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“Facebook spia i nostri messaggi privati”, e fanno causa alla piattaforma

Il social network di Zuckerberg intercetterebbe i link contenuti nelle comunicazioni tra gli utenti per ricavarne informazioni utili al mercato degli inserzionisti . Un’accusa simile a quella mossa ai servizi di posta elettronica di Google Estrazione e aggregazione di dati dei propri utenti con successiva “condivisione” con gli inserzionisti, una dinamica ormai comune nel Web e che coincide con sempre più rumorosi allarmi per la riservatezza di chi utilizza le piattaforme messe a disposizione dai colossi della rete, soprattutto quando il sospetto è che le comunicazioni intercettate siano quelle private e non quelle relative ai contenuti immessi in uno spazio pubblico. Proprio il sospetto alla base della citazione in giudizio avanzata da due utenti di Facebook statunitensi, che hanno deciso di adire le vie legali perché, a loro detta, la piattaforma di Mark Zuckerberg sarebbe impegnata nel monitoraggio dei link scambiati tramite il servizio di messaggistica del social network. Secondo quanto riferito da ArsTechnica, i querelanti sostengono che la definizione di “privato” data da Facebook al proprio servizio sarebbe fuorviante perché nasconderebbe l’utilizzo che sia algoritmi, sia personale dedicato, farebbero del contenuto delle comunicazioni, arrivando ad inserire automaticamente il “mi piace” da parte dell’utente alle pagine linkate nei propri messaggi. “Facebook – si legge nella querela presentata presso la corte distrettuale della Nord California – nelle sue condizioni d’uso assicura che solo mittente e destinatario dei messaggi siano a conoscenza del contenuto delle comunicazioni. In realtà, la piattaforma non ha mai avuto intenzione di fornire questo livello di riservatezza ai suoi utenti, mentre estrae informazioni da tutte le comunicazioni che passano attraverso la sua rete, comprese quelle che definisce private, con il solo intento di raccogliere quanti più possibili frammenti di informazione relativi ai suoi utenti”. “Queste pratiche non servono a rendere più efficace il servizio di messaggistica – scrivono i querelanti prevedendo la più classica delle obiezioni da parte dell’accusato – ma ad abilitare Facebook a raccogliere dati da condividere con terzi come inserzionisti, addetti al marketing, aggregatori di dati”. Molte delle accuse si basano su una serie di inchieste condotte dal Wall Strett Journal nel 2012. LEGGI “Pubblicità e contenuti di Facebook Un’accusa molto simile a quella più volte avanzata nei confronti di Google in merito a Gmail; all’inizio dello scorso anno Microsoft aveva lanciato la campagna “Scroogled” per denunciare il fatto che a Mountain View “leggono ogni singola parola in ogni tua singola email inviata da e verso Gmail per calibrare nella maniera migliore le pubblicità che ti inviano”; alla fine del settembre scorso, invece, il giudice distrettuale della California Lucy Koh ha rifiutato di chiudere il caso che vede BigG difendersi da una class action nella quale è accusata di aver violato le norme del Wiretap Act, il corpus di leggi che regola le intercettazioni sul territorio statunitense, setacciando le email dei propri utenti e soprattutto quelle di utenti di altri servizi che hanno spedito posta verso account di Gmail. LEGGI “Facebook, gli ‘indicatori sociali’ contro i contenuti pirata”

3 dicembre 2013
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