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Pratiche commerciali scorrette e azione di classe

Pratiche Commerciali Scorrette

di Valeria Falce

Pratiche commerciali scorretteMentre il Commissario Joaquín Almunia sollecita la definizione di una cornice giuridica uniforme che faciliti l’accesso dei consumatori degli Stati Membri alle forme di rimedio collettivo in caso di illeciti latamente anticoncorrenziali, in Italia vengono annunciate le prime class actions. A partire dall’1 gennaio 2010 infatti i consumatori e gli utenti possono ottenere – individualmente o attraverso associazioni di categoria – il risarcimento di danni identici causati anche dalla commissione di comportamenti in violazione del diritto della concorrenza e tra questi dalle pratiche commerciali scorrette. Così facendo, e in attesa degli eventuali sviluppi comunitari in materia, l’Italia si dota di un sistema di diritto comune, che completa e integra la disciplina che già sul fronte pubblicistico era stata introdotta nel 2007.
Sotto il profilo pubblicistico, con gli artt. 18 e ss. del Codice del Consumo si impone ai professionisti un divieto di ordine generale di ricorrere a condotte che contrastino con la diligenza professionale e interferiscano in maniera significativa sulla capacità di auto-determinazione del consumatore medio cui la pratica è rivolta, inducendolo ad assumere una decisione di natura commerciale che altrimenti (a fronte cioè di una corretta rappresentazione) non avrebbe assunto. In concreto, il consumatore-persona fisica può oggi rivolgersi all’Autorità garante della concorrenza per contrastare tutte le pratiche commerciali – sub specie di comportamenti attivi e omissivi, tra professionisti e consumatori, che si realizzino nella fase antecedente, contestuale o successiva ad un’operazione commerciale relativa ad un prodotto o servizio – e non solo quelle afferenti al fenomeno pubblicitario, che ne ledano direttamente gli interessi economici. A sua volta l’Antitrust può avviare un procedimento anche d’ufficio, accettare gli impegni assunti dalle parti nel corso del procedimento, rendendoli obbligatori, autorizzare operazioni ispettive, richiedere informazioni rilevanti al fine dell’accertamento dell’infrazione e applicare un regime sanzionatorio che è stato sensibilmente inasprito. Sul fronte del private enforcement, con l’innesto dell’art. 140 bis nel Codice del Consumo i consumatori possono avvalersi di un nuovo strumento processuale, l’azione di classe, in relazione a quelle pratiche commerciali che, oltre a caratterizzarsi per la naturale destinazione ad una pluralità di consumatori legati da un rapporto di consumo con il professionista, si connotino per l’idoneità a determinare danni immediatamente percepibili dal consumatore-utente. Tra i possibili candidati sembrano potersi includere, ad esempio, quei comportamenti tipizzati dal legislatore (che come tali presentano una minore complessità rispetto all’accertamento probatorio) posti in essere in occasione della fornitura di servizi a rete, eventualmente consistenti nell’attivazione non richiesta di servizi a pagamento (contenuti a sovrapprezzo) o nella modifica in senso peggiorativo di  condizioni contrattuali o di modalità di erogazione di servizi (energia, Tlc, Trasporti, ecc), o nell’omissione di informazioni rilevanti in formulari ed in contratti standard (credito al consumo, finanziamenti, assicurazioni, anche in caso di commercializzazione a distanza), o anche nell’invio di comunicazioni commerciali standardizzate qualificabili come invito all’acquisto (ad es. per posta, e-mail, fax) che tralascino informazioni essenziali (es. il prezzo, le condizioni, il diritto di recesso, ecc.). Sempre che per effetto di quei comportamenti una classe omogenea di consumatori venga a patire danni diretti, diffusi, seriali e di pari entità. Una nota in chiusura. Il sistema di diritto comune e quello pubblicistico non sono isolati. Il successo dell’azione di classe infatti è destinato ad essere agevolato dall’adozione di una decisione da parte dell’Antitrust che abbia sanzionato la scorrettezza di una condotta d’impresa. E ciò non solo perché quell’accertamento costituisce tendenzialmente una prova “privilegiata” del fatto illecito, ma anche perché attraverso il suo intervento l’Autorità esprime la rilevanza pubblicistica delle istanze di tutela (denunce/segnalazioni) provenienti dai consumatori e dalle loro associazioni rispetto a comportamenti diffusi che vengono percepiti nel loro disvalore. Ferma la rilevanza della deliberazione dell’Antitrust per la valutazione dell’ingiustizia del pregiudizio che eventualmente ne derivi al consumatore, al giudice civile rimane il compito di verificare i presupposti di applicabilità dell’azione anche sotto il profilo dell’esistenza del nesso di causalità e del danno ingiusto causato a seguito e per effetto della condotta sleale.
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