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La disciplina del credito al consumo e le novita’ apportate dal D.Lgs. 141/2010

Credito Al Consumo

di Antonio Liguori

Credito al consumoIl quadro normativo. La disciplina del credito al consumo attualmente vigente è stata introdotta nell’ordinamento nazionale a seguito del recepimento della Direttiva 87/102/CEE. Obiettivo del legislatore comunitario fu quello di rimuovere le principali differenze normative esistenti all’interno dei vari Stati membri, predisponendo un sistema di tutela minimo che i singoli Stati avrebbero dovuto adottare. Il legislatore nazionale diede quindi attuazione alla Direttiva 87/102/CEE mediante gli artt. 18 – 24 della legge 19 febbraio 1992 n. 142 (Legge Comunitaria per il 1991 ), disposizioni successivamente abrogate e riprodotte all’interno del Titolo VI, Capo II e III, del TUB (d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385); a seguito, poi, dell’introduzione del Codice del Consumo (d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206) parte dell’art. 125 TUB è stato trasposto, senza modifiche, nel art. 42 del Codice stesso. Il TUB esordisce, all’art. 121, comma 1, fornendo una precisa definizione di credito al consumo, precisando che è tale l’attività di concessione di credito, nell’esercizio di un’attività professionale o commerciale, sotto forma di dilazione di pagamento, finanziamento o di altra analoga facilitazione finanziaria, a favore di una persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività professionale o imprenditoriale eventualmente svolta. Da tale definizione emerge immediatamente come la disciplina dettata dal TUB trovi applicazione unicamente nei contratti tra professionista e consumatore; sul punto va tuttavia precisato che non ogni professionista è ammesso a svolgere l’attività di credito al consumo, essendo questa riservata, ai sensi dell’art. 121, comma 2, del TUB, alle banche, agli intermediari finanziari e ai soggetti autorizzati alla vendita di beni e servizi, ma – in quest’ultimo caso – esclusivamente nella forma di dilazione di pagamento; il comma 3 dello stesso art. 121 precisa poi che le norme sul credito al consumo si applicano, in quanto compatibili, anche ai soggetti che si interpongo tra finanziatore e consumatore. Oltre ai suddetti limiti soggettivi, il TUB individua anche dei limiti oggettivi all’applicazione della disciplina sul credito al consumo, individuando, al 4 comma dell’art. 121, una serie di fattispecie cui la stessa non trova applicazione: (i)    i contratti di finanziamento per un importo inferiore o superiore ai limiti individuati con apposita delibera dal CICR (tale delibera non è stata tuttavia mai emanata e pertanto tali limiti vengono individuati in quelli stabiliti dalla legge 142/1992, pari cioè ad euro 154,93 come limite minimo ed euro 30.987,41 come limite massimo); (ii)    i contratti di somministrazione ex art. 1559 c.c., stipulati preventivamente in forma scritta e consegnati contestualmente in copia al consumatore; (iii)    i finanziamenti rimborsabili in un’unica soluzione entro diciotto mesi, con il solo eventuale addebito di oneri non calcolati nella forma di interesse; (iv)    i finanziamenti privi di corrispettivo di interessi o di altri oneri, ad eccezione del rimborso per le spese vive sostenute e documentate; i finanziamenti destinati all’acquisto e alla conservazione di un diritto di proprietà su un terreno o immobile edificato o da edificare, ovvero all’esecuzione di opere di restauro o di miglioramento; (v)    i contratti di locazione, purché sia prevista la clausola che escluda la possibilità che la proprietà della cosa locata possa essere trasferita al locatario. Precisato l’ambito di applicazione della disciplina, il legislatore si propone di predisporre un sistema di tutela che sia in grado di proteggere il consumatore in tutte le varie fasi del rapporto contrattuale. Con riguardo al momento antecedente alla stipula del contratto, l’art. 123 impone precisi obblighi informativi in capo al finanziatore: anche in materia di credito al consumo, quindi, l’informazione costituisce uno dei principali strumenti utilizzati dal legislatore comunitario per predisporre un adeguato strumento di tutela dei consumatori. Il comma 1 dell’art. 123 precisa pertanto che ai contratti di credito al consumo si applica l’art. 116 TUB, dettato in materia di trasparenza dei contratti bancari ed avente ad oggetto la pubblicità effettuata all’interno di locali aperti al pubblico; il comma 2 dell’art. 123 riguarda invece la pubblicità effettuata con qualsiasi altro mezzo. Tra i contenuti che la comunicazione pubblicitaria deve in ogni caso fornire al consumatore rientra il TAEG ed il relativo periodo di validità; alla luce di quanto precisato dall’art. 122 del TUB, il TAEG costituisce il costo totale del credito a carico del consumatore, comprensivo degli interessi e di tutti gli oneri da sostenere per l’utilizzazione del credito, il quale è espresso in percentuale annua del credito concesso. Con riguardo alla tutela predisposta in sede negoziale, l’art. 124 del TUB, rinviando ai commi 1 e 3 dell’art. 117, richiede la forma scritta, pena la nullità del contratto e la consegna di una copia dello stesso al consumatore. Tale invalidità, tuttavia, non opera secondo le regole classiche del codice civile, atteso che l’art. 127 TUB precisa che essa può essere fatta valere solo dal consumatore, configurandosi quindi come una nullità di protezione. Oltre alla forma scritta, poi, lo stesso art. 124, ai commi 2 e 3, impone un contenuto minimo obbligatorio del contratto di credito al consumo e al successivo comma 4 precisa che il finanziatore non può richiedere alcuna somma al consumatore che non sia espressamente prevista nel contratto, sancendo la nullità di qualsiasi clausola contrattuale che rinvii agli usi per la determinazione di condizioni economiche. Qualora, poi, il contratto di credito al consumo sottoscritto dal finanziatore e dal consumatore manchi di alcune delle previsioni richieste dalle suddette norme come contenuto minimo del regolamento contrattuale, ovvero le stesse siano affette da nullità, il comma 5 dell’art. 124 prevede un sistema di integrazione automatica del contratto in base al quale: (i)    il TAEG equivale al tasso nominale minimo dei buoni del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell’economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto; (ii)    la scadenza del credito si intende di trenta mesi; (iii)    è esclusa la costituzione in favore del finanziatore di qualsiasi garanzia o copertura assicurativa. Sono inoltre previste, all’art. 125 TUB introduce una serie di disposizioni dirette a tutelare il consumatore successivamente alla stipula del contratto di credito al consumo. In primo luogo si prevede l’estensione della disciplina di cui all’art. 1525 c.c. ai contratti in cui sia stato concesso un diritto reale di garanzia sul bene acquistato con il denaro ricevuto in prestito: ciò comporta che il finanziatore non può richiedere la risoluzione del contratto e la restituzione della somma finanziata qualora l’inadempimento del consumatore non superi l’ottava parte del prezzo. Si tratta, peraltro, di una norma che è stata oggetto di critiche in dottrina, per il fatto che il presupposto della concessione di un diritto reale di garanzia ne limita fortemente la portata applicativa. Il comma 2 dell’art. 125 TUB attribuisce esclusivamente al consumatore il diritto di adempimento anticipato e di recesso, escludendo la possibilità di patto contrario: per quanto riguarda il diritto di estinzione anticipata, esso si configura come un vero e proprio diritto potestativo in capo al consumatore, cui è altresì riconosciuto il diritto ad un’equa riduzione del costo del credito, secondo le modalità fissate dal Ministero del Tesoro con decreto dell’8 luglio 1992. La disciplina del diritto di recesso va invece rintracciata nell’art. 118 TUB, a norma del quale il finanziatore ha diritto a modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni di contratto, purché tali modifiche siano comunicate espressamente al consumatore, con un preavviso minimo di trenta giorni, in forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente accettato dal consumatore, il quale potrà recedere, senza spese, dal contratto entro sessanta giorni. L’ultimo comma dell’art. 125 TUB tutela infine il consumatore in caso di cessione del credito da parte del finanziatore, consentendo al primo di opporre al cessionario tutte le eccezioni derivanti dal contratto, anche in deroga all’art. 1248 c.c. in materia di compensazione. Tale riferimento alla compensazione ha suscitato alcune perplessità in dottrina, la quale si è chiesta se il richiamo all’art. 1248 c.c. dovesse intendersi operante sia per il primo che per il secondo comma della disposizione: si è osservato, infatti, che, in caso di risposta affermativa, la posizione del cessionario sarebbe fortemente compromessa, potendosi lo stesso vedersi compensati, in virtù della deroga al comma 2 dell’art. 1248 c.c., anche crediti sorti successivamente alla notifica della cessione al consumatore. La disposizione di cui al comma 3 dell’art. 125 TUB deve essere tuttavia interpretata facendo riferimento alla ratio che ha ispirato il legislatore, il quale ha inteso, evidentemente, disincentivare, nell’ambito della tipologia contrattuale di cui si tratta, la cessione del credito, tutelando in tal modo maggiormente i diritti del consumatore, anche a discapito della posizione del cessionario: ciò deve quindi condurre a ritenere che la deroga sia operante anche con riferimento al comma 2 dell’art. 1248 c.c. Altra disposizione posta a protezione del consumatore è poi l’art. 42 cod. cons., ove si prende in considerazione l’ipotesi in cui il contratto di credito al consumo sia finalizzato all’acquisto di un bene o di un servizio: si tratta di casi in cui si è quindi di fronte a due contratti, uno di compravendita e l’altro di finanziamento, i quali sono distinti sul piano giuridico ma sicuramente interdipendenti sul piano economico. L’art. 42 cod. cons. proprio in virtù di tale collegamento consente al consumatore di agire contro il finanziatore, per l’inadempimento del fornitore del bene o del servizio, nei limiti del credito concesso, purché sia stata effettuata inutilmente dallo stesso la costituzione in mora ed a condizione che vi sia un accordo che attribuisce al finanziatore l’esclusiva per la concessione di credito ai clienti del fornitore; in tali casi la responsabilità si estende anche al terzo, al quale il finanziatore abbia ceduto i diritti derivanti dal contratto di concessione del credito. La nuova direttiva 08/48/CE. Con la nuova Direttiva 08/48/CE si assiste ad un mutamento, almeno nelle intenzioni, dell’obiettivo del legislatore comunitario nel settore del credito al consumo: mentre in precedenza, con la Direttiva 87/102/CEE, si volle prevedere uno standard minimo di tutela, rispetto al quale i singoli Stati membri erano liberi di adottare o meno disposizioni più incisive, ora il risultato cui si mira è quello della massima armonizzazione degli ordinamenti nazionali. Come si evince dai considerando della Direttiva, infatti, la Comunità Europea ha preso di come gli ampi spazi di manovra lasciati dalla precedente normativa comunitaria abbia portato ad un’eccessiva frammentazione normativa all’interno dei singoli ordinamenti dei vari Stati membri nel settore del credito al consumo, e ciò, unito al rapido sviluppo e all’evoluzione del mercato del credito, costituisce un ostacolo alla realizzazione del mercato unico del credito. A tal fine, quindi, il legislatore comunitario ha inteso intervenire nella materia del credito al consumo, ponendo rimedio alle problematiche applicative che erano sorte con la precedente disciplina, e vietando agli Stati membri, come si evince dall’art. 22 della Direttiva, di mantenere o introdurre disposizioni in contrasto con la nuova normativa. Analizzando la nuova normativa si evince come le principali novità riguardino in primo luogo l’ambito applicativo della stessa: sotto il profilo oggettivo si assiste ad una riduzione delle fattispecie contrattuali escluse; sotto il profilo soggettivo si fa espresso riferimento alla figura dell’intermediario del credito. In particolare l’art. 3, comma 1, lett. f), definisce l’intermediario del credito come la persona fisica o giuridica che, non agendo come creditore, e nell’esercizio della propria attività commerciale o professionale, provveda, dietro pagamento di un compenso, a presentare proposte di credito ai consumatori, ad assisterli nella conclusione dei contratti, ovvero a stipulare contratti di credito con i consumatori in nome e/o per conto del finanziatore. Tali soggetti sono quindi sottoposti agli stessi obblighi, ivi compresi quelli informativi, previsti per il finanziatore, con l’aggiunta di ulteriori e specifici obblighi informativi indicati dall’art. 21 della direttiva. Con riferimento agli obblighi informativi previsti dalla nuova Direttiva, essi si concentrano non solo nella fase più prettamente precontrattuale, ma anche nel momento antecedente della comunicazione commerciale rivolta al consumatore: l’art. 4 individua, infatti, quello che deve costituire il contenuto minimo di qualsiasi comunicazione commerciale relativa a contratti di credito, all’interno della quale si faccia riferimento a qualsiasi dato numerico riguardante il costo del credito al consumatore, informazioni che la stessa Direttiva precisa devono essere fornite in maniera chiara, concisa e con l’impiego di un esempio rappresentativo. Passando al momento strettamente precontrattuale,il legislatore comunitario non solo ampia in modo considerevole, rispetto alla precedente normativa il contenuto delle informazioni rilevanti, ma precisa, all’art. 5 comma 1, che queste devono essere fornite al consumatore in tempo utile prima che egli sia vincolato da un contratto o da un’offerta di credito ed in modo tale da consentirgli di raffrontare le varie offerte contrattuale; si tratta evidentemente di disposizioni attraverso le quali si vuole che il consumatore sia posto nella condizione di compiere una scelta consapevole in merito alla conclusione del contratto. L’importanza di tali informazioni per il compimento di una scelta consapevole da parte del consumatore ha poi portato il legislatore comunitario a far in modo che esse siano fornite nel modo più chiaro possibile: da ciò deriva non solo la naturale prescrizione della forma scritta o di altro supporto durevole, ma anche la precisazione che qualsiasi altra informazione che il finanziatore intenda fornire dovrà essere tenuta distinta rispetto a quelle indicate dalla Direttiva, in modo da evitare qualsiasi rischio di confusione per il consumatore. Particolare rilievo assume poi la previsione di cui al comma 6 dello stesso art. 5 della Direttiva, in base alla quale il finanziatore, ovvero anche il suo intermediario, dovranno assistere il consumatore per consentirgli di scegliere le condizioni economiche del contratto di credito a lui maggiormente confacenti: la norma tuttavia non specifica le modalità attraverso le quali tale attività dovrà essere svolta, rinunciando quindi all’armonizzazione massima sul punto e lasciando ampi spazi di manovra ai singoli Stati membri. Tale nuovo onere imposto dalla legislazione comunitaria in capo ai finanziatori e agli intermediari è strettamente connesso con la nuova disciplina del cosiddetto “merito creditizio”: l’obiettivo è quello di evitare che il consumatore, aderendo ad una operazione di credito al consumo, si sottoponga ad un rischio eccessivo rispetto alle sue capacità economiche ed in tal senso si vuole che anche il creditore si attivi per evitare che tale rischio si verifichi. L’art. 8 della Direttiva impone, quindi, lo svolgimento, da parte del finanziatore, ovvero del suo intermediario, di una verifica sul merito creditizio del consumatore, cioè sulla sua solvibilità e sulla sua capacità di adempiere agli oneri economici derivanti dal contratto di credito, mediante l’acquisizione di informazioni che possono essere fornite anche dal consumatore stesso ovvero tramite la consultazione di apposite banche dati permanenti, purché operanti nel rispetto della normativa in materia di privacy. Va detto, peraltro, che quella del merito creditizio non costituisce una novità assoluta per il nostro ordinamento: si pensi alla disciplina dettata dagli artt. 39-40 della delibera Consob n. 16190/2007 in materia di prestazione di servizi di gestione di portafoglio. Tra le altre novità della Direttiva vi è inoltre una nuova disciplina del diritto di recesso dal contratto di credito al consumo, all’interno della quale viene dedicata una apposita previsione per i casi di contratti aventi durata indeterminata. Nel primo caso l’art. 13 prevede che il consumatore può recedere in qualsiasi momento dal contratto senza alcun obbligo di preavviso, a meno che questo non sia previsto contrattualmente e comunque in misura non superiore ad un mese; diversamente il finanziatore può recedere solo se tale possibilità sia prevista nel contratto, mediante comunicazione scritta o su altro supporto durevole al consumatore con un preavviso di due mesi, ovvero senza preavviso laddove sussista un motivo oggettivamente giustificato. Con riguardo poi alla normativa generale del diritto di recesso, il legislatore comunitario ha inteso porre rimedio alla frammentazione che si era creata nei vari ordinamenti nazionali, circa il diritto di ripensamento in capo al consumatore, escluso in alcuni, tra cui anche nel nostro ordinamento, e previsto in altri, dove, come visto, il recesso si configura come uno strumento di reazione del consumatore alle modifiche unilaterali delle condizioni contrattuali. A tal fine l’art. 14 della Direttiva introduce definitivamente anche nel settore del credito al consumo il diritto di recesso come diritto di ripensamento del consumatore, da esercitarsi entro 14 giorni di calendario decorrenti dalla conclusione del contratto di credito, ovvero dal giorno in cui il consumatore ha ricevuto le informazioni contrattuali e le informazioni di cui all’art. 10, se tale giorno è posteriore a quello della stipula del contratto. L’esercizio di tale diritto dovrà avvenire secondo le modalità indicate dal finanziatore nelle informazioni precontrattuali, ed in ogni caso mediante comunicazione scritta o su altro supporto durevole disponibile al consumatore, purché idoneo a costituire prova secondo l’ordinamento nazionale. In conseguenza dell’esercizio del diritto di recesso il consumatore dovrà pagare al creditore il capitale e gli interessi dovuti e calcolati sulla base del tasso debitore pattuito dalla data di prelievo del credito fino alla data di rimborso del capitale, non oltre 30 giorni di calendario dall’invio della notifica del recesso al creditore; il creditore non ha diritto a nessun altro indennizzo da parte del consumatore in caso di recesso, salvo le spese non rimborsabili pagate dal creditore stesso alla pubblica amministrazione. Il legislatore comunitario ha poi inteso rivedere anche la disciplina dei contratti di credito collegati, oggi disciplinata dall’art. 42 cod. cons. L’art. 15 della Direttiva provvede quindi per la prima volta a dare una definizione normativa del contratto di credito collegato, individuandone la caratteristica fondamentale nella sua finalizzazione all’acquisto di beni o servizi per scopi di consumo all’interno di un’unica operazione commerciale; unità ravvisata dallo stesso legislatore sia nel caso in cui sia lo stesso fornitore del bene a finanziare il credito al consumo, sia quando il credito è concesso da un soggetto finanziatore terzo rispetto al fornitore del bene. La principale novità sul punto riguarda la disciplina della responsabilità del finanziatore a seguito dell’inadempimento del fornitore del bene o del servizio: l’art. 15 della Direttiva consente, infatti, al consumatore di agire contro il finanziatore con il solo limite di aver preventivamente ma inutilmente agito nei confronti del fornitore. Si tratterebbe evidentemente di un rafforzamento della tutela prevista per il consumatore rispetto alla disciplina dettata attualmente dall’ordinamento interno all’art. 42 cod. cons., atteso che alla luce di tale normativa è necessaria la sussistenza di un rapporto di esclusiva tra il finanziatore ed il fornitore, la cui prova spetta peraltro al consumatore; tuttavia bisognerà attendere l’attuazione che di tale norma comunitaria verrà data dal legislatore nazionale, avendo sul punto la direttiva rinunziato, in modo fortemente criticabile, all’armonizzazione massima, lasciando agli Stati membri la possibilità di stabilire la misura e le condizioni in base alle quali il suddetto rimedio potrà essere esperito. Altro punto molto importante riguarda la disciplina di cui all’art. 19 della Direttiva sulle modalità di calcolo del TAEG, che dovrà comprendere non solo tutti i costi relativi al contratto di credito, ma anche ai contratti collegati, quali ad esempio i contratti di assicurazione, sia nel caso in cui la loro sottoscrizione sia obbligatoria sia qualora sia richiesta dal finanziatore per ottenere le condizioni offerte con il contratto. Ulteriori aspetti della disciplina del credito al consumo toccati dalla nuova direttiva comunitaria riguardano, poi, il contenuto minimo del contratto (art. 10), la disciplina dell’adempimento anticipato in cui si provvede a specificare rispetto al passato i criteri per la determinazione dell’indennizzo spettante al finanziatore (art. 16) e la cessione dei diritti (art. 17). Va poi evidenziato come il legislatore comunitario abbia precisato che tutti i diritti sopra esaminati riconosciuti ai consumatori in materia di credito al consumo siano in ogni caso irrinunciabili ed all’art. 22, comma 2 della direttiva impone agli Stati membri di provvedere affinché la normativa nazionale preveda tale irrinunciabilità. Il legislatore nazionale ha avviato l’iter di recepimento nell’ordinamento interno della direttiva 08/48/CE, attribuendo al Governo apposita delega legislativa ai sensi dell’art. 33 legge n. 8 del 2009 (Legge Comunitaria per il 2008), ma ad oggi la nuova normativa in materia di credito al consumo non risulta ancora essere stata adottata. Meritano tuttavia di essere analizzati i principi dettati dalla delega legislativa che dovranno essere presi in considerazione dal Governo. Il primo luogo la delega richiede di « estendere, in tutto o in parte, gli strumenti di protezione del contraente debole previsti in attuazione della direttiva 2008/48/CE ad altre tipologie di finanziamento a favore dei consumatori, qualora ricorrano analoghe esigenze di tutela alla luce delle caratteristiche ovvero delle finalità del finanziamento ». Come correttamente osservato in dottrina, la disposizione cade in un evidente errore terminologico, invertendo clamorosamente le posizioni di consumatore e contraente debole: è evidente infatti che la direttiva 08/48/CE prevede strumenti di tutela del consumatore per cui la delega avrebbe dovuto più correttamente prevedere l’estensione di questi ad altri contratti di finanziamento stipulati da altri contraenti deboli. Tenuto conto di tale errore, è stato poi osservato come l’espressione contraente debole comporterebbe l’applicazione della normativa comunitaria anche a soggetti non persone fisiche, tradizionalmente esclusi dalla tutela consumeristica. Ulteriore criterio direttivo dettato dalla delega consiste nel rafforzamento e nell’estensione dei poteri amministrativi inibitori e dell’applicazione delle sanzioni amministrative previste dal TUB per contrastare le violazioni delle disposizioni del Titolo VI di tale testo unico, anche se concernenti rapporti diversi dal credito al consumo, al fine di assicurare un’adeguata reazione a fronte dei comportamenti scorretti a danno della clientela. L’obiettivo del legislatore delegante è quindi quello di consentire l’applicazione delle sanzioni oggi previste dal TUB limitatamente alla violazione degli obblighi di pubblicità, anche a casi diversi. Inoltre il Governo è chiamato a « coordinare il testo unico di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993 e le altre disposizioni legislative aventi come oggetto la tutela del consumatore, definendo le informazioni che devono essere fornite al cliente in fase precontrattuale e le modalità di illustrazione, con la specifica, in caso di offerta congiunta di più prodotti, dell’obbligatorietà o facoltatività degli stessi ». Il mercato del credito al consumo in Italia. Questioni problematiche. L’esigenza avvertita dalla Comunità Europea di procedere ad un aggiornamento della disciplina dei contratti di credito al consumo è derivata dalla forte crescita e sviluppo che tale mercato ha avuto in questi anni in tutto il territorio del mercato unico. Le ragioni di questa espansione del mercato del credito al consumo vanno ravvisate sicuramente nella crisi economica che ha colpito in questi ultimi anni anche gli Stati membri della Comunità Europea, a fronte della quale il ricorso a tale strumento da un lato consente ai consumatori di soddisfare il proprio fabbisogno di determinati beni e servizi, dall’altro fa sì che le imprese che tali beni e servizi offrono di poter continuare ad operare nel mercato. In Italia questa tendenza è stata ampiamente analizzata in un’indagine conoscitiva della Commissione VI (Finanze) della Camera dei deputati, approvata il 23 febbraio 2010, dalla quale emerge chiaramente la crescita della propensione all’indebitamento delle famiglie italiane: tra i vari dati riportati dall’indagine a riprova della crescita del mercato del credito al consumo emerge in particolare quello della consistenza dei finanziamenti in essere, pari a giugno 2009 a 109 miliardi di euro – il 28,6 per cento del totale degli impieghi delle famiglie italiane – con una crescita annuale di circa l’8,5 per cento. La stessa indagine conoscitiva ha poi evidenziato che, parallelamente alla crescita del mercato del credito al consumo, in forte espansione è anche il numero di soggetti che offrono prodotti sul mercato medesimo: accanto alle banche, ai gruppi bancari e alle società finanziarie, iscritte nell’elenco speciale di cui all’art. 107 del TUB, si pongono infatti gli intermediari minori, ma più numerosi, iscritti nell’elenco di cui all’art. 106 del TUB. Al tempo stesso risulta in costante aumento anche il numero degli operatori che si interpongono nella distribuzione dei prodotti di credito al consumo, ed in particolare degli agenti in attività finanziaria, di cui all’art. 3 d.lgs. 374/1999, e dei mediatori creditizi, di cui all’art. 16 l. 108/1996. Quest’ultimi costituiscono peraltro due aspetti molto critici del mercato italiano del credito al consumo e ciò per due ragioni fondamentali. In primo luogo il rilevante ricorso a canali distributivi esterni, quali appunto i mediatori creditizi e gli agenti in attività finanziaria, contribuisce in materia determinante a far sì che il costo del credito al consumo all’interno del mercato italiano sia il più alto tra quello degli altri Stati membri. Deve poi rilevarsi che per la maggior parte dei suddetti soggetti la Banca d’Italia non è dotata di effettivi e penetranti poteri di vigilanza: in particolare, ad eccezione di quanto previsto per gli istituti iscritti nell’elenco di cui all’art. 107 del TUB, le competenze e i poteri della Banca d’Italia nei confronti dei soggetti iscritti nell’elenco di cui all’art. 106 TUB, nonché degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi sono attualmente circoscritti alla verifica dei requisiti per l’accesso al mercato e al rispetto della normativa di settore. Trattasi, peraltro, di requisiti facilmente raggiungibili da qualsiasi soggetto che intenda cimentarsi nell’attività di intermediazione nella vendita di prodotti di credito al consumo; basti pensare alla disciplina dettata per i mediatori creditizi, che prevede quali requisiti per le persone fisiche che aspirano all’iscrizione nell’apposito albo: i)    il domicilio in Italia; ii)    il possesso di un diploma di scuola media superiore ovvero iscrizione nei ruoli di cui alla legge 3 febbraio 1989, n. 39; iii)    l’onorabilità ai sensi dell’articolo 109 TUB. Quanto sopra ha favorito l’ingresso nel mercato del credito al consumo di operatori dotati di scarsa professionalità, fortemente orientati alla generazione di profitto piuttosto che all’impostazione di un rapporto corretto e trasparente con il consumatore, così come evidenziato anche all’interno della suddetta indagine conoscitiva in cui si afferma essere emerse diffuse anomalie nella catena distributiva dei prodotti nonché il mancato rispetto formale e sostanziale della disciplina in materia di trasparenza oltre che delle normative di settore. Ulteriore conseguenza di quanto sopra è stata poi la notevole diffusione che negli ultimi anni hanno avuto particolari prodotti finanziari, quali le carte di credito revolving e la cessione del quinto dello stipendio, collocati prevalentemente proprio da mediatori creditizi e agenti in attività finanziaria, ed acquistati dai consumatori spesso con una non completa consapevolezza dei costi e dei vincoli contrattuali che da tali prodotti derivano. Gli interventi della Banca d’Italia e le prospettive di riforma del mercato. In tale contesto va segnalato lo sforzo messo in atto negli ultimi anni dalla Banca d’Italia volto ad incrementare la correttezza nei rapporti tra intermediari e consumatori e conseguentemente la tutela di questi ultimi. In primo luogo l’Istituto di Via Nazionale in data 29 luglio 2009 ha quindi emanato una nuova normativa in tema di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari, entrata in vigore il 1 gennaio 2010, che trova applicazione per le operazioni e i servizi bancari e finanziari disciplinati dal Titolo VI del TUB, tra cui, quindi, anche ai contratti di credito al consumo. Attraverso tale complesso di regole e principi la Banca d’Italia intende sia garantire una maggior tutela dei clienti, rendendo noti gli elementi essenziali del rapporto contrattuale e le loro eventuali variazioni; sia consentire agli intermediari di attenuare i propri rischi legali e reputazionali, concorrendo altresì alla sana e prudente gestione dei medesimi. La Banca d’Italia ha poi provveduto recentemente ad emanare due importanti circolari dirette a richiamare l’attenzione degli operatori con riguardo alle operazioni di cessione del quinto dello stipendio e di credito revolving. La prima operazione consiste nella cessione da parte del consumatore di una quota fino a un quinto di un proprio credito futuro, quale appunto lo stipendio, a garanzia del rimborso delle rate dovute dall’intermediario cessionario. Le anomalie riscontrate dalla Banca d’Italia in tale settore riguardano, tra l’altro: (i)    il mancato rispetto delle regole e dei principi di trasparenza e correttezza nei rapporti con la clientela; (ii)    l’eccessiva lunghezza della catena distributiva; (iii)    la rilevante incidenza, sul costo complessivo a carico del cliente, delle polizze assicurative richieste per legge, i cui premi sono spesso determinati in modo non trasparente; (iv)    la diffusa carenza di controlli nella rete distributiva. Con la circolare n. 192691/09 la Banca d’Italia ha quindi invitato gli operatori ad astenersi dalle prassi anomale riscontrate, evitando condotte fraudolenti del consumatore, e a rafforzare i presidi organizzativi in materia di controlli interni; si sottolinea infatti che l’istituto erogante il finanziamento è responsabile della complessiva attività di collocamento sul mercato posta in essere dalla catena distributiva ed è pertanto tenuto ad evitare che da tale attività derivino pregiudizi per il consumatore. Ancora più recente è la determinazione adottata dalla Banca d’Italia in materia di credito revolving, consistente nella sottoscrizione da parte del consumatore di una carta di credito utilizzabile in tutti i negozi convenzionati, cui è associata una linea di credito rotativa che consente di rateizzare i pagamenti: il consumatore si impegna quindi a restituire gli importi utilizzati e gli interessi maturati rispettando la rata mensile minima stabilita nel contratto. Le irregolarità evidenziate dalla Banca d’Italia con la circolare n. 0313116/10 del 20 aprile 2010 sono: (i)    l’inosservanza della normativa civilistica e in materia di usura circa la determinazione del tasso di interesse; (ii)    l’inosservanza della normativa in materia di trasparenza e correttezza, ad esempio mediante invio di carte di credito non espressamente richieste dal cliente; (iii)     l’inosservanza delle disposizioni in materia di promozione e conclusione dei contratti di finanziamento, avendo rilevato la prassi di utilizzare gli esercizi commerciali convenzionati per la promozione e conclusione del contratto concernente le carte di credito revolving. Anche in questo caso gli intermediari bancari e finanziari sono stati quindi richiamati ad una condotta responsabile nei confronti dei consumatori, improntata alla massima trasparenza e correttezza sostanziale ed a tal fine la Banca d’Italia ha concentrato la propria attenzione sulla necessità di assicurare la comprensibilità da parte dei consumatori delle caratteristiche contrattuali del prodotto offerto e sulle verifiche in ordine alla professionalità, trasparenza e correttezza degli operatori utilizzati nella catena distributiva. Non va poi dimenticato che un’importante occasione per colmare le carenze di tutela normativa nei confronti dei consumatori con riguardo ai problemi evidenziati è rappresentata soprattutto dall’attuazione della delega legislativa conferita al Governo dall’art. 33 della Legge Comunitaria per il 2008. Con essa infatti il Governo è stata chiamato a dare attuazione alla Direttiva 08/48/CE che, come visto, si concentra particolarmente sulla figura degli intermediari, sottoponendo anch’essi a tutti gli obblighi previsti per i finanziatori, con l’aggiunta di ulteriori e specifici obblighi informativi individuati dall’art. 21 della Direttiva stessa. A ciò va poi aggiunto che con la medesima disposizione il legislatore, conscio delle problematiche sopra evidenziate che affliggono il mercato interno del credito al consumo, ha delegato il Governo anche a riformare la disciplina sia dei soggetti operanti nel settore finanziario di cui al Titolo V TUB, sia degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi. In particolare la nuova disciplina dovrà essere più stringente con riferimento all’accesso di tali operatori nel mercato, prevedendo requisiti di professionalità, onorabilità, oltre che di capacità economica, che ne assicurino in maniera più efficace di quanto avviene oggi l’affidabilità e la correttezza. Allo stesso tempo la Banca d’Italia dovrà essere dotata di strumenti di controllo e di vigilanza più efficienti nei confronti degli intermediari di cui all’art. 106 TUB, dei mediatori creditizi e agenti in attività finanziaria, così come dovranno essere previste sanzioni amministrative pecuniarie e accessorie e forme di intervento effettive, dissuasive e proporzionate, quali, tra l’altro, il divieto di intraprendere nuove operazioni e il potere di sospensione, rafforzando, nel contempo, il potere di cancellazione. Sarebbe poi opportuno che la nuova normativa chiarisca, a maggior tutela del consumatore, la differenza tra la figura del mediatore creditizio, che, non essendo legato da alcun rapporto alle parti che mette in contatto, dovrebbe proporre prodotti che più si attagliano alle esigenze del cliente, da quella dell’agente in attività finanziaria, che invece opera, non necessariamente in esclusiva, su mandato delle società finanziaria.
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