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Commercio elettronico: la correttezza dello scambio

Commercio Elettronico

di Alberto Maria Gambino

Commercio elettronicoSommario: 1. Le tipologie. – 2. Le norme: disciplina generale e di settore. – 3. Dalla vendita “porta a porta” alla vendita “a distanza”. – 4. La correttezza dello scambio elettronico. – 5. La direttiva n. 31/2000: ambito di applicabilità. – 6. Dalla tutela dell’effetto “sorpresa” al principio della completezza informativa. 1. Le tipologie. Con l’espressione “tipologie delle comunicazioni telematiche” si intendono le tecniche dello scambio di contenuti informativi, che possono riguardare comunicazioni a carattere commerciale e, quindi, anche dichiarazioni negoziali. Ove ciò si verifichi siamo nello scenario del commercio elettronico. Commercialità della tecnica comunicativa significa che, oltre ai costi di connessione alla rete telefonica, c’è un ulteriore esborso dell’utente. Si individuano cinque tipologie. La prima: posta elettronica (i messaggi one to one). Sua caratteristica è che tanto lo strumento di comunicazione quanto il contenuto possono presentare coloritura di patrimonialità o, viceversa, ascriversi ai rapporti di cortesia, così restando nell’alveo della libera comunicazione. La seconda tipologia: i messaggi da punto a multipunto (i messaggi one to many). Nel listserve l’inserzionista formula una richiesta, che potrà essere esaudita con adesioni specifiche. In questo caso, la tecnica utilizzata – “inserzione” telematica – è dotata del carattere della onerosità; così accade per i contenuti, che normalmente riguardano scambi che rientrano nell’ambito della definizione di commercio elettronico. Vi è poi, una terza tipologia, che è quella del forum e dello scambio di notizie, i newsgroup per intenderci. Qui la tecnica è normalmente gratuita e anche il contenuto informativo è per lo più gratuito; questo non esclude che possa verificarsi diversamente. La quarta tipologia: la c.d. chat, cioè la comunicazione in tempo reale. Anche qui “normalmente”: tecnica gratuita e contenuti non commerciali. Infine, la tipologia più significativa: l’accesso al sito, la navigazione nella pagina Web. La tecnica non è gratuita a parte venditoris: il predisponente ha sopportato un onere di carattere economico per allestire il sito stesso; anche i contenuti sono – normalmente – a carattere commerciale. Questo non significa che non possa, anche in questo caso, verificarsi l’opposto. Una prima conclusione rispetto a queste cinque tipologie esaminate può così formularsi: di regola, se le tecniche sono gratuite, anche i contenuti informativi sono a carattere gratuito. Se la tecnica invece è onerosa (considerando anche l’accesso al sito come tecnica onerosa in relazione all’esborso del predisponente), il contenuto dello scambio ha carattere commerciale. Questa, occorre ricordarlo, è una soluzione “tendenziale”. Dunque presupposto della definizione di commercio elettronico è che si verifichi una tecnica tendenzialmente onerosa; in questo caso non rileverebbero rapporti di cortesia, ma si verificherebbero rapporti a titolo oneroso o a titolo gratuito. La prestazione avrà, perciò, contenuto patrimoniale. 2. Le norme: disciplina generale e di settore. Delineata la tipologia occorre verificare se la disciplina normativa effettivamente vi corrisponda. Il primo livello delle fonti di produzione del commercio elettronico sono le fonti di natura convenzionale, accordi tra soggetti a rilevanza pubblica (OMC, ICC, OMPI, OCSE), che predispongono modelli di riferimento per gli operatori (es. UNCITRAL). Questi modelli non sono vincolanti quanto ad applicazione orizzontale – cioè nei confronti dei cittadini dei singoli Stati – a meno che, evidentemente, non ci sia una legge che li ha recepiti come tali; soltanto così divengono diritto vigente dello Stato. Hanno piuttosto la portata di regole integrative o suppletive, atte a delineare taluni principi che la prassi applica nel settore considerato. Hanno inoltre natura programmatica, di politica generale: non può perciò rintracciarsi in essi una disciplina giuridica. La disciplina giuridica del commercio elettronico si muove piuttosto nel campo delle regole di fonte normativa direttamente applicabili ai soggetti del commercio elettronico. I primi provvedimenti in materia sono stati quelli dell’U.E., nei contenuti attuativi dei Paesi membri. Rilevano tre filoni normativi. Il primo riguarda la tutela della riservatezza: ci si riferisce alla tutela dei dati personali, alla privacy nelle telecomunicazioni. A partire dagli anni ’90, si sono regolamentati alcuni aspetti specifici: direttiva privacy, direttiva sulle banche dati, trattamento dei dati personali, direttiva sulle telecomunicazioni. Sono direttive che nascono pur dall’esigenza di tutela dei consumatori in base agli artt.153 e ss. del Trattato di Amsterdam, ma in stretto collegamento ad alcuni aspetti della personalità del consumatore a seconda, appunto, del settore di riferimento. Toccano incidentalmente aspetti del commercio elettronico – come tecnica elettronica e scambio a carattere commerciale – ma senza esaustività; non è così possibile individuare una disciplina unitaria. Un secondo filone racchiude gli aspetti della equità negoziale: le clausole vessatorie di tradizione codicistica; le clausole vessatorie introdotte, in attuazione della direttiva comunitaria, con la novella del 1469 bis e ss. c.c.; e, ancora, le leggi speciali sulla subfornitura e sulla multiproprietà, là dove si pone anche un problema di equità negoziale. Ai medesimi principi di tutela del consumatore si iscrive il terzo filone normativo che riguarda la protezione della cosìddetta “presa di coscienza”. Il fenomeno si muove dalla contrattazione a sorpresa a quella che potremmo definire contrattazione “con mezzi tecnologici non consueti all’utente”, dei quali dunque, l’utente non ha quella dimestichezza abituale nell’utilizzo di un mezzo tradizionale. Nell’ambito di questo filone si inseriscono: la normativa, ormai risalente, delle vendite fuori dei locali commerciali – la legge italiana di recepimento già aveva considerato all’art. 9 l’ipotesi dei contratti a distanza; la direttiva comunitaria sul commercio elettronico; la direttiva, adesso attuata da un decreto legislativo, sui contratti a distanza. Si aggiunga anche la normativa civilistica dei contratti su moduli e formulari, il Dpr sulla firma digitale e il regolamento Consob di attuazione del Testo Unico sulla finanza, relativamente alla parte della contrattazione a distanza, che si individua nell’ambito dell’unico genus dell’offerta fuori sede. Poi, ci sono anche altre previsioni in normative di settore, si pensi a quegli aspetti della subfornitura e della multiproprietà, ove rilevano norme di protezione della presa di coscienza. 3. Dalla vendita “porta a porta” alla vendita “a distanza”. Al centro del terzo filone normativo sta la direttiva n. 85/577 sui contratti  tipulati fuori dai locali commerciali. Il legislatore interno ha adottato il d.lgs. 15 gennaio 1992, n. 50, di attuazione alla direttiva, che ha introdotto uno ius poenitendi in capo al consumatore e ha esteso la operatività del recesso alla stipulazione “per corrispondenza” (art. 1, lett. d), e in particolare, alla “vendita telematica” (art. 9, 1° comma). L’ultima disposizione prevede l’applicabilità del decreto “ai contratti conclusi mediante l’uso di strumenti informatici e telematici”. Proprio con riferimento a tali contratti, il requisito della negoziazione “fuori dei locali commerciali”, che, nel caso, sarebbe di problematica individuazione, viene normativamente escluso e riferito alle sole offerte televisive o audiovisive (art. 9, 1° comma, prima parte). Anche all’offerente in rete è fatto obbligo di comunicare al pubblico degli eventuali acquirenti l’esistenza di un diritto di recesso da esercitarsi entro 7 giorni “dalla data di ricevimento della merce” (art. 9, 2° comma); tale informazione, secondo quanto definito dall’art. 5, 3° comma, va formulata per iscritto, al momento della stipula del contratto o della proposta del consumatore (art. 1, 2° comma), “non oltre il momento in cui viene effettuata la consegna della merce” (art. 9, 2° comma). Il nucleo fondamentale della normativa sui contratti negoziati fuori dai locali commerciali consiste dunque nel rimedio dello ius poenitendi e nell’informazione obbligatoria sull’esistenza dello ius poenitendi; non risultano invece altri oneri informativi particolari. Nell’estensione di cui all’art. 9, il sistema così delineato pone rimedio al fatto che, proprio nelle vendite telematiche, come del resto nelle vendite per corrispondenza, il consumatore non ha la possibilità in concreto di visionare il prodotto acquistato (14° Considerando). Sotto questo profilo, vi è quella sottaciuta analogia desumibile ex re tra le ipotesi di sollecitazione vera e propria, nel significato di offerta aggressiva che deve immediatamente decidere tra il sì ed il no, ed offerta offuscata dalla mancata visibilità (o tangibilità immediata) del prodotto, che reca un disvalore, se non pari alla prima, quantomeno determinante ai fini di una piena formazione del consenso. Nel primo caso, si può affermare che il consenso è “affrettato”, nel secondo è “virtuale” cioè legato ad una realtà che può rivelarsi diversa dall’effettiva portata dell’oggetto. È la prima disciplina unitaria, dove si sovrappongono due situazioni collegate: quella dell’evitare l’effetto della sorpresa, con riferimento alla vendita fuori dai locali commerciali in senso stretto; e quella di evitare la carenza informativa rispetto alle qualità del prodotto per non averlo potuto visionare, in relazione, dunque, alla vendita per corrispondenza e alla vendita telematica. Quindi, all’interno di un’unica disciplina, emergono due rationes contigue. Sulla scorta dei principi già enunciati da alcuni legislatori nazionali, anche il legislatore comunitario ha emanato una completa normativa sul tema, nella considerazione che, avendo “taluni Stati membri… già adottato disposizioni differenti o divergenti per la protezione dei consumatori nelle vendite a distanza con effetti negativi sulla concorrenza tra le imprese nel mercato unico”, è “necessario introdurre un minimo di regole comuni a livello comunitario in questo settore”: così il 4° Considerando della direttiva n. 97/7 emanata in data 20 maggio 1997 dal Parlamento Europeo e dal Consiglio dell’Unione. L’urgenza di una normazione unitaria nel campo della telematica è preoccupazione del legislatore comune, che, al 4° Considerando, lega però un’eventuale divergenza legislativa degli Stati membri ai soli “effetti negativi sulla concorrenza tra le imprese nel mercato unico”, trascurando invece di richiamare possibili ripercussioni discriminanti tra consumatori appartenenti a Paesi diversi (salvo a ricostruire un’organica ratio normativa di tutela attraverso i successivi riferimenti). Con la direttiva sui contratti a distanza, il legislatore comunitario enuclea in un’unica fattispecie, assumendone una categoria, il contratto a distanza. E, in particolare, il decreto legislativo di recepimento 22 maggio 1999, n. 185, lo definisce “il contratto avente per oggetto beni e servizi, stipulato fra un fornitore e un consumatore nell’ambito di un sistema di vendita o di prestazioni di servizi a distanza, organizzato dal fornitore, che per tale contratto impiega esclusivamente una o più tecniche di comunicazione a distanza, fino alla conclusione del contratto, compresa la conclusione del contratto stessa”. Si abbandona la disciplina delle vendite porta a porta per individuare una disciplina autonoma della vendita a distanza. La normativa si applica al contratto a distanza “stipulato tra un fornitore e un consumatore” (art. 1, lett. 1), specificando che per consumatore va intesa la persona fisica che “agisce per scopi non riferibili all’attività professionale eventualmente svolta” (art. 2, lett. b). La tecnologia che è alla base della trasmissione del documento informatico è compresa nella definizione di tecnica di comunicazione a distanza: “qualunque mezzo che, senza la presenza fisica e simultanea del fornitore e del consumatore, possa impiegarsi per la conclusione del contratto tra le dette parti”; nell’elenco allegato compare la posta elettronica. La disciplina del recesso appare strutturalmente legata alla disomogeneità delle posizioni tra le parti, accordandosi lo ius poenitendi al solo consumatore innanzi al professionista. Non vi è più la ratio della sorpresa, essendo esclusa la fattispecie della vendita porta a porta, ma si conserva la ratio della carenza percettiva del bene; un bene, cioè, che, viene acquistato senza essere stato verificato in modo tangibile: solo alla consegna si potrà valutare una sua congruità rispetto a ciò che era stato offerto. Si aggiungono altri oneri informativi. I più significativi sono tre: l’identità del fornitore, le caratteristiche dei beni e le modalità di consegna. Quindi, accanto all’obbligo dello ius poenitendi: altri oneri informativi, tutti collegabili alla ratio generale della carenza informativa. 4. La correttezza dello scambio elettronico. Nel merito del d. lgs. n. 185, segnalo due aspetti. Il primo riguarda il momento antecedente alla contrattazione – art. 3 relativo all’informazione per il consumatore, che in tempo utile prima della conclusione del contratto, deve ricevere tutta una serie di informazioni a iniziare dall’identità del fornitore, il prezzo del bene… insomma tutti quegli elementi che gli permettono di manifestare un consenso il più libero possibile e, in qualche maniera, il più informato possibile. “In tempo utile prima della conclusione”: è già una definizione che stona nell’ambito della varietà dei sistemi a distanza. Il tempo utile si diversifica a seconda dello strumento utilizzato; è chiaro che nel rapporto epistolare il tempo utile sarà più esteso che in un rapporto telematico. In questo senso lo stesso d.lgs. considera che l’utilizzo dello strumento possa valere come criterio interpretativo per la chiarezza delle informazioni da fornire (art. 3, 2° comma). In questa prima fase dello scambio, prima di acconsentire all’operazione economica, c’è un richiamo normativo, da valorizzare, che tutte le informazioni circa l’identità, il prezzo, le spese di consegna e così via, “devono essere fornite in modo chiaro e comprensibile con ogni mezzo adeguato alla tecnica di comunicazione a distanza impiegata, osservando in particolare i principi di buona fede e di lealtà in materia di transazioni commerciali, valutati alla stregua delle esigenze di protezione delle categorie di consumatori particolarmente vulnerabili”. Tale è il tenore del secondo comma dell’art. 3 del decreto legislativo. Si ripropone quello che, per chi ha studiato il fenomeno pubblicitario, è il noto dibattito se il consumatore da tutelare sia “il più sprovveduto” oppure il cosiddetto “consumatore medio”. Nel d.lgs. n. 185/99 il richiamo a “categorie di consumatori particolarmente vulnerabili” implica che ci sia già nell’ambito della definizione, pur collettiva, della figura di consumatore, l’elemento della debolezza cognitiva rispetto al bene che si va ad offrire. Proprio perché ci si imbatte in tecnologie non conosciute, l’operatore deve spiegare all’utente quali sono i passi da compiere, quali sono i passaggi tecnologici incidenti sul profilo negoziale, che il potenziale acquirente deve porre in essere affinché abbia buon fine l’affare, si arrivi alla conclusione “voluta” del contratto. L’altro profilo interessante di questo secondo comma è il richiamo alla lealtà e alla buona fede; lealtà e buona fede che rendono l’offerta – offerta a distanza – dotata di un requisito in più rispetto a quelli tradizionali: la correttezza. Lealtà che deve sussistere tra l’operatore commerciale, che utilizza la tecnica di comunicazione a distanza, e l’utente consumatore. Ma se io stipulo un contratto a distanza con un editore che ben conosco, con cui normalmente ho rapporti economici, è necessario che nella fase dell’informazione preventiva di cui all’art. 3 si segua tutto l’iter informativo, che volenti o nolenti, rallenta il momento perfezionativo del consenso? Direi di no, proprio per il richiamo alla lealtà e alla buona fede nella fase informativa dell’art. 3. Qui c’è un rapporto pregresso, una familiarità che dà per acquisita una certa conoscenza di tutta una serie di requisiti, appunto l’identità del fornitore, le spese di consegna – che evidentemente sono dati già condivisi in passato. Direi che proprio la clausola generale richiamata della buona fede e della lealtà ci permette di valutare il caso singolo con una deroga all’obbligatorietà delle informazioni da fornire: l’esenzione sta nella ratio della legge, proprio rispetto alla parte dell’informazione preventiva all’art. 3. Il secondo aspetto della normativa sulle vendite a distanza è legato all’art. 4, e riguarda, in particolare, gli elementi informativi che devono essere resi noti al contraente nel momento stesso in cui ha già deciso, attuando il rapporto, di effettuare l’ordine d’acquisto. In questo caso devono essere fornite altre informazioni, in primis la conoscenza dello ius poenitendi, cioè della possibilità di recedere dal contratto posto in essere. In questo caso ci si domanda: gioca ancora il richiamo alla buona fede, alla lealtà, considerato nell’art. 3? Che succede con riferimento all’art. 4, e alle altre informazioni che devono essere date nel momento dell’esecuzione del contratto? Da un punto di vista testuale non vi è più il richiamo alla lealtà, alla buona fede, alla correttezza: dunque già da una interpretazione letterale la deroga andrebbe esclusa. Torniamo all’esempio dell’editore e del rapporto commerciale, già attivato nel tempo. Ci troviamo dinnanzi ad una nuova tecnica dello stipulare, proprio con riferimento alla predisposizione della tutela normativa. La tecnica a distanza, infatti, pur già conosciuta dal consumatore, nel momento in cui viene normativizzata, implica una serie di dati giuridici innovativi. Evidentemente le vendite a distanza sono assai risalenti, ma non esisteva ab origine lo ius poenitendi. Da oggi è obbligatorio offrire al momento della conclusione alcune informazioni, in particolare quella sullo ius poenitendi, che è vincolo giuridico assegnato all’operatore per la protezione della scelta dell’acquirente. Non sussiste deroga: l’informazione è imposta dalla legge e non è derogabile in quanto non riguarda un dato di fatto la cui conoscenza può essere evinta dalla prassi stipulatoria. C’è infatti una norma specifica dello stesso decreto che sanziona l’inderogabilità delle norme di protezione (art. 11, 1° comma). 5. La direttiva n. 31/2000: ambito di applicabilità. Da ultimo la direttiva sul commercio elettronico n. 31 del giugno 2000. Per comprenderne l’ambito applicativo, occorre fare un passo indietro e risalire alla definizione di carattere generale dei servizi della società dell’informazione, presupposto del commercio elettronico: la direttiva n.31/2000 non si applica infatti al di fuori dei servizi della società dell’informazione, come previsti dalla direttiva n. 98/48, che ha modificato la n. 98/34. Per servizi della società dell’informazione si intende “qualsiasi servizio della società dell’informazione, vale a dire qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi”. Ai fini della presente definizione si intende “a distanza” un servizio fornito senza la presenza simultanea delle parti; per “via elettronica” un servizio inviato all’origine e ricevuto a destinazione mediante attrezzature elettroniche di trattamento (o trasmesso interamente); e “a richiesta individuale di un destinatario di servizi”, un servizio fornito mediante trasmissione di dati su richiesta individuale. La fattispecie è precisa; in chiave esplicativa, vi è inoltre un allegato che indica cosa non è un servizio della società dell’informazione. In particolare non sono contemplati i servizi non forniti a distanza come nelle ipotesi in cui si utilizzi una tecnica potenzialmente a distanza ma con la presenza fisica dell’utente. Si fa l’esempio della prenotazione di biglietti aerei attraverso una rete informatica in una agenzia di viaggi in presenza del cliente; ove il cliente non fosse presente, ecco che si applica la normativa. Si riafferma la ratio della protezione dagli effetti derivanti da una non conoscenza immediata, in questo caso, del servizio. Servizi non forniti per via elettronica sono inoltre quelli erogati dai distributori automatici di biglietti, nelle reti stradali, nei parcheggi a pagamento. In questi casi manca il requisito dell’invio, che non si realizza all’origine del trattamento in memorizzazione; in altri termini tutto risulta già predisposto dall’operatore, che non deve fare alcunché avendo attrezzato la macchina ad operare al comando dell’utente, come già avveniva ad inizio secolo scorso negli automatici studiati da Antonio Cicu e Antonio Scialoja. 6. Dalla tutela dell’effetto “sorpresa” al principio della completezza informativa. In conclusione può formularsi un modello normativo per una disciplina giuridica del commercio elettronico. Per i rapporti che potremmo definire individuali, cioè al di fuori della definizione di servizio della società dell’informazione, rileva, ove si attuino i profili soggettivi di consumatore e operatore commerciale, il d. lgs. n. 185: ius poenitendi più peculiari oneri informativi (preventivi e contestuali alla consegna). La ratio della sorpresa, tipica nella vendita “porta a porta” si perfeziona ora nella ratio della carenza informativa sull’oggetto negoziale. Per i rapporti commerciali contemplati dai servizi della società dell’informazione, oltre alla rilevanza dello ius poenitendi per diretta applicazione del d. lgs. n. 185, si aggiungono altri oneri informativi propri della direttiva sul commercio elettronico. Alla ratio della carenza informativa si aggiunge la ratio della scarsa dimestichezza nell’uso dello strumento informatico, in un’ottica di costante addestramento del consumatore. Il modulo comunicativo utilizzato con il consumatore deve corrispondere a canoni di lealtà. Lo scenario telematico rimane così ancorato al modello delle relazioni umane che appartengono a quella sfera di socialità primaria consueta a tutti i soggetti dell’ordinamento, a tutte le persone fisiche che fanno parte di una comunità. Possono esserci dei rischi nell’utilizzo del sistema con possibili distorsioni della volontà rispetto all’operazione economica che si vuole porre in essere: ma tutto questo va soppesato, prendendo come riferimento un utente, che non è detto che conosca questo il sistema e le sua applicazioni informatiche. Se il paradigma di riferimento è quello della socialità primaria, cosicché tutti i soggetti possano un giorno entrare nella rete, bisogna permettergli di comprendere, rendendoli più familiari, i modi di utilizzo della rete. Bisogna permettergli di commettere degli errori, che non rechino conseguenze e vincoli eccessivi. Superata la fase dell’apprendistato potrà un giorno ipotizzarsi la sopravvenienza di principi ispirati alla tradizionale autonomia del contratto e alla libertà dei contraenti; ma questo giorno appare ancora lontano considerato che per circa un terzo dell’umanità a mancare non è Internet, ma addirittura la disponibilità del telefono. BIBLIOGRAFIA AA. VV., Commerce èlectronique: le temps des certitudes. Bruxelles, Bruylant, 2000. Renato Borruso – Carlo Tiberi, L’informatica per il giurista, dal bit a internet, 2a ed., Milano, Giuffrè, 2001. CAMERA dei DEPUTATI. Servizio Commissioni parlamentari, Il commercio elettronico. Roma, Camera dei Deputati, 2001. Giampaolo Corabi, Il commercio elettronico e la crisi della fiscalità internazionale. Milano, IPSOA, 2000. Giuseppe Corasaniti (a cura di), Codice per l’informatica: Internet, informatica nelle Pubbliche Amministrazioni, commercio elettronico, firma digitale, tutela del software, pribacy, banche dati. Milano, Giuffrè, 2001. Alberto Maria Gambino, L’accordo telematico. Milano, Giuffrè, 1997. Luca Marini, Il commercio elettronico: profili di diritto comunitario. Padova, CEDAM, 2000. Giorgio Rognetta, Il commercio elettronico. Napoli, Simone, 2000. Giorgio Sacerdoti – Giuseppe Marino (a cura), Il commercio elettronico. Profili giuridici e fiscali. Milano, Ed. Bocconi e Giuffrè, 2001. Giovanni Santosuosso, Il codice internet e del commercio elettronico. Aspetti giuridici di rilevanza civilistica. Padova, CEDAM, 2001. Fulvio Sarzana, I contratti di Internet e del commercio elettronico. Milano, Giuffrè, 2001. Cesare Vaccà (a cura di), Il commercio elettronico: il documento digitale, Internet, la pubblicità “on line”. Milano, Ed. Bocconi e Giuffrè, 1999.
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