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Tra allarmi e regolamenti, sul cyberbullismo siamo solo all’inizio

Ascolta Il Podcast Della Puntata Del 19 Gennaio 2014 Di "Presi Per Il Web"

È la sensazione che si ricava ascoltando il dibattito andato in onda poche ore fa su Radio Radicale; per Antonio Amendola, consigliere del Vice Ministro allo Sviluppo Economico Catricalà, “il codice contro gli abusi appena varato non di risolve i problemi, ma aiuta”, mentre per Francesca Comunello, professore di Internet Studies alla Sapienza di Roma, “non esiste il cyberbullismo, ma il bullismo” e per la giornalista Arianna Ciccone “occorre andare alla radice dei fenomeni, e quella non è tecnologica”

Ascolta il podcast della puntata del 19 gennaio 2014 di "Presi per il Web"
Ascolta il podcast della puntata del 19 gennaio 2014 di “Presi per il Web”
La bozza di “Codice di autoregolamentazione per la prevenzione  e il contrasto del cyberbullismo” messa in consultazione pubblica dal ministero dello Sviluppo Economico sembra essere solo il punto di inizio del dibattito sui fenomeni di “bullismo in rete”. È almeno questa l’indicazione che arriva dallo scambio di opinioni e di vedute che ha animato la puntata di domenica 19 gennaio di “Presi per il Web”, trasmissione di Radio Radicale condotta da Marco PerducaMarco Scialdone e Fulvio Sarzana con la collaborazione di Marco Ciaffone e Sara Sbaffi. Ospiti dell’appuntamento Antonio Amendola, fondatore e presidente di Shoot for Change e consigliere del Vice Ministro allo Sviluppo Economico Catricalà, Francesca Comunello, professore di Internet Studies presso la Sapienza di Roma, e Arianna Ciccone, giornalista ideatrice del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia e di Valigia Blu. Il “bullismo elettronico” comprende tutte le forme di prevaricazione messe in atto tra coetanei tramite i nuovi dispositivi di comunicazione; per lo studioso Peter Smith, il cyberbullismo è “una forma di prevaricazione volontaria e ripetuta, attuata attraverso un testo elettronico, agita contro un singolo o un gruppo con l’obiettivo di ferire e mettere a disagio la vittima di tale comportamento che non riesce a difendersi” Ma la differenza tra le posizioni non risparmia la stessa “etichetta” con al quale si definisce un certo comportamento; secondo Scialdone “c’è un fenomeno nuovo ed è giusto chiamarlo con un nome diverso, ci sono condotte che non smettono mai di esistere perché siamo sempre reperibili e gli episodi di bullismo diventano un flusso incessante e crescente”, mentre per Ciccone “anche quello che avviene offline finisce per restare attaccato a chi è bersaglio dei bulli, per quanto ci possa essere in rete un effetto moltiplicatore sempre più pesante”. E se per Comunello “non esiste il cyberbullismo, ma il bullismo”, Amendola afferma che “il problema è che se sono bersaglio di sfottò in classe tutto questo finisce uscendo da scuola, differente la situazione di quando vedo contenuti online diventati virali e pieni di like. La definizione di cyber descrive la diversa manifestazione di un comportamento preesistente”. “La filosofia di fondo – ha spiegato Amendola riferendosi al codice messo a punto in seno al Mise – è che si tratta di una materia difficilmente normabile in maniera positiva, dall’alto, è quindi si è evitata da subito la strada del decreto; vogliamo invece prototipizzare un modello di collaborazione di tutti gli stakeholders, dalle aziende ai consumatori fino alle Autorità di garanzia e alla polizia postale”. LEGGI “Il Codice di Autoregolamentazione per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo: un’occasione di riflessione sull’autopoiesi delle regole in Rete

“Di sicuro – ha affermato Comunello – esiste in determinati ambienti e circostanze una riduzione della percezione della responsabilità individuale, ma non si può demonizzare un mezzo. Il grande pericolo legato alla tecnologia è la persistenza di ciò che scriviamo in rete, perché scripta manent. Inoltre il fenomeno del bullismo è più esteso offline di quanto non lo sia online, anche se la scala di misurazione dei due fenomeni è spesso diversa. Di sicuro l’alfabetizzazione alle nuove tecnologie è una grande aiuto per difenderci da certi fenomeni, ma in Italia è ancora troppo bassa”. “Il mio timore – è il dubbio sollevato da Sarzana – è che lo sforzo orientato a definire un fenomeno possa essere frustrato dall’evoluzione del fenomeno stesso. Detto in altre parole, si rischia di finire il lavoro quando lo scenario è già cambiato”. Una chiosa alla quale Amendola risponde che “il tavolo dal quale arriva il codice è infatti in perenne evoluzione; chi vi siede intorno dà la propria disponibilità ad aggiornare continuamente ogni provvedimento alla luce della nuova situazione. Il codice, non risolve il problema, ma aiuta, non vuole sostituirsi a famiglia e insegnanti, ma affiancarli”. Quello dell’educazione è il focus dell’intervento di Ciccone: “Il problema è quello che origina offline, vita reale e vita digitale non sono distinte, ma rappresentano un continuum. La cosa importante è arrivare all’origine di queste manifestazioni di prevaricazione, e quindi porsi domande sulle cerchie di amicizie, sui compagni di scuola, sui membri della famiglia di chi è bersaglio di certi comportamenti. Occorre educare, non limitarsi a rimuovere i post”. Il disaccordo di Amendola (“le frecce del bullismo con le nuove tecnologie vengono lanciate in ogni momento, senza sosta, senza tregua”) è accompagnato da una chiosa sul codice in consultazione pubblica: “Il testo contiene al momento disposizioni come le due ore di tempo per la rimozione, che risulta più come provocazione e segnale che come misura realmente attuabile”.

Immagine in home page: Larena.it 20 gennaio 2014

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