Edoardo Giardino è avvocato e professore associato nonché abilitato alle funzioni di professore ordinario di…
Antipirateria, l’appello della polizia di Londra agli inserzionisti: “Non finanziate certi siti”. Intanto crescono le violazioni da mobile
Gli inserzionisti e i proprietari di brand devono fare la loro parte nella lotta contro la pirateria digitale evitando di finanziare i siti che favoriscono la violazione del diritto d’autore e che dunque saranno inseriti in un’apposita lista nera. È il senso dell’appello lanciato dalla Police Intellectual Property Crime Unit (Pipcu), cellula istituita all’interno del corpo di polizia di Londra alla fine del 2012 e diventata operativa all’inizio del settembre scorso con lo scopo di reprimere le violazioni di proprietà intellettuale a mezzo Internet. Non è certo la prima volta che l’attenzione dell’antipirateria viene puntata verso i flussi di denaro che gravitano intorno alle piattaforme di condivisione e fruizione illecita di materiale audiovisivo protetto da diritti d’autore tramite l’approccio del “follow the money”; l’obiettivo è quello di ledere il business illegale chiudendo i rubinetti dei fondi che arrivano dalla pubblicità. Ora si punta a dare una sistematicità a tale approccio, tramite la messa a punto di una Infringing Website List (IWL) alla quale dovranno fare riferimento agenzie, inserzionisti ed intermediari del mondo della pubblicità evitando di posizionarvi banner e contenuti a pagamento di ogni tipo. “I proventi pubblicitari sono la chiave di volta del sistema dei profitti illeciti di certi spazi – dichiara la Pipcu – tanto che un recente rapporto della Digital Citizens Alliance stima in 227 milioni di dollari i ricavi generati nel 2013 dalle inserzioni su siti pirata”. Secondo Andy Fyfe, ispettore capo della Unit, “se l’annuncio pubblicitario di un brand riconosciuto appare su questi siti si genera un doppio effetto: da un lato, si contribuisce a dare un aspetto di legittimità allo spazio online; dall’altro, si finanzia involontariamente un business illecito. Pertanto, la IWL serve anche agli inserzionisti che vogliano preservare la loro reputazione evitando di affiancare la propria immagine a quella di piattaforme illegali”. La messa a punto della black list arriva dopo un progetto pilota di tre mesi svolto in collaborazione con le principali associazioni dell’industria culturale britannica: British Recorded Music Industry (BPI), Federation Against Copyright Theft (FACT), International Federation of the Phonographic Industry (IFPI), Publishers Association, Internet Advertising Bureau UK (IAB UK), Incorporated Society of British Advertisers (ISBA) e Institute of Practitioners in Advertising (IPA). Una fase nella quale, assicurano dalla Unit, “si è notata una chiara tendenza positiva, con una riduzione del 12% della pubblicità di grandi marchi sui siti pirata”. Secondo il ministro della Cultura Ed Vaizey “l’industria creativa contribuisce per 7,14 miliardi di sterline l’anno all’economia del Regno Unito ed è cresciuta più velocemente di tutti gli altri settori industriali nel 2012. È perciò essenziale proteggerla da chi fa un uso illecito dei contenuti online. L’interruzione dei flussi di denaro verso siti illegali potrebbe fare una reale differenza per la lotta contro la violazione del copyright . Si tratta di un ottimo esempio di ciò che può essere realizzato attraverso un lavoro comune di industria, governo e forze dell’ordine”. LEGGI “Regno Unito, i primi strike dei poliziotti antipirateria” LEGGI “Pirateria in Uk, l’advisor di Cameron: ‘Il bastone nei confronti degli Internet Service Provider che agevolano l’illegalità’”
Il sorpasso della “mobile piracy”
Intanto la sempre più marcata fruizione di contenuti in mobilità ha fatto sì che anche la circolazione illecita di opere protette da diritti si spostasse da torrent e cyberlocker verso altri lidi, con la necessità che anche l’antipirateria si concentri sulle piattaforme di condivisione mobile. O, almeno, sono le suggestioni che si ricavano da uno studio della NPD Group i cui risultati sono stati diffusi da TorrentFreak. L’utilizzo di app per il download di musica vede ad esempio 27 milioni di statunitensi aver scaricato illecitamente almeno un brano durante l’anno passato; basti pensare che nello stesso periodo di riferimento gli utilizzatori di piattaforme di P2P tradizionali sono stati stimati intorno ai 21 milioni.
Ovviamente, nelle fasce d’età comunemente indicate come quelle dei nativi digitali si concentra la maggior parte dell’utilizzo delle app in mobilità; in questo caso l’appello è rivolto direttamente ai grandi protagonisti degli store di app per dispositivi mobile, Apple e Google. “La presenza su iTunes o su Google Play di determinate applicazioni – chiosa il vicepresidente di NPD Russ Crupnick – può generare nell’utente medio la percezione di legittimità di ciò che sta utilizzando, mentre spesso non è così. Occorre dunque lavorare per far sì che in questi spazi finiscano solo le app che rispettano le regole”.
2 aprile 2014