto. A riprova di quanto detto, si osservi come, anche nel caso de quo, oggetto di analisi della Corte sia stata la congruenza tra la determinazione del quantum e gli elementi probatori presi in considerazione dal giudice di primo grado. Non viene in aiuto dell’interprete neanche la possibilità di confutare la quantificazione con precedenti giurisprudenziali, atteso che diverse saranno, di fatto, le singole circostanze delle fattispecie. Ai fini di una corretta determinazione del quantum debeatur, dovrà, pertanto, tenersi conto della rilevanza del diritto leso, ossia se il diritto ha un esplicito richiamo nella Costituzione o una mera copertura costituzionale, e dell’invasività della lesione, anche con riferimento alla sua durata temporale. Così, solo partendo da tali due criteri di valutazione ben potranno tenersi in debita considerazione i precedenti giurisprudenziali, specie se utilizzati ai fini dell’individuazione di un minimum(36). Un metodo prospettato in dottrina (37) per parametrare i risarcimenti a criteri uniformi, ma al tempo stesso personalizzati, si fonda sulla suddivisione delle attività realizzatrici della persona in quattro raggruppamenti: a) attività di carattere biologico-sussistenziali; b) relazioni affettive e familiari; c) relazioni sociali e attività di carattere culturale-scientifico, associativo e religioso; d) attività sportive di svago e divertimento. All’interno di ciascuna delle seguenti categorie deve stabilirsi il valore monetario, prevedendo un minimo ed un massimo per ciascuna di esse, variabile in relazione alla gravità e alla durata del pregiudizio su ciascuna delle varie aree. Nella sentenza in commento, la Corte d’Appello di Genova, riprendendo la sopra richiamata giurisprudenza in tema di onere probatorio del danno esistenziale, ha ritenuto che, nonostante fosse indubbiamente riscontrabile la sussistenza del diritto al risarcimento di A., il giudice di primo grado non avesse tenuto in debita considerazione quanto sancito dalla Suprema Corte in tema di valutazione delle prove addotte dalla parte. In particolare, il giudice di secondo grado ha ritenuto che gli elementi istruttori non fossero stati valutati con la doverosa e necessaria prudenza e, per questo, ha ritenuto più congruo ridurre l’entità del risarcimento stabilito in primo grado (38). Sul punto, nulla è stato statuito dalla Corte di cassazione nella recente sentenza del novembre 2008, nonostante, nell’ordinanza di rinvio, la terza Sezione avesse esplicitamente richiesto di rispondere al quesito “Quali sono i criteri risarcitori cui ancorare l’eventuale liquidazione di questo tertium genus di danno onde evitare illegittime duplicazioni di poste risarcitorie? Possono all’uopo soccorrere, in parte qua (come accade per il danno morale soggettivo) le tabelle utilizzate per la liquidazione del danno biologico, ovvero è necessario provvedere all’elaborazione di nuove ed autonome tabelle?”. Ciò posto, almeno da questo punto di vista, la sentenza dei giudici genovesi non risulta criticabile. Permangono, tuttavia, i dubbi, degli operatori tutti, circa i parametri da utilizzarsi per la determinazione del quantum debeatur in caso di danno esistenziale o, secondo le recenti Sezioni Unite, di danno non patrimoniale derivante da pregiudizio di natura esistenziale. NOTE (1) Cass. civ., 7 giugno 2000, n. 7713, in questa Rivista, 2000, 835 ss., con nota di P.G. MONATERI, Alle soglie: la prima vittoria in Cassazione del danno esistenziale. Cfr. P. GIACALONE, Sul risarcimento del danno per ostinato rifiuto, da parte del genitore, di contribuire al mantenimento del figlio naturale, in Giust. civ., 2000, 2219 ss.; F.G. PIZZETTI, Il danno esistenziale approda in Cassazione, in Giur. it., 2000, 1352 ss.; A. D’ADDA, Il cosiddetto danno esistenziale e la prova del pregiudizio, in Foro it., 2001, 1, 187 ss. (2) Cfr. art. 2043 c.c.: Risarcimento per fatto illecito. Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno. (3) Cfr. Trib. Milano, 8 giugno 2000, in G. CASSANO, La Giurisprudenza del danno esistenziale, Padova, 2007, 152. (4) Trib. Agrigento, Sez. pen., 4 giugno 2001, in G. CASSANO, La Giurisprudenza del danno esistenziale, cit., 315-335. (5) Cfr. art. 2059 c.c.: Danni non patrimoniali. Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge. (6) Cfr. Cass. civ., 9 novembre 2006, n. 23918, in questa Rivista, 2007, 284-290, con nota di P. CENDON, Danno esistenziale e ossessioni negazioniste; in Giur. it., 2007, 2465-2471, con nota di V. TOMARCHIO. (7) G. CASSANO, Cass. S.U. 2008/26972: primissime note critiche, in www.personaedanno.it/CMS/Data/articoli/012261.aspx, 11 novembre 2008. (8) Cass. civ., 31 maggio 2003, n. 8827 e 8828, ex multis, in Foro it., 2003, 2277-2286, con nota di E. NAVARRETTA, Danni non patrimoniali: il dogma infranto e il nuovo diritto vivente. (9) G. FACCI, L’osservatorio di merito, in Resp. civ., 2008, 467-471. (10) E. NAVARRETTA, Il danno esistenziale risarcito ex art. 2059 c.c. e l’adeguamento della norma alla Costituzione, in questa Rivista, 2003, 190-198. (11) M. DRAGONE, Il danno esistenziale dopo la sentenza delle Sezioni Unite: i principi, la liquidazione e la prova, in www.personaedanno.it/cms/data/articoli/013185.aspx, 2 febbraio 2009. (12) Cfr. D. CHINDEMI, Una nevicata su un campo di grano, in questa Rivista, 2009, 219-230. (13) Cfr. Trib. pen. Locri, Sez. dist. Sidereo, 6 ottobre 2000, in Danno resp., 2001, 392 ss., con nota di F. BILOTTA, Il danno esistenziale: l’isola che non c’era; Sez. Un. civ., 11 gennaio 2008, n. 581, in questa Rivista, 2008, 841-855, con nota di F. GRECO, Le Sezioni Unite ed il limite prescrizionale nel danno da emotrasfusioni infette.; in Nuova giur. civ. comm., 2008, 635-642, con nota di A. QUERCI, La rilevanza della prescrizione nella responsabilità extracontrattuale per danni da emotrasfusioni ed emoderivati. (14) Giud. Pace Casoria, 12 luglio 2005; e Giud. Pace Napoli, 13 luglio 2005, in La Giurisprudenza del danno esistenziale, G. CASSANO, Padova, 2007, 977 ss. (15) Trib. Genova, 25 gennaio 2006, massima redazionale: “Si configura come danno esistenziale risarcibile il disagio subito dal professionista a causa del malfunzionamento del centralino del proprio studio causato dai lavori svolti dal gestore telefonico per l’installazione della linea ISDN”, inedita. (16) Trib. Nocera Inferiore, 10 gennaio 2008, in Guida dir., 2008. 11, 46, con nota di L. VIOLA, Un disservizio a carattere transitorio di solito non provoca lesioni permanenti. (17) Cass. pen., Sez. IV, 22 gennaio 2004, n. 2050, in Giur. it., 2004, 1091, con nota di G. CASSANO-F.G. CATULLO, Sul fondamento ed essenza del danno da errore giudiziario (spunti per un’ipotesi di lavoro in tema di danno esistenziale). La Suprema Corte sottolinea infatti “Non appare corretta l’affermazione, contenuta nell’ordinanza impugnata, secondo cui il danno morale soggettivo sarebbe di fatto assorbito dal danno esistenziale perché, anche con questa affermazione, si confonde la natura delle due tipologie di danno: il danno morale soggettivo (pati) si esaurisce nel dolore provocato dal fatto dannoso, è un danno transeunte di natura esclusivamente psicologica; il danno esistenziale (non facere ma anche un facere obbligato che prima non esisteva), pur avendo conseguenze di natura psicologica, si traduce in cambiamenti peggiorativi permanenti, anche se non sempre definitivi, delle proprie abitudini di vita e delle relazioni interpersonali. La non sovrapponibilità tra le due categorie di danno emerge chiaramente proprio in relazione all’ingiusta detenzione: la privazione della libertà personale per un solo giorno può provocare un gravissimo danno morale ma il danno esistenziale, in questi casi, può anche mancare”. (18) Cfr. art. 1174 c.c.: Carattere patrimoniale della prestazione. La prestazione che forma oggetto dell’obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere a un interesse, anche non patrimoniale, del creditore. (19) M. PEDRAZZOLI, Tutela della persona e aggressioni fisiche alla sfera psichica del lavoratore, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, 1119-1157. (20) Cfr. art. 1218 c.c.: Responsabilità del debitore. Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. (21) Cfr. art. 1223 c.c.: Risarcimento del danno. Il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta. (22) Trib. Montepulciano, 20 febbraio 2009, in questa Rivista, 2009, 1131, con nota di A. NEGRO, Un anno senza telefono: la descrizione del danno. (23) In particolare, esse devono garantire che l’abbonato sia informato con debito preavviso dell’interruzione del servizio o della cessazione del collegamento conseguente al mancato pagamento (cfr.: Allegato 4, parte A, lettera e). (24) Prima della totale cessazione del collegamento, l’Autorità può autorizzare un periodo di servizio ridotto durante il quale possono essere effettuate solo le chiamate che non comportano un addebito per l’abbonato (ad esempio chiamate al 112). (25) Sul piano regolamentare l’Autorità per le comunicazioni ha emanato la delibera n. 664/06/CONS, volta a garantire, da un lato, l’introduzione nel sistema di una maggiore trasparenza e certezza giuridica per questo tipo di contratti e, dall’altro, a far sì che l’operatore continui a garantire la fornitura non solo dei servizi rientranti nell’ambito del “servizio universale”, ma anche dei “servizi complementari”. In tali fattispecie è previsto il potere sanzionatorio dell’Autorità, sancito dal combinato disposto ex art. 98, comma 16, ed art. 60, comma 3, del Codice. (26) A. STAZI-C. STAZI, Il risarcimento dei danni da ingiustificato distacco della linea telefonica, in Dir. internet, 2008, 141 ss. (27) In particolare sarebbe stato violato l’art. 13 del d.lgs. n. 196/2003, denominato Codice Privacy, il quale contiene una dettagliata disciplina in tema di informativa che il titolare del trattamento dei dati deve fornire all’interessato. Cfr. T. PERFETTI, I contratti a distanza relativi a contratti telefonici e telematici: tutela dell’autonomia negoziale e della privacy del consumatore, in Nuovo dir., 2007, 565-588. (28) Corte cost., 27 ottobre 1994, n. 372, in questa Rivista, 1996, 297-307, con nota di P. ZIVIZ, Quale futuro per il danno dei congiunti (Riflessioni indotte dalla sentenza n. 372/1994 della Consulta). (29) Nello stesso anche la Cass. civ., 31 maggio 2003, n. 8827, cit.: “Il danno in questione deve quindi essere allegato e provato. Trattandosi tuttavia di pregiudizio che si proietta nel futuro (diversamente dal danno morale soggettivo contingente), dovendosi aver riguardo al periodo di tempo nel quale si sarebbe presumibilmente esplicato il godimento del congiunto che l’illecito ha invece reso impossibile, sarà consentito il ricorso a valutazioni prognostiche ed a presunzioni sulla base degli elementi obiettivi che sarà onere del danneggiato fornire”. (30) A. ROTELLI, Tutela degli utenti e servizi telefonici, in questa Rivista, 2009, 23-27. (31) Cass. civ., 7 marzo 2005, n. 4862: “il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fatto notorio), comportando una deroga al principio dispositivo e al contraddittorio, in quanto introduce nel processo civile prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati né controllati, va inteso in senso assolutamente rigoroso, e cioè come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile”, in Riv. giur. lav. prev. soc., 2006, 509-520, con nota di L. MENGHINI, Contratto a termine e poste italiane tra vecchia e nuova disciplina. (32) Cfr. art. 115, c.p.c.: Disponibilità delle prove. Salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero. Può tuttavia, senza bisogno di prova, porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza. (33) Cass. civ., 12 maggio 1986, n. 3160: “Perché un fatto rivesta carattere di notorietà, ai sensi del secondo comma dell’art. 115 c.p.c., occorre che esso sia acquisito alla cultura media della collettività, anche se di un determinato luogo, restando esclusa da detta norma l’utilizzabilità di nozioni eventualmente rientranti nella scienza personale del giudice”; e Cass. civ., 23 giugno 1982, n. 3829: “Le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza, a norma del secondo comma dell’art. 115 c.p.c., non sono quelle personali, singole ed incontrollabili del giudice, che costituiscono la di lui scienza privata, bensì soltanto le nozioni di comune conoscenza nel tempo e nel luogo in cui viene pronunciata la decisione”. (34) Cfr. R. ROSSI, Le Sezioni Unite n. 26972/2008: cose che vanno, cose che non vanno, in www.personaedanno.it/CMS/Data/articoli/012264.aspx?abstract=true, 16 novembre 2008. (35) Cfr: art. 2056 c.c.: Valutazione dei danni. Il risarcimento dovuto al danneggiato si deve determinare secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227. Il lucro cessante è valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso; art. 1226 c.c.: Valutazione equitativa del danno. Se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa. (36) G. CASSANO, Provare, risarcire e liquidare il danno esistenziale, in Il Sole-24 Ore, 2005. (37) P. ZIVIZ, La prova e il quantum nel risarcimento del danno non patrimoniale, Milano, 2008, 34 ss. (38) Il risarcimento previsto nella sentenza di primo grado era pari ad euro 5.000,00, come da richiesta dell’attore, mentre la Corte d’Appello ha ritenuto più congrua una somma pari ad euro 2.500,00. Tratto da Resp. civ. e prev. 2009, 9, 1872
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