Edoardo Giardino è avvocato e professore associato nonché abilitato alle funzioni di professore ordinario di…
Google car e WiFi, nessun riesame per la sentenza sulla violazione delle leggi anti-intercettazione
Google non può sottrarsi dall’affrontare le conseguenze dell’aver violato le normative che regolano le intercettazioni sul territorio statunitense. È il senso della decisione con la quale la Corte d’Appello di San Francisco ha respinto la richiesta di riesame presentata da BigG nell’ambito del caso giudiziario relativo alle intercettazioni di reti WiFi operate attraverso le GoogleCar impegnate ad incamerare dati per il servizio di Street View. La Corte ha così ribadito una sentenza con la quale il giudice distrettuale James Ware, nel settembre scorso, aveva escluso la possibilità che le norme del Wiretap Act, la legge statunitense che regola le intercettazioni, non fossero applicabili al servizio di mappatura di Google. La contesa legale era iniziata nell’aprile del 2011, quando un gruppo di netizen aveva proposto una class action con l’obiettivo di fare luce sull’intercettazione e incameramento non autorizzato di dati da parte delle GoogleCar durante i loro tour di mappatura in giro per gli USA. Il giudice Ware veniva dunque chiamato a stabilire se le comunicazioni che hanno luogo su reti WiFi non protette fossero da ricomprendere nella stessa categoria delle frequenza radio AM-FM o no; se fosse stato così, avrebbe avuto ragione la difesa di Google nel considerarle liberamente intercettabili, in caso contrario, sarebbero entrate in scena le norme del Wiretap Act. Nel luglio 2011 la decisione del giudice Ware: le reti WiFi non possono essere paragonate ai segnali radio AM/FM. Dunque Google era esposta alle sanzioni previste dalla legge sopra citata; punto di vista, come detto, confermato nella sentenza del settembre 2013. Nel frattempo, nel marzo 2013, Google aveva ammesso le sue colpe e patteggiato una multa da 7 milioni di dollari. Nel dibattito era intervenuta anche la Federal Communications Commission, la quale nell’aprile 2012 aveva aveva affermato che BigG non era colpevole di violazione della privacy ma che, tuttavia, avrebbe ostacolato le indagini, proponendo una multa di 25mila dollari. Poche settimane dopo la stessa FCC aveva stabilito che un ingegnere di Google sapesse già dal 2008 delle dinamiche innescate da Street View, ma che comunque il caso era da considerarsi chiuso. “L’azienda dovrà ora dimostrare ad una giuria – ha affermato Elizabeth Cabraser, legale dei querelanti, dopo l’ultima decisione della corte californiana – che chiunque si fosse trovato a passeggiare o a guidare lungo la strada battuta dalle Google car potrebbe essere stato intercettato, come è successo”. NEL MONDO – Dal momento della rivelazione in merito alle intercettazioni, arrivate da parte dell’azienda nel maggio 2010, le iniziative legali e normative in giro per il mondo si sono moltiplicate. Nel marzo 2011 la francese Commission Nationale de l’Informatique et des Libertés (CNIL), organo transalpino di tutela della privacy, emetteva la multa più salata della sua storia, 100mila euro. Google, affermava il CNIL, avrebbe infatti ottenuto i dati per sbaglio ma non ne avrebbe disdegnato l’uso, ottenendone così un vantaggio economico. All’inizio di agosto 2012 il garante della privacy francese intimava a Google di non cancellare i dati intercettati. Nei mesi successivi arrivavano diverse “tirate d’orecchi” dal garante francese a BigG. In agosto arrivava invece dal Belgio una proposta di accordo stragiudiziale per Google: le GCars intercettando le reti WiFi aperte avrebbero sì commesso una violazione della privacy ma le autorità belga avrebbero rinunciato alle vie legali se BigG avesse pagato 150mila euro di multa. A novembre le buone notizie per Mountain View arrivavano da Amburgo, dove una contesa giudiziaria veniva archiviata. Sempre da Amburgo, tuttavia, era l’agenzia per la protezione dei dati sensibili, nell’aprile 2013, a comminare a BigG una (irrisoria per il colosso) multa di 145mila euro. Nel giugno 2013 una corte britannica ordinava a Google di distruggere tutti i dati intercettati per errore, come già ordinato un anno prima dalle autorità australiane. Per quanto riguarda l’Italia, nell’ottobre del 2010 la Procura di Roma ha aperto un’inchiesta su Google Street View nell’ambito quale si muoveva un’accusa contro ignoti per interferenza illecita nella vita privata. Poche settimane dopo, il Garante della privacy obbligava la compagnia a fornire dettagliate indicazioni ai cittadini riguardo i percorsi delle GoogleCar, così da permettere loro di sottrarsi alla cattura di immagini del servizio di mappatura stradale. Nello specifico, si imponeva alla società di pubblicare sul proprio sito gli itinerari delle Gcars tre giorni prima che le stesse siano in strada e che lo siano in maniera riconoscibile. Si trattava del primo provvedimento del genere in Europa, presto emulato da Paesi come la Svizzera, dove nell’aprile 2011 il Tribunale amministrativo federale (TAF) faceva sapere che, come già accaduto in Germania, lo Street View di Google sarebbe stato lecito solo dopo aver avuto garanzie sul fatto che le obiezioni dei cittadini sarebbero state prese in considerazione. In particolare, dati come targhe e volti devono essere rimossi immediatamente, oltre a qualsiasi altro elemento che permetta la riconoscibilità dei soggetti; a questi ultimi deve anche essere messo a disposizione un “contatto d’emergenza” per le segnalazioni a BigG, che annunciava un ricorso nei confronti del pacchetto di imposizioni. Nel giugno 2012 il tribunale federale svizzero ammorbidiva l’interpretazione della norma accogliendo la tesi di BigG sull’impossibile infallibilità del servizio e stabiliva un margine d’errore dell’1%, tranne che nei pressi di luoghi sensibili come scuole e ospedali. Intanto in Germania gli operatori delle telecomunicazioni avevano messo a punto un progetto comune per permettere agli utenti di richiedere con facilità l’oscuramento di propri dati sensibili dalle mappe. Da poche settimane si è fatto invece sempre più stretto il pressing delle autorità brasiliane sulle attività delle auto targate Mountain View. Di sicuro le Google car hanno creato le più disparate casistiche anche al di là delle contese in merito alle intercettazioni delle reti WiFi. Come in Israele, dove il governo ha creato alla fine di febbraio 2011 una task force con l’obiettivo di analizzare quali ripercussioni sulla sicurezza nazionale possa avere Street View. Non solo privacy dunque, ma la reale possibilità che il servizio possa essere utilizzato da attentatori, a detta del governo di Tel Aviv. Nell’agosto 2011 arrivava il via libera all’attività del servizio di mappatura di BigG, anche se vincolato, come negli esempi europei sopra menzionati, a certe condizioni che vanno dalla divulgazione anticipata dei percorsi che faranno le GoogleCar fino alla messa a disposizione dei cittadini di strumenti che permettano loro di offuscare targhe e dati personali prima della messa online. Più ostico l’inconveniente indiano: a metà giugno 2011 arrivava a Google dal commissariato di Bangalore una lettera che imponeva lo stop alle GoogleCar. A detta delle autorità indiane, gli uomini di Mountain View avrebbero violato non meglio specificati punti della legge che regolamenta le riprese sul territorio nazionale da parte di società straniere. Foto: Wikimedia.org 30 dicembre 2013