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Gli autisti di Uber? Per la California “sono dipendenti”. Ma l’azienda: “La decisione si applica a un solo driver”

Si apre un nuovo fronte per Uber, ma stavolta al centro della discussione finisce il cuore pulsante del suo modello di business. La Commissione per il lavoro della California ha infatti stabilito che gli autisti del servizio non sono dei liberi professionisti né degli imprenditori, ma ad essi vanno riconosciuti alcuni benefici tipici dei veri e propri dipendenti dell’azienda. L’estrema flessibilità con la quale finora è stato gestito il rapporto di lavoro tra il servizio con sede a San Francisco e le decine di migliaia di autisti (professionisti, come per la versione Black di Uber, o appena entrati nel mondo dei trasporti, come per la versione Pop) non sarebbe dunque legittima e andrebbe invece ricondotta ad una forma più tradizionale. Il caso origina dalla richiesta avanzata da una ex autista in merito a un rimborso per alcune spese sostenute nel periodo in cui ha prestato servizio ricevendo commissioni dall’app. Una richiesta accolta dalla Labor Commission in quanto chi gestisce il software è “coinvolto in ogni aspetto del funzionamento” del servizio; l’aumento di costi e oneri burocratici che un tale nuovo scenario comporterebbe per Uber ha già spinto i vertici della società a presentare ricorso contro il pronunciamento della Commissione e a puntualizzare sul senso dello stesso: “La decisione – dichiarano in una nota – non è vincolante e si applica ad un singolo driver. Tanto più che una precedente decisione della stessa Corte stabiliva che gli autisti del nostro servizio agiscono come indipendent contractor. Altri cinque stati hanno raggiunto la stessa decisione”. [scribd id=268946016 key=key-cx7cvXBtoDhY1IpXoO8L mode=scroll]   Un episodio che si aggiunge alle decine di “grane” sparse per il pianeta e in merito alle quali l’Italia non fa eccezione alcuna.

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18 giugno 2015

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